Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-10-19, n. 201805985
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Testo completo
Pubblicato il 19/10/2018
N. 05985/2018REG.PROV.COLL.
N. 07579/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7579 del 2012, proposto da:
G C, C A T ed E T, rappresentate e difese dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Botti in Roma, via Monte Santo, 25;
contro
Comune di Terlizzi e Provincia di Bari, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la PUGLIA – BARI - SEZIONE II, n. 458/2012, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2018 il Consigliere O L e udito, per gli appellanti, l’avvocato Nino Matassa, su delega dell’avvocato F M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Puglia, sede di Bari, il sig. Saverio T ha impugnato, in uno con il parere negativo espresso dalla Provincia di Bari in data 18.04.2000, la nota a firma del Dirigente UTC del Comune di Terlizzi prot. n. 6312/86 del 13.12.2000, a mezzo della quale il Comune di Terlizzi ha negato la sanatoria ex L. 47/1985 in relazione ad alcune opere edilizie abusive realizzate - a dire del ricorrente – nel corso del 1966, consistenti nell’ampliamento di una casa di campagna mediante realizzazione di un nuovo vano cucina e di un nuovo vano ripostiglio: il diniego risulta motivato dal fatto che le opere ricadono nella fascia di rispetto della Strada Provinciale n. 112 Terlizzi-Molfetta e che la Provincia ha espresso, in ordine al mantenimento di esse, parere negativo.
Con un primo motivo il ricorrente ha censurato di illegittimità il diniego impugnato per erronea applicazione dell’art. 33 e violazione dell’art. 32, comma 2 L. 47/1985, violazione dell’art. 39, L. 724/1994 e dell’art. 2 comma 39-59 della L. 662/1996, ed eccesso di potere: sosteneva il sig. T che il vincolo di che trattasi è sorto in epoca posteriore alla realizzazione delle opere abusive, ed è quindi astrattamente suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 32 comma 2 della L. 47/1985. Inoltre il vano ripostiglio risulterebbe realizzato ad oltre 20 metri dal ciglio stradale, mentre il vano cucina in realtà non costituirebbe un’opera nuova, essendo stato ricavato per chiusura di un preesistente porticato, integrando così una fattispecie di ristrutturazione.
2. Il T.A.R. non ha ritenuto che tali argomenti siano rilevanti.
Secondo il T.A.R., infatti l’art. 32 comma 2 della L. 47/1985 ammette la astratta sanabilità delle opere eseguite, prima della imposizione del vincolo, in violazione del D.M. 1404/68 e degli artt. 16, 17 e 18 della L. 190/1991, ma tale astratta sanabilità ricorre solo a condizione che le opere abusive non costituiscano minaccia per il traffico. Il comma 3 dell’art. 32 L. 47/85 specifica poi che “Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2 si applicano le disposizioni di cui all’art. 33” , di guisa che, ove la minaccia per il traffico, derivante dalla presenza di opere abusive, non possa essere esclusa, il vincolo di inedificabilità insistente nelle fasce di rispetto stradale deve essere riguardato alla stregua di un vincolo ad inedificabilità assoluta.
Secondo il T.A.R., erra in particolare il ricorrente laddove attribuisce rilevanza, ai fini di escludere l’applicabilità dell’art. 33 L. 47/85, solo al fatto che le opere siano antecedenti al vincolo e che queste non siano riconducibili alla categoria delle nuove opere: infatti anche la insussistenza di una minaccia per il traffico è condizione sine qua non per ritenere l’abuso astrattamente sanabile.
Sempre secondo il T.A.R., nel caso di specie tale condizione non ricorre, dal momento che la Provincia ha espresso parere negativo al mantenimento delle opere.
Per quanto riguarda il vano ripostiglio, che secondo il ricorrente si trova ad oltre 20 metri dal ciglio della strada provinciale, osservava il Collegio come venga in considerazione, nel caso di specie, una strada provinciale, la quale, come tale, deve ritenersi extraurbana;non è dato sapere, poi, se la zona sia edificabile con concessione diretta.
