Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-12-29, n. 200909006

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-12-29, n. 200909006
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200909006
Data del deposito : 29 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07672/2008 REG.RIC.

N. 09006/2009 REG.DEC.

N. 07672/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso nr. 7672 del 2008, proposto dal signor L M, rappresentato e difeso dall’avv. F S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F Mo in Roma, via G.B. Martini, 2,

contro

- la REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. M C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G P in Roma, via Ottaviano, 9;
- il COMUNE DI CATANZARO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. A G, con domicilio eletto presso la dott.ssa Anna Bei, studio Rosati, in Roma, via Ovidio, 10;

per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. della Calabria, sede di Catanzaro, sezione Prima, del 25 febbraio 2008, nr. 166, nonché per l’accoglimento di tutte le domande formulate nell’originario ricorso iscritto al nr. 199/2003 R.R. del T.A.R. della Calabria.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni appellate;

Viste le memorie proposte dall’appellante (in data 30 ottobre 2009), dalla Regione Calabria (in data 30 ottobre 2009) e dal Comune di Catanzaro (in data 23 ottobre 2009) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 10 novembre 2009, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Scalzi per l’appellante, l’avv. Pungi, su delega dell’avv. Calogero, per la Regione Calabria e l’avv. Verbaro, su delega dell’avv. Gualtieri, per il Comune di Catanzaro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Il signor L M ha impugnato, chiedendone l’annullamento e la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. della Calabria ha respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti relativi all’approvazione del nuovo P.R.G. del Comune di Catanzaro, nonché avverso gli atti a questi presupposti.

A sostegno dell’appello, ha dedotto:

1) erroneità della sentenza impugnata quanto al vizio di carente motivazione del P.R.G., tenuto conto della posizione giuridica soggettiva consolidata sussistente in capo all’appellante nonché, in ogni caso, del mancato rispetto degli standard urbanistici minimi di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, nr. 1448;

2) erroneità della statuizione di primo grado con riferimento alla solo apparente motivazione spesa dall’Amministrazione per respingere le osservazioni presentate dall’odierno appellante in ordine alla destinazione impressa ai suoi suoli;

3) erroneità della sentenza impugnata con riguardo alla dedotta illegittimità dell’intervento sostitutivo esercitato dalla Regione Calabria, mediante nomina di Commissari ad acta, durante l’ iter formativo del censurato P.R.G.;

4) erroneità della ritenuta legittimità dell’estensione del predetto intervento sostitutivo anche alla fase di controdeduzione alle osservazioni presentate dagli interessati, e non solo all’adozione del P.R.G.;

5) erroneità della statuizione di primo grado riguardo alla dedotta inefficacia della deliberazione di controdeduzione alle osservazioni per inosservanza degli obblighi legali di pubblicità;

6) erroneità della ritenuta inapplicabilità, nel caso di specie, della sopravvenuta disciplina di cui alla legge regionale 16 aprile 2002, nr. 19, in reiezione delle censure al riguardo formulate coi motivi aggiunti;

7) omesso esame delle censure specificamente formulate avverso numerosi atti infraprocedimentali (esame delle osservazioni, mancato rispetto delle linee guida prefissate dal Comune per la redazione del progetto di P.R.G. etc.).

Resistono la Regione Calabria e il Comune di Catanzaro, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata;
l’Amministrazione comunale, inoltre, ha eccepito la parziale inammissibilità dell’appello, nel quale sarebbero contenute doglianze nuove e ulteriori rispetto a quelle articolate nel ricorso di primo grado.

All’udienza del 10 novembre 2009, la causa è stata ritenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Viene all’esame della Sezione il contenzioso promosso dal signor L M, nella qualità di proprietario di suoli siti in territorio del Comune di Catanzaro, avverso gli atti relativi alla definitiva approvazione del P.R.G. del predetto Comune, nel quale il terreno di sua proprietà è stato destinato a zona A2 (riqualificazione tessuto urbano).

Nel corso dell’ iter successivo all’adozione di detto strumento urbanistico, l’odierno appellante aveva presentato osservazioni, non accolte dall’Amministrazione, intese a ottenere l’inclusione del terreno in questione in zona B1, trattandosi a suo dire di area univocamente e obiettivamente idonea alla realizzazione di un parcheggio multipiano.

