Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-07-20, n. 202004643
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Pubblicato il 20/07/2020
N. 04643/2020REG.PROV.COLL.
N. 08233/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8233 del 2019, proposto dai signori G G, A G, L G, R G e O L in persona del suo procuratore M Z, rappresentati e difesi dall'avvocato R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Il Comune di Grosseto, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G M G in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
nei confronti
La società cooperativa Dell’Avvenire 1921, in liquidazione coatta amministrativa, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. 943 del 2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Grosseto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore - nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020 svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020 - il consigliere Michele Conforti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso ritualmente notificato, gli odierni appellanti hanno intimato il Comune di Grosseto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, al fine di sentire dichiarare la parziale inefficacia dell’accordo di cessione intercorso fra loro e l’ente locale.
1.1. Essi hanno dedotto, in proposito:
a) di essere proprietari di un’area di mq 48.500, ubicata nel medesimo Comune, oggetto di una procedura espropriativa intrapresa dal menzionato ente locale, per la realizzazione di alcune opere pubbliche;
b) di aver accettato la determinazione delle indennità provvisorie, con comunicazioni del 17 luglio 2007 e del 20 luglio 2007, prot. n. 79245;
c) di essere addivenuti nel corso del relativo procedimento alla stipulazione di un accordo di cessione con l’ente, con atto rep. n. 176021 del 2 luglio 2008, e di avere pertanto perfezionato la cessione del bene, pattuendo, come corrispettivo, la somma di euro 4.372.145,72, dimidiata in ragione dell’allora vigente art. 5 bis del d.L. n. 333 del 1992;
d) che, con sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della suddetta disposizione;
e) di aver adito la Corte d’Appello di Firenze, lamentando l’iniquità della stima proposta dal Comune e posta a base dell’accordo di cessione ed evidenziando che il corrispettivo dovuto dovesse invece essere pari al valore di mercato del bene;
f) di aver perciò adito il suindicato Tribunale amministrativo, deducendo l’illegittimità parziale del ‘contratto’, essendo divenuto il corrispettivo originariamente convenuto, sul presupposto dell’allora vigente quadro normativo, manifestamente sproporzionato a loro danno.
1.2. Nel relativo giudizio si è costituito il Comune di Grosseto, il quale, in via pregiudiziale, ha domandato la declaratoria di estinzione del giudizio, in quanto L’Avvenire 1921 Società Cooperativa è stata posta in liquidazione coatta amministrativa per stato di insolvenza con decreto del 15 maggio 2018, pubblicato in Gazzetta ufficiale in data 30 maggio 2018, mentre nel merito ha dedotto l’infondatezza del ricorso.
2. Il Tribunale amministrativo regionale, esaminando le eccezioni pregiudiziali, ha respinto il ricorso, ritenendolo manifestamente infondato ed evidenziando che:
a) l’accordo di cessione è stato stipulato quando era vigente l’art. 2, comma 90, della Legge n. 244 del 2007, ai sensi del quale “ Le disposizioni di cui all'articolo 37, commi 1 e 2, e quelle di cui all'articolo 45, comma 2, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, come modificati dal comma 89 del presente articolo, si applicano a tutti i procedimenti espropriativi in corso, salvo che la determinazione dell'indennità di espropriazione sia stata condivisa, ovvero accettata, o sia comunque divenuta irrevocabile ”;
b) sulla base di tale disposizione non sarebbe applicabile il diverso criterio di quantificazione del corrispettivo della cessione;
c) gli interessati hanno stipulato la cessione, durante la pendenza dell’incidente di costituzionalità sull’art. 5 bis d.L. n. 333 del 1992, e nondimeno non hanno apposto riserve alla pattuizione stipulata.
3. Gli interessati hanno proposto appello avverso la sentenza di prime cure.
3.1. Con un articolato motivo di appello, gli interessati hanno riproposto in chiave critica le censure di primo grado e hanno censurato la sentenza di prime cure, per non aver ravvisato che la determinazione del corrispettivo di cessione del bene non poteva essere disciplinata dall’autonomia privata, come in una normale compravendita: trattandosi di un ‘contratto’ da qualificarsi come “pubblico”, il corrispettivo doveva considerarsi predeterminato dal legislatore.
