Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-08-31, n. 202005326

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-08-31, n. 202005326
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005326
Data del deposito : 31 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/08/2020

N. 05326/2020REG.PROV.COLL.

N. 07239/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 7239 del 2013 proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M S e P P e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Celimontana n. 38;

contro

il Ministero dell'interno in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e concernente diniego di concessione della cittadinanza italiana.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Giancarlo Luttazi nell’udienza pubblica del giorno 28 luglio 2020, tenutasi con le modalità di cui alla normativa emergenziale di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 25 giugno 2020, n. 70;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello notificato al Ministero dell'interno in data 18 settembre 2013 e depositato in data 7 ottobre 2013 il sig. -OMISSIS-, nato in -OMISSIS-) il -OMISSIS-, ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, n. -OMISSIS-, notificata il 12 giugno 2013, la quale ha respinto, compensando le spese, il ricorso n. 10386/2010, integrato da motivi aggiunti e proposto dall’appellante avverso il decreto del Ministero dell'interno 4 maggio 2010, n. -OMISSIS-, di rigetto della richiesta di cittadinanza italiana (impugnato col ricorso introduttivo) e la nota riservata depositata in giudizio il 10 ottobre 2012 (impugnata con i motivi aggiunti).

Il citato il decreto di rigetto reca la seguente motivazione: " Considerato che la concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9 della citata legge 9 l/92 comporta l'esercizio di un potere altamente discrezionale da parte dell'Amministrazione che è tenuta ad accertare, mediante una valutazione complessiva dell'impatto che avrebbe sull'ordinamento l'attribuzione ad uno straniero a titolo stabile dello status civitatis, la coincidenza tra l'interesse pubblico da tutelare e quello vantato dal richiedente, evitando che dalla concessione possa derivare danno o nocumento all'ordinamento nazionale;
Tenuto conto che dall'attività informativa esperita sono emersi elementi attinenti la sicurezza della Repubblica tali da non rendere opportuna la concessione della cittadinanza allo straniero
".

La citata nota riservata (sottratta ad estrazione di copia) depositata in data 10 ottobre 2012 e impugnata con i motivi aggiunti ha comunicato le ragioni ritenute ostative alla concessione della cittadinanza italiana e consistenti nella circostanza che l’appellante avrebbe preso parte ad una organizzazione fondamentalista e a numerose manifestazioni -OMISSIS-), e che un fratello dell’appellante sarebbe stato tratto in arresto in Israele, aderendo a posizioni fondamentaliste.

La sentenza appellata ha respinto le censure di primo grado allegando in motivazione l’ampia discrezionalità dell'Amministrazione in materia di conferimento della cittadinanza ed i conseguenti limiti del potere sindacatorio del giudice sulle relative determinazioni, potere nell’esercizio del quale il Tar ha escluso l’illegittimità della contestata valutazione - riservata e finalizzata alla tutela della sicurezza nazionale – in merito alla concessione della cittadinanza italiana.

L’appello - denunciando illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione ed eccesso di potere - contesta le argomentazioni della sentenza di primo grado, chiedendone la riforma, con conseguente e definitivo annullamento degli atti gravati dinanzi al Tar.

La difesa erariale ha depositato atto formale di costituzione in data 11 ottobre 2013;
e in data 11 dicembre 2013 una Relazione del Ministero dell’interno datata 8 novembre 2013.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 8 ottobre 2018 parte appellante ha depositato, in data 15 dicembre 2018, domanda di fissazione di udienza.

La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del giorno 28 luglio 2020, tenutasi con le modalità di cui alla normativa emergenziale di cui al citato art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 25 giugno 2020, n. 70.

DIRITTO

L’appello non è fondato.

