Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-07-28, n. 201503711
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N. 03711/2015REG.PROV.COLL.
N. 00804/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 804 del 2015, proposto dalle s.r.l. Ma&D Power Engineering e Futuris Aquilana, rispettivamente in persona del legale rappresentante
pro tempore
e del consigliere delegato dott. A M,
rappresentate e difese dagli avvocati A T e F L, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via del Viminale 43;
contro
Comitato Civico La Terra dei figli, in persona del presidente
pro tempore
, E C, E A, M D S, V S, S N, A Ccciolone e G C, rappresentati e difesi dagli avvocati Adriano Rossi e Francesco Camerini, con domicilio eletto presso Francesco Camerini in Roma, viale delle Milizie 1;
Associazione pro-loco di Onna, in persona del presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Pierluigi Pezzopane, con domicilio eletto presso Michele Lioi, in Roma, piazza della Libertà 20;
eredi di V M;
nei confronti di
Regione Abruzzo, Autorità dei bacini di rilievo regionale dell’Abruzzo e del bacino interregionale del Fiume Sangro, Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;
Comune dell’Aquila, Agenzia Regionale per la tutela dell’ambiente, Provincia dell’Aquila, Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale dell’Aquila e Azienda regionale attività produttive;
per la riforma
delle sentenze del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA, SEZIONE I, nn. 316/2013 e 793/2014, rese tra le parti, concernenti un provvedimento di autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di un impianto di energia elettrica alimentato da biomasse ed atti consequenziali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comitato Civico La Terra dei figli, E C, E A, M D S, V S, S N, A Ccciolone e G C, della Regione Abruzzo, dell’Autorità dei bacini di rilievo regionale dell’Abruzzo e del Bacino interregionale del Fiume Sangro, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Interno;
Visto l’atto di intervento dell’Associazione pro-loco di Onna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati A T, Francesco Camerini, Pierluigi Pezzopane e l'avvocato dello Stato Angelo Venturini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Alcuni cittadini residenti ed associazioni aventi sede in L’Aquila impugnavano collettivamente davanti al TAR Abruzzo – sede dell’Aquila l’autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”) rilasciata dalla Regione Abruzzo, con determinazione n. 109 del 30 agosto 2010, alla Ma&D Power Engineering s.r.l., per la realizzazione in località Bazzano del capoluogo regionale di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biomasse vegetali solide (legno vergine). Con successivi motivi aggiunti venivano formulate ulteriori censure nei confronti del provvedimento autorizzativo ed impugnate la proroga dei lavori di realizzazione dell’impianto e la voltura dell’autorizzazione alla Futuris Aquilana s.r.l. (determinazioni regionali in data 8 settembre e 30 agosto 2011).
2. Con sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013 il TAR adito dichiarava il difetto di legittimazione attiva di alcuni ricorrenti, affermandola invece per altri. Quindi, definendo il merito, con sentenza n. 793 del 12 novembre 2014 il giudice di primo grado accoglieva l’impugnativa, giudicando illegittimi gli atti impugnati sotto i seguenti profili:
- per la previsione nel progetto autorizzato di un locale interrato (collocato a 5 metri al di sotto del piano di campagna), destinato allo stoccaggio delle biomasse, contrastante con il divieto di realizzazione di piani interrati, previsto dal vigente piano regionale stralcio per la difesa dalle alluvioni (approvato con delibera del consiglio regionale n. 94/5 del 29 gennaio 2008), per zone caratterizzate da rischio idrogeologico (rischio moderato), quale quella in cui è prevista la realizzazione dell’impianto;
- perché la Regione aveva prorogato di un anno l’autorizzazione per l’inizio dei lavori, benché la società istante Ma&D Power Engineering fosse già incorsa in una causa di decadenza, consistente nel non avere provato di avere la disponibilità delle aree destinate ad ospitare l’impianto.
3. La Ma&D Power Engineering e la Futuris Aquilana s.r.l. hanno proposto appello, nel quale reiterano l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di tutti i ricorrenti e contestano nel merito l’accoglimento dell’impugnativa di costoro.
4. Si sono costituiti in resistenza i ricorrenti in primo grado di cui il TAR ha riconosciuto la legittimazione ad agire, con memoria contenente la riproposizione ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. dei motivi di ricorso ed aggiunti non esaminati, oltre che numerose eccezioni preliminari.