In relazione a quanto previsto dall’art. 26 del D.P.R. 495/92 (Regolamento di esecuzione del codice della strada) il Collegio rilevava che il ricorrente non ha offerto elementi che consentano di pervenire alla conclusione secondo cui l’ampiezza della fascia di rispetto dalla S.P. Terlizzi-Molfetta sarebbe inferiore a quella imposta, in via generale, per le strade extraurbane di tipo C. Di conseguenza il rilievo secondo il quale il vano ripostiglio si troverebbe ad oltre 20 metri di distanza dalla Strada Provinciale di che trattasi, e perciò all’esterno della fascia di rispetto, deve ritenersi irrilevante e indimostrato.
Il Collegio riteneva, conclusivamente, che nella fattispecie ricorressero le condizioni per la applicabilità dell’art. 33 L. 47/85, constatazione questa che ha rilevanza dirimente nel senso di escludere a priori la sanabilità degli abusi di che trattasi. Da qui l’infondatezza del primo motivo.
Secondo il T.A.R., la conclusione, cui si è pervenuti in ordine al suddetto motivo, determinerebbe l'inutilità dell'esame delle ulteriori censure prospettate dalla parte ricorrente, le quali, ove pure fondate, non inciderebbero sulla legittimità dell'impugnato provvedimento che comunque si giustifica con la rilevata inedificabilità assoluta derivante dalla fascia di rispetto stradale.
Avverso tale sentenza ha interposto gravame il sig. T.
Le Amministrazioni non si sono costituite in giudizio.
In data 15.02.2015 è deceduto il sig. T.
Con atto di costituzione per la prosecuzione notificato in data 16.03.2018 e depositato in data 23.03.2018, gli eredi del sig. T hanno proseguito il giudizio.
3. All’udienza dell’11.10.2018, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di gravame, gli appellanti deducono che il vano cucina era stato realizzato mediante la chiusura di una parte del porticato antistante la casetta di campagna, risalente ad epoca antecedente al 1968, attraverso un’attività di ristrutturazione di opera edilizia esistente e non certo di costruzione di nuova opera. L’opera effettivamente violativa delle distanze minime ex D.M. 1.04.1968 è il porticato realizzato sin dal 1966 e dunque in epoca sicuramente antecedente al vincolo, di talché il vano cucinino oggetto della richiesta di ristrutturazione, in quanto realizzato attraverso lavori di ristrutturazione del porticato, è suscettibile di conseguire la sanatoria in applicazione dell’art. 32, co. 2 della L. 47/1985, non assumendo esso autonoma e distinta rilevanza ai fini del rispetto del vincolo in questione.
Il T.A.R - pur avendo riconosciuto che la parziale chiusura del porticato, riguardando un’opera realizzata nel 1966 e, quindi, sicuramente antecedente all’apposizione del vincolo di cui al DM n. 1404/1968, ne seguiva le sorti ed era pertanto da considerare anch’esso alla stregua di un intervento realizzato prima dell’apposizione del predetto vincolo e quindi da sussumere nella astratta ipotesi normativa di cui all’art. 32, co. 2 della L. 47/1985 e non già da ricondurre in via diretta al vincolo di inedificabilità assoluta di cui all’art. 33 della medesima legge – ha, tuttavia, ritenuto che, in concreto, si dovesse comunque fare indiretta applicazione dell’art. 33 in virtù del disposto di cui al comma 3 dell’art. 32, a mente del quale “qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2, si applicano le disposizioni dell’art. 33” . In particolare, secondo il T.A.R., nella specie, non potrebbe escludersi la ricorrenza della particolare condizione della sussistenza di una “minaccia alla sicurezza del traffico” , che di per sé è preclusiva della condonabilità dell’opera, stante il parere negativo espresso sul punto dall’Amministrazione provinciale. Tale conclusione sarebbe frutto di un fraintendimento del parere in questione. L’Amministrazione provinciale, infatti, avrebbe disatteso i limiti della propria funzione consultiva, avendo ritenuto di esprimere parere negativo rispetto alla condonabilità dell’intervento non già a seguito di apposita valutazione in merito all’eventuale pericolosità dell’opera rispetto alla circolazione stradale e previa acquisizione degli occorrenti riscontri probatori, bensì in ragione della ritenuta diretta inquadrabilità della fattispecie in esame nella ipotesi di opera abusiva realizzata successivamente all’apposizione del vincolo ai sensi dell’art. 33 della legge. Sarebbe del tutto evidente che il profilo di illegittimità che inficia il presupposto parere vizia altresì il conseguente diniego.