Giova anche premettere, per miglior comprensione degli argomenti che verranno appresso sviluppati, che all’adozione del P.R.G. ed al successivo iter procedimentale hanno provveduto i Commissari ad acta nominati dalla Regione Calabria nell’esercizio dei propri poteri sostitutivi, a fronte della ritenuta inerzia dell’Amministrazione comunale.

2. Tanto premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

3. Col primo mezzo di gravame, l’appellante lamenta l’erroneità della reiezione delle doglianze sviluppate nel ricorso introduttivo in ordine alla carente motivazione addotta a sostegno della scelta di imprimere al suolo de quo la suindicata destinazione A2.

In particolare, egli assume – richiamando anche giurisprudenza a suo dire conforme – che all’Amministrazione incombeva un onere di puntuale e specifica motivazione in considerazione della “ posizione giuridica soggettiva ormai consolidata ” a lui derivante dalla pregressa inclusione dell’area in sua proprietà nel “ Piano Parcheggi ”;
inoltre, il predetto onere motivazionale discenderebbe dall’evidente violazione degli standard minimi urbanistici di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, nr. 1448.

Tuttavia, tali argomenti non appaiono convincenti.

Ed invero, la Sezione non ravvisa motivo per ritenere inapplicabile al caso di specie il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui le scelte relative alla destinazione urbanistica dei suoli non necessitano, in generale, di specifica e puntuale motivazione, potendo questa ricavarsi dai principi generali di impostazione dello strumento urbanistico (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2009, nr. 1214;
id. 21 giugno 2006, nr. 3400).

In particolare, non appaiono sussistenti i presupposti per il riconoscimento in capo all’odierno appellante di quella situazione di aspettativa qualificata dalla quale solo – sempre a mente dei richiamati pacifici indirizzi giurisprudenziali – può discendere un dovere di più analitica motivazione;
siffatta aspettativa non può derivare, invero, dalla mera diversa destinazione urbanistica pregressa della medesima area (a dire dell’appellante, a suo tempo inserita nel “ Piano Parcheggi ”), rispetto alla quale l’Amministrazione conserva l’ampia discrezionalità che connota tutte le successive scelte urbanistiche (ivi compresa, come correttamente notato dal primo giudice, la possibilità di modifica in peius rispetto agli interessi del proprietario).

Epurata di tale profilo, la doglianza di parte appellante si riduce a una generica contestazione dell’opportunità, piuttosto che della legittimità, della scelta in questione, sulla base di valutazioni del tutto personali e apodittiche in ordine alle esigenze di standard urbanistici della zona ed alla asseritamente oggettiva idoneità della stessa all’edificazione di un parcheggio multipiano: argomenti che però non riescono a dimostrare l’evidente erroneità o illogicità delle determinazioni adottate, e che pertanto lasciano il tempo che trovano a fronte dei richiamati, pacifici principi in subiecta materia.

Né a diverse conclusioni induce l’esame dei precedenti richiamati nell’appello, i quali invero appaiono poco pertinenti: infatti, in uno dei casi richiamati risultava effettivamente dimostrato una grave carenza istruttoria che aveva indotto l’Amministrazione a obliterare le concrete caratteristiche del suolo dell’interessato (cfr. C.g.a.r.s., 8 ottobre 2007, nr. 929), mentre nel secondo caso sussisteva pacificamente una aspettativa qualificata in capo al ricorrente, il quale aveva ottenuto il rilascio di concessione edilizia anteriormente all’adozione della variante urbanistica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 2006, nr. 6134).

Pertanto, i predetti precedenti non appaiono idonei a legittimare una deviazione dai consolidati principi testé richiamati.

4. Infondato è anche il motivo di appello con il quale viene reiterata la censura articolata in primo grado avverso le determinazioni assunte dall’Amministrazione in reiezione delle osservazioni proposte dall’appellante in ordine alla destinazione impressa al proprio terreno.

In particolare, assume l’appellante che la motivazione addotta a sostegno della predetta reiezione sarebbe meramente apparente, riducendosi al semplice richiamo del contenuto prescrittivo delle zone A2, non assisitito dall’indicazione delle specifiche ragioni che osterebbero all’accoglimento dei rilievi svolti nelle osservazioni.

Tuttavia, nel valutare la consistenza della doglianza non può prescindersi dal consolidato principio secondo cui le osservazioni presentate dai cittadini dopo l’adozione del P.R.G. costituiscono meri apporti collaborativi alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione, la quale se è tenuta a esaminarle non può però dirsi obbligata a una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2009, nr. 4756;
id., 18 giugno 2009, nr. 4024;
id., 15 dicembre 2008, nr. 6192).