5. E’ intervenuta nel sostenere le ragioni degli appellati l’associazione pro loco di Onna, già interveniente ad adiuvandum in primo grado.
6. Ha invece aderito all’appello la Regione Abruzzo, salvo poi annullare in autotutela l’autorizzazione impugnata nel presente giudizio (determinazione del 28 maggio 2015, n. 172).
7. Si sono costituite anche le altre amministrazioni indicate in epigrafe.
DIRITTO
1. Nessuna delle eccezioni preliminari formulate dagli originari ricorrenti è fondata.
2. Non lo sono innanzitutto quelle volte a dedurre l’inammissibilità dell’appello per nullità della notificazione sotto vari profili e per contraddittorio non integro, a causa della mancata evocazione in giudizio di uno di loro, il sig. V M, deceduto nelle more del giudizio di primo grado.
3. Deve premettersi in linea generale che gli asseriti vizi del procedimento notificatorio - mediante invio di piego postale a cura del difensore delle appellanti ai sensi della legge n. 53/1994 (“Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali”) - quand’anche si siano in effetti tradotti in una o più delle ipotesi di nullità prospettate, devono in ogni caso ritenersi sanati per effetto del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, cod. proc. civ., in seguito alla costituzione nel presente giudizio della parte collettiva che le medesime nullità ha fatto valere (sul punto, la Cassazione ha infatti affermato che la sanatoria consegue alla rituale costituzione in caso di qualsiasi difformità rispetto alle forme previste dalla l. n. 53/1994;Sez. II, 10 marzo 2011, n. 5743).
4. In contrario non vale obiettare, come fanno i medesimi ricorrenti, che uno di loro, il sig. V M, è deceduto nelle more del giudizio di primo grado.
Infatti, non essendo tale evento stato dichiarato dal procuratore della parte ai fini dell’interruzione del processo, è conseguentemente applicabile il principio di recente affermato dalla Cassazione secondo cui, in caso di evento interruttivo non dichiarato, la notificazione dell’appello è validamente effettuata presso il procuratore costituito per le parti che hanno costituito il litisconsorzio di tipo processuale del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 330, comma 1, cod. proc. civ., in virtù della conseguente ultrattività del mandato difensivo nel giudizio d’appello (sentenza 4 luglio 2014, n. 15295;pronuncia in ragione della quale gli stessi originari ricorrenti hanno rinunciato, in memoria di replica, all’eccezione di inammissibilità per difettosa instaurazione del contraddittorio nel presente giudizio).
I principi affermati dalla sentenza ora richiamata sono pienamente estensibili al processo amministrativo. Ciò sia in virtù del rinvio “esterno” specificamente previsto per le notificazioni all’art. 39, comma 2, cod. proc. amm., sia in ragione della norma riproduttiva di quella del codice di procedura civile poc’anzi citata, concernente il luogo di notificazione dell’appello davanti al Consiglio di Stato, contenuta nell’art. 93, comma 1, del medesimo codice del processo di cui al d.lgs. n. 104/2010.
Peraltro, nessuna inammissibilità avrebbe mai potuto essere pronunciata, alla luce del disposto dell’art. 95, comma 3, cod. proc. amm., il quale prevede che il giudice ordini l’integrazione del contraddittorio nel caso in cui la sentenza « non è stata impugnata nei confronti di tutte le parti ». Ordine tuttavia superfluo nel caso di specie, essendo stati citati in riassunzione anche gli eredi del defunto.
5. Deve peraltro escludersi, in apice, che le nullità della notifica dedotte si siano verificate.
Palesemente infondato è innanzitutto il rilievo di tale vizio a causa del mancato deposito di copia dell’appello presso la segreteria del giudice a quo, e cioè del TAR Abruzzo – sede dell’Aquila, in spregio a quanto previsto dagli artt. 9 e 11 della citata legge.
Come infatti controdedotto dalle società appellanti, tale formalità, comunque non necessaria al fine di rendere conoscibile l’impugnazione ai relativi destinatari, è strumentale ad adempimenti di cancelleria necessari ad impedire l’esecutività del decreto ingiuntivo (cfr. in particolare il comma 1 del citato art. 9), ed è dunque specifico del solo processo civile.
