Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-29, n. 202211543

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-29, n. 202211543
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211543
Data del deposito : 29 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/12/2022

N. 11543/2022REG.PROV.COLL.

N. 03386/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3386 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato J L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Treviso, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. III, del -OMISSIS-, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Prefettura di Treviso di rigetto dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare ex art. 103, comma 1, del decreto legge n. 34/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Treviso;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Cons. G F e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 7 luglio 2020, la signora -OMISSIS- ha presentato alla Prefettura di Treviso domanda di emersione dal lavoro irregolare subordinato, ex art. 103, comma 1, del d.l. n. 34/2020, convertito in l. n. 77/2020, in favore del cittadino albanese signor -OMISSIS-.

2. In replica al preavviso di rigetto ex art. 10 bis, l. n. 241/1990 inviato ad entrambi dalla Prefettura il 26 agosto 2021 (ricevuto a mezzo posta il 13 settembre 2021), sulla base del parere negativo della locale Prefettura per la sussistenza a carico dello straniero di una condanna del 4 giugno 2013 del Tribunale di Perugia, inflitta per violazione dell’art. 110 c.p. e dell’art. 73, comma 1 bis, del d.l. n. 309/1990 (concorso nel reato di detenzione illecita e spaccio di stupefacenti), con l’attenuante del successivo comma 5, il difensore del predetto ha esposto, con memoria del 30 settembre 2021 che, trattandosi di condanna emessa su accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., con sospensione condizionale della pena, l’interessato aveva intenzione di chiedere la declaratoria di estinzione dei reati ascritti o la riabilitazione al giudice penale, e ha chiesto, quindi all’Amministrazione di attendere tale pronuncia. Trattasi, in particolare, di sentenza con la quale il signor -OMISSIS-ha riportato una condanna alla pena di mesi cinque, giorni 10 di reclusione ed euro 1.334,00 di multa.

3. Con provvedimento del 27 ottobre 2021, notificato il 25 novembre 2021, la Prefettura di Treviso, rilevata l’inadeguatezza degli elementi rappresentati come sopra, ha rigettato la domanda di regolarizzazione sul preminente motivo costituito dalla sussistenza della predetta sentenza di condanna ai sensi dell’art. 110 c.p. e dell’art. 73, comma 1 bis, del d.l. T.U. sull’immigrazione.

4. Con memoria del 23 dicembre 2021, l’avvocato del signor -OMISSIS-ha chiesto la revoca in autotutela del provvedimento di rifiuto, rappresentando che in pari data era stata inoltrata al Tribunale di Perugia la preannunciata domanda di dichiarazione di estinzione dei reati addebitati con la condanna, l’unica riportata dall’interessato, e che, stante il decorso di otto anni dalla pronuncia e l’entità e modalità di esecuzione della pena, prevedeva avrebbe avuto un esito favorevole.

5. Con ricorso proposto innanzi al Tar Veneto, il signor -OMISSIS-ha impugnato il provvedimento di rigetto, domandandone l’annullamento, previa sospensiva, deducendo la violazione dell’art. 5, comma 5, del T.U. sull’immigrazione, il difetto di istruttoria, di motivazione e l’eccesso di potere, nonché la violazione della direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare, dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 8 C.E.D.U. Il rifiuto si sarebbe basato unicamente sulla condanna riportata in materia di stupefacenti, senza tener conto né del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso e della richiesta di estinzione dei reati ascritti con la condanna, né della durata del soggiorno sul territorio nazionale, del suo rapporto con una figlia che sarebbe presente in Italia, né del suo inserimento sociale e lavorativo.

6. Con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., del -OMISSIS-, il Tar Veneto (Sezione Terza) ha giudicato legittimo il provvedimento elevato nei confronti dello straniero e ha respinto il ricorso, venendo in rilievo la condanna per una tipologia di reato che la speciale disciplina di cui al d.l. n. 34 del 2020 considerata ostativa in via assoluta, senza che rilevino tenuità della pena o lievità del reato.

7. Con appello notificato il 12 aprile 2022 e depositato il successivo 22 aprile, il signor -OMISSIS-ha impugnato la sentenza n. -OMISSIS-, chiedendone l’annullamento previa sospensiva, riprospettando le censure del primo grado in chiave critica rispetto alla sentenza gravata, ravvisando, in aggiunta, la violazione dell’art. 74 c.p.a. e carenza di presupposti per l’emissione della sentenza breve;
il divieto di interpretazione analogica con il diritto penale.

8. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e l’Ufficio territoriale del Governo della Prefettura di Treviso senza esperire difese scritte.

9. Con ordinanza del -OMISSIS-, è stata accolta l’istanza cautelare, per un adeguato approfondimento nel merito delle censure prospettate.

10. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Oggetto della controversia è il provvedimento della Prefettura di Treviso che ha rigettato la domanda di emersione dal lavoro irregolare avanzata, ex art. 103, comma 1, del d.l. n. 34/2020, in favore del cittadino albanese -OMISSIS- in quanto condannato, con sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., del Tribunale di Perugia del 7 giugno 2013 per il concorso ex art. 110 c.p. nel reato di illecita detenzione e spaccio di stupefacenti di cui all’art. 73, comma 1 bis, d.P.R. n. 309/1990, alla pena di mesi 5, giorni 10 di reclusione e 1.334,00 euro di multa, con sospensione condizionale della pena.

2. Preliminarmente, il Collegio ritiene di non dover accogliere l’istanza di rinvio della trattazione del merito della causa e di dover scrutinare il motivo di appello con il quale lo straniero ha dedotto che la sentenza impugnata sarebbe viziata per violazione dell’art. 74 c.p.a., in quanto trattasi di doglianza che, ove fondata, comporterebbe la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a. Si lamenta infatti che i giudici del Tar Veneto avrebbero reso una sentenza breve in carenza dei presupposti richiesti, deducendone un vizio funzionale del contraddittorio da cui sarebbe derivata una lesione del diritto di difesa.

La difesa dell’appellante, oltre a paventare delle anomalie organizzative nelle modalità di comunicazione dell’avviso relativo alla riserva del Collegio giudicante di pronunciarsi con sentenza breve e a rappresentare di non aver conferito al collega che lo ha sostituito alla camera di consiglio in cui è stata trattata la causa, ha contestato la decisione dei primi giudici di risolvere la controversia con decisione in forma semplificata per incompletezza dell’istruttoria, dovuta al fatto che non era ancora intervenuta la già richiesta di dichiarazione di estinzione al giudice penale.

Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che le cause ostative alla sentenza breve enunciate dall’art. 60 c.p.a. sono tassative e sono: il difetto del contraddittorio e la non completezza dell’istruttoria, il cui accertamento è rimesso al prudente apprezzamento del Collegio decidente e non alla volontà delle parti, non potendo queste “disporre come vogliono - in ragione di un malinteso senso del c.d. principio dispositivo - del funzionale e sollecito andamento del giudizio, informato ai valori del giusto processo e della ragionevole durata di questo (art. 111 Cost.)… il rito previsto dall’art. 60 c.p.a. non ha natura consensuale (Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2018, n. 178) e…nemmeno la mancata comparizione delle parti costituite all’udienza cautelare può impedire al Collegio di trattenere la causa in decisione per emettere sentenza in forma semplificata (Cons. St., sez. III, 7 luglio 2014, n. 3453)…”;
nonché la dichiarazione della parte circa la volontà di proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione (Cons. Stato, Sez. III, n. 7045/2021).

Nella caso in esame, non si è verificata alcuna di queste cause;
anticipando quanto si dirà, i primi giudici, rilevato che la richiesta di declaratoria dell’estinzione del reato è stata inoltrata al giudice dell’esecuzione del Tribunale di Perugia solo dopo la notifica del provvedimento di diniego impugnato, hanno ritenuto che, quand’anche tale dichiarazione fosse intervenuta, non avrebbe esplicato effetti retroattivi ed inficiato la legittimità dell’atto adottato, in quanto basato sulla situazione esistente in quel tempo;
con ciò hanno escluso, nel loro prudente apprezzamento, che la predetta dichiarazione avesse valore dirimente sul piano istruttorio.

Inoltre, il verbale d’udienza del 9 febbraio 2022 dà conto della presenza degli avvocati di entrambe le parti e dell’avviso del Presidente della possibile definizione della causa con sentenza in forma semplificata, senza che ne seguisse alcuna dichiarazione della volontà nei termini previsti dal citato art. 60 c.p.a. Altresì la sentenza ivi impugnata dà conto che le parti sono state sentite ai sensi dell’art. 60 c.p.a. e che sono stati ravvisati i presupposti per la definizione della controversia con sentenza in forma semplificata.

