Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2011-04-18, n. 201102352

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2011-04-18, n. 201102352
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201102352
Data del deposito : 18 aprile 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00497/2011 REG.RIC.

N. 02352/2011REG.PROV.COLL.

N. 00497/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 497 del 2011, proposto da:
Societa' International Security Service Spa, rappresentata e difesa dagli avv. G A, M S, con domicilio eletto presso M S in Roma, viale Parioli, 180;

contro

U.T.G. - Prefettura di Napoli, Sapna Spa, Circumvesuviana Srl, Gori-Gestione Ottimale Risorse Idriche, Consorzio Unico di Bacino della Provincia di Napoli e Caserta, Tangenziale di Napoli Spa, Asl Na3 Sud, Equitalia Polis, Eavbus, Comune di Torre Annunziata, A S, P M, A A, L A, A A, A A, Luigi Albano, Luigi Alborino, Fausto Alfieri, Giovanni Allocca, Amodio Amato, Raffaele Ambrosino, Salvador Ambrosino, Vincenzo Ambrosino, Salvatore Amore, Francesco Annunziata, Sabatino Arena, Franco Arianna, Liberatore Arienzo, Roberto Artiaco, Massimo Ascione, Vincenzo Ascione, A Attanasio, Luca Auriemma, Vincenzo Auterio, Pasquale Baia, Federico Balzano, Virginio Barberio, Filomena Barone, Giuseppe Barone, Tommaso Barone, Francesco Basileo, Francesco Batino, Alessandro Beneduce, Michele Beneduce, Luigi Bidello, A Biondo, Vincenzo Borrelli, Vincenzo Borriello, Domenico Bottiglieri, Giovanni Brancaccio, A B, Postetutela Spa, Autostrade Meridionali Spa;
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Consiglio Regionale della Campania, rappresentato e difeso dall'avv. Almerina Bove, con domicilio eletto presso Ufficio Di Rappresentanza Regione Campania in Roma, via Poli,29;
Inps, rappresentato e difeso dagli avv. Gaetano De Ruvo, Daniela Anziano, domiciliata per legge in Roma, via della Frezza, 17;
Vincenzo Fierro, rappresentato e difeso dagli avv. Geremia Biancardi, Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE I n. 27367/2010, resa tra le parti, concernente

REVOCA DEI DECRETI PREFETTIZI N.

227 E 251/07 PER LA GESTIONE DELL'ISTITUTO DI VIGILANZA PRIVATA NONCHÈ DELLA INFORMATIVA INTERDITTIVA ANTIMAFIA


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Consiglio Regionale della Campania e di Inps e di Vincenzo Fierro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2011 il Cons. L B e uditi per le parti gli avvocati Biancardi, Panariello, su delega dell'avv. Bove, Lentini, Abbamonte, Sanino e dello Stato Palmieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al TAR Campania la società International Security Service s.p.a. ha impugnato il provvedimento interdittivo antimafia adottato dal Prefetto di Napoli il 6.4.2010, ed il connesso decreto notificato il 7.4.2010 con il quale lo stesso Prefetto ha disposto la revoca immediata, ai sensi dell’art. 134 T.U.L.P.S., delle autorizzazioni rilasciate alla società nell’anno 2007 per l’istituto di vigilanza da essa gestito.

Con motivi aggiunti sono stati anche impugnati una serie di atti e provvedimenti che, per effetto dei decreti prefettizi anzidetti, hanno disposto la cessazione dei rapporti contrattuali instaurati dalla società con varie Amministrazioni.

Secondo quanto descritto nella sentenza appellata, la motivazione dei due provvedimenti prefettizi tendeva a dimostrare che:

- “a) in primo luogo l’istituto colpito sarebbe di fatto gestito dai f B, i quali attraverso una serie di cessioni fittizie e dimissioni apparenti da cariche sociali sarebbero solo formalmente usciti dalla compagine societaria, di cui sarebbero in realtà i veri signori;”

- “b) in secondo luogo i citati fratelli sarebbero vicini ad ambienti di criminalità organizzata, in virtù di procedimenti penali che, pur risalenti, risulterebbero rinvigoriti all’attualità da una ordinanza cautelare e dal relativo rinvio a giudizio per un episodio di corruttela”.