Inoltre, contrariamente a quanto asseriscono gli originari ricorrenti, la comminatoria di nullità contenuta nell’art. 11, relativa tra l’altro all’ipotesi in cui « non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti », deve essere riferita, in base ai principi generali in materia di notificazioni di atti processuali, alle sole forme necessarie al raggiungimento dello scopo tipico di queste, consistenti appunto nel rendere conoscibile l’atto al relativo destinatario. A conforto di tale notazione è il caso di evidenziare che l’art. 3, comma 3, della legge n. 53/1994 statuisce che « Per il perfezionamento della notificazione e per tutto quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, per quanto possibile, gli articoli 4 e seguenti della legge 20 novembre 1982, n. 890 », vale a dire della legge contenente le norme generali sulla notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari.
Ed in questa linea interpretativa si colloca la Cassazione (Sez. I, 25 febbraio 2011, n. 4704), la quale ha affermato che il mancato adempimento previsto dall’art. 9 l. n. 53/1994 non produce la nullità della notifica, ai sensi del successivo art. 11 della legge n. 53/1994. Infatti, sebbene questa norma correli tale sanzione, secondo le regole generali, non solo alla mancanza dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge ed all’incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica, ma anche alla inosservanza delle disposizioni contenute nella legge, la Suprema corte ha nondimeno precisato che questa « espressione ellittica va riferita a quegli scarti dal modello legale, verificatisi nel procedimento di notifica, che abbiano inciso sul suo regolare perfezionamento e non anche all'omissione di un adempimento che si colloca, teleologicamente e temporalmente, su di un piano distinto ed ulteriore ».
6. Insussistente è anche la nullità della notifica a causa del mancato deposito della delibera del competente consiglio forense con cui il procuratore delle due società appellanti è stato autorizzato ai sensi dell’art. 1 della citata l. n. 53/1994 ad effettuare le notifiche in proprio, prospettata dagli originari ricorrenti in memoria di replica.
Prescindendo da ogni considerazione circa la conformità ai doveri di lealtà processuale del comportamento della difesa degli originari ricorrenti, che dopo avere dedotto l’assenza di prova di un requisito di legittimazione necessario alla notifica solo nell’ultimo scritto difensivo si sono quindi opposti all’istanza di controparte di produzione del provvedimento autorizzativo nella prima sede processuale immediatamente successiva, e cioè all’udienza di discussione, la medesima parte eccipiente non ha comunque specificato quale sarebbe la norma contenente la comminatoria per tale adempimento. L’eccezione è dunque innanzitutto formulata in modo generico.
7. Devono poi ritenersi ampiamente condivisibili le considerazioni formulate dal difensore delle società appellanti, secondo cui comunque nessuna norma richiede a pena di nullità che ogniqualvolta sia effettuata una notifica ai sensi della più volte citata l. n. 53/1994 debba anche essere prodotta la necessaria autorizzazione, essendo per contro sufficiente che di quest’ultima si faccia menzione nella relazione di notificazione del provvedimento autorizzatorio (un simile obbligo è per la verità testualmente previsto dall’art. 3- bis per il caso di notificazione con modalità telematica).
Ed infatti, come statuito dalla Cassazione, la nullità discende dalla effettiva mancanza dell’autorizzazione ad effettuare le notifiche in proprio (Sez. un., 1 dicembre 2000, n. 1242;conforme: Sez. III, 4 aprile 2001, n. 4986;Sez. trib., 5 agosto 2004, n. 15081), ma non già dall’omessa produzione in giudizio del provvedimento. E’ in particolare la carenza effettiva del provvedimento ex artt. 1 e 7 l. n. 53/1994 a determinare l’incapacità dell’avvocato di avvalersi della facoltà di notifica in proprio consentita dalla legge in esame, ma non certo la mancata documentazione di tale capacità.
Ebbene, questa carenza non è stata minimamente contestata dagli odierni appellati, ragione per la quale, unitamente alla piena sanatoria comunque intervenuta, il Collegio ha ritenuto di non consentire il deposito del provvedimento autorizzativo del competente ordine forense all’udienza di discussione.
8. Deve quindi essere respinta anche l’eccezione di improcedibilità dell’appello, formulata dai medesimi originari ricorrenti in conseguenza del sopravvenuto annullamento in autotutela dell’autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 originariamente rilasciata a favore della MA&D Power Engeneering, in virtù della citata determinazione regionale del 28 maggio 2015, n. 172, emessa nelle more del presente giudizio.
