Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-05-26, n. 202104061

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-05-26, n. 202104061
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104061
Data del deposito : 26 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/05/2021

N. 04061/2021REG.PROV.COLL.

N. 09013/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9013 del 2020, proposto da -OISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio eletto presso lo studio Studio Corrias Lucente in Roma, via Sistina, n. 121;

contro

Ministero dell'Interno, Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, non costituiti in giudizio;
Ufficio Territoriale del Governo Caserta, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. -OISSIS-, resa tra le parti, concernente l’annullamento del provvedimento di rigetto della domanda di iscrizione in White list dell'UTG di Caserta del -OISSIS- e degli atti preordinati, connessi e conseguenziali.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo Caserta;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2021 svoltasi in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25, comma 1, D.L. 28 ottobre 2020, n. 37, il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e presenti, ai sensi di legge, mediante deposito di note di udienza, gli Avvocati delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso al TAR per la Campania, sede di Napoli, n.r.g. -OISSIS-, la società ricorrente ha impugnato il provvedimento della Prefettura di Caserta del -OISSIS- che rigettava l'istanza per l'iscrizione in White list, all’esito del procedimento avviato in data -OISSIS-, nonché gli atti istruttori presupposti.

2.- Con la sentenza in epigrafe, il TAR ha rigettato il ricorso e compensato le spese di giudizio tra le parti.

Il TAR ha ritenuto che il termine di 90 giorni di cui dispone il Prefetto per pronunciarsi sulla domanda di iscrizione in Whit list è ordinatorio e non sussiste la violazione del giusto procedimento.

Il diniego di iscrizione è retto dagli stessi principi delle informative antimafia e si fonda su presupposti analoghi;
pertanto, è possibile desumere tentativi di ingerenza mafiosa da indizi gravi precisi e concordanti, anche risalenti nel tempo, quali quelli riscontrati nella fattispecie, qualora non siano rinvenuti elementi nuovi, idonei a dimostrare un effettivo cambiamento e il venir meno del pericolo di infiltrazione mafiosa.

3.- Con l’appello in esame, la società ricorrente lamenta l’erroneità e ingiustizia della sentenza di cui chiede la riforma.

4.- Si è costituita in giudizio la Prefettura di Caserta chiedendo il rigetto dell’appello.

5.- Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2021, la causa, a seguito di scambio di memorie, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.

2.- La ricorrente deduce, con il primo motivo, la violazione della l. 241/90, dell’art. 1, co. 53 e 54 della l. 190/2012 e dell’art. 3

DPCM

2013, artt. 78 e ss. del Cod. antimafia, il difetto di motivazione e di istruttoria, la violazione degli artt. 97 e 41 della Costituzione.

2.1.- Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 6 della CEDU in relazione alla ragionevole durata del processo e al principio della certezza della pena, di necessaria applicazione nel caso di procedimenti di fatto sanzionatori come quello in esame.

Il procedimento non è stato concluso entro 90 giorni, come dispone l’art. 3,

DPCM

18.04.2013;
anzi, il lungo tempo trascorso (-OISSIS-) non può essere senza significato, né si può far ricadere sul privato l’ulteriore onere di esperire il “rimedio processuale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a”, come sostenuto dal giudice di primo grado.

2.2.- Col terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 52, della L. 190/2012 e del

DPCM

18.4.2013, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 del D.lgs. n. 159/2011.

Il provvedimento di diniego di iscrizione alla White list è stato motivato con riferimento alla normativa applicabile ai provvedimenti interdittivi e, segnatamente, all’art. 91 del D.lgs. n. 159/2011, nonostante la chiara ed evidente differenza tra i due provvedimenti.

2.3.- Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e ss. del D.lgs. n. 159/2011 e della L. 190/2012, contraddittorietà, irragionevolezza e illogicità manifesta, arbitrarietà, sviamento di potere, assoluto difetto di istruttoria, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 41 Cost..

Le conclusioni cui è giunto il TAR circa i fatti narrati dalla Prefettura non rispetterebbero il principio di attualità e si tratterebbe di questioni, comunque, senza alcun rilievo ai fini antimafia. Inoltre, i fatti non hanno mai avuto alcun rilievo giudiziario, neanche minimo, e sono stati ritenuti irrilevanti dalla Procura che ha a suo tempo indagato nell’ambito dell’inchiesta “-OISSIS-”, tanto che nessun componente della -OISSIS-, né ieri né oggi, è mai stato indagato e destinatario di alcun avviso di garanzia dagli -OISSIS- all’attualità, men che meno di sentenze di alcun genere (a differenza di altre imprese di settore citate nel provvedimento).

Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia non sono mai state riscontrate né confermate dalla Procura.

Il provvedimento è chiaramente sintomatico della forzatura su circostanze in cui si fa riferimento ad espressioni e/o circostanze che non sono con certezza attribuibili a -OISSIS- e che, anzi, sono confondibili con fatti riferibili ad altri soggetti.

La società ricorrente non avrebbe mai fornito -OISSIS-, né per i lavori -OISSIS-, né al -OISSIS-, ed ha dimostrato la propria estraneità dagli appalti relativi alle opere in questione;
tuttavia, il Tar ha ritenuto irrilevante tale deduzione.

La sentenza erroneamente ha ritenuto irrilevante il rilievo che nella -OISSIS- del provvedimento impugnato si sovrapporrebbero in modo non corretto la ricorrente -OISSIS- e la -OISSIS-, in quanto verrebbe attribuita alla prima la vendita di -OISSIS- che invece veniva fornito solo dalla seconda, e l’intercettazione riferita a “ -OISSIS- -OISSIS-” risulterebbe incomprensibile;
pertanto, mancherebbe del tutto il presupposto anche di “mero indizio” con riferimento a tale circostanza, stante la confusione del riferimento.

Non sarebbero condivisibili le conclusioni del TAR concernenti il fermo di polizia -OISSIS- e la riferibilità dei fatti rappresentati dal -OISSIS- all’-OISSIS-, in particolare l’accondiscendenza verso la condotta estorsiva.

La presunta mancata denunzia all’Autorità delle estorsioni subite da parte del -OISSIS-, diversamente da quanto si legge nella sentenza, non è un elemento tale da far ritenere applicabile l’art. 84, IV comma, del codice antimafia, visto che lo stesso si riferisce alle interdittive e non alle iscrizioni nella c.d. White list e, comunque, nella mera ipotesi in cui si dovesse applicare, non si sarebbe comunque concretizzata e tantomeno accertata la fattispecie di reato cui fa cenno l’art. 84, VI comma, cit., che richiede una maggiore complessità di fatti concomitanti, insussistenti nel caso di specie.

Peraltro, all’epoca dei fatti, non era il -OISSIS- -OISSIS- l’-OISSIS- né poteva esporre alcuna denunzia non essendovi state richieste estorsive;
a fronte di minacce più o meno velate, la -OISSIS- -OISSIS- si è sempre doverosamente rivolta ai Carabinieri, come emerge da una denuncia esibita in primo grado a firma del -OISSIS- -OISSIS-.

Sul decreto di fermo del P.M. (n. -OISSIS-), la ricorrente evidenzia che all’epoca il -OISSIS- -OISSIS- ed il -OISSIS- furono sentiti dalla P.G. e dichiararono che le cambiali non onorate riguardavano clienti inadempienti. Per le -OISSIS-, si agì in sede civile per il pagamento delle stesse, anche con azioni esecutive e pignoramenti come dimostrato agli atti.

2.4.- Con riferimento all’ulteriore motivazione del diniego (il ritrovamento di liste di imprenditori soggiacenti in un’indagine -OISSIS- - sulla base della dicitura “--OISSIS-” non sarebbe possibile, per la genericità del riferimento, desumere che si sia trattato di -OISSIS- -OISSIS- della -OISSIS- e non del -OISSIS- della “-OISSIS-”, pure operante in -OISSIS-.

2.5.- Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e ss. del D.lgs. n. 159/2011 e della L. 190/2012, l’eccesso di potere per errore sui presupposti, l’illegittimo utilizzo di documentazione non più attuale, il difetto di motivazione, l’arbitrarietà e sproporzione, la violazione dell’art. 41 Cost..

Mancano del tutto indagini atte a dimostrare l’attualità del giudizio di una possibile infiltrazione mafiosa;
la Prefettura prima e il Giudice poi, nulla hanno accertato sulla attuale situazione dell’impresa, su frequentazioni, su quanto possa oggi costituire pregiudizio secondo la normativa antimafia.

2.6. - Con il sesto e settimo motivo, la ricorrente deduce la medesima censura di cui ai precedenti motivi, il difetto di istruttoria e di motivazione, la violazione del principio di proporzionalità, la violazione della circolare del Ministero Interni del 27 marzo 2018.

La ricorrente critica l’indirizzo giurisprudenziale che, per un verso, giustifica l’emissione dell’informativa sulla base della formula, di derivazione civilistica, del “più probabile che non”, concetto matematico (50% +1) che deve essere ancorato ad elementi certi ed indicati;
mentre, per altro verso, ritiene sufficiente anche uno solo degli elementi indiziari tipicamente ricorrenti per ritenere sussistente la presunzione, in palese contraddizione anche con l’art. 3 Cost.