Con sentenza 15 dicembre 2010, n.27367 il TAR Campania, Sezione Prima, ha respinto il ricorso, avendo ritenuto infondati i motivi di censura che si appuntavano sulle anzidette motivazioni dei decreti prefettizi.

Avverso la sentenza del TAR la socieà International Security Service s.p.a. ha interposto appello sostenendo la erroneità della decisione sotto i seguenti profili:

1) Violazione art. 4 d.lgs. n.490/1994 in relazione all’art.1 e 416 bis cod. pen. e artt. 1 e 654 cod. proc. pen..

La sentenza appellata ha ravvisato il ruolo di tramite nei rapporti tra l’Istituto di vigilanza e la criminalità organizzata nel consigliere regionale ritenuto collegato da cointeressenze economiche con i f B (attraverso la società Europa Immobiliare di proprietà dei B) che in occasione della locazione di immobili alla Regione avrebbero concesso cointeressenze al consigliere regionale nella società stessa, e da rapporti con il Clan Misso per avere ricevuto l’appoggio elettorale nelle consultazioni regionali del 2000.

Ma la sentenza del giudice penale, che ha condannato il consigliere regionale, ha anche accertato che il Clan Misso nel 2005 risultava smantellato, ed anche le relazioni rassegnate al Parlamento dal Ministero dell’Interno attestano l’intervenuta estinzione del Clan, e, quanto ai suoi componenti, che essi sono attualmente in regime di protezione come collaboratori di giustizia.

2) Omessa pronuncia e violazione degli artt. 98 e 112 cod. proc. pen.

Non sussistono i presunti collegamenti dei f B con il Clan Alfieri, in quanto più d’una decisione del giudice penale ha escluso che i f B fossero collegati a tale Clan, in ogni caso anch’esso risulta disciolto da anni.

Il TAR ha omesso di pronunciarsi sul Clan Fabbrocino, la cui organizzazione criminale era stata colpita dal giudice penale grazie all’azione di fermo contrasto e di denuncia dei f B, che per tale motivo sono stati sottoposti ad un programma di protezione.

3) Contraddittorietà e violazione degli artt. 1417, 2727, e 2729 cod. civ.

Non ricorrono elementi gravi, precisi e concordanti che provino in via presuntiva la gestione di fatto dell’Istituto di vigilanza da parte dei B;
anzi la documentazione prodotta in giudizio conferma la esclusività della gestione da parte dell’attuale titolare.

4) Erronea valutazione degli elementi procedimentali e sostanziali addotti dalla difesa dei ricorrenti a contestazione della contiguità mafiosa;
violazione dell’art. 654 cod. proc. pen.

Con questo motivo si censura la trama argomentativa sviluppata nella sentenza del TAR, e si riafferma la contraddittorietà della motivazione che, mentre svaluta elementi quali la pretesa contiguità con il Clan Alfieri o con il Clan Misso, cerca poi di recuperare elementi indiziari attraverso un episodio di corruzione (quello che ha coinvolto il consigliere regionale) che manca di ogni elemento di oggettiva connessione con le vicende delle associazioni malavitose.

5) Omesso esame delle specifiche censura dedotte in primo grado, che vengono riproposte.

L’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio con formale atto di costituzione senza svolgere difese;
e così pure il Consiglio regionale della Campania e l’INPS.

Si sono anche costituiti in giudizio i sig. F V, S A, e M P, nella loro veste di soci attuali della International Securiry Service s.p.a., i quali hanno censurato la sentenza di primo grado e concluso per l’accoglimento dell’appello.