In questo quadro, non rilevano né il supposto mancato consenso del difensore dell’appellante – non richiesto dalla normativa – né eventuali limiti posti sul punto al sostituto nel corso dei contatti privati.

Circa poi le critiche sollevate sul piano delle modalità organizzative e all’allusione ad una inidonea fase preliminare, è sufficiente ricordare che il Protocollo d’intesa del 2021, prorogato con il d.P.C.S. n. 187/2022, ha soppresso espressamente le chiamate preliminari. Ciò è ribadito nei decreti recanti l’indicazione delle fasce orarie di trattazione delle cause che, peraltro, vengono pubblicati sul sito istituzionale della Giustizia amministrativa il giorno prima delle udienze, assicurandosi, così, la presenza di tutte le parti costituite. Ciò è quanto avvenuto anche per la camera di consiglio del 9 febbraio 2022 della Sezione Terza del Tar Veneto, in cui è stata trattata la causa promossa dall’appellante.

Il motivo non può dunque trovare accoglimento.

3. Passando al merito, i giudici di prime cure hanno respinto il ricorso rilevando che l’interessato ha lamentato la violazione dell’art. 5, comma 5, del T.U. sull’immigrazione, mentre avrebbe dovuto dedurre la violazione dell’art. 103, del d.l. n. 34/2020, essendo in contestazione il rifiuto dell’accoglimento della domanda di emersione di cui all’eccezionale normativa introdotta dall’art. 103 del d.l. n. 34/2020. Altresì, il Tar ha rilevato che, in base a detto decreto, l’atto impugnato non avrebbe potuto essere diverso, ricorrendo una condanna in materia di stupefacenti di per sé ostativa alla regolarizzazione dello straniero, senza che rilevino la tenuità della pena e la lievità della specifica figura di reato. Nemmeno rilevano, secondo il primo giudice, la sospensione condizionale della pena o l’eventuale dichiarazione di estinzione che, peraltro, nella specie, è stata richiesta dal ricorrente all’autorità giudiziaria penale dopo la notifica del provvedimento negativo, con la conseguenza che la sua sopravvenienza non avrebbe mai potuto inficiare l’atto, essendo stato adottato sulla base della situazione giuridica allora esistente.

Nell’appello in esame, ferme le censure dedotte nel primo grado, l’appellante ha addotto ulteriori argomentazioni.

In particolare, lo straniero ha contestato l’automatismo ostativo fatto discendere dalla circostanza che la pena edittale prevista per il reato commesso dall’appellante rientra nell’art. 381 c.p.p., richiamato dall’art. 103, comma 10, lett. d), d.l. 34/2020 e, dunque, ha lamentato una illegittima applicazione analogica della normativa penale. Al contrario, l’Amministrazione e il primo giudice avrebbero dovuto verificare nel concreto la pericolosità sociale dell’istante, condannato per la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, senza giungere alla conclusione per cui, rientrando la penale edittale della condanna riportata dallo straniero nei limiti di cui all’art. 381 c.p.p., lo stesso dovesse essere considerato automaticamente pericoloso.

Tale censura, oltre ad essere inammissibile in quanto proposta in violazione del divieto dei nova in appello, è infondata.

Invero, il rigetto della richiesta di emersione dal lavoro irregolare è stato fatto discendere dalla circostanza che la condanna riportata dall’interessato ha ad oggetto un reato “inerente gli stupefacenti”, la quale preclude la regolarizzazione della posizione dello straniero, indipendentemente dall’entità della pena irrogata e ciò per il grave disvalore che il legislatore (v. art. 103, comma 10, lett. c), d.l. 34/2020) attribuisce “a monte” ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica. Pertanto, in presenza di condanne per reati in materia di stupefacenti non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’Amministrazione, che è obbligata a dare immediata applicazione al disposto normativo.