Sul punto, recentissimamente, la Corte di Cassazione con sentenza n° -OISSIS-, ha avuto modo di chiarire che la ragionevole probabilità, però, non deve essere intesa in senso statico (probabilità quantitativa) ma logico (probabilità logica), ossia considerando tutte le circostanze del caso concreto, con la conseguenza che la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata. In altre parole, è necessario effettuare un giudizio controfattuale rispetto agli elementi da cui si desume la conseguenza probabilistica.

Nella specie, si è trattato di fatti irrilevanti e non certo attuali: motivazione e istruttoria non sono stati sufficienti.

2.7.- Con l’ottavo e nono motivo di appello, la ricorrente contesta le medesime violazioni sotto ulteriori profili, la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., la violazione dell’art. 117 Cost. in riferimento alla violazione dell’art. 1 del protocollo addizionale CEDU, la violazione degli artt. 13 e 25 Cost., la violazione del principio di legalità e/o prevedibilità dei presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione, la violazione e falsa applicazione del criterio probabilistico in materia di polizia e ancora la violazione dei principi CEDU.

Secondo un indirizzo più garantista, è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come "tentativo di infiltrazione mafiosa" e ad una nozione tecnica di tale fattispecie, affermando al riguardo che il c.d. tentativo di infiltrazione mafiosa si concreta nel tentativo da parte di un cd. soggetto mafioso o presunto tale o anche "presunto mafioso per contiguità" di condizionare le scelte di una società o di un'impresa. Quanto all'elemento soggettivo occorre che l'attività sia diretta in modo non equivoco al raggiungimento dello scopo (C.G.A. n. -OISSIS-).

Manca del tutto, nel caso di specie, la motivazione degli elementi specifici che consentono di comprendere il “concreto pericolo di infiltrazione”, così rendendo arbitrario ed illegittimo il provvedimento impugnato che si basa su semplici sospetti inidonei a fondare un giudizio probabilistico e nemmeno una mera “possibilità” di condizionamento.

2.8.- Con il decimo motivo, la società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 87 e ss. del codice antimafia, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà, la motivazione carente, la violazione dell’art. 3 della l. 241/1990.

Il TAR ha erroneamente rigettato la censura proposta con i motivi aggiunti.

La circostanza che l’istruttoria disposta non abbia fatto emergere “alcun rilievo nuovo” a carico della odierna appellante è la dimostrazione della carenza di istruttoria disposta dalla Prefettura di Caserta.

Sia il Nucleo di Polizia Tributaria, ma soprattutto la DIA, hanno adottato “atti liberatori” di cui il verbale del Gruppo Interforze non tiene per nulla conto;
il Prefetto si è adagiato completamente sulle conclusioni del Gruppo interforze, senza una autonoma espressione di volontà.

2.9.- Con ultimo motivo, la ricorrente solleva questione di costituzionalità degli artt. 89 bis, 91 e 94 codice antimafia per violazione degli artt. 3, 24, 27, 41, 42 e 97 Cost.

L’interdittiva prefettizia è ben più afflittiva delle misure di prevenzione applicate dell’autorità giudiziaria ed ha una maggiore pervasività, di fatto “non scade” e, oltre alla libertà di impresa, l’interdittiva prefettizia tocca anche quei valori della persona che riguardano onore, dignità e la stessa agibilità sociale, peraltro con forti limitazioni del sindacato giurisdizionale.

La ricorrente richiama i principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. -OISSIS- in materia di misure di prevenzione onde sottolineare che l’interpretazione della normativa in materia di antimafia sarebbe in contrasto con la libertà di iniziativa economica garantita dalla Costituzione (art. 41 Cost.), con la garanzia della libertà personale e con i valori tutelati dalle norme della costituzione rubricate.

3.- Il Collegio premette che, ai sensi dell’art. 1, comma 52, della legge n. 190 del 2012, per le attivita' imprenditoriali (di cui al comma 53) che il legislatore indica come “maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa”, la comunicazione e l'informazione antimafia liberatoria da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, è obbligatoriamente acquisita dalle stazioni appaltanti attraverso la consultazione, anche in via telematica, dell’apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori istituito presso ogni Prefettura e che all’'iscrizione nell'elenco si applica l' articolo 92, commi 2 e 3 , del codice antimafia, di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011.

La Prefettura è tenuta ad effettuare verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell'impresa dall'elenco.