La difesa della società appellante ha ribadito, sia con una successiva memoria che in sede di discussione orale, le proprie tesi difensive insistendo per l’accoglimento dell’appello.

Alla pubblica udienza del 18.3.2011, nella quale i difensori della società appellante hanno ulteriormente illustrato i motivi dell’appello, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Per esattamente valutare la consistenza dei motivi di gravame prospettati con l’odierno atto di appello occorre partire da alcune considerazioni preliminari in merito alla interdittiva antimafia oggetto del presente giudizio.

Alla luce di orientamenti ormai consolidati nella giurisprudenza amministrativa, è opinione comune:

- che la misura in questione, per la sua natura cautelare e preventiva, non richieda la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste;

- che dunque ciò che deve essere provato non è la intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza;

- che l’insieme degli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri;

- che l’interdittiva non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là della individuazione delle responsabilità penali, cosicchè anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi per supportare la misura interdittiva.

Muovendo da tali necessarie premesse, il Collegio ritiene che nella fattispecie in esame la adozione della misura interdittiva nei confronti della società appellante sia senz’altro giustificata sulla base dei molteplici elementi indiziari richiamati del provvedimento del Prefetto.

Secondo quanto prospettato nell’atto di appello e ribadito nei successivi atti difensivi, la sentenza di primo grado sarebbe censurabile principalmente sotto i seguenti profili:

a) per avere ritenuto, in difetto di prove, che l’Istituto di vigilanza, pur con il trasferimento della titolarità formale ad altri, fosse rimasto di fatto “in termini di reale assetto della proprietà societaria” dei f B;

b) per non aver tenuto conto che i procedimenti penali per associazione mafiosa nei quali i f B erano stati coinvolti si erano conclusi con il loro proscioglimento;

c) per aver ritenuto -con riferimento al procedimento penale per corruzione avviato nel 2008 nei confronti dei f B e di un consigliere regionale relativamente alla locazione di immobili alla Regione Campania da parte della società Europa Immobiliare appartenente agli stessi f B -che tale vicenda fosse sintomatica di una vicinanza dei B con soggetti della criminalità organizzata, atteso che il suddetto consigliere regionale era risultato collegato con il Clan Misso, senza però considerare che detto Clan si era estinto nel 2005-2006;

d) per non aver tenuto conto che la vicenda penale che ha visto coinvolti i f B con il consigliere regionale per la locazione di immobili della società Europa Immobiliare alla Regione attiene a un fatto di corruzione e non ha alcuna matrice camorristica.

Orbene, ad avviso del Collegio nessuno dei rilievi anzidetti riveste consistenza tale da incidere sulla legittimità della interdittiva prefettizia, e ciò per le considerazioni che seguono.

In ordine al primo motivo, il collegio osserva che, in base a quanto si evince dal verbale del G.I.A – Gruppo Ispettivo Antimafia del 25.3.2010 (richiamato nella inerdittiva prefettizia), i f B hanno continuato a gestire in prima persona l’Istituto di vigilanza. Ciò è affermato concordemente in tutte le informative degli organi di investigazione e nelle note provenienti dalla Questura ( vedi nell’ordine: missiva della Questura all’Ufficio antimafia del 19.3.2008;
lettera della Questura al Prefetto del 4.7.2008;
informativa del G.I.C.O. della Guardia di Finanza del 29.5.2008;
informativa del Gruppo Carabinieri di Castello di Cisterna del 3.6.2008;
relazione del Comitato Interforze del 4.2.2009).