Tale pacifico orientamento, assieme a quello già richiamato in ordine all’amplissima discrezionalità che connota le scelte urbanistiche e i relativi oneri motivazionali, lascia poco o nessuno spazio per una censura di “ motivazione apparente ” del tipo di quella articolata dall’odierno appellante, dovendo ritenersi legittimo il rigetto delle osservazioni determinato dalla semplice sua incompatibilità con le linee generali dello strumento urbanistico (e quindi, quanto al caso che occupa, con le scelte di fondo compiute in relazione alle aree nelle quali ricadeva il suolo in proprietà del medesimo appellante).

5. Privo di pregio è anche il terzo motivo, col quale parte appellante torna a dedurre l’illegittimità dell’intervento sostitutivo in virtù del quale il procedimento di formazione del P.R.G. per cui è causa, a partire dalla sua adozione, è stato gestito da Commissari ad acta di nomina regionale.

In via generale, l’intervento sostitutivo regionale è previsto dall’art. 8, comma 6, della legge 17 agosto 1942, nr. 1150, secondo il quale, in ipotesi di mancato rispetto dei termini preocedimentali stabiliti dallo stesso articolo, e dopo che un’espressa diffida rivolta al Consiglio Comunale sia rimasta senza esito, “ …il Presidente della giunta regionale, nomina un commissario per la designazione dei progettisti, ovvero per l’adozione del piano regolatore generale o per gli ulteriori adempimenti necessari per la presentazione del piano stesso all’Amministrazione regionale ”.

Quanto alla Regione Calabria, più puntualmente l’art. 3 della legge regionale 8 settembre 1981, nr. 15, dispone che laddove i termini fissati dalla medesima legge per la formazione del P.R.G. “ …vengano superati senza giustificata motivazione, la Regione si sostituirà ai comuni, previa diffida, nominando commissari ad acta ”.

Al riguardo, l’appellante assume che nella specie sarebbe mancato il presupposto dell’inerzia del Comune “ senza giustificata motivazione ”, in quanto il Consiglio Comunale di Catanzaro, sia pure a seguito della diffida regionale, decise espressamente, con la deliberazione nr. 13 del 15 febbraio 2001, di non adottare il piano predisposto dai progettisti precedentemente incaricati dallo stesso Comune, imponendone una completa rielaborazione.

Tuttavia, va innanzi tutto condiviso quanto rilevato dal primo giudice, secondo cui tale restituzione del piano ai progettisti, non accompagnata dalla fissazione di termini per il rinnovo della procedura, si risolveva in un sostanziale rinvio sine die dell’adozione del nuovo strumento urbanistico;
ciò considerato, e tenuto conto che la valutazione della “ giustificata motivazione ” addotta per il mancato rispetto dei termini non può non essere connotata da ampia discrezionalità in capo all’Amministrazione regionale, non appare manifestamente irragionevole la risoluzione di quest’ultima di esercitare i propri poteri sostitutivi nella specie.

In sostanza, la decisione del Comune di “azzerare” l’attività fino a quel momento compiuta, per i tempi e le modalità con cui era intervenuta, comportava il rischio di una vera e propria stasi a tempo indeterminato della pianificazione.

Quest’ultima inoltre, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, costituiva certamente atto dovuto attesa l’intervenuta scadenza del precedente P.R.G. (che risaliva al 1968), ben poco rilevando poi il fatto che si procedesse con una variante generale ovvero – come in fatto avvenuto – mediante adozione di un nuovo P.R.G.

6. Infondato si appalesa anche l’ulteriore motivo di appello con cui, reiterando l’analoga doglianza articolata in primo grado, si assume l’illegittimità del fatto che i Commissari ad acta di nomina regionale non si siano limitati alla sola adozione del P.R.G., ma abbiano poi gestito anche il successivo iter procedimentale, a cominciare dalle controdeduzioni alle osservazioni pervenute in relazione allo strumento adottato.

Ed invero, l’impostazione di parte appellante si fonda sull’evidente presupposto che l’intervento sostitutivo regionale debba intendersi circoscritto all’atto la cui omissione vi ha dato luogo (nel caso di specie, l’adozione del P.R.G.), esaurendosi quindi con esso: tuttavia, tale interpretazione non trova concreti agganci nelle disposizioni statali e regionali più sopra richiamate.

