Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-27, n. 202204261

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-27, n. 202204261
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204261
Data del deposito : 27 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/05/2022

N. 04261/2022REG.PROV.COLL.

N. 08573/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8573 del 2015, proposto da Ministero per i beni e le attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno Avellino Benevento e Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

A C, M D V, G C, rappresentati e difesi dall'avvocato C Crio, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Molinaro in Roma, via Federico Cesi n.44;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VIII n. 01468/2015, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di A C e di M D V e di G C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Riccardo Carpino;

Nessuno è comparso per le Parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso principale i sig.ri A C, Maria del Vecchio e G C hanno impugnato innanzi al Tar Campania, Napoli, il provvedimento prot. 2496 del 28 marzo 2014 n. 2, con il quale il Comune di San Salvatore Telesino ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi in riferimento ai lavori dagli stessi realizzati sul fondo ubicato in San Salvatore Telesino, contrada Telese Vetere, e censito in catasto al foglio 15, particelle 103 e 1145.

Con due successive segnalazioni, del 13 marzo 2014, prot. n. MBAC-SBA-SA-SBA-SA0002945, e del 18 marzo 2014, prot. n. MBAC-SBA-SA-SBA-SA0003147, la Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta denunciava il danneggiamento di strutture archeologiche site nel terreno di proprietà dei ricorrenti realizzato mediante l’esecuzione, in assenza di titolo abilitativo, di alcuni lavori di livellamento del terreno e di scavo di circa 50 buche circolari aventi diametro pari a circa cm. 50 e profondità pari a circa cm. 40, ai fini dell’impianto di un vigneto in “area archeologica” e con “danneggiamento di strutture antiche”.

A seguito di tali denunce, i Carabinieri della Stazione di San Salvatore Telesino effettuavano un sopralluogo e procedevano al sequestro dell’area - convalidato dall’Autorità giudiziaria il 12 aprile 2014 - al fine di preservare lo stato dei luoghi.

Il Comune di San Salvatore Telesino, procedeva ad emettere una ordinanza di ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi n. 2/2014, prot. 2496 del 28 marzo 2014, ritenendo che le opere fossero state realizzate in assenza di titoli abilitativi.

Parti appellate impugnavano tale provvedimento innanzi al Tar Campania, Napoli, Sez. VIII, chiedendo di dichiararsi la nullità del provvedimento ex art. 21- septies l. 241/90 per difetto assoluto di attribuzione e carenza di potere in astratto. Gli stessi contestavano altresì l’annullabilità del provvedimento ex art. 21- octies l. 241/90 per violazione di legge (art. 27 d.P.R. n. 380/2001) e per eccesso di potere.

Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta;
il Comune non si costituiva.

Il Tar Campania, Napoli, Sez. VIII, con sentenza n. 1468/2015, accoglieva il ricorso e annullava l’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi de qua .

Il Ministero e la Soprintendenza soccombenti, proponevano ricorso per appello chiedendo la riforma della sentenza suddetta;
anche in appello il Comune non si costituito.

Parti ricorrenti non hanno prodotto memorie o nuova documentazione rispetto a quella risalente al momento della costituzione.

DIRITTO

I motivi dell’appello proposto dall’Amministrazione preposta al vincolo non sono fondati.

Parti ricorrenti rilevano che l'impianto di piantagioni può realizzarsi solo previa autorizzazione dell'Ente locale competente (Tar Veneto Sez. II, n. 923 del 2007, che ritiene sottoposta a previa autorizzazione paesaggistica anche una attività non costruttiva come la piantagione di un vigneto, in quanto attività che ha attitudine a modificare in via permanente lo stato dei luoghi e quindi il paesaggio).

Parti ricorrenti inoltre richiamano giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui sussiste una competenza ad esprimersi da parte della Soprintendenza per i beni archeologici anche prima dell'imposizione dello specifico vincolo archeologico sui beni, vista l'esigenza di una sollecita tutela dell'interesse dello Stato a rafforzare il vincolo paesaggistico sul terreno ove insistevano o giacevano i beni archeologici ancora non protetti dallo specifico vincolo. (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 2110 del 27.4.2015);
fattispecie invero diversa da quella all’esame in quanto relativa a procedura di condono, per beni già gravati da vincolo.

Va preliminarmente richiamato l'art. 149, comma 1, lett. b) d.lgs. 42/2004 che esenta dalla necessità della autorizzazione di compatibilità paesaggistica gli interventi sul territorio che siano funzionali alla pratica agronomica o silvi - colturale e non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili né alterino l'assetto idrogeologico.

Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio (sez. VI, 20/07/2018, n. 4416) ha evidenziato come, anche sulla scorta di precedenti orientamenti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2015 n. 718), l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, si compendia in modificazioni normali della forma del territorio, inerenti all'usuale pratica agricola anche per le piante da frutto o da legna, e alla parabola di esseri viventi e produttivi delle piante stesse, quand'anche interessino uliveti, vigne, pioppeti, frutteti e simili e dunque abbiano frequenza di rimozione tutt'altro che annuale. Normalmente, infatti, non sono oggetto di uno specifico valore espressamente tutelato dal vincolo paesaggistico e non ne sono elementi identificativi (diversamente rispetto ai boschi ed alle foreste).