Sulla base di questa premessa, secondo gli appellanti, il Tribunale amministrativo regionale non si sarebbe accorto che, benché i precedenti proprietari avessero accettato l’indennità provvisoria determinata in applicazione dell’allora vigente art. 5 bis, essi nondimeno avevano errato, unitamente all’amministrazione, allorché in sede di stipulazione del ‘contratto’ di cessione del bene non si sono avveduti che, in virtù della sentenza della Corte Costituzionale, non potevano applicare un criterio di determinazione del valore del bene oramai espunto dall’ordinamento.
L’accordo stipulato, dunque, avrebbe violato, in parte qua, la disposizione, sopravvenuta e da considerarsi imperativa, che imponeva la determinazione del corrispettivo secondo il criterio del valore venale del bene.
Viene evidenziato che l’accordo bonario è stato stipulato successivamente alla declaratoria di incostituzionalità e, dunque, quando la sentenza è stata pronunciata, il procedimento espropriativo era ancora pendente tra le parti.
Si puntualizza, inoltre, che l’accettazione dell’indennità provvisoria di esproprio è un mero atto endoprocedimentale, comunque condizionato alla conclusione del procedimento e che esso è inidoneo a rivestire qualsivoglia attitudine traslativa del bene.
3.2. Con un ulteriore motivo di appello, proposto subordinatamente a quello precedente, gli interessati hanno evidenziato che, ad ogni modo, anche a voler ritenere che l’accettazione del corrispettivo abbia esaurito ogni questione relativa alla sua determinazione, l’indennità andrebbe comunque riliquidata alla luce dei nuovi criteri normativi.
Gli appellanti deducono che, nel caso di specie, il valore venale del bene sarebbe stato quantificato erroneamente, il che renderebbe nulla la liquidazione, che andrebbe pertanto rideterminata sulla base dell’attuale criterio di calcolo, ancorato, esclusivamente, al valore venale del bene.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Grosseto, il quale ha resistito al ricorso.
4.1. In via pregiudiziale, il Comune ha eccepito l’estinzione del processo, determinatasi a causa della sua mancata riassunzione, nei termini di legge, nei confronti della “L’avvenire 1921 – società cooperativa”, che era intervenuta ad opponendum nel giudizio di primo grado, spiegando intervento adesivo dipendente, ma rispetto alla quale è stata adottata, durante lo svolgimento del giudizio innanzi al T.A.R., il decreto che ha posto tale società in liquidazione coatta amministrativa.
Secondo l’ente locale, poiché la società non si è costituita nel giudizio innanzi al T.A.R., andrebbe applicato l’art. 299 c.p.c., ai sensi del quale l’interruzione opera di diritto dal verificarsi dell’evento interruttivo, costituito, in questo caso, dalla perdita della capacità di stare in giudizio della parte, cagionato dall’adozione dell’atto che ha determinato lo stato di liquidazione coatta amministrativa.
Non essendo stato riassunto il giudizio, nel termine di 90 giorni decorrente dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (circostanza che determina la conoscenza legale dell’evento in capo alle altre parti del processo) del decreto che ha determinato l’inizio della procedura concorsuale, il processo, interrottosi con l’adozione dello stato di liquidazione coatta amministrativa, si sarebbe estinto.