1.1- L’appellante contrappone al noto orientamento giurisprudenziale che riconosce l’ampio potere discrezionale dell'Amministrazione nella formulazione di decreti di diniego di cittadinanza sprovvisti di dettagliata esternazione dei fatti e delle circostanze inerenti la valutazione del contrasto della richiesta con l’interesse nazionale, le pronunce che affermano il diritto dell'interessato a dedurre in sede giurisdizionale profili di eccesso di potere del diniego che risulti basato su una motivazione che non trovi giustificazione negli atti cui si richiami per relationem (per tutte: Cons. Stato, Sez. VI, 19 giugno 2009, n. 4080);
e sostiene che con il deposito in data 10 ottobre 2012 della nota riservata del Ministero dell’interno impugnata con motivi aggiunti era apparsa ulteriormente limpida l'illegittimità del decreto impugnato con il ricorso introduttivo, in considerazione dell’infondatezza, illegittimità e genericità della nota stessa, presupposto e motivazione principale del decreto impugnato avanti al Tar.

L’appello sostiene, richiamando anche pronunce giurisprudenziali, che da quella nota riservata non è assolutamente possibile reperire le minime condizioni di ammissibilità, legittimità ed i presupposti di fatto del provvedimento amministrativo impugnato nonché i requisiti di logicità, coerenza e ragionevolezza che dovrebbero investire la giustificazione motivazionale dei provvedimenti del Ministero dell’interno, né attendibilità istruttoria, specie se confrontata con l’istruttoria svolta in ambito territoriale, e conclusa con il parere favorevole alla concessione della cittadinanza italiana da parte della Questura e della Prefettura di Brescia, parere che ha descritto l’istante come affermato medico specializzato ben inserito ed integrato nel tessuto sociale del paese, come facilmente riscontrabile dall'assenza di qualsiasi condanna o di procedimenti pendenti, dall'eccellente percorso universitario e professionale, dal contributo lavorativo e retributivo, dal continuo rinnovo del permesso di soggiorno culminato con il rilascio della carta di soggiorno a tempo indeterminato, dal contributo in campo sociale verso la propria comunità di fede musulmana finalizzato alla totale e rapida integrazione degli immigrati nella società italiana;
con conseguente insufficienza della motivazione dell’impugnato decreto di diniego della cittadinanza, che l’appello afferma basato esclusivamente su meri sospetti di presunta pericolosità per la sicurezza dello Stato.

La sentenza appellata avrebbe inoltre irrazionalmente valorizzato in senso sfavorevole al ricorrente ed impropriamente utilizzato, con l'aggiunta di espressioni mai pronunciate ovvero supposte dall'odierno appellante, la dichiarazione estrapolata dal ricorso introduttivo e di seguito riportata, come da specifica citazione dell’appello.

" In considerazione del proprio grado di istruzione professionale e culturale, il ricorrente, adempiendo anche ai propri obblighi morali e di solidarietà verso la comunità di immigrati di fede musulmana presenti nella Provincia di Brescia, ha svolto per un brevissimo periodo di tempo il ruolo di componente del Consiglio d'Amministrazione dell'Associazione -OMISSIS-. Detta associazione, si propone seguenti scopi: unire la comunità di immigrati musulmani avvicinandone le loro famiglie;
favorire l'inserimento della comunità islamica nella società italiana;
collaborare con altre associazioni ed enti organizzando manifestazioni e dibattiti intesi a favorire gli scambi culturali;
instaurare rapporti e dialoghi con altre confessioni religiose e credenze e con i laici;
promuovere e sostenere attività per la causa della giustizia, della pace, della salvaguardia dei diritti umani e del benessere dei musulmani e di tutta la comunità con ogni mezzo lecito per legge italiana ed islamica. Tuttavia, i doveri verso la comunità musulmana e verso l'Associazione stessa non avevano mai affievolito la determinazione del sig.-OMISSIS-a fare rispettare la propria visione progressista e rinnovativa che intendeva far prevalere all'interno della comunità. Infatti, non vedendosi coadiuvalo dagli altri componenti nel raggiungimento e conseguimento degli obbiettivi di integrazione nei tempi rapidi da lui indicati, il sig. -OMISSIS-non ha esitato ad allontanarsi dalla stessa associazione, ritenendo esaurito il proprio ruolo propulsivo all'interno della comunità. Gli sforzi ed i sogni del sig.-OMISSIS-di fare della comunità musulmana di Brescia un positivo punto di riferimento per le altre comunità in Italia, andrebbero visti e considerali come un alto contributo all'integrazione e alla sua divulgazione da parte dell’odierno ricorrente
”.