In primo luogo, il difensore delle società ha riferito in sede di discussione di avere depositato davanti al TAR dell’Aquila il ricorso contro quest’ultimo atto, nei confronti del quale, in ogni caso, alla data del 9 luglio 2015, in cui si è tenuta l’udienza, il termine per impugnare non era comunque spirato.
9. Ciò precisato, è incontestabile che le due società vantino tuttora l’interesse al presente appello, poiché attualmente pregiudicate non solo dall’atto sopravvenuto, ma anche dall’annullamento dell’autorizzazione pronunciato in primo grado dal TAR con la sentenza definitiva n. 793 del 12 novembre 2014, qui appellata. Solo la rimozione di entrambe le statuizioni consentirebbe infatti il riespandersi dell’efficacia dell’originaria autorizzazione e dunque la riacquisizione delle utilità da essa discendente.
10. Non sussistono nemmeno i presupposti per sospendere il presente giudizio in attesa della definizione di quello relativo all’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione, in applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ., come parimenti domandato dai medesimi ricorrenti in primo grado.
In primo luogo, non è configurabile alcun obbligo di sospensione ai sensi della citata disposizione del codice di procedura civile, dal momento che la stessa non è applicabile a giudizi pendenti in diverso grado (come affermato da questa Sezione nella sentenza 16 febbraio 2015, n. 806;del resto in linea con la giurisprudenza di legittimità: Cass., Sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027;sul carattere obbligatorio della sospensione solo in caso di pregiudizialità ai sensi della citata disposizione, cfr. la pronuncia di questa Sezione del 29 aprile 2015, n. 2170) .
Ma in radice non è configurabile alcuna pregiudizialità in senso tecnico. Come infatti poc’anzi accennato, sia la pronuncia giurisdizionale del TAR che l’atto sopravvenuto sono sinergicamente convergenti nel senso di ledere gli interessi delle odierne appellanti, mentre l’ipotetico accertamento dell’illegittimità di quest’ultimo non esplicherebbe alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio, lasciando comunque immutato l’effetto pregiudizievole della prima.
Solo l’opposto (ed altrettanto eventuale) esito del separato giudizio, e cioè il definitivo rigetto dell’impugnativa contro l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione comporterebbe l’improcedibilità del presente appello. Ciò tuttavia per il definitivo consolidarsi di un provvedimento sfavorevole alle due società odierne appellanti, ma non già per l’effetto vincolante che l’annullamento dell’atto di autotutela esplicherebbe nel presente giudizio. Non può del resto concepirsi una pregiudizialità secundum eventum litis .
11. Sempre in via preliminare, gli originari ricorrenti eccepiscono l’inammissibilità dell’appello nei confronti della sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013, perché la riserva d’appello nei confronti di questa pronuncia, ai sensi dell’art. 103 cod. proc. amm., è stata effettuata dalla Ma&D Power Engineering, il cui interesse al ricorso sarebbe tuttavia venuto meno in seguito al subentro dell’autorizzazione in favore della Futuris Aquilana (con determinazione in data 8 settembre 2011), mentre quest’ultima non ha formulato analoga riserva.
Entrambe sono in realtà pienamente interessate al presente giudizio: la prima quale parte originaria e dallo stesso non estromessa e la seconda in virtù della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 cod. proc. amm.. Nelle descritte qualità le due società sono quindi soggette al giudicato sostanziale derivante dalla pronuncia definitiva sulla presente impugnativa ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. (il quale giudicato fa stato tra gli aventi causa delle parti originarie), sicché gli effetti degli atti di impulso della prima si cristallizzano nel processo se ritualmente svolti e in ragione di ciò giovano all’altra.
12. Può dunque passarsi al merito dell’appello.
Infondato è innanzitutto il motivo diretto a contestare la legittimazione ad agire degli originari ricorrenti.
Deve al riguardo puntualizzarsi, diversamente da quanto si sostiene nella censura in esame, che la presente impugnativa è riconducibile al novero di quelle di carattere ambientale, perché rivolta contro un’autorizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili, ai sensi del citato art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
Per contro, anche ai fini della domanda subordinata contenuta nella medesima censura, volta ad escludere la legittimazione solo di alcuni dei ricorrenti in primo grado, si formulano rilievi in ordine alla prevalenza degli aspetti di carattere urbanistico – edilizio. Tuttavia, un simile approccio non può essere condiviso, stante l’ormai pacifica compenetrazione delle problematiche di carattere ambientale in quelle urbanistiche (si vedano al riguardo le recenti pronunce della IV Sezione di questo Consiglio di Stato, 9 gennaio 2014 n. 36 e 19 febbraio 2015, n. 839), in ragione della quale deve affermarsi anche il reciproco, e cioè che laddove venga impugnata un’autorizzazione di natura ambientale le questioni di carattere urbanistico ed edilizio dedotte a fondamento di censure di legittimità non mutano la consistenza degli interessi azionati in giudizio.