4.2. Nel merito, il Comune ha evidenziato che:
a) l’art. 2, comma 90, della Legge n. 244 del 2007 pone una regola che si applica “ a tutti i procedimenti espropriativi in corso ” e, dunque, non soltanto a quelli disciplinati dal T.U.;
b) gli interessati hanno liberamente scelto di accettare la determinazione dell’indennità di esproprio, senza apporre alcuna condizione o riserva, e pur potendo essere consapevoli dell’orientamento giurisprudenziale della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che aveva già formulato delle osservazioni critiche sui criteri di determinazione dell’indennità di esproprio e della pendenza della questione di costituzionalità avente ad oggetto l’art. 5 bis;
c) anche a volere prescindere dai precedenti argomenti, va richiamata quella giurisprudenza che, con riguardo all’accettazione dell’indennità di esproprio, confluita in un accordo condiviso fra le parti, statuisce l’esaurimento del rapporto e l’inammissibilità di ogni altra contestazione giudiziale sulla congruità dell’indennizzo;
d) in ogni caso, la non corrispondenza fra l’indennità confluita nella cessione volontaria e quella astrattamente fissata dalla norma applicabile non determina alcuna nullità, né dell’accordo né della singola clausola, poiché la disciplina di cui si discorre regola ‘aspetti meramente estimatori’, che non hanno alcun rilievo sulla validità dell’atto. Si tratta di aspetti che riguardano apprezzamenti soggettivi del privato;
e) la tesi sostenuta in subordine, con il secondo motivo di appello, non può essere accolta, poiché essa concerne aspetti rimessi alla giurisdizione del giudice civile in sede di giudizio di opposizione alla stima;
f) la somma in cui è stato quantificato il valore venale del bene è congrua e corretta;
g) nell’ipotesi in cui si addivenga ad una rideterminazione della stima, sarà necessario applicare la riduzione del venticinque per cento del valore venale, in quanto l’espropriazione è stata effettuata nell’ambito di un intervento avente valenza economico-sociale;
h) l’indennità di espropriazione, ove riconosciuta, dovrà essere qualificata come debito di valuta.
5. Il Comune di Grosseto ha ulteriormente illustrato le sue difese con una memoria del 8 maggio 2020, mentre gli appellanti hanno depositato note di udienza in data 10 giugno 2020, domandando la decisione della causa.
6. All’udienza del 11 giugno 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
7. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di estinzione del giudizio formulata dal Comune di Grosseto e non esaminata dal Tribunale amministrativo regionale per ragioni di economia processuale.
7.1. Essa è infondata.
7.2. Va rilevato, infatti, che l’intervento adesivo dipendente costituisce un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, sopravvenuto nel corso del processo, a causa dell’intervento spiegato dalla parte eventuale.
L’eventuale mancata riassunzione nei termini da parte dell’appellante non determina l’estinzione del processo in toto , ma soltanto con riferimento alla posizione della parte eventuale.
7.3. Il giudizio può dunque svolgersi fra gli appellanti e il Comune di Grosseto.
7.4. L’eccezione va dunque respinta.
8. Può procedersi all’esame dell’articolato primo motivo di appello, proposto dagli interessati in via principale.
8.1. La doglianza muove da un presupposto non coerente con la normativa vigente e con i principi concernenti la quantificazione dell’indennità di espropriazione.
La normativa in materia di determinazione dell’indennità di espropriazione può essere qualificata come ‘cogente’ (dal lato dell’Amministrazione), quando ponga limiti legali invalicabili in sede di quantificazione.
8.2. Nel corso del tempo, si sono succedute le più diverse disposizioni in tema di quantificazione dell’indennità di esproprio, alcune delle quali hanno imposto alle Amministrazioni di disporre il pagamento di importi di gran lunga inferiori al valore venale (si pensi alle leggi del 1971, 1974 e 1977, basate sul criterio del ‘valore agricolo medio’, nonché all’art. 5 bis del decreto legge n. 333 del 1992, come convertito nella legge n. 359 del 1992), finché la legge n. 244 del 2007 ha introdotto le regole attualmente applicabili, in coerenza con i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007.
8.3. La cogenza – così chiarita - di tali disposizioni si può ritenere indiscussa, potendosi configurare la responsabilità personale del funzionario che le abbia violate, ma non ha precluso che – in sede di determinazione del quantum spettante al privato – le parti possano porre in essere accordi, basati sulla loro autonomia ‘negoziale’, per un importo inferiore o pari a quanto spetterebbe nel caso di emanazione di un decreto di esproprio (o anche superiore nei limiti previsti dalla legge, nel caso di formale applicazione dell’incremento dovuto proprio in ragione della conclusione dell’accordo).
