Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-03-08, n. 201701088

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-03-08, n. 201701088
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701088
Data del deposito : 8 marzo 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/03/2017

N. 01088/2017REG.PROV.COLL.

N. 09917/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9917 del 2016, proposto da:
D S, E S, A S, rappresentati e difesi dall'avvocato M V S C.F. SNTMCV62M03H501J, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, 52;

contro

V R, rappresentato e difeso dagli avvocati G B C.F. BFLGNN67P29A345Q, F B C.F. BFLFNC64R03A345Q, con domicilio eletto presso G B in Roma, via Conca D'Oro, 300;

nei confronti di

Comune di Ovindoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Evelina Torrelli C.F. TRRVLN61H58C426G, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 04831/2016, resa tra le parti, concernente esecuzione sentenza n.288/2009 del tar Abruzzo, sezione i, confermata dalla sentenza n. 4482/2012 del consiglio di stato - permesso di costruire


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di V R e di Comune di Ovindoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Santonocito, Bafile Giovanni e Torrelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Nel 1993, attraverso un atto di asservimento, la volumetria di due lotti finitimi nel centro di Ovindoli venne resa unitariamente disponibile.

Nel tempo, sulla base dell’asservimento, il comune rilasciò due permessi di costruire, ognuno dei quali copriva però tutta la volumetria complessivamente ricavabile dai due lotti.

Cronologicamente, il primo titolo fu rilasciato alla famiglia S, che realizzò una struttura ricettiva;
il secondo titolo alla società Le Serre che edificò un fabbricato.

La signora R, nella qualità di confinante, impugnò il permesso rilasciato alla società, con ricorso accolto in primo grado da una sentenza del TAR L’Aquila ( n. 533/1996) poi confermata in appello ( IV Sez. n. 1278/2003).

Ancorchè l’annullamento giurisdizionale fosse riferibile ad uno solo dei due titoli il comune – vista la tipologia del vizio riscontrato dal TAR – nell’anno 2003 procedette ad annullamento in autotutela del permesso di costruire rilasciato ai S, i quali non hanno impugnato il provvedimento.

Contestualmente il comune rilasciò un nuovo titolo edilizio ( permesso n. 3 del 2003) il quale – in estrema sintesi – assentiva l’intera volumetria già autorizzata dalle due originarie concessioni.

La vicina ha impugnato tale nuovo titolo domandandone l’annullamento con ricorso che il TAR L’Aquila ha accolto con la sentenza n. 288 del 2009, confermata in appello da questa Sezione con sentenza n. 4482 del 2012.

Per l’effetto la ricorrente vittoriosa ha nuovamente adito il TAR, onde ottenere l’esecuzione della sentenza ora citata, con ricorso accolto dal TAR con sentenza 734/2014.

In esecuzione il comune ha ordinato, con determina 3/2014, la demolizione soltanto dell’edificio Le Serre.

La signora R ha nuovamente adito il TAR lamentando l’incompleta ottemperanza da parte del comune.

Con sentenza n. 460 del 2015 il TAR L’Aquila ha accolto il ricorso ed ha nominato un commissario ad acta per procedere all’ulteriore esecuzione anche nei confronti dell’edificio S.

La famiglia S ha impugnato tale sentenza con un appello che la Sezione ha dichiarato temerario ed ha comunque respinto con sentenza 4831 del 2016.

Di tale sentenza i soccombenti hanno domandato la revocazione previa sospensione dell’esecutività col ricorso all’esame, nel quale denunciano – in rescindente – numerosi errori di fatto in cui sarebbe a loro avviso incorso il decidente.

In rescissorio i ricorrenti domandano la riforma della sentenza 460/2015 resa dal TAR in ottemperanza.

Si è costituita in resistenza la signora R, che ha prospettato l’inammissibilità del gravame.

Si è costituito il comune di Ovindoli, il quale invece insta per l’accoglimento del ricorso.

Alla camera di consiglio del 2 marzo 2017, fissata per l’incidente cautelare, il Collegio ha avvisato le Parti circa la possibilità di definizione della controversia in forma semplificata ed ha trattenuto la causa in decisione.

Il ricorso in revocazione è inammissibile.

