Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-03-20, n. 201201558
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N. 01558/2012REG.PROV.COLL.
N. 01542/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1542 del 2007, proposto da:
WBM - World Brokerage and Management s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati M P, N P, A M, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Filippo Corridoni, 14;
contro
CONSOB - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avv. M L, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Bocca di Leone, 78;
Banca d’Italia, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati M M, A Frisullo, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Nazionale, 91;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA, SEZIONE I, n. 10736/2006, resa tra le parti, concernente RISARCIMENTO DANNI PER MANCATA AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO DI SERVIZI DI INVESTIMENTO MOBILIARE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2012 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti gli avvocati M P, Luciani e Frisullo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio respingeva (a spese compensate) il ricorso n. 5650 del 2005, proposto dalla WBM - World Brokerage and Management s.r.l. in liquidazione nei confronti della CONSOB - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa e della Banca d’Italia per sentirle condannare al risarcimento dei danni (esposti negli importi di euro 11.879.273,09 per lucro cessante, di euro 250.000,00 per danno emergente e di euro 5.000.000,00 per danno morale) subiti come conseguenza del provvedimento n. 1078180 del 16 ottobre 2001 della CONSOB, con il quale era stata respinta l’istanza della ricorrente, presentata il 4 dicembre 2000, volta al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle attività di investimento aventi ad oggetto strumenti finanziari (in particolare, dei servizi di negoziazione per conto terzi, nonché di gestione, ricezione e trasmissione di ordini ) ex art. 1, comma 5, lett. b), d) ed e), d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 ( Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria ), e all’iscrizione all’albo delle società di intermediazione mobiliare (SIM) di cui all’art. 20, comma 1, d. lgs. n. 58 del 1998, sul presupposto che non risultava “ (…) garantita la sana e prudente gestione così come previsto dall’art. 19, comma 2, del d. lgs. n. 58/1998 (…) ” (v. così, testualmente, il provvedimento di diniego).
Il menzionato provvedimento di diniego era stato annullato dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza n. 4187/2003 del 14 maggio 2003, confermata – seppure con diversa motivazione quanto al computo dei termini procedimentali – dal Consiglio di Stato (Sezione Sesta) con decisione n. 7257/2004 del 10 novembre 2004, con la motivazione che sull’istanza di WBM si era ormai formato il silenzio-assenso, sicché era venuto meno il potere della CONSOB di provvedere in modo espresso sull’istanza.
A fondamento della pretesa risarcitoria, WBM assumeva che l’illegittima adozione del provvedimento di diniego di autorizzazione e la mancata iscrizione all’albo delle SIM, in violazione del diritto soggettivo perfetto ormai acquisito in esito alla formazione del silenzio-assenso, le avrebbero di fatto impedito di esercitare l’attività costituente l’oggetto sociale fino a provocare la propria messa in liquidazione.
L’adito Tribunale amministrativo regionale escludeva ogni effetto pregiudizievole in relazione al periodo anteriore al 16 ottobre 2001 (data di adozione del provvedimento di diniego), per essere la ricorrente fino a tale momento stata titolare di un’autorizzazione tacita, e per il resto fondava la pronuncia di rigetto sul duplice rilievo
(i) dell’assenza di colpa in capo alle autorità resistenti (CONSOB e Banca d’Italia) con riferimento alla novità e oggettiva controvertibilità della questione dell’incidenza temporale della richiesta del parere obbligatorio della Banca d’Italia sul procedimento autorizzatorio (questione, risolta nel giudizio impugnatorio in maniera difforme rispettivamente in primo e in secondo grado), e
(ii) del concorso del comportamento colposo della stessa ricorrente nella produzione degli effetti pregiudizievoli per aver la stessa, già in data anteriore al deposito della sentenza di primo grado pronunciata nell’ambito del giudizio annullatorio, sua sponte modificato lo statuto sociale in modo tale da far venir meno i requisiti occorrenti all’iscrizione nell’albo delle SIM.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello la ricorrente soccombente, censurando l’erronea esclusione dell’elemento soggettivo della colpa e l’erronea valorizzazione, in danno di essa appellante, della modifica dello statuto sociale e della perdita dei requisiti d’iscrizione all’albo, che “ (…) non sono la prova, come sembrerebbe voler affermare il TAR, di non aver subito un danno ma, al contrario, sono proprio la manifestazione esterna dei gravissimi danni subiti dalla stessa WBM (…) ” (v. così, testualmente, il ricorso in appello). L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta in primo grado.