13. Alla luce di quest’ultima notazione, è applicabile la giurisprudenza di questa Sezione che interpreta in senso estensivo il concetto di vicinitas , ritenendo che la dimostrazione della legittimazione attiva dei soggetti che si trovano esposti ad un impianto avente potenziali riflessi negativi sull’ambiente non possa essere subordinata alla prova puntuale della concreta pericolosità dello stesso, dovendo al contrario ritenersi sufficiente una prospettazione della diffusività delle emissioni e delle conseguenti ripercussioni sul territorio comunale e nelle immediate vicinanze di questo (sentenze 23 marzo 2015, n. 1564, 18 aprile 2012 n. 2234, citata dal TAR nella sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013, e 16 settembre 2011, n. 5193;in termini non dissimili: Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4775). Prevalgono a questo riguardo preoccupazioni consistenti nei rischi di vanificare la tutela giurisdizionale, con violazione dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 24 e 113 Cost., laddove si addossasse ai ricorrenti un onere probatorio particolarmente eccessivo ed irragionevole.
Deve poi evidenziarsi che, quale condizione dell’azione, la legittimazione ad agire si fonda su una ragionevole prospettazione della lesione potenziale, senza che in questa fase possa esigersi una dimostrazione concreta dei danni, peraltro futuri, con il risultato di addossare alla parte ricorrente una prova diabolica.
14. Ciò precisato, la legittimazione ad agire, con l’impugnativa che ha dato origine al presente giudizio, deve essere affermata nei confronti di tutti i ricorrenti di primo grado, poiché residenti nelle immediate vicinanze dell’impianto, ed in particolare in un raggio di circa 1 chilometro, benché in frazioni diverse da quella di Bazzano (in particolare Monticchio e Onna), vale a dire in un ambito territoriale la cui potenziale esposizione alle emissioni atmosferiche dell’impianto contestato non può essere esclusa.
Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo alla legittimazione ad agire del Comitato civico La Terra dei figli, che le due società odierne appellanti pretendono di negare solo perché non esponenziale di soggetti residenti in frazione Bazzano, e che, per contro, del tutto correttamente il TAR ha riconosciuto (nella sentenza non definitiva n. 316 del 28 marzo 2013) sulla base dell’ampio concetto di vicinitas enucleato dalla giurisprudenza amministrativa in materia ambientale, con statuizione non ulteriormente censurata nella presente impugnazione.
15. Può passarsi al secondo motivo, concernente la conformità dell’impianto con il piano stralcio per la difesa dalle alluvioni (di cui alla citata delibera del consiglio regionale n. 94/5 del 29 gennaio 2008), ed in particolare con il divieto contenuto nell’art. 21, comma 1, lett. b), delle relative norme tecniche di attuazione, secondo cui « non è consentita la realizzazione di piani seminterrati e interrati », applicabile ai sensi del successivo art. 22, comma 2, alle aree tipizzate a pericolosità idraulica moderata (P1), quale quella in cui l’impianto in contestazione dovrebbe sorgere.
Il TAR ha ricondotto a tale ipotesi astratta il vano destinato allo stoccaggio delle biomasse.
16. Le critiche formulate nei confronti di questa statuizione dalle società appellanti sono tuttavia fondate.
In particolare, esse sono confortate sul piano probatorio dalla relazione tecnica depositata nel giudizio di primo grado (doc. n. 9), contenente in particolare una sezione prospettica longitudinale (tavola 21), dalla quale emerge in modo chiaro che non si tratta di un piano ma di un volume posto al di sotto del piano di campagna, fino ad una quota di – 5 metri, facente parte della complessiva struttura impiantistica (per il resto fuori terra). Dal documento in esame si trae in particolare la conferma che il vano contestato consiste in una fossa non accessibile al personale, in cui la biomassa viene scaricata dagli automezzi dall’apposita apertura « completamente chiudibile mediante due portoni ad avvolgimento rapido » (così ancora nella relazione tecnica), al di sopra della quale si colloca, sopra il piano di campagna, un carroponte elettromagnetico con benna necessario all’estrazione del materiale, sormontato dal relativo involucro.