Come chiarito da consolidata giurisprudenza ( cfr. fra le recenti V Sez. n. 56 del 2017). nel processo amministrativo l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso e inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa;
l'errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche;
pertanto, mentre l'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, cosìcchè rientrano nella nozione dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo;
non ricorre, invece, nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall'ordinamento.

Ciò premesso, i ripetuti errori di fatto che i ricorrenti addebitano a quel decidente consistono in primo luogo – e nella sostanza – nel non aver percepito che l’annullamento in sede giurisdizionale aveva originariamente colpito solo il titolo rilasciato dal comune di Ovindoli alla società Le Serre, e non anche il titolo dei S;
in secondo luogo nel non aver percepito che nel caso di specie ( di duplice sfruttamento della volumetria conglobata dei lotti asserviti) il titolo S, in quanto rilasciato per primo, era perfettamente legittimo.

Per il profilo ora da ultimo accennato ( salvezza del primo titolo) è evidente trattarsi di una questione di diritto che comunque non potrebbe venire in rilievo nell’ambito del giudizio revocatorio.

E analogamente deve dirsi per altri rilievi formulati dai ricorrenti in ordine alle ragioni della mancata impugnazione da parte loro del provvedimento di autotutela con il quale il comune annullò anche la loro concessione, dopo l’annullamento in s.g. della concessione Le Serre.

Ciò premesso, e venendo alle questioni nodali, ad avviso di questo Collegio gli errori fattuali che i ricorrenti denunciano sono in realtà insussistenti.

Da una serena e piana lettura dei punti 9.1.3. e 9.1.4. della sentenza revocanda si evince chiaramente una obiettiva e fedele ricostruzione della realtà processuale e amministrativa dipanatasi nel tempo.

Detto questo in estrema sintesi, è però dirimente – e pregiudiziale – osservare che i motivi di revocazione in disamina sono radicalmente inammissibili “ a monte” in quanto gli abbagli in cui quel giudicante sarebbe incorso non hanno alcun carattere decisivo, in quanto estranei alla vera ratio decidendi.

Come più volte ripetuto, nel 2003 con atto non impugnato il comune ha annullato la concessione S, dopo che il TAR aveva annullato la concessione Le Serre.

Da quel momento le vicende precedenti diventano – sotto il profilo giuridico – non più rilevanti e il nuovo giudizio di cognizione conclusosi con la sentenza 288/1999 confermata in appello investe il nuovo e unitario permesso 3/2003 rilasciato dal comune alle due parti beneficiarie.

Ed infatti la sentenza di cui qui si chiede la revocazione è stata emessa appunto nel giudizio di ottemperanza conseguito a quella sentenza di merito del TAR.

Dal momento che la sentenza revocanda ben scolpisce questo dinamico dipanarsi della complessa vicenda è evidente, di conseguenza, che gli errori di fatto ad essa addebitati ( quando anche sussistenti, in via di mera ipotesi) non potrebbero mai inficiare la ragione fondante della decisione.

In termini piani, la concessione S è stata annullata dal comune e sostituita dal nuovo permesso: e sono le vicende di questo nuovo permesso a rilevare unicamente in sede di ottemperanza.

La omessa impugnazione da parte dei S dell’atto con il quale il comune, in autotutela, ha annullato il titolo originariamente rilasciato in loro favore introduce – in sostanza- una netta cesura nella vicenda, determinando l’assoluta irrilevanza giuridica delle vicende ( processuali e procedimentali) anteriori.

Ed infatti la vicenda esecutiva in esame riguarda l’ottemperanza alla sentenza TAR n. 288 del 2009 ( confermata in appello da questa Sezione con sentenza n. 4482 del 2012) la quale decretò appunto l’annullamento del nuovo permesso n. 3/2003.


Così stando le cose, è evidente che gli appellanti, reputando profondamente ingiusto nei loro confronti l’esito di una vicenda processuale che nella prima e originaria fase non li aveva coinvolti direttamente, cercano in realtà di innescare un terzo grado di giudizio amministrativo sulla ottemperanza alle sentenze di cognizione che hanno deciso la seconda fase: terzo grado di giudizio che però è precluso dalle regole del rito ed è estraneo all’assetto dell’ordinamento.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo a separato carico dei ricorrenti e del comune che ne ha sostenuto le ragioni.


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