Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-02, n. 202302220
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 02/03/2023
N. 02220/2023REG.PROV.COLL.
N. 08293/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8293 del 2020, proposto da -OMISSIS- rappresentato e difeso dagli avvocati F L e G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. -OMISSIS- resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2023 il Cons. S F;
Uditi gli avvocati G P e F L;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio, -OMISSIS- ha chiesto al TAR per la Toscana l’annullamento del decreto ministeriale n. 0043325-2018/40613/DS14, emesso il 26.06.2018 dal Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con il quale veniva disposta la destituzione del ricorrente dal Corpo di polizia penitenziaria, nonché degli ulteriori atti allo stesso preordinati.
Deduceva lo-OMISSIS-:
- di aver prestato servizio nel corpo di polizia penitenziaria sino al decreto che ha sancito la sua destituzione dal servizio a seguito di sentenza del Tribunale penale di -OMISSIS- il quale, pur dichiarando prescritti i reati di cui al capo di imputazione (relativi a falso in atto pubblico e truffa ai danni dello Stato per aver egli beneficiato di un altissimo numero di permessi retribuiti per la partecipazione a commissioni comunali fittiziamente costituite a tale scopo), nella motivazione ha espresso considerazioni inerenti la verosimiglianza dei fatti che ne stavano alla base;
- che il procedimento disciplinare era tardivo perché intrapreso dopo la scadenza del termine di 120 dalla pubblicazione della sentenza;
- che l’Amministrazione non aveva disposto l’assunzione delle prove testimoniali richiesta a discarico;
- che la sentenza penale si basava su mere congetture non aventi valenza di accertamento giurisdizionale che l’Amministrazione avrebbe acriticamente recepito senza nemmeno tenere conto delle risultanze processuali a discarico;
-che la sentenza aveva messo in dubbio la genuinità dei verbali delle commissioni alle quali egli avrebbe partecipato sempre sulla base di mere ipotesi rimaste non verificate e del fatto che l’Amministrazione, nel recepirne la motivazione, avrebbe commesso lo stesso errore;
- che l’Amministrazione aveva disposto la destituzione anche sulla scorta di capi di imputazione afferenti il falso in atto pubblico che lo stesso giudice penale avrebbe dichiarato infondati derubricandoli a fattispecie delittuose di minore gravità.
L’Amministrazione intimata si costituiva e contrastava il ricorso.
Con la sentenza in epigrafe indicata il TAR ha rigettato il ricorso, sulla base dei seguenti rilievi:
- non sussiste tardività del procedimento disciplinare atteso che il termine di 120 giorni per la relativa iniziativa non decorre dalla pubblicazione della sentenza ma dalla sua integrale e formale conoscenza da parte dell’Amministrazione (restando quindi irrilevanti precedenti trasmissioni informali o incomplete);
- la motivazione della sentenza penale e la deliberazione del Consiglio di disciplina si fondano sul fatto che il numero di permessi fruiti (733 giorni in cinque anni) non trova nessun riscontro in una concreta attività svolta dalla commissione edilizia comunale la quale, nell’arco temporale indicato, non risulta aver esitato alcuna pratica, così da risultare del tutto fittizia;
- risulta irrilevante ogni disquisizione sulla genuinità dei verbali prodotti, atteso che anche laddove i componenti della commissione si fossero effettivamente riuniti non lo avrebbero fatto per attendere a scopi istituzionali ma per dare corpo ad una apparenza costituita per fini illeciti;
- risulta quindi irrilevante il fatto che il funzionario istruttore non abbia ammesso le prove testimoniali richieste dal ricorrente sull’effettivo svolgimento delle riunioni della commissione;
- risulta anche irrilevante il fatto che nella contestazione degli addebiti siano stati richiamati i reati di falso, posto che dalla motivazione del Consiglio di disciplina la destituzione proposta si fonda sull’uso distorto ai fini di truffa di una commissione comunale che in anni di presunta frenetica attività non ha esitato alcuna pratica.
Il TAR rigettava altresì la censura, addotta dallo-OMISSIS- con atto di motivi aggiunti, secondo cui il procedimento disciplinare avrebbe violato il principio del ne bis in idem; invero, il precedente procedimento disciplinare a cui ha fatto riferimento la parte (relativo ad assenze ingiustificate e conclusosi con