17. Sulla base di ciò risultano smentiti i rilievi del TAR, secondo cui una simile struttura metterebbe a repentaglio le finalità perseguite dal piano regionale di difesa dalle alluvioni, a causa del « probabile trascinamento incontrollato e devastante di tonnellate di materiale, veicolato in superficie dalla furia dell’acqua ». L’apocalittico scenario descritto è in realtà privo di adeguato supporto probatorio e puntualmente smentito dalle deduzioni delle odierne appellanti, le quali hanno anche sottolineato, in più punti delle proprie difese, che la biomassa consiste in cippato e cioè in legno ridotto in scaglie di modeste dimensioni.
Del pari smentito è il pericolo per l’incolumità delle persone, avendo le medesime società debitamente rappresentato, attraverso la relazione tecnica e la tavola prospettica sopra esaminate, che il vano in questione non è accessibile al personale addetto all’impianto. La deduzione non è inoltre contestata dalle parti avversarie.
18. Con riguardo al capo della sentenza in esame deve quindi precisarsi che l’accoglimento del motivo di impugnativa (quinto aggiunto) si fonda esclusivamente sulla previsione di un piano interrato nell’impianto progettato. Pertanto, è infondata l’eccezione di inammissibilità del motivo d’appello svolto contro tale statuizione, formulata dagli originari ricorrenti nella loro memoria costitutiva, sull’assunto che sarebbe invece stata omessa da controparte ogni critica rispetto all’altra parte del motivo accolto dal TAR, e cioè quella in cui avevano dedotto che l’impianto di teleriscaldamento a servizio dell’impianto di produzione energetica è sito in gran parte in zona tipizzata a pericolosità idrogeologica elevata (P3), con conseguente necessità di acquisire in conferenza di servizi il parere della competente autorità di bacino.
Un simile onere di critica specifica postula, ai sensi dell’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. (come chiarito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza 3 giugno 2011, n. 10), una motivazione da sottoporre a censura mediante appello;ciò che non è configurabile nel caso di specie, non avendo il TAR minimamente dato conto della censura ora riportata.
19. Fondato è anche il terzo motivo d’appello, diretto a censurare la sentenza n. 793 del 12 novembre 2014 nella parte in cui il giudice di primo grado ha escluso il presupposto dell’acquisizione della disponibilità delle aree su cui l’impianto deve essere realizzato entro l’anno dal rilascio dell’autorizzazione, e cioè entro il 30 agosto 2011, necessario ai fini della relativa proroga (ai sensi degli artt. 15, comma 1, d.lgs. n. 79/1999 “Attuazione della direttiva 96/62/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, come modificato dall’art. 1, comma 75, l. n. 239/2004 “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”, e 2, comma 159, l. n. 244/2007 finanziaria per il 2008).
Secondo il TAR la prova in questione presupponeva necessariamente la registrazione a fini fiscali dei contratti preliminari di acquisto dei terreni, in conformità a quanto previsto dall’art. 18 t.u. sull’imposta di registro (d.p.r. n. 131/1986);adempimento tardivamente effettuato, nel caso di specie, nel successivo mese di settembre 2011.
20. Il principio affermato dal giudice di primo grado non è tuttavia conforme all’orientamento della Cassazione, secondo la quale la data certa di una scrittura privata può essere ricavata da qualsiasi altra prova idonea (da ultimo: Sez. III, 3 agosto 2012, n. 13943;in termini: Sez. I, 22 ottobre 2009, n. 22430). Ebbene, nel caso di specie questa idoneità probatoria è certamente ravvisabile nella documentazione bancaria comprovante i pagamenti in favore dei promittenti venditori e nelle quietanze di versamento dell’imposta di registro (mod. f23), entrambi anteriori al termine del 30 agosto 2011, poiché confermano che le transazioni commerciali sono avvenute alle date indicate nei relativi documenti.