Va anche evidenziato che una interpretazione differente comporterebbe una compressione eccessiva delle facoltà proprietarie ancora più incisiva nella condizione, come quella che ci occupa in cui, sul fondo non vi era alcun vincolo archeologico, come peraltro la stessa Sovrintendenza evidenzia nella sua denunzia;
nello specifico l’impianto del vigneto rappresenta una ordinaria utilizzazione del terreno e quindi, in assenza di vincoli ai sensi del d.lgs.42/2004, a fronte di quanto previsto dal citato l'art. 149, comma 1, lett. b) d.lgs. 42/2004, il provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi non è adeguatamente motivato essendo giustificato dalla mera prossimità dell’area archeologica soprattutto se rapportato al pregiudizio derivante alle parti appellate per la mancata coltivazione del fondo.

Va ancora segnalato - per completezza - che la denunzia (ai sensi dell’art. 733 c.p.) che la Sovrintendenza ha sporto alla Procura è stata archiviata in considerazione del fatto che le buche scavate non hanno inciso sui reperti rinvenuti nel sottosuolo.

Va ancora rilevato che l’articolo 6, comma 1, d.P.R. 380/2001, sulla scorta del quale è stata adottata l’ingiunzione, individua come attività edilizia la manutenzione ordinaria, categoria alla quale fa riferimento l’art. 45 del piano regolatore generale di San Salvatore Telesino, per la zona G5 (“archeologico-monumentale”), di interesse nella fattispecie. Ed è anche attività edilizia libera quella di cui alla lett. d) del citato art. 6, relativa ai movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola ed alle pratiche agro-silvo-pastorali;
fattispecie alla quale è riconducibile l’attività posta in essere da parte appellata.

Conseguentemente la questione, vista anche sotto quest’ultima prospettiva, non appare fondata.

Va però evidenziato che in una più ampia prospettiva va tenuto in debito conto il sistema di tutela approntato al d.lgs. 42/2004, potendo derivare dalla collocazione del fondo (non vincolato) a ridosso dell’area archeologica problemi di gestione del vincolo.

Va tenuto in considerazione nel caso che ci occupa, che, indipendentemente dalla denunzia e dall’intervento dell’Autorità Giudiziaria, il bene de qua non rimane astrattamente senza tutela in quanto direttamente al Sovrintendente (art. 28 d.lgs.42/2004) è attribuito un generale potere di vigilanza che si estrinseca mediante l’apposizione di (eventuali) misure cautelari e preventive per l'inibizione o la sospensione degli interventi anche su beni di interesse archeologico;
provvedimenti che hanno natura transitoria atteso che l'ordine di sospensione si intende revocato se, entro trenta giorni dalla ricezione del medesimo, non è comunicato, a cura del Soprintendente, l'avvio dei relativi procedimenti per le misure definitive. Tali misure non sono state adottate dall’amministrazione competente ma dall’amministrazione comunale con poteri in materia edilizia non azionabili a fronte di attività ritenute agro-silvo-pastorali.

Ossia il sistema già prevede un rimedio anticipato quando vi possano essere fondati elementi di un pregiudizio alla tutela dei beni culturali in genere, la cui valutazione - in considerazione della specifica competenza posseduta - non può che competere all’organo a ciò deputato nell’esplicazione della sua più ampia discrezionalità tecnica e non all’amministrazione comunale (risoltasi nella specie ad agire in via quasi surrogatoria dell’amministrazione competente alla gestione del vincolo con poteri aventi però altro fondamento).

Né va trascurato, non in relazione alla fattispecie in esame, come la questione proprio per gli interessi pubblici tutelati in considerazione della potenziale vastità del patrimonio culturale nazionale, riguardi anche aspetti penali che sono stati in un qualche modo coinvolti nella vicenda;
ciò avviene mediante l’art. 733 c.p. che punisce il danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale e l’art. 734 che punisce la distruzione o deturpamento di bellezze naturali.

Tutela penale attivata nella specie senza tuttavia esitare in un compiuto esercizio dell’azione penale.

In ultimo il fatto quindi che gli interessi pubblici coinvolti possano essere tutelati in molteplici sedi può consigliare alla amministrazione, ma anche ai privati interessati, il ricorso a moduli cooperativi , espressione anche di doveri di solidarietà sociale che consentano una conoscenza preventiva alla Sovrintendenza finalizzata proprio all’esercizio di quella discrezionalità tecnica che può portare ad una sospensione o inibizione dell’attività che ha comunque un termine - trenta giorni- entro il quale, ove ne sussistono i presupposti, può darsi vita ai successivi provvedimenti;
il tutto nell’ambito di uno svolgimento fisiologico dell’attività che l’agricoltore pone in essere e della discrezionalità tecnica esercitata dall’Amministrazione.

Nemmeno questi moduli risultano attivati nella specie.

Ne consegue l’infondatezza dell’appello.

In relazione alle spese, sussistono giusti motivi, considerata la complessità delle questioni rappresentate, per una compensazione in questa fase.

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