Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-02-15, n. 201300915
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N. 00915/2013REG.PROV.COLL.
N. 05653/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5653 del 2005, proposto da:
L A, rappresentato e difeso dagli avv. A M C, A C, con domicilio eletto presso Tuccari Francesco Fabrizi Liberal Srl in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Comune di San Pietro Vernotico, rappresentato e difeso dall'avv. G M, con domicilio eletto presso Paolo Vittorio Lelli in Roma, p.zza Apollodoro N.26;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 02799/2004, resa tra le parti, concernente sanzione pecuniaria per opere realizzate in assenza di concessione edilizia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Lipani (su delega di Alessandra Cursi) e G M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione di Lecce, la signora L, attuale appellante, agiva per l’annullamento della nota a firma del Dirigente dell’Area Tecnica Urbanistica avente ad oggetto “sanzione pecuniaria” per opere realizzate in assenza di concessione edilizia a carico della signora L A notificata in data 11 giugno 2013.
A seguito di presentazione della istanza tesa ad ottenere la concessione edilizia per la esecuzione di lavori di cambio di destinazione d’uso e modifiche al piano terra con sopraelevazione al piano primo, il Comune di San Pietro Vernotico rilasciava alla istante in data 3 marzo 2003 concessione edilizia;successivamente in data 22 aprile 2003 al Comune perveniva nota della Direzione Provinciale del Lavoro con cui si comunicava che in data 21 marzo 2003 il Servizio Vigilanza Ispezione del Lavoro di Brindisi aveva effettuato un sopralluogo presso il cantiere oggetto dei lavori da realizzare, verificando l’esecuzione di lavori edilizi senza regolare concessione edilizia. A seguito di tale nota, l’amministrazione apprendeva che l’istante L aveva intrapreso ed eseguito i lavori in data precedente il rilascio della concessione.
L’amministrazione comunale irrogava la sanzione pecuniaria ex art. 13 l.47 del 1985 per le opere realizzate in assenza di concessione edilizia, ponendo a carico della L l’importo di euro 3.630,77 sul presupposto che in data 21 marzo 2003, prima del rilascio della concessione edilizia, gli Ispettori del Lavoro di Brindisi avevano accertato l’inizio dei lavori oggetto del successivo assenso edilizio.
Con il ricorso dinanzi al T l L, attuale appellante, con un primo motivo di ricorso deduceva l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato, perché non individuava il tipo di sanzione applicata e perché, avendo richiesto il doppio del contributo della concessione (così come previsto dal citato art. 13), questa sarebbe in contraddizione con la validità ed efficacia della concessione del 3 marzo 2003;si deduceva inoltre che l’accertamento di conformità va fatto su impulso di parte, che nella specie era mancato.
Il giudice di prime cure respingeva tale censura, sulla base dell’applicazione del ragionevole principio di conservazione dell’attività giuridica, in quanto l’amministrazione aveva inteso conservare l’efficacia della concessione edilizia rilasciata in data 3 marzo 2003, aggiungendo alla stessa la sanzione ex art. 13, qualificando l’assenso complessivamente rilasciato come emesso ai sensi del medesimo articolo.
Veniva rigettato altresì il motivo di censura consistente nella violazione dell’art. 7 della l.n.241 del 1990, sia perché la parte era a conoscenza dell’accertamento eseguito dalla Direzione Provinciale del Lavoro, circostanza taciuta al Comune, sia perché il procedimento era ad istanza di parte, sia perché la collaborazione del privato nulla avrebbe potuto aggiungere, in quanto il Comune avrebbe al massimo potuto annullare la concessione edilizia e disporre la demolizione delle opere e l’istante avrebbe a tal punto presentare la domanda ai sensi dell’art. 13 su citato, con il conseguimento dei medesimi effetti ai quali si è pervenuti.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la stessa signora L, deducendo i seguenti motivi, in sostanza riproponendo i medesimi motivi già respinti in primo grado.
Deduce che il Comune non ha mai effettuato accertamenti in ordine alla effettiva esistenza e natura dell’abuso, limitandosi a prendere per buoni e validi gli accertamenti dell’amministrazione del Lavoro, non competente a svolgere accertamenti di abusi edilizi;il Comune non ha mai adottato una ordinanza di sospensione dei lavori abusivi;non ha mai adottato un ordine di demolizione dei lavori abusivamente realizzati;la dottoressa L non ha mai presentato una istanza volta all’accertamento in conformità del presunto abuso ai sensi dell’art. 13.
Nella specie non si era in presenza di una mera irregolarità procedimentale, ma di un vero inadempimento sostanziale.
Non era possibile adottare una ordinanza di demolizione o una sanzione pecuniaria in assenza dell’accertamento dell’abuso.