Precisa l’appellante che – diversamente da quanto riportato nella sentenza appellata, egli non ha mai affermato di aver aderito ad " associazione controindicata ", oppure di essersi allontanato da tale associazione " una volta compreso che essa non mirava ad una vera integrazione della comunità musulmana ". Avendo egli invece precisato, sua sponte , di aver fornito un proprio contributo per l'integrazione della comunità musulmana a Brescia, per aver assunto un ruolo all'interno del Consiglio d'amministrazione dell'Associazione Onlus Comunità islamica di Brescia e Provincia, associazione riconosciuta e registrata presso la locale Prefettura.

Prosegue l’appellante di non aver mai ravvisato, e tantomeno affermato, la presenza all'interno dell'associazione di elementi che non miravano ad una vera integrazione della comunità musulmana, trattandosi semplicemente di divergenze legate alla tempistica voluta dal sig. -OMISSIS-per l'introduzione di una sua visione progressista e rinnovativa che intendeva far prevalere all'interno della comunità.

E aggiunge l’appello che, come affermato da pronunce dello stesso Tar, " il mantenimento delle tradizioni sociali, religiose e culturali del Paese di origine non può costituire, di per sé soltanto, un ostacolo all'integrazione della comunità italiana ed un sicuro indice di mancata accettazione dei valori fondamentali del nostro Stato ".

L’appello contesta la sentenza impugnata anche dove essa afferma che nella suddetta nota ministeriale del 10 ottobre 2012 " non si contesta al ricorrente l’essere membro dell’-OMISSIS-., cosicché appare del tutto ininfluente la circostanza che detta unione raccolga solo enti associativi e non singoli individui. Peraltro, nell’-OMISSIS-. – come rileva lo stesso ricorrente - è confluita proprio l’-OMISSIS-., il che rende di minore rilevanza la circostanza che quest’ultima abbia cessato le proprie attività nel 1990, posto che esse sono continuate nell’ambito dell’-OMISSIS-. ”;
e che “ secondo la nota del 10 ottobre 2012, il ricorrente avrebbe partecipato a numerose manifestazioni dell’-OMISSIS-. alle quali erano presenti anche rappresentanti di altra associazione alla quale risulterebbe legato il fratello del ricorrente, arrestato in Israele ”.

In proposito la sentenza impugnata si sarebbe presa la prerogativa di interpretare le note depositate dal Ministero dell’interno il 10 ottobre 2012, attribuendo significati alle ambigue espressioni utilizzate nel predetto documento;
e sarebbe palesemente lacunosa e priva di motivazioni anche in merito a tale questione, giacché, a fronte delle prove fornite riguardo l'estraneità dell’appellante all'-OMISSIS-. e all'-OMISSIS-., i giudici di primo grado avrebbero tentato pure di giustificare le falsità e le imprecisioni inverosimili asserite dal Ministero dell’interno.

Si riporta il relativo testo dell’appello.

L'odierno appellante aveva infatti rilevato che l'illegittimità della nota depositata dal Ministero dell’interno è evidente e palese laddove si asserisce, incautamente e senza alcuna elemento probatorio in merito, che il ricorrente fosse un membro del Comitato direttivo dell'-OMISSIS-. e partecipasse -OMISSIS-.

Infatti si evidenziava nel ricorso per motivi aggiunti, che malgrado le accurate ricerche eseguite dal sottoscritto procuratore, non si è trovata alcuna traccia di un organismo esistente chiamato -OMISSIS-. (Unione degli studenti musulmani in Italia), trattandosi di un'associazione che pare abbia cessato la propria attività studentesca già nel 1990, allorquando è stata incorporata all'interno della costituenda -OMISSIS-. (doc. n. 17 del ricorso per motivi aggiunti).

Come si evinceva dalla documentazione prodotta unitamente al ricorso per motivi aggiunti, già dal 1990 l'-OMISSIS-. aveva cessato ogni sua attività, andando a fondare insieme ad altre associazioni studentesche la nascente -OMISSIS-delle quali il sig. -OMISSIS-non ha mai fatto parte, sotto forma di socio, amministratore, collaboratore, e/o sotto qualsiasi altra forma di collaborazione.