3. Si costituivano in giudizio le appellate autorità (CONSOB e Banca d’Italia), contestando l’ammissibilità e la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
4. All’udienza pubblica del 17 gennaio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato, talché si può prescindere dall’esame dell’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla CONSOB sub specie di omessa impugnazione di tutte le motivazioni autonomamente sufficienti a sorreggere la gravata sentenza e di contraddittoria impostazione difensiva quanto all’individuazione dei poteri/doveri facenti capo alla CONSOB e rispettivamente della Banca d’Italia nell’ambito del procedimento autorizzatorio e alla richiesta di condanna solidale ex art. 2055 Cod. civ.
5.1. Giova premettere, in via pregiudiziale di rito, che la statuizione escludente ogni effetto pregiudizievole (e, dunque, qualsiasi danno risarcibile) in relazione al periodo anteriore al 16 ottobre 2001 non è stata investita con uno specifico motivo di gravame, con conseguente correlativa formazione del giudicato endoprocessuale, e che, sulla base di un’interpretazione sistematica dell’impugnata sentenza, il rilievo motivazionale di cui sopra sub 1.(ii), contrariamente a quanto adombrato dall’odierna appellante, non costituisce un mero obiter , bensì un elemento intrinseco della ratio decidendi , rappresentando una ragione autonomamente sufficiente a suffragare la pronuncia di rigetto.
5.2. Nel merito, rileva il Collegio che l’appello deve essere disatteso sulla base del rilievo assorbente dell’inconfigurabilità di un nesso eziologico tra provvedimento di diniego illegittimo e conseguenze illecite dannose fatte valere dall’odierna appellante con l’azione risarcitoria. L’illegittimità del provvedimento di diniego era stata acclarata dalle citate sentenze n. 4187/2003 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio e n. 7257/2004 di questa Sezione sotto il profilo della consumazione del potere autorizzatorio in conseguenza della formazione del silenzio-assenso per decorso dei termini legali di conclusione del procedimento, comprensivi del periodo di sospensione per l’acquisizione del parere obbligatorio della Banca d’Italia.
Il suindicato nesso causale deve, invero, ritenersi spezzato dal comportamento dell’originaria ricorrente e odierna appellante, successivo all’emanazione dell’annullato provvedimento di diniego, che ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, Cod. civ. porta ad escludere l’imputabilità delle dedotte conseguenze dannose all’azione amministrativa illegittima delle autorità resistenti odierne appellate.
Infatti, WBM nell’ambito del giudizio impugnatorio, introdotto con ricorso n. 14868 del 2001 dinanzi al Tribunale amministrativo per il Lazio (e definito con le sopra richiamate sentenze n. 4187/2003 e n. 7257/2004), peraltro non preceduto da alcun invito all’adozione di provvedimenti di autotutela, nel ricorso introduttivo aveva, bensì, richiesto l’adozione dei “ (…) provvedimenti cautelari più idonei (…) ” in considerazione della circostanza che “ (…) la CONSOB non aveva il potere di denegare l’autorizzazione, in quanto si era già formato il silenzio-assenso (…) ” (v. così, testualmente, la domanda cautelare formulata nel ricorso introduttivo del 6 dicembre 2001, notificato il 7 dicembre 2001), ma all’udienza camerale del 23 gennaio 2002, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, vi aveva rinunciato.
Indi WBM, con delibera dell’assemblea straordinaria del 15 febbraio 2002, ha volontariamente modificato oggetto, denominazione, capitale e ragione sociale, trasformandosi da società per azioni in società a responsabilità limitata e prevedendo quale nuovo oggetto sociale la prestazione di servizi di consulenza delle imprese nei settori amministrativo, gestionale e finanziario e la realizzazione, in immobili a propria disposizione, di day office (circostanze pacifiche e suffragate dalla documentazione versata in giudizio;v., in particolare, visura camerale), in tal modo precludendosi essa stessa, a soli quattro mesi dall’adozione del provvedimento di diniego, lo svolgimento dell’attività di intermediazione mobiliare.
Pertanto l’odierna appellante, anziché azionare, dapprima con invito all’autotutela, e poi con istanza cautelare propulsiva ( ex art. 23- bis , comma 1, lett. d) , e comma 5, l. n. 1034 del 1971, come modificato dalla l. n. 205 del 2000, applicabile ratione temporis al presente giudizio), il titolo abilitativo formatosi per silenzio-assenso, onde iniziare l’attività ambita in attesa della definizione del giudizio di merito, ha omesso qualsiasi diffida stragiudiziale per poi rinunciare di propria iniziativa sia all’istanza cautelare – la quale, sulla base di un giudizio prognostico ex ante (peraltro, confermato ex post dall’esito annullatorio del giudizio di merito), era avvalorata da consistenti elementi di fumus boni iuris –, sia, dopo neppure un mese dall’udienza camerale, alla stessa attività oggetto dell’istanza di autorizzazione, senza che siffatto comportamento, stragiudiziale e processuale, fosse strettamente consequenziale, e latere WBM, al provvedimento illegittimo.