Aggiungasi che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 277 del 2014, ha sottolineato - sia pur con considerazioni inerenti all’art. 4, comma 3, del T.U. sull’immigrazione ma che, stante l’identità testuale e della ratio sottesa, possono essere estese alle procedure di cui al d.l. n. 34/2020 - che “nel delineare le condizioni ostative collegate al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno in dipendenza di condanne penali (...) la scelta del legislatore è stata quella di dar vita ad un sistema “bipartito” basato sulla enucleazione di due criteri concorrenti di natura composita. Il primo, di tipo misto, riferito ai casi per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza;
(...) L’altro paradigma, del tutto peculiare, riferito non già ad una rassegna quantitativa, basata sulla pena, né ad una indicazione qualitativa fondata su specifiche fattispecie delittuose, ma calibrato in funzione di “tipologie” di reati, individuati ratione materiae e raggruppati, per così dire, all’interno di complessi normativi delineati solo attraverso il richiamo ai relativi “settori di criminalità”. La disamina delle “materie” evocate dalla normativa in questione (che riflette anche specifici impegni internazionali derivanti da convenzioni o trattati o normativa di rango comunitario) dimostra come sia evidente l’intendimento del legislatore di assumere a paradigma ostativo la specifica natura del reato, riposando la sua scelta su una esigenza di conformazione agli impegni di “inibitoria” riguardanti determinati settori reputati maggiormente sensibili. Ne deriva, quindi, che l’introduzione di un modello di tipo esclusivamente “quantitativo”, fondato, cioè, sulla gravità in concreto del fatto e sulla sanzione applicabile, si tradurrebbe non tanto in una pura e semplice deroga all’automatismo quanto nella creazione di un “sistema” del tutto nuovo – diverso e alternativo – rispetto a quello prefigurato dal legislatore”.

Pertanto, ciò che risulta determinante nel caso di specie è che lo straniero sia stato raggiunto da condanna per un reato inerente agli stupefacenti e, dunque, trattandosi di ostatività per tipologia di reato e non per gravità del fatto, è del tutto irrilevante il richiamo dell’appellante all’art. 381 c.p.p., all’entità della pena effettivamente irrogata, nonché alle modalità di esecuzione di questa e ai benefici premiali accordati.

L’automatismo previsto dal citato art. 103, comma 10, viene eccezionalmente meno solo ove si riscontrino legami familiari dello straniero nel nostro Paese;
in tal caso, l’Amministrazione ha il potere-dovere di accertare in concreto se sussistano i presupposti e i requisiti stabiliti all’art. 5, comma 5, del T.U. sull’immigrazione, in combinato disposto con l’art. 29 - ma applicabili anche alle procedure ex d.l. n. 34/2020 per la già richiamata identità di ratio - e, in caso positivo, deve operare un bilanciamento tra l’interesse pubblico all’ordine e alla pacifica convivenza dei cittadini e al diritto alla tutela familiare riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria (anche se non come assoluto), con l’avvertenza tuttavia che deve trattarsi di legami che danno titolo ad una domanda di ricongiungimento familiare;
deve quindi trattarsi di soggetti appartenenti alle categorie indicate al citato art. 29 e che versino nelle condizioni ivi previste e i rapporti devono risultare solidi, seri ed effettivi.

Nel caso in esame, oltre alla circostanza che gli asseriti legami familiari non sono stati portati all’attenzione della Prefettura di Treviso neanche in sede di osservazioni al c.d. preavviso di diniego, è dirimente la circostanza che gli stessi sono stati dedotti in sede giudiziale in termini laconici e contraddittori. Invero, nel ricorso di primo grado si allude al rapporto con una figlia, allegando però i documenti di due donne adulte, senza specificarne il supposto grado di parentela e le condizioni in cui versano;
nell’appello, invece, si deduce un rapporto familiare con una sorella e la madre, riproducendo la documentazione già allegata in prime cure, dal quale si evidenzia uno stato di famiglia e di residenza nel quale l’appellante non figura e una dichiarazione di ospitalità risalente al 2019.

Non risulta, pertanto, provata l’effettiva esistenza di legami familiari nel territorio nazionale, sicché anche sotto il profilo dell’asserito mancato bilanciamento della condanna ostativa con la situazione familiare dell’interessato, il provvedimento impugnato risulta immune da censure, senza che la situazione lavorativa rappresentata sia in grado da sola di poter scalfire il giudizio negativo opposto all’interessato.

Con un ulteriore motivo di gravame, l’appellante ha dedotto che l’Amministrazione avrebbe violato l’art. 10 bis, l. n. 241/1990, non avendo fornito le doverose motivazioni relative alla memoria depositata a seguito del preavviso di rigetto.