Attraverso le produzioni documentali del giudizio di primo grado le appellanti hanno anche documentato l’ulteriore presupposto necessario alla proroga, su cui peraltro il TAR nulla ha statuito, e cioè l’accettazione del preventivo per l’allacciamento alla rete elettrica nazionale, effettuato dalla MA&D sin dal novembre 2009, avendo quest’ultima in tal modo assunto, in qualità di società (allora) istante, tutti gli obblighi derivanti dal titolo autorizzativo. Obblighi nei quali - per rispondere alle censure degli originari ricorrenti sul punto - la Futuris Aquilana è subentrata in seguito alla voltura dell’autorizzazione a proprio favore disposta dalla Regione.
21. Devono a questo punto essere esaminati i motivi di ricorso, riproposti ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. dagli originari ricorrenti, nessuno dei quali è fondato per i seguenti rilievi:
- (primo e secondo motivo di ricorso) l’area su cui l’impianto deve essere realizzato è tipizzata come industriale, cosicché la disponibilità della stessa non è condizione per il rilascio del titolo ai sensi dell’art. 12, comma 4- bis , d.lgs. n. 387/2003, la quale è invece applicabile ai soli terreni agricoli (in virtù della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 65, comma 5, d.l. n. 1/2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, conv. con l. n. 27/2012);
- in particolare, in contrario a quanto viene dedotto dagli originari ricorrenti, il carattere interpretativo della disposizione da ultimo menzionata si evince in modo chiaro dalla relativa formulazione (« Il comma 4-bis dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, introdotto dall'articolo 27, comma 42, della legge 23 luglio 2009, n. 99, deve intendersi riferito esclusivamente alla realizzazione di impianti alimentati a biomasse situati in aree classificate come zone agricole dagli strumenti urbanistici comunali »), donde la relativa applicabilità in via retroattiva a fattispecie antecedenti alla sua entrata in vigore;
- (terzo e quarto motivo) in sede autorizzativa non occorreva alcun parere della competente Autorità di bacino in base al sopra citato piano stralcio per la difesa dalle alluvioni (cfr. l’art. 1, comma 6, delle norme tecniche di attuazione) e non è stato violato il divieto assoluto di realizzare nuove costruzioni, perché l’uno e l’altro presupposto di legittimità sono legati all’insistenza dell’opera sulle aree a rischio idraulico elevato (P3), nel caso di specie non sussistente, come incontestabilmente risulta dalle planimetrie allegate al piano depositate dalla MA&D nel giudizio di primo grado (doc. nn. 5 e 6) e dall’attestazione in data 26 settembre 2013 (prot. n. 237201) parimenti prodotta davanti al TAR da quest’ultima società;
- (quinto motivo) l’assunto secondo cui l’impianto ricadrebbe in zona P2, e cioè a rischio idraulico medio, è formulato in modo ipotetico « ove risultasse collocato in zona P2, lo stabilimento del MA&D risulta indebitamente autorizzato in zona a rischio idraulico per difetto delle condizioni che ne avrebbero consentito l’insediamento » (pag. 12 della memoria costitutiva nel presente giudizio), per cui la censura è inammissibile;
- (sesto motivo) non sussiste alcuna deroga ai valori limite delle emissioni inquinanti stabiliti dalla Regione Abruzzo ai sensi dell’art. 272 t.u. ambiente, poiché, come puntualmente controdedotto davanti al TAR dalla MA&D, attraverso le modifiche apportate alla delibera di giunta regionale n. 517 del 27 giugno 2007 con la successiva delibera n. 329 del 29 giugno 2009, i limiti per i nuovi impianti, tra cui quello in contestazione, sono quelli valevoli su base nazionale, e cioè i limiti di cui all’allegato I alla parte V del t.u. ambiente n. 152/2006, e non già quello fisso del 30% di abbattimento rispetto a questi ultimi precedentemente previsto in via generale in ambito regionale;
- (settimo motivo) il piano di approvvigionamento della biomassa non costituisce elemento di valutazione in sede di autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003, perché fuoriesce dalle nozioni di « impianti alimentati da fonti rinnovabili » e di « opere connesse » e « infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti » impiegate nel comma 1 della disposizione in esame;
- (ottavo motivo) sono inammissibili, perché di puro merito, le doglianze volte a sostenere l’insostenibilità del piano di approvvigionamento della biomassa presentato in sede autorizzativa dalla MA&D;