Per altro, gli accertamenti non sono stati effettuati dagli organi competenti, ma prendendo a far parte della istruttoria attività di un organo (gli uffici del Ministero del Lavoro) per legge deputato ad altra attività, senza una vera verifica del Comune.
Con l’appello si ripropone anche l’altro motivo rigettato in prime cure, riguardante la omessa partecipazione, sostenendo che nella specie la partecipazione avrebbe proprio potuto consentire alla interessata di dimostrare l’inesistenza dell’abuso alla data del 21 febbraio 2003 e quindi la legittimità della concessione rilasciata in data 3 marzo 2003.
Si è costituito il Comune di San Pietro Vernotico, che deduce in via preliminare l’inammissibilità dell’appello, in quanto sono stati proposti motivi nuovi rispetto a quelli fatti valere in prime cure;nel merito chiede rigettarsi l’appello, ribadendo la legittimità del suo operato amministrativo.
Alla udienza pubblica del 5 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, va affrontata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune. L’appello deduce in ordine al fatto che non sono stati compiuti i dovuti accertamenti sulla effettiva esistenza e natura dell’abuso edilizio, che non è mai stata adottata ordinanza di sospensione dei lavori né ordine di demolizione;che l’interessata non ha mai presentato istanza diretta a sanare l’abuso.
L’eccezione di inammissibilità in ordine alla asserita novità dei motivi di appello va rigettata.
Infatti, in senso complessivo, tutte le questioni svolte e riportare dall’appellata, al fine di dedurne la novità in appello – mancato accertamento sull’abuso, mancanza di ordini di sospensione o demolizione, mancanza di domanda di sanatoria – sono tutti argomenti trattati dal primo giudice che, sulla base dell’accertamento del Ministero del Lavoro, trasmesso al Comune, ha desunto la legittimità della sanzione pecuniaria in danno dell’interessata, ritenendo che a quel punto la domanda di concessione edilizia doveva essere intesa come domanda ai sensi del citato articolo 13.
L’appello è comunque da rigettare nel merito.
In linea di principio deve ricordarsi che in base al principio dell'economia dei mezzi giuridici, se l'amministrazione riscontra vizi nel modus procedendi, che non travolgono l'intero procedimento ma coinvolgono solo singole fasi, legittimamente può far ricorso alla regola cardine della conservazione degli atti validi e di conseguenza, può limitare l'esercizio dell'autotutela agli atti effettivamente incisi dalle accertate illegittimità e, quindi, circoscrivere la rinnovazione del procedimento alle sole fasi viziate e a quelle successive, conservando l'efficacia dei precedenti atti legittimi del procedimento (tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4257).
Nella specie, l’amministrazione ha ritenuto che l’istante intendesse la sua domanda come volta all’accertamento di conformità in sanatoria.
Era emerso: l’inizio dei lavori sine titulo;la possibilità di conformità dal punto di vista urbanistico;la mancanza dell’interesse pubblico prevalente a invalidare la concessione ma piuttosto la convenienza, anche per l’istante, a sanarla, con la consequenziale sanzione pecuniaria, che pure viene contestata.
Nella specie, dall’attività complessiva dell’amministrazione si desume un atto di assenso in sanatoria.
In realtà il Comune ha adottato una sanzione pecuniaria con conservazione della concessione rilasciata, ritenendo che non vi era alcun interesse pubblico prevalente alla rimozione dell’atto concessorio precedente.
L'esercizio del potere di annullamento d'ufficio di un titolo edilizio, che paradossalmente la parte appellante invoca contro i suoi interessi, deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati (così, Consiglio di Stato sez. III, 9 maggio 2012, n. 2683).
In realtà il Comune ha adottato una sanzione pecuniaria con conservazione della concessione rilasciata, ritenendo che non vi era alcun interesse pubblico prevalente alla rimozione dell’atto concessorio precedente.
E’ infondato anche il motivo di appello relativi ai doveri di partecipazione.
L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge;pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l' abuso , di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.
In linea di principi, l'avviso di avvio del procedimento non è dovuto nel caso di procedimento volto all'irrogazione della sanzione della demolizione di costruzione eseguita senza alcun titolo, od attinente ad abusi che non necessitano di particolari valutazioni discrezionali, ma comportano un mero accertamento di natura tecnica sulla consistenza delle opere.
D’altra parte, nella specie, la parte istante era a conoscenza dell’inizio dei lavori prima del rilascio della concessione, così come degli accertamenti dei competenti uffici della Direzione Provinciale del Lavoro, sicchè nessun apporto collaborativo avrebbe potuto realmente apportare.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza;le spese sono liquidate in dispositivo.