2. Il motivo d’appello è infondato.
Questo Consiglio ha chiarito, con giurisprudenza concorde risalente alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 1999, che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” , parere che va acquisito a prescindere dal requisito della anteriorità dell’opera rispetto al vincolo. In attuazione del principio tempus regit actum , invero, “l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente” (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2297);è stato anche precisato che “quanto ai vincoli di inedificabilità assoluta, se è vero che alla stregua dell'art. 33, L. n. 47/1985 cit. il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all'edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz'altro sanabili gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa);pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluta sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell'art. 32, comma 1, l. n. 47/1985 cit., che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo” (Cons. Stato, Sez. VI, 7 agosto 2015, n. 3909).
Al riguardo questo Consiglio ha altresì chiarito, con giurisprudenza che si condivide, che il vincolo delle fasce di rispetto di cui qui si tratta è di inedificabilità assoluta traducendosi in un “divieto assoluto di costruire” che “rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale” e che esso “opera direttamente e automaticamente” , per cui “…una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell’amministrazione sull’istanza di condono (ex art. 33 L. n. 47/1985) non potrebbe essere che negativo” (Sez. IV, 8 giugno 2011, n. 3498;cfr. anche Sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 347).
Alla luce dei precedenti giurisprudenziali citati, appare quindi evidente che il provvedimento impugnato si regge giustamente sul disposto dell’art. 33, L. 47/1985, a nulla rilevando che siano accertati in concreto connessi rischi per la circolazione stradale.
3. Con il secondo motivo di gravame, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza anche nella parte in cui è stata esclusa la condonabilità del vano ripostiglio ai sensi dell’art. 33 della L. n. 47/1985. Il T.A.R. avrebbe ritenuto dirimente la circostanza che l’opera in questione, risalente al 1977, risultasse collocata ad una distanza maggiore di mt. 20 dalla strada provinciale, non avrebbe però fornito la prova che il vano ripostiglio fosse stato realizzato nel rispetto della maggiore distanza (mt. 30) prevista dall’art. 16 codice della strada del 1992 e dall’art. 26 del relativo regolamento di esecuzione con riferimento alle strade provinciali appartenenti alla categoria delle strade extraurbane di tipo C. Secondo l’appellante, il T.A.R. avrebbe, infatti, dovuto fare riferimento alla specifica normativa vincolistica antecedente alla realizzazione del vano ripostiglio (artt. 3 e 4 del DM n. 1404/1968), invece ha fatto applicazione della sopravvenuta normativa vincolistica, la quale però avrebbe potuto, al limite, giustificare l’inedificabilità relativa dell’area ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47/1985, ma non può in alcun modo determinare la non condonabilità dell’intervento ai sensi dell’art. 33, trattandosi di ipotesi che riguarda solo i vincoli apposti in epoca antecedente alla realizzazione dell’abuso edilizio. Ove avesse fatto riferimento alla disciplina vincolistica antecedente alla realizzazione del vano ripostiglio, non avrebbe mancato di rilevare che l’art. 3 del DM n. 1404/1968 non prevede un rapporto di necessaria equivalenza tra strade provinciali e strade categoria C (con conseguente obbligo di osservare nell’edificazione la distanza di mt. 30 dal ciglio stradale ai sensi del successivo articolo 4 del decreto), ma stabilisce invece che appartengono alla categoria C solo le strade provinciali aventi larghezza superiore o uguale a mt. 10.50, nel mentre sono strade di categoria D, in riferimento alle quali occorre rispettare la minore distanza di mt. 20,00 dal ciglio della strada ai sensi dell’art. 4, le strade provinciali aventi larghezza inferiore a nt. 10,50. Nella specie, sarebbe notoria e, comunque, non contestata in sede amministrativa, che la carreggiata della strada provinciale 112 ha larghezza inferiore a mt. 10,50 e, quindi, appartiene alla categoria D del DM n. 1404/1968.