8.4. Le disposizioni in materia di determinazione del corrispettivo dell’accordo di cessione del bene espropriando presidiano principalmente interessi pubblici, essendo quelli privati liberamente apprezzabili dalla parte titolare del bene, la quale è libera di rifiutare l’indennità proposta e di azionare i rimedi necessari per la sua esatta quantificazione, ma può anche accettare un’offerta dell’amministrazione, per un importo inferiore al valore effettivo del bene.
8.5. Se l’Amministrazione determina unilateralmente l’indennità di espropriazione, l’interessato può proporre l’opposizione alla stima innanzi al giudice civile (art. 54 d.P.R. n. 327 del 2001), deducendo – se del caso – la violazione della normativa applicata e l’incongruità dell’importo determinato dall’Amministrazione.
8.6. Se invece è determinato consensualmente tra le parti il corrispettivo, l’accordo di cessione si deve considerare espressione dell’autonomia ‘negoziale’ del proprietario, che non può venire contra factum proprium e porre in contestazione quanto convenuto (dovendosi applicare il principio previsto dall’art. 1372, sulla ‘ forza di legge ’ del contratto tra le parti e, dunque, dell’accordo).
9. E’ comunque decisivo rilevare come – alla data del 2 luglio 2008 – già era entrata in vigore la legge n. 244 del 2007, che ha introdotto i criteri sostitutivi di quelli previsti dalla precedente normativa dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale: in questa sede non rileva affrontare la questione se gli interessati si sarebbero potuti rifiutare di sottoscrivere l’accordo ‘definitivo’ (a seguito della modifica della normativa applicabile per la quantificazione dell’indennità d’esproprio e dunque del corrispettivo dell’accordo di cessione), ma si deve rilevare come l’accordo definitivo sia stato concluso sulla base di una manifestazione di volontà che ha necessariamente tenuto conto di tutti gli aspetti fattuali e giuridici, anche quanto alla normativa applicabile.
10. Va ulteriormente osservato anche con relativamente a questo profilo di doglianza che contro la prospettazione di parte appellante depone un ulteriore argomento.
10.1. Costituisce infatti un orientamento consolidato del giudice civile quello secondo il quale la determinazione dell’indennità e la sua accettazione non consente una successiva resipiscenza da parte di chi ha liberamente manifestato il consenso: “ consolidatosi l'accordo amichevole in forza del contratto di cessione o dell'adozione del decreto di espropriazione, una volta che l'indennità provvisoria sia stata accettata o concordata attraverso il negozio suddetto, la misura dell'indennità diviene definitiva e non più contestabile (Cass. 13415/2008;19671/2006;10789/2003;6303/2003) ” (Cass. civ., Sez. I, 14 febbraio 2014, n. 3549).
10.2. Anche per tale ragione va evidenziato che la condotta tenuta dai precedenti proprietari delle aree si palesa come un inammissibile venire contra factum proprium , poiché essi giungono a contestare immotivatamente la determinazione del corrispettivo alla luce del concreto svolgimento dei fatti che hanno scandito la cessione delle aree.
10.3. L’accordo definitivo di cessione è dunque valido in toto .
11. In definitiva, va dunque rigettato il primo motivo di appello.
12. Può procedersi ora alla disamina del secondo motivo di appello, articolato in subordine e con il quale si è, in estrema sintesi, palesata un’erronea determinazione del valore venale del bene.
12.1. Il motivo in questione è infondato, per ragioni logiche consequenziali alla reiezione degli altri motivi.
12.2. Le parti hanno concordato il quantum con un accordo che non può essere modificato in questa sede.
Qualora l’Amministrazione avesse unilateralmente determinato l’indennità di espropriazione, si sarebbe potuta pronunciare la Corte d’appello sulle questioni direttamente connesse alla determinazione dell’indennizzo, in sede di esame della relativa opposizione.
12.3. Dunque, sono inammissibili le deduzioni volte alla determinazione di un valore del bene diverso da quello tenuto in considerazione in sede di conclusione dell’accordo sul quantum .
13. In conclusione, l’appello va respinto per le suindicate motivazioni.
14. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.