Al contrario, ferma restando l’eccezionalità dell’intervento sostitutivo de quo, deve ritenersi che lo stesso comporti l’incardinarsi del Commissario ad acta quale organo straordinario del Comune, ferma restando la titolarità in capo a quest’ultimo dei poteri esercitati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2005, nr. 3662;
Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, nr. 2520;
Cons. Stato, sez. VI, 16 ottobre 2002, nr. 5647);
di conseguenza, poiché non è possibile che il medesimo potere resti contemporaneamente in titolarità dell’organo sostituito e di quello che lo sostituisce, deve concludersi che la nomina di quest’ultimo impedisca una riesercizio del potere medesimo da parte del primo.

Tale conclusione trova conferma in quell’orientamento giurisprudenziale che, proprio in tema di commissariamento dei poteri comunali di adozione del P.R.G., individua quale unico limite quello dell’impossibilità che la nomina del Commissario ad acta abbia effetto retroattivo, dovendo in ogni caso esser fatti salvi gli atti istruttori già compiuti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2003, nr. 1191).

Infine, deve ritenersi legittimo anche l’esercizio del potere di nomina dei Commissari da parte del dirigente, anziché del Presidente della Giunta, trattandosi di atto di gestione il quale, alla stregua del nuovo assetto funzionale dell’azione amministrativa incentrato sulla separazione di poteri tra organi di indirizzo e organi di gestione, va correttamente ricondotto alla competenza dirigenziale.

7. Va respinto anche l’ulteriore motivo di impugnazione con il quale si lamenta l’erroneità delle statuizioni del primo giudice in ordine alla prospettata violazione dell’art. 2 della legge regionale 16 aprile 2002, nr. 19, con riferimento alla necessità di particolari forme di pubblicità per gli strumenti urbanistici adottati.

Infatti, come meglio sarà appresso chiarito, è condivisibile l’avviso del giudice di primo grado secondo cui la ridetta legge regionale nr. 19 del 2002 non è applicabile alla procedura per cui è causa.

8. Con ulteriore motivo di impugnazione, l’appellante censura proprio la ritenuta inapplicabilità della legge regionale urbanistica nr. 19 del 2002, assumendo – al contrario – che nella specie questa avrebbe dovuto trovare integrale applicazione, con conseguente impossibilità che il P.R.G. in oggetto, ancorché adottato prima dell’entrata in vigore della legge medesima, fosse approvato in base alla previgente normativa.

Al riguardo, appare decisiva la questione dell’interpretazione da dare alle disposizioni transitorie contenute nell’art. 65 della legge innanzi citata: in particolare, per gli strumenti urbanistici adottati in data antecedente all’entrata in vigore della stessa l.r. nr. 19/2002 il comma 3 della norma prevedeva l’ultrattività delle “ norme procedurali di applicazione e di salvaguardia vigenti alla data di adozione ”.

Allo scopo di sostenere che tale disposizione impedisse l’approvazione del P.R.G. di Catanzaro ai sensi della precedente normativa, parte appellante enfatizza la diversità ravvisabile tra la sua formulazione e quella del successivo comma 4 dello stesso art. 65, il quale, con riferimento invece agli strumenti urbanistici adottati dopo l’entrata in vigore della legge ma prima dell’emanazione delle linee guida di cui al comma 5 dell’art. 17, prevede “ l’applicazione delle norme procedurali di approvazione e di salvaguardia di cui alla legge n. 1150/1942 ”: solo in questo secondo caso – si assume – il legislatore regionale avrebbe richiamato le previgenti norme “ di approvazione ” degli strumenti urbanistici, le quali pertanto non sarebbero applicabili alla diversa fattispecie cui è riconducibile il piano per cui è processo.

Sul punto, la Sezione non può non condividere le critiche che entrambe le parti muovono all’infelice formula normativa impiegata nel comma 3 dell’art. 65, non essendo affatto chiaro quali siano le norme “ di applicazione ” cui detta disposizione fa riferimento;
tuttavia, tale improprietà (da ascrivere forse addirittura a un refuso) non può esimere l’interprete dal dovere generale di adottare, fra le varie interpretazioni di una norma, quella per cui la stessa possa avere un significato, preferendola a quelle che invece la svuotino completamente di ogni senso.