4. Il motivo di ricorso è infondato.
Sul punto va rilevato che questo Consiglio ha chiarito, con giurisprudenza concorde risalente alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 1999, che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” , parere che va acquisito a prescindere dal requisito della anteriorità dell’opera rispetto al vincolo. In attuazione del principio tempus regit actum , invero, “l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente” (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2297);è stato anche precisato che “quanto ai vincoli di inedificabilità assoluta, se è vero che alla stregua dell'art. 33, l. n. 47/1985 cit. il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all'edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz'altro sanabili gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa);pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluta sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell'art. 32, comma 1, l. n. 47/1985 cit., che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo” (Cons. Stato, Sez. VI , 7 agosto 2015, n. 3909).
Ne segue, che le valutazioni circa il rispetto delle distanze in relazione al vano ripostiglio sono state compiute giustamente in relazione alla disciplina prevista dall’art. 16 codice della strada del 1992 e dall’art. 26 del relativo regolamento di esecuzione con riferimento alle strade provinciali appartenenti alla categoria delle strade extraurbane di tipo C.
5. Gli appellanti hanno altresì riproposto i motivi di ricorso dichiarati assorbiti in primo grado.
Con il primo motivo fanno valere che, a norma del regolamento edilizio in vigore nel Comune di Terlizzi all’epoca dell’esame della pratica edilizia ogni provvedimento afferente alla domanda di concessione/autorizzazione edilizia dovrebbe essere adottato previa acquisizione dei pareri della Commissione edilizia e dell’U.T.C., cosa che non sarebbe avvenuta nel caso di specie. Tale disposizione troverebbe applicazione anche nel procedimento preordinato al rilascio (o al diniego) di concessione edilizia in sanatoria.
6. Il motivo di censura è infondato.
Ritiene il Collegio che l’acquisizione di tali pareri è richiesto obbligatoriamente soltanto per il rilascio delle concessioni edilizie in via ordinaria.
Sul punto va richiamata, con riferimento, in particolare, al parere della Commissione edilizia, la sentenza di questo Consiglio 25 novembre 2016, n. 4962, secondo la quale: “Tale parere, però, non è necessario ai fini del rigetto di istanze di condono, poiché la specialità del relativo procedimento rispetto all’ordinario procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio e l’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità lo rendono non obbligatorio, ma eventualmente facoltativo, al fine di acquisire informazioni o valutazione con riguardo a certi casi incerti e complessi” .
7. Con il secondo motivo assorbito si deduce che l’istanza si dovrebbe intendere già accolta ai sensi dell’art. 39, co. 3, l. 724/1994 o dell’art. 35, co. 12, l. 47/1985, essendo decorso il termine di un anno (o di ventiquattro mesi) dalla data di presentazione.
8. Ritiene il Collegio che l’istituto del silenzio non si applichi al caso di specie, ricorrendo un caso previsto dall’art. 33 della L. 47/1985.
9. Conclusivamente, l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata.
10. Nulla per le spese, non essendosi le Amministrazioni intimate costituite in giudizio.
11. Il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello rimane definitivamente a carico degli appellanti.