Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-28, n. 202211485
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Testo completo
Pubblicato il 28/12/2022
N. 11485/2022REG.PROV.COLL.
N. 02113/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2113 del 2022, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati A R e A E B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell’Interno e la Prefettura UTG di Modena, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS- della sez. I ter del Tar del Lazio, con cui è stato respinto il ricorso di primo grado R.G. n. -OMISSIS- avverso il decreto del Ministero dell’interno, datato 31 gennaio 2020 e notificato in data 4 marzo 2020, con il quale è stata respinta la domanda di cittadinanza italiana presentata dalla ricorrente.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura UTG di Modena;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 10 novembre 2022, il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La signora -OMISSIS- ha prodotto istanza volta ad ottenere la cittadinanza italiana il 17 settembre 2014 e il relativo procedimento si è concluso con l’adozione, da parte del Presidente della Repubblica, di un provvedimento concessivo del 15 maggio 2017.
Detto provvedimento è diventato oggetto del procedimento penale n. -OMISSIS-, conclusosi con la condanna di primo grado (poi confermata nei successivi due gradi di giudizio), emessa dal Tribunale di Roma il 19 ottobre 2018, di una dipendente del Ministero dell’interno per essersi introdotta in via abusiva nel sistema SICITT allo scopo di manipolare i dati ivi presenti e consentire ad un elevato numero di cittadini stranieri di ottenere la cittadinanza italiana senza averne i requisiti, dietro pagamento di somme di denaro corrisposte alla dipendente medesima da almeno due intermediari identificati.
Con decreto presidenziale del 26 luglio 2019 è stato annullato il precedente provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per carenza di istruttoria, nonché in virtù del fatto che gli status non possono fondarsi su atti e provvedimenti illegittimi, per cui in tali ipotesi è sempre possibile procedere all’annullamento d’ufficio del provvedimento di conferimento della cittadinanza italiana.
Avverso detto provvedimento è stato presentato ricorso davanti al Tar Lazio.
Successivamente, con provvedimento del Ministero dell’interno del 31 gennaio 2020, è stata rigettata l’istanza per la concessione della cittadinanza italiana, richiamando le motivazioni già esposte nel decreto presidenziale che annullava il precedente provvedimento concessorio.
2. L’odierno appellante ha impugnato tale decreto davanti al Tar Lazio, formulando altresì istanza cautelare.
3. Con sentenza n. -OMISSIS-, il Tar Lazio (sezione prima ter) ha respinto il ricorso, affermando che “il rigetto dell’istanza di cittadinanza si configura (…) come atto coerente con le risultanze del procedimento penale che ha visto coinvolti alcuni intermediari ed una dipendente del Ministero”.
Di conseguenza, “l’assoluto difetto di istruttoria da cui è stata ritenuta affetta l’istanza della ricorrente, come anche di tutte le pratiche interessate da questo accordo criminale (in totale 96, n.d.r.), ne impedisce l’accoglimento”.
4. La sentenza è stata impugnata con appello, corredato da istanza cautelare, notificato e depositato il 10 marzo 2022, riproponendo in chiave critica i motivi dedotti in primo grado.
5. Il 19 aprile 2022 si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e la Prefettura UTG di Modena, che hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello mentre nel merito ne hanno sostenuto l’infondatezza.
6. Con ordinanza n. -OMISSIS-, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha respinto l’istanza cautelare.
7. All’udienza del 10 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo ed unico motivo di censura l’appellante deduce l’erroneità della sentenza di primo grado in quanto viziata da “violazione ed eccesso di potere. Non rilevanza della sentenza di condanna richiamata in atti ai fini della valutazione dell’attuale situazione di integrazione della ricorrente. Violazione di legge ed eccesso di potere, per essere stato adottato l’atto impugnato senza alcuna verifica sulla effettiva capacità di integrazione sociale del ricorrente e sulle sue condizioni di vita”.
A suo dire non vi è alcuna prova del concorso dell’appellante medesima nella condotta illecita citata, in quanto non sussiste alcun elemento che dimostri in maniera inconfutabile che la pratica avente ad oggetto la sua richiesta di cittadinanza fosse ricompresa tra quelle oggetto della condotta illecita della dipendente infedele.
In assenza di tale prova, l’Amministrazione avrebbe dovuto nuovamente valutare la domanda di cittadinanza per verificare la sussistenza di tutti i presupposti per la sua concessione.
2. L’appello è infondato, e ciò consente di prescindere dall’esame della eccezione di inammissibilità sollevata dalla Amministrazione resistente.
Giova premettere che lo straniero non ha un diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza, ai sensi della l. 5 febbraio 1992, n. 91 (Cons.St., sez. III, 23 novembre 2018, n.5638).
Come chiarito dalla Sezione (16 novembre 2020, n. 7036) e ribadito anche dalla sezione consultiva del Consiglio di Stato in sede di esame di ricorso straordinario al Capo dello Stato (1 dicembre 2020, n. 1959), il provvedimento di concessione della cittadinanza, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, è atto squisitamente discrezionale di “alta amministrazione”, condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno “status illesae dignitatis” (morale e civile) di colui che lo richiede (Cons. St., sez. I, 20 gennaio 1993, n. 1878/94;12 aprile 1995, n. 1834/91;26 agosto 1998, n. 1108/96;3 marzo 1999, n. 29/99;sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657;25 agosto 2016 n. 3696).
Si tratta di provvedimento fondato su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. St., sez. III, 13 novembre 2018, n. 6374;27 febbraio 2019, n. 1390).