Anche tale motivo non merita accoglimento.

Invero, quanto alla situazione familiare, si rimanda a quanto suddetto in ordine alla mancata conoscenza dell’Amministrazione di legami familiari, i quali risultano anche in tale sede semplicemente asseriti e non provati;
quanto all’istanza di dichiarazione di estinzione del reato e di riabilitazione, valga quanto segue.

In punto di fatto, va chiarito che dalla documentazione prodotta dallo straniero, sia in primo grado che in appello, è emerso che nell’ambito del procedimento presso la Prefettura di Treviso lo straniero, dopo aver preannunciato, nella memoria ex art. 10 bis, l. n. 241/1990, che avrebbe chiesto la riabilitazione o dichiarazione di estinzione dei reati per i quali è stato condannato nel 2013, vi ha provveduto, in effetti, solo dopo la notifica del rifiuto e nello stesso giorno in cui ha domandato la revoca dell’atto adottato;
ciò è quanto esposto nella memoria del 23 dicembre 2021.

Allo stato degli atti, quindi, l’Amministrazione, come correttamente evidenziato dal primo giudice, a fronte della condanna per un reato di detenzione e spaccio, anche se di lieve entità, e non potendo basarsi su ipotetici giudizi prognostici di parte, non poteva che emanare un diniego, dando comunque conto degli elementi forniti in replica al preavviso di rigetto, reputati, però, inadeguati. Ciò esclude la lamentata violazione dell’art. 10 bis, l. n. 241/1990.

Esaminando, invece, la situazione attuale, risulta dagli atti che lo straniero ha ottenuto la declaratoria di estinzione del reato in data 9 febbraio 2022.

Ritiene il Collegio che tale circostanza non possa essere valorizzata in tale sede, neanche a fini del riesame della posizione dell’appellante.

Invero, come già chiarito dalla Sezione (19 luglio 2022, n. 6260) la procedura straordinaria di emersione dal lavoro irregolare, prevista dal d.l. n. 34/2020, è limitata ad una determinata finestra temporale ed è connotata da specifici presupposti ai fini della sua attivazione, e ciò toglie argomenti all’applicabilità dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998 nella parte in cui dà rilievo ai “sopraggiunti nuovi elementi”.

In altri termini, la domanda di emersione ex art. 103, d.l. n. 34/2020 poteva essere presentata dal 1° giugno 2020 al successivo 15 agosto. Trattasi, dunque, di una procedura che richiedeva, per poter procedere alla sanatoria, il possesso di determinatati requisiti ad un preciso periodo temporale, sicché non possono assumere rilevanza tutte quelle circostanze sopravvenute all’arco temporale preso in considerazione dalla citata normativa.

In ogni caso, giova ricordare che la dichiarazione di estinzione del reato lascia sempre inalterato in capo alla pubblica amministrazione il proprio potere discrezionale in ordine al controllo sulla concreta pericolosità sociale dello straniero istante e ciò perché l’applicazione di tale istituto in sede penale soggiace a valutazioni, finalità e criteri diversi da quelli che presiedono le procedure amministrative in parola che, dunque, non sono in alcun modo vincolate dalle prime.

Per analoghe considerazioni, deve essere respinta l’istanza di rinvio depositata da parte appellante in data 26 ottobre 2022 in attesa che il Tribunale di Sorveglianza di Venezia si pronunci sull’istanza di riabilitazione presentata in data 7 settembre 2022. Invero, anche qualora il Tribunale si pronunciasse favorevolmente all’interessato, tale decisione, in quanto sopravvenuta alla già citata finestra temporale, non potrebbe incidere in alcun modo sull’esito del procedimento amministrativo conclusosi con il provvedimento ivi impugnato.

In definitiva, la sentenza impugnata va quindi esente da censure, poiché il provvedimento della Prefettura non poteva che essere di diniego, stante la sussistenza di un reato ostativo, sia pur di carattere tenue e l’assenza di vincoli familiari e stante, altresì, l’inidoneità degli elementi opposti in sede giudiziale a vincere la perentorietà del meccanismo preclusivo ricollegato ex lege al reato per il quale è stato condannato lo straniero.

4. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.

L’assenza di difese scritte da parte delle Amministrazioni appellate giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.

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