Tanto premesso, l’interpretazione di parte appellante (di cui è indubbiamente apprezzabile lo sforzo esegetico di rinvenire norme riconducibili alla categoria delle norme “ di applicazione ”), precludendo l’approvazione dei piani regolatori comunali già adottati in base alla normativa anteriore alla l.r. nr. 19/2002, finisce sostanzialmente per comportare l’integrale caducazione di detti strumenti, per i quali non sarebbe più ipotizzabile alcun ulteriore sviluppo procedimentale: infatti, la nuova normativa regionale non risulta più incentrata sul P.R.G., ma sul Piano strutturale comunale (P.S.C.), per il quale l’art. 27 della l.r. nr. 19/2002 contempla una peculiare procedura di formazione, comprendente anche una Conferenza di pianificazione.

Orbene, se l’obiettivo del legislatore regionale fosse stato semplicemente quello di porre nel nulla gli strumenti urbanistici già adottati, la relativa disposizione transitoria avrebbe dovuto essere di tenore ben diverso, trattandosi di introdurre una sorta di efficacia retroattiva della nuova normativa.

Alla luce di tali rilievi, appare condivisibile la conclusione del primo giudice, il quale ha ritenuto che anche ai sensi del comma 3 dell’art. 65 i piani già adottati fossero fatti salvi, e pertanto che il P.R.G. per cui è causa sia stato legittimamente approvato in base alla disciplina anteriore.

9. Vanno respinti, infine, anche gli articolati motivi d’appello specificamente relativi alle osservazioni presentate dopo l’adozione del P.R.G. de quo.

Al riguardo, il Comune resistente ha eccepito la parziale novità delle censure così formulate, nelle quali sono sviluppati argomenti non contenuti nel ricorso e nei motivi aggiunti di primo grado;
tuttavia, può prescindersi da tale profilo, stante l’evidente infondatezza o inammissibilità delle doglianze in questione.

9.1. Un primo ordine di censure si concentra sulle osservazioni formulate da organi dello stesso Comune dopo l’adozione del P.R.G.: al riguardo, si lamenta l’illegittimità dell’operato dei Commissari ad acta, i quali omisero di pronunciarsi sulle predette osservazioni, rimettendone l’esame all’Amministrazione regionale in sede di approvazione definitiva del piano.

Tuttavia, è lo stesso appellante a riconoscere che i rilievi sollevati da organi comunali ben difficilmente possono essere ricondotti alle “ osservazioni ” di cui all’art. 9 della legge nr. 1150 del 1942, dovendo essere intesi piuttosto come proposte di variante in itinere dello strumento adottato: ed invero, tenuto conto anche della natura di organi comunali (ancorché straordinari) comunque rivestita dagli stessi Commissari ad acta, ben può comprendersi l’atteggiamento dagli stessi tenuto, non potendo negarsi l’anomalia della situazione laddove un organo comunale fosse stato chiamato a pronunciarsi su “ osservazioni ” formulate da altri organi comunali.

L’unica altra alternativa praticabile per i Commissari, nella prospettiva dell’appellante, sarebbe stata quella consistente nel ritenere le ridette “ osservazioni ” irrituali e irricevibili, ciò che a fortiori avrebbe determinato il loro omesso esame.

In definitiva, la soluzione prescelta dai Commissari è risultata la più equilibrata, assicurando che in ogni caso quelle “ osservazioni ” fossero esaminate e valutate, sia pure dalla Regione anziché dal Comune.

9.2. Sono invece inammissibili le specifiche censure articolate dall’appellante con l’ultimo motivo, che riproduce le doglianze già formulate in primo grado in ordine al contenuto delle osservazioni presentate da altri soggetti e alle numerose carenze istruttorie che connoterebbero la procedura de qua; al riguardo, non può che convenirsi con l’avviso del primo giudice, che ha ritenuto dette censure inammissibili per genericità o, in alternativa, per difetto di interesse.

In estrema sintesi, l’appellante non riesce a dimostrare che i profili di illegittimità genericamente denunciati, quand’anche effettivamente sussistenti, investano i suoli di sua proprietà ovvero, non riguardandoli, siano tali da determinare la radicale illegittimità dell’intero strumento urbanistico (unica ipotesi nella quale sarebbe ipotizzabile un interesse, sia pure strumentale, al loro accoglimento).

10. In conclusione, essendo emersa la totale inconsistenza dei motivi d’impugnazione, s’impone una decisione di reiezione dell’appello, con l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

11. Alla soccombenza segue la condanna alle spese di giudizio, che vengono equitativamente liquidate in dispositivo.

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