Il Collegio condivide, dunque, il tradizionale orientamento giurisprudenziale per cui l’Amministrazione, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, effettua una valutazione ampiamente discrezionale, che non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità, circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e riguardo alle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale.
Nella valutazione articolata che spetta all’Amministrazione per concedere o meno la cittadinanza assumono rilievo tutti gli aspetti da cui è possibile desumere l’integrazione del richiedente nella comunità nazionale, sotto il profilo della conoscenza e osservanza delle regole giuridiche, civili e regole giuridiche, civili e culturali che la connotano.
Vengono, perciò, in rilievo tutti quegli aspetti che farebbero dello straniero un buon cittadino, quali la perfetta integrazione nel tessuto sociale italiano, l’assenza di precedenti penali, considerazioni di carattere economico e patrimoniale per cui si possa presumere che egli sia in grado di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale richiesti a tutti i cittadini, pur senza stretti limiti reddituali imposti per legge, le condizioni familiari e di irreprensibilità della condotta.
Tale valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;il sindacato del giudice non può dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Cons. St., sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913).
Il provvedimento amministrativo di concessione della cittadinanza italiana è connotato da un’amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102;6 settembre 2018, n. 5262), in quanto atto che attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevantissime conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all’interno dello Stato;tale concessione può però comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l’interesse nazionale in caso di infelice concessione.
Proprio per la rilevanza di tale riconoscimento, l’art. 9, l. n. 91 del 1992 demanda al Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno, la concessione della cittadinanza.
A fronte degli importanti interessi della comunità nazionale coinvolti nel procedimento l’interesse del cittadino di altro Stato a conseguire la cittadinanza italiana è inevitabilmente recessivo e sottoposto a severa verifica istruttoria, affidata non solo alle autorità locali di pubblica sicurezza (il Prefetto e il Questore, i quali nella fattispecie, come prospettato dall’appellante, non hanno evidenziato criticità ), ma anche agli organismi specificamente preposti ai servizi di sicurezza dello Stato.
Di conseguenza lo stesso obbligo di motivazione del diniego si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi coinvolti (Cons. Stato, sez. III, n. 2102/2019).
Come più volte chiarito (Cons. St., sez. II, 31 agosto 2020, n. 5326), nell’adottare il provvedimento di diniego non sono negati diritti fondamentali della persona garantiti a livello costituzionale, comunitario o internazionale;è, invece, negato un beneficio la cui concessione è subordinata ad una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale e informata a principi di cautela, nell’interesse nazionale, senza che sia peraltro preclusa al richiedente la riproposizione dell’istanza, alla luce di eventuali successivi ed ulteriori elementi (in tesi) “favorevoli” alla sua posizione.
Rispetto a queste valutazioni la posizione soggettiva del richiedente ha consistenza di affievolito interesse legittimo, atteso che l’attribuzione del nuovo status di cittadino italiano comporta l’inserimento dello straniero, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale e l’acquisizione a pieno titolo, da parte del richiedente, dei diritti e dei doveri che competono ai cittadini.
2. Venendo all’analisi del caso sottoposto all’esame del Collegio, non è ravvisabile nell’atto impugnato dinanzi al Tar alcun vizio di violazione di legge ed eccesso di potere per essere stato adottato senza alcuna verifica sull’integrazione sociale e le condizioni di vita dall’odierna appellante.
Ciò detto, contrariamente a quanto asserisce l’appellante, non può ritenersi irragionevole o incompleta la valutazione compiuta dall’Amministrazione, che ha ritenuto ostativa all’accoglimento dell’istanza di riconoscimento della cittadinanza italiana il verificarsi di un assoluto difetto di istruttoria, vizio reso ancor più grave dalla modalità illecita con cui è stata gestita la pratica di concessione dello status (facente parte di un gruppo di 96 pratiche viziate).
Occorre osservare, con specifico riferimento al ruolo rivestito nella vicenda dall’odierna appellante, che la circostanza che le sentenze del giudice penale non risultino emesse direttamente nei suoi confronti e che la medesima non abbia neppure rivestito la veste di indagata non inficia in alcun modo né il legame tra la genesi del provvedimento di concessione e la fattispecie criminosa, né l’incidenza della stessa sull’adeguatezza del provvedimento medesimo in rapporto con l’interesse pubblico che esso è destinato a realizzare.
Mentre il giudizio penale è improntato, in una dimensione puramente soggettiva, sulla condotta dell’autore del reato in vista di una valutazione di riprovevolezza funzionale alla determinazione della sanzione penale, la valutazione amministrativa oggetto della presente controversia, essendo di carattere eminentemente oggettivo, si fonda sulla distorsione che la vicenda criminale ha prodotto sul corretto esercizio della funzione amministrativa.
L’appellante non potrebbe, pertanto, dichiararsi plausibilmente estranea al meccanismo criminale ideato e realizzato dalla dipendente infedele e dai correi della stessa, ostando a tale conclusione l’insuperabile argomento in base al quale, secondo l’id quod plerumque accidit, il destinatario finale del vantaggio illecito, tanto più quando il suo conseguimento implichi una contropartita economica, non può non essere avveduto, in termini più o meno chiari ma mai del tutto inconsapevoli, del percorso non lineare seguito per la realizzazione dell’utilità perseguita (Cons. St., sez. III, 9 giugno 2022, n. 4687).
Alla luce di quanto detto, nell’ottica di un bilanciamento tra l’interesse alla sicurezza della Repubblica e l’interesse dell’appellante ad ottenere la cittadinanza italiana, il primo risulta prevalente, atteso che il riconoscimento della cittadinanza è per sua natura irrevocabile e dunque presuppone che nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui la Repubblica si fonda.