3.1.- L'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (cd. White list) è disciplinata dagli stessi principi che regolano l'interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione (Consiglio di Stato sez. III, -OISSIS-).

Questa Sezione ha chiarito che le disposizioni relative all'iscrizione nella cd. White list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia (-OISSIS-).

3.2.- Anche in relazione al diniego di iscrizione nella White list - iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata - il Prefetto ha l'obbligo di pronunciarsi in via espressa sulla domanda di iscrizione presentatagli dall'impresa interessata, valutando discrezionalmente la sussistenza o meno del tentativo di infiltrazione mafiosa.

In questo senso, milita il tenore dell'art. 3, commi 2 e 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013, aggiornato dal successivo d.p.c.m. 24 novembre 2016, che così dispone:

"2. L'iscrizione è disposta dalla Prefettura competente all'esito della consultazione della Banca dati nazionale unica se l'impresa è un soggetto ivi censito ed è possibile rilasciare immediatamente l'informazione antimafia liberatoria ai sensi dell'art. 92, comma 1, del Codice antimafia. La Prefettura comunica il provvedimento di iscrizione per via telematica ed aggiorna l'elenco pubblicato sul proprio sito istituzionale ai sensi dell'art. 8.

3. Qualora dalla consultazione della Banca dati nazionale unica risulti che l'impresa non è tra i soggetti ivi censiti ovvero gli accertamenti antimafia siano stati effettuati in data anteriore ai dodici mesi ovvero ancora emerga l'esistenza di taluna delle situazioni di cui agli articoli 84, comma 4, e 91, comma 6, del Codice antimafia, la Prefettura competente effettua le necessarie verifiche, anche attraverso il Gruppo interforze di cui all'art. 5, comma 3, del decreto del Ministro dell'interno 14 marzo 2003. Nel caso in cui sia accertata la mancanza delle condizioni previste dall'art. 2, comma 2, la Prefettura competente, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, adotta il provvedimento di diniego dell'iscrizione, dandone comunicazione all'interessato. Il diniego dell'iscrizione è altresì comunicato ai soggetti di cui all'art. 91, comma 7 bis, del Codice antimafia. Diversamente, la Prefettura competente procede all'iscrizione dell'impresa. La Prefettura competente conclude il relativo procedimento nel termine di novanta giorni a decorrere dalla data di ricevimento dell'istanza di iscrizione".

4.- In fatto, va rilevato che la -OISSIS-, il cui rappresentante è -OISSIS- -OISSIS-, -OISSIS- di -OISSIS-, è una società che opera nel settore del -OISSIS-, inserito dal Legislatore (art. art. 1, co. 53, l. 190/2012) tra i settori particolarmente a rischio di infiltrazioni mafiose.

Il provvedimento impugnato è motivato con riguardo alle specifiche risultanze della relazione redatta dal Gruppo Interforze in data -OISSIS-, e confermata successivamente all’esame delle osservazioni prodotte dalla ricorrente, da cui risulta che:

-nella sentenza “-OISSIS-” n. -OISSIS- della Corte d’Assise, II sez., di -OISSIS- del -OISSIS- vengono riportate alcune testimonianze rese da -OISSIS- sul conto della società e della -OISSIS- -OISSIS-, secondo cui “ già negli -OISSIS- (la stessa) lavorava grazie all’intercessione del -OISSIS- che ripartiva le commissioni di maggiore entità sia tra i -OISSIS- che le altre società di -OISSIS- riconducibili a ….Tutti i citati poi assicuravano all’organizzazione la comoda percezione di una percentuale su ogni lavoro loro assegnato o -OISSIS- a titolo estorsivo”;

-dall’o.c.c. del GIP di Napoli del -OISSIS- è emerso che -OISSIS- -OISSIS-, -OISSIS- della società ricorrente, versava periodicamente somme a titolo estorsivo alla -OISSIS-, senza aver mai denunciato;

-nel decreto di fermo del PM n. -OISSIS- n.r.g., emesso dalla DDA di Napoli il -OISSIS-, emerge che a titolo estorsivo -OISSIS- sono state date alla società ricorrente da -OISSIS- e -OISSIS-, affiliati alla -OISSIS-, per il pagamento di forniture di -OISSIS- ricevute per la propria attività -OISSIS-;

-nel decreto di fermo del P.M. nr. -OISSIS-, emesso dalla DA di Napoli il -OISSIS-, sono riportate due liste rinvenute all’-OISSIS-, sulle quali erano trascritti i nomi delle attività commerciali della città di -OISSIS-, verosimilmente a libro paga, tra le quali risulta la -OISSIS- -OISSIS-.