- (nono motivo) i limiti per la sottoposizione a valutazione di impatto ambientale del progetto sono quelli propri della tipologia di impianto (allegato III, alla parte seconda t.u. ambiente), rispetto al cui superamento non vi è alcuna deduzione, e non già quelli per il mutamento di destinazione d’uso di aree naturali protette, come invece ritenuto dai ricorrenti in ragione dei luoghi presso i quali si prevede l’approvvigionamento della biomassa in base al piano predisposto in sede autorizzativa, fermo restando che quest’ultima evenienza è stata puntualmente ed in modo condivisibile smentita già nel corso del giudizio di primo grado, considerato che nel piano medesimo si prevede il ricorso a colture dedicate già esistenti o a residui e materiale di scarto di processi agricoli;
- (decimo motivo) per le medesime ragioni, non vi era la necessità di acquisire in sede di conferenza di servizi il parere degli enti parco competenti ai sensi della legge quadro n. 394/1991;
- (undicesimo motivo) avendo la società originaria istante ottenuto dall’allora Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale dell’Aquila già nel 2009 l’assegnazione delle aree, come documentato nel giudizio di primo grado, lo stesso non era onerato di promuovere le relative espropriazioni e di possedere i requisiti previsti dalla delibera di giunta regionale n. 351 del 12 aprile 2007;
- (primo motivo aggiunto) è palese l’inammissibilità di un motivo di impugnazione di un provvedimento, l’autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003, originariamente rilasciata a favore della MA&D, proposta al fine di chiederne la decadenza per circostanze sopravvenute al provvedimento medesimo ed in esso previste, e cioè l’asserito mancato rispetto del termine di inizio dei lavori;
- (terzo motivo aggiunto: il secondo è consistito nel censurare gli atti sopravvenuti in via derivata rispetto ai vizi precedentemente dedotti) rispetto ai profili accolti dal TAR, in questo motivo si reitera l’assunto che il termine per l’inizio dei lavori previsto dall’autorizzazione non sarebbe stato rispettato, perché la MA&D avrebbe omesso di rendere alla Regione la relativa comunicazione nel termine annuale;la circostanza tuttavia è stata smentita documentalmente nel giudizio di primo grado dalla società, attraverso la produzione della propria comunicazione datata 25 agosto 2011 con timbro di protocollo della Regione del successivo 29 agosto (allegato n. 54);
- (quarto motivo aggiunto) l’assunto della disponibilità delle aree come condizione per il rilascio dell’autorizzazione, ai sensi dell’art. 12, comma 4- bis , d.lgs. n. 387/2003, è smentito dalla citata norma interpretativa di cui all’art. 65, comma 5, d.l. n. 1/2012, come sopra rilevato;
- (sesto motivo aggiunto: il quinto è quello relativo al piano interrato, accolto dal TAR) l’asserita violazione delle norme tecniche del piano regionale paesistico, risalente al 1995, è stata inammissibilmente dedotta solo con il secondo atto di motivi aggiunti anziché nel ricorso introduttivo ed in ogni caso è insussistente, perché l’area interessata dall’impianto progettato non è vincolata;
- (settimo motivo aggiunto) le doglianze rivolte alle ragioni addotte alla base della proroga dei lavori, consistenti nelle difficoltà rappresentate dalla Futuris Aquiliana nella redazione della progettazione esecutiva a causa della situazione post-sismica, non si sostanziano nell’enucleazione di specifici vizi di legittimità, sotto il profilo della violazione di norme di legge o di profili di eccesso di potere, per cui sono inammissibili;
- (ottavo motivo aggiunto) per le medesime ragioni è inammissibile anche l’assunto volto a sostenere l’irrealizzabilità del piano di approvvigionamento dell’impianto a causa di sopravvenute modifiche alla tariffa incentivante in materia di produzione di energia elettrica da fonti alternative.
22. In conseguenza di tutto quanto sopra, in accoglimento del presente appello deve essere riformata la sentenza del TAR Abruzzo – sede dell’Aquila n. 793 del 12 novembre 2014, dovendosi respingere il ricorso con essa accolto. Devono quindi essere respinti anche tutti i motivi del medesimo mezzo e quelli aggiunti riproposti nel presente appello.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza nei rapporti tra le due società odierne appellanti da una parte, i ricorrenti in primo grado e l’associazione intervenuta ad adiuvandum di questi, potendo tuttavia essere compensate nei limiti della metà per la complessità delle questioni controverse. Per la relativa liquidazione si rinvia al dispositivo.
Può infine essere disposta la compensazione integrale delle spese tra le medesime società e le amministrazioni intimate per l’assenza di contrasto tra le une e le altre.