Non solo, il sig. -OMISSIS-è giunto in Italia nel 1992 e si è laureato in medicina nel 1999, mentre il diniego e quindi le stesse note depositate dal Ministero dell’interno si riferiscono presumibilmente ad informazioni relativi al periodo 2010, che mal si conciliano con il "fugace" percorso di vita della -OMISSIS-., terminato nel lontano 1990.

Inoltre, anche a voler concedere al Ministero dell’interno che sia ancora esistente un'associazione studentesca chiamata -OMISSIS-., appare inverosimile, tuttavia, che un medico laureato 1999 possa continuare a farne parte di tale associazione studentesca, coprendo per di più il ruolo di membro del Comitato Direttivo fino al 2010, ben 11 anni dopo la propria laurea !

Oltre tutto, il Ministero dell’interno non spiega neppure in quale atti criminosi sia coinvolta questa associazione e per quale motivo si considera un pericolo per la sicurezza della Repubblica. Quest'ultima circostanza non è di trascurabile importanza, considerando l'obbligo di motivazione che incombe sulla Pubblica Amministrazione in base alle normative vigenti, L. 241/1990, ed al fine di evitare una snaturalizzazione del presente processo, costringendo il ricorrente ad una difesa logica e pragmatica contro una irrazionale ed ignota accusa!

Prosegue l’appello che per quanto concerne -OMISSIS-della quale il ricorrente ribadisce non aver mai fatto parte, il ragionamento è ancora più semplice, considerando che tale associazione non ammette la partecipazione al proprio interno di singoli soci, trattandosi, come cita la denominazione stessa, di -OMISSIS-

Rileva altresì l’appello che i giudici di primo grado, pur affermando che " ... nella nota non si contesta al ricorrente l'essere membro dell'-OMISSIS-. ", tuttavia non spiegano come possa essere definita la presunta partecipazione del sig. -OMISSIS-a quell’Unione.

E quanto al passaggio della sentenza in cui si legge " Infine, secondo la nota del 10 ottobre 2012, il ricorrente avrebbe partecipato a numerosi manifestazioni dell'-OMISSIS-. alle quali erano presenti anche rappresentanti di altra associazione alla quale risulterebbe legato il fratello del ricorrente, in lsraele ” l’appello afferma che non risulta la citata nota del 10 ottobre 2012 abbia fatto riferimento a partecipazione a manifestazioni all'interno del predetto documento;
e rileva “ neppure sappiamo se con il termine "manifestazioni" i giudici intendono "proteste e dimostrazioni" ovvero "iniziative culturali di interessi generali ";
ed in ogni caso il ricorrente (pur non negando di aver partecipato a manifestazioni alle quali erano presenti anche rappresentanti di altra associazione alla quale risulterebbe legato il fratello del ricorrente;
e che quest’ultimo è stato arrestato in Israele, aderendo a posizioni fondamentaliste) esclude “ categoricamente la propria partecipazione a qualunque dimostrazione ovvero a proteste comunque organizzate, essendo certo di non aver mai preso parte ad una protesta pubblica ”;
ed aggiunge che " incriminare ” l’appellante perché possa aver assistito ad un dibattito oppure ad un convegno ovvero ad un incontro aperti al pubblico - nei quali, precisa l’appello, non è sempre possibile conoscere in anticipo l'identità, la storia ed i pensieri dei presenti - concreterebbe un ragionamento “ seriamente dannoso e minaccioso per le più elementari libertà costituzionalmente garantite ”.

Né, aggiunge il gravame, come già evidenziato in primo grado nel ricorso per motivi aggiunti, sia per l'-OMISSIS-. che per l'-OMISSIS-. il Ministero dell’interno ha mai chiarito in che cosa consista la pericolosità per la sicurezza della Repubblica, considerando che dalle ricerche eseguite e dagli atti prodotti in primo grado, risulta che -OMISSIS-. è un interlocutore affidabile delle istituzioni italiane, specialmente del Ministero dell’interno. Né alcuna risposta a tali domande risulterebbe dalla motivazione della sentenza appellata, fermo restando che l’appellante non ha mai fatto parte dell'-OMISSIS-. o dell’-OMISSIS-.