Infatti. i dati che emergono dagli atti anzidetti dimostrano:

- che le dimissioni dagli incarichi e la cessione di quote societarie nel corso dell’anno 2008 sono state indotte dalle recenti vicissitudini giudiziarie e ripropongono una vecchio metodo già praticato in passato dai f B per continuare a gestire l’istituto di vigilanza attraverso un prestanome (come avevano già fatto con l’istituto di vigilanza Europolice);

- che di fatto è intervenuto il trasferimento della sola proprietà azionaria mentre “i diritti e gli obblighi” sono rimasti in capo ad uno dei f B;

- che la proprietà dell’immobile sede dell’Istituto è rimasta a B Felice il quale ha regolarizzato il rapporto di locazione con l’attuale titolare solo dopo la notifica dell’avviso di apertura del procedimento finalizzato alla applicazione di un “provvedimento di rigore”;

- che l’operazione di cessione delle quote è stata fittizia, essendo avvenuta senza esborso di propri capitali da parte del cessionario.

In ordine al secondo motivo, il collegio osserva che è bensì vero che i f B (A e C) sono stati assolti dalla imputazione di associazione mafiosa con sentenza del Tribunale di Nola del 29.3.2002, ma in questa si dava nondimeno atto dei loro “rapporti con noti esponenti della criminalità”, ed erano definiti “uomini disonesti e privi di scrupoli”;
e, tenuto conto degli indirizzi giurisprudenziali richiamati in premessa, deve ritenersi corretto il provvedimento prefettizio laddove ha considerato rilevante nella ricostruzione del quadro indiziario la contiguità con esponenti della criminalità segnalata nella sentenza sopracitata.

Sul terzo motivo il collegio osserva che la circostanza, secondo cui il Clan Misso –al quale sarebbe stato affiliato un soggetto con il quale il consigliere regionale avrebbe avuto rapporti finanziari- risultasse estinto già negli anni 2005-2006 (come riconosciuto dalla decisione del GUP di Napoli 2009/2009 e dalle relazioni del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’operato della DIA relative al secondo semestre 2008 e al primo semestre 2009), non esclude che l’Autorità prefettizia, chiamata ad adottare la misura interdittiva, potesse dare rilievo a episodi di contiguità con tale associazione criminale, anche se attualmente non più operante sul territorio, e che potesse trarre da detti episodi, anche se risalenti nel tempo, il convincimento di una propensione ai contatti con ambienti della criminalità.

Va in ogni caso rilevato che l’impostazione difensiva dell’appellante Istituto pretende di attribuire un valore decisivo, nel presente giudizio, alla prova della avvenuta estinzione del Clan Misso, quando invece il riferimento ad esso costituisce uno dei tanti elementi indiziari sui quali si fonda la interdittiva prefettizia.

Con l’ultimo motivo di gravame si sostiene che l’asserito condizionamento mafioso non potrebbe essere comprovato dalle vicende relative alla locazione degli immobili di Europa Immobiliare alla Regione Campania, che pure è stata considerata nella sentenza di primo grado come il “cuore” della interdittiva, trattandosi di vicenda priva di “matrice camorristica”, per la quale non è stata contestata l’aggravante dell’art.7 L. n.203/1991:

Ma anche questo ulteriore rilievo è privo di pregio.

Invero né la sentenza di primo grado, né tantomeno la interdittiva prefettizia hanno preteso di collocare la vicenda in un contesto di criminalità camorristica, avendo invece inteso con essa riportare alla attenzione i rapporti intercorsi tra i f B e un soggetto considerato in qualche modo collegato con ambienti della criminalità organizzata, rapporti che ritornavano di attualità a seguito dell’indagine avviata per l’episodio corruttivo concernente la locazione degli immobili alla Regione.

A tutto questo si deve aggiungere che i motivi di gravame sopra esaminati e le altre doglianze con le quali si imputa alla Autorità prefettizia di non aver tenuto conto di altre situazioni ed eventi che dimostrerebbero, in ultima analisi, la mancanza di condizionamenti da parte delle organizzazioni criminali, non scalfiscono minimamente il quadro indiziario che è emerso dalla poderosa istruttoria posta alla base della interdittiva, e che rende del tutto attendibili le conclusioni cui essa è pervenuta.

In conclusione,l’appello va respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del presente grado di giudizio tra le parti in causa, considerata anche l’assenza di attività difensiva da parte dell‘Amministrazione.



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