Priva di pregio è la deduzione difensiva al riguardo svolta dall’appellante, secondo cui la stessa, pur avendo a seguito del silenzio-assenso acquisito il diritto soggettivo all’esercizio dell’attività di intermediazione, in mancanza dell’iscrizione nell’albo delle SIM comunque non avrebbe potuto esercitare l’attività. Infatti, il provvedimento impugnato aveva ad oggetto non solo il diniego di autorizzazione, ma anche il diniego di iscrizione all’albo, sicché l’ambito oggettivo della misura cautelare richiesta – e poi rinunciata – si estendeva anche a tale profilo di tutela. Identico rilievo vale per l’ordine di eliminare dalla ragione sociale la locuzione “SIM”, pure contenuto nell’impugnato provvedimento di diniego.
Si aggiunga che la nota inoltrata dalla CONSOB a WBM in data 7 agosto 2003 (ossia, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado n. 4187/2003), avente ad oggetto una richiesta di conferma delle risultanze della visura camerale da cui emergeva la modifica sociale e la messa in liquidazione di WBM, costituisce atto di verifica preliminare della persistenza dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione e per l’iscrizione all’albo, in funzione dell’attuazione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, impedita ab imis dalla conferma delle risultanze predette pervenuta con lettera di risposta WBM del 15 settembre 2003, sicché non è configurabile neppure un’eventuale condotta delle autorità resistenti lesiva della sentenza annullatoria di primo grado.
Alla luce di quanto sopra esposto e sulla base di un giudizio causale di tipo ipotetico, ritiene il Collegio che i danni lamentati – esposti in euro 11.879.273,09 per lucro cessante da mancati ricavi pro futuro dall’esercizio dell’attività d’impresa oggetto dell’istanza autorizzatoria, euro 250.000,00 per danno emergente da perdite di esercizio subite in attesa dell’inizio dell’attività, ed euro 5.000.000,00 per danni morali – con somma verosimiglianza sarebbero potuti essere evitati in caso di tempestiva reazione stragiudiziale e cautelare nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso adottato dalla CONSOB e di mancata rinuncia spontanea all’esercizio dell’attività d’impresa.
Né si vede, come i dedotti danni possano in eventu essere riferiti al ristretto lasso di tempo intercorrente tra il 16 ottobre 2001 (data del provvedimento illegittimo di diniego) e il 23 gennaio 2002 (data dell’udienza camerale fissata per la trattazione dell’istanza cautelare ivi rinunciata dalla ricorrente), attesa l’incompatibilità in astratto della parte preponderante delle esposte voci di danno con siffatta imputazione temporale e difettando comunque qualsiasi concreto elemento probatorio che possa sorreggere una tale ipotesi ricostruttiva, tanto più se si considera che la previsione di sviluppo aziendale prodotta da WBM a corredo dell’istanza di autorizzazione a suo tempo presentata alla CONSOB aveva previsto, per il primo anno di esercizio, una perdita di euro 33.934,00 (v. p. 14 del ricorso in appello e i documenti ivi richiamati).
In conclusione, una valutazione complessiva e globale del comportamento tenuto dalle parti nell’ambito del rapporto amministrativo dedotto in giudizio conduce ad escludere la riconducibilità causale delle dedotte conseguenze dannose al provvedimento illegittimo di diniego, attesa la dirimente efficienza eziologica al riguardo spiegata dal mancato utilizzo di adeguati strumenti di tutela (non implicanti rilevanti costi e oneri e dunque senz’altro esigibili) da parte di WBM, i quali, secondo un criterio di ordinaria diligenza e alla luce di un giudizio ipotetico causale, sarebbero stati idonei a evitare le dedotte conseguenze dannose, in una alla rinuncia spontanea, affatto necessitata, all’attività d’impresa oggetto dell’istanza di autorizzazione, a pochi mesi dall’adozione del provvedimento illegittimo di diniego. Alla luce della gravità degli effetti lesivi denunciati, l’evidenziata condotta dell’odierna appellante implica, invero, una chiara violazione degli obblighi cooperativi che gravano sul creditore danneggiato secondo la previsione di cui all’art. 1227, comma 2, Cod. civ. (oggi recepita, in via generale, dall’art. 30 Cod. proc. amm. e, in materia di appalti, dagli artt. 124 Cod. proc. amm. e 243- bis d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163;v. sul punto, in fattispecie analoghe, Cons. Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3;V, 29 novembre 2011, n. 6296), sicché, seppure con integrazione della relativa motivazione, s’impone la conferma della statuizione sub 1.(ii).
5.3. L’esclusione del nesso causale tra dedotte conseguenze dannose e provvedimento illegittimo di diniego impedisce l’ingresso delle altre questioni, essendo detta esclusione autonomamente sufficiente a sorreggere la pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria cui è pervenuto il Tribunale amministrativo regionale.
6. Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.