Infine la sentenza impugnata sarebbe viziata perché nulla motiverebbe in merito alle accuse - di sconcertante leggerezza e sconsideratezza di basilari principi costituzionali - rivolte al sig. -OMISSIS-di essere pericoloso per la sicurezza nazionale a causa dell’arresto del fratello in Israele per " adesione a posizioni fondamentaliste ", arresto non negato dall’appellante né più diffusamente contestato, ma definito “ presunto ”.

1.2 – Le censure esposte non tengono conto dell’amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (v. Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102;
6 settembre 2018, n. 5262), che caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto che – come rilevato dall’Amministrazione e valutato dal Tar, ed è bene ribadire e sottolineare – attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevantissime conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all’interno dello Stato;
e può comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l’interesse nazionale in caso di infelice concessione;
e che per questo, ai sensi dell’art. 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è provvedimento demandato al Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno.

A fronte degli importanti interessi della comunità nazionale coinvolti nel procedimento l’interesse del cittadino di altro Stato a conseguire la cittadinanza italiana è inevitabilmente recessivo, e sottoposto a severa verifica istruttoria, affidata non solo alle autorità locali di pubblica sicurezza (il prefetto e il questore, i quali nella fattispecie, come prospettato dall’appellante, non hanno evidenziato criticità), ma anche agli organismi specificamente preposti ai servizi di sicurezza dello Stato, che invece nella presente fattispecie hanno evidenziato - con modalità compatibili con la riservatezza (pure consentita perché dovuta a esigenze di sicurezza nazionale: si pensi alla tutela delle fonti di informazione) e dunque non soggette ai pieni canoni di trasparenza che debbono caratterizzare l’attività amministrativa ordinaria - possibili criticità.

Sicché lo stesso obbligo di motivazione del diniego si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi coinvolti (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102).

In proposito, come più volte indicato dalla giustizia amministrativa (v. per tutte la pronuncia testé citata), in un diniego quale quello qui in argomento non sono negati diritti fondamentali della persona garantiti a livello costituzionale, comunitario o internazionale, bensì un beneficio la cui concessione è subordinata ad una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale e informata a principi di cautela, nell’interesse nazionale. E peraltro, trattasi di valutazione rebus sic stantibus , in quanto non sarebbe preclusa, al richiedente insoddisfatto, la riproposizione dell’istanza, alla luce di eventuali successivi ed ulteriori elementi (in tesi) “favorevoli” alla sua posizione.

Rispetto a queste valutazioni la posizione soggettiva del richiedente ha consistenza di affievolito interesse legittimo, atteso che l’attribuzione del nuovo status di cittadino italiano comporta l’inserimento dello straniero, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale e l’acquisizione a pieno titolo, da parte del richiedente, dei diritti e dei doveri che competono ai cittadini.

È bene ricordare in proposito che anche la Costituzione distingue talora fra i diritti del cittadino e i diritti generalmente riconosciti a chiunque: si confrontino ad esempio gli artt. 16, 17 e 18 con gli artt. 15 e 19 della Carta costituzionale.

Alla luce di questi principi giuridici dello specifico settore tutti i diffusi rilievi d’appello non mostrano, al di là dell’accuratezza terminologica e lessicale, gravi vizi logico-valutativi (gli unici censurabili in un contesto di grande discrezionalità quale quello in esame) né del contestato diniego di cittadinanza né della sentenza appellata.

Né altresì – considerate le indicate caratteristiche di delicatezza e riservatezza dell’istruttoria in tema di concessione della cittadinanza e della suddetta cautela alla base delle relative statuizioni – è dato di ravvisare nella più volte citata nota ministeriale del 10 ottobre 2012 (e ancor più nelle fonti informative che ne sono alla base), la “ falsità e le imprecisioni inverosimili ” affermate in appello.

Dalla nota ministeriale emerge piuttosto l’apporto di elementi di valutazione dai quali – anche a volerne considerare soltanto quelli non negati expressis verbis dall’appellante – risulta un’applicazione dei criteri, anche di cautela, sopra esposti che – tenuto conto della particolare materia – appare priva di palesi vizi logico-valutativi.

2.- L’appello va dunque respinto.

La vicenda suggerisce, come avvenuto in primo grado, la compensazione delle spese.

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