4.1.- Il provvedimento prefettizio, poi, controdeduce specificamente alle osservazioni presentate dalla ricorrente ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/1990, concludendo nel senso della rilevanza degli elementi indiziari riferiti dalle Forze investigative, sintomatici di permeabilità a forme di condizionamento dell’attività imprenditoriale.

5.- La sentenza appellata ha rigettato le censure mosse dalla società ricorrente con argomentazioni, condivise dal Collegio, che le critiche svolte con l’atto di appello in esame non hanno inficiato.

6.- Sul termine per la conclusione del procedimento e sugli effetti pregiudizievoli della sua eccessiva durata, si concorda sulla considerazione che, in assenza di una norma che qualifichi espressamente come perentorio il termine di conclusione del procedimento, la violazione di quest’ultimo non comporta la consumazione del potere in capo all’Autorità procedente e la conseguente illegittimità del provvedimento adottato tardivamente.

Il TAR si è soffermato a considerare che l’interessato potrebbe attivarsi avverso l’inerzia amministrativa attraverso gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, senza che ciò possa considerarsi equivalente all’imposizione di un “onere” ulteriore in capo al richiedente.

Né potrebbe assimilarsi il termine per la conclusione del procedimento in questione con il termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio, non avendo la misura interdittiva, né il diniego di iscrizione in White list, natura giuridica di “sanzione” in senso tecnico e neppure “di fatto”, trattandosi piuttosto dell’esito di un accertamento del possesso da parte dell’imprenditore che aspira a contrattare con la pubblica amministrazione del fondamentale requisito di impermeabilità al pericolo di ingerenze mafiose.

Non è pertinente, pertanto, il richiamo alle garanzie previste nel procedimento amministrativo di natura sanzionatoria, in particolare circa la durata del procedimento.

Vale la pena ricordare che in questa materia la Corte UE, riconoscendo la specialità del procedimento finalizzato all’adozione delle informative antimafia, del tutto diverso da quello sanzionatorio, ha ritenuto, perfino, che l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale non costituisce un vulnus al principio di buona amministrazione, perché il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa può soggiacere a restrizioni che "rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi " (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata).

6.1.- Il terzo, sesto, settimo, ottavo e novo motivo di appello, che possono trattarsi congiuntamente per i vari profili connessi sottoposti al Collegio, non hanno pregio alla luce delle norme e della consolidata giurisprudenza già ricordata al precedente punto 3.1.

Va qui ribadito che l'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (cd. White List) è disciplinata dagli stessi principi che regolano l'interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione (Consiglio di Stato sez. III, -OISSIS-);
pertanto valgono le medesime regole normative e i principi interpretativi ripetutamente affermati dalla Sezione con riguardo alle informative antimafia.

6.2.- Quanto alla contestazione riferita alla ricostruzione dei fatti e al loro valore indiziante, secondo la regola del “più probabile che non”, nonostante si tratti di fatti risalenti nel tempo e che non hanno costituito oggetto di sentenze penali di condanna, il Collegio rinvia per brevità ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a. alla copiosa giurisprudenza di questa Sezione sull’argomento (Consiglio di Stato, sez. III, -OISSIS-).

In particolare, sul significato di questa regola di giudizio, quanto al grado di incisività probatoria rispetto alla regola opposta “dell'oltre il ragionevole dubbio”, fornisce elementi di chiarimento la pronuncia di questa Sezione -OISSIS-(al pari della analoga -OISSIS-).

In materia di interdittive antimafia, la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso, sulla base, oltre che della regola causale del "più probabile che non", anche dei dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso) e che risente della estraneità al sistema della prevenzione antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio.

Occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali - secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale - sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata;
d'altro lato, detti elementi non vanno considerati in modo atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Consiglio di Stato, sez. III, -OISSIS-).

E’ stato efficacemente affermato che la “ funzione di "frontiera avanzata" dell'informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi “(Consiglio di Stato, sez. III, -OISSIS-).

6.3.- Gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Consiglio di Stato, sez. III, -OISSIS- cit.;
-OISSIS-; -OISSIS-, -OISSIS-).

6.4.- Quanto alla possibilità di attribuire rilevanza a fatti risalenti nel tempo, va osservato che l'attualità dell’indizio (o del fatto di reato o del tempo dell’indagine penale) non è condizione richiesta dalla norma e che, anche sul piano logico, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell'attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (Consiglio di Stato sez. III, -OISSIS-;
-OISSIS-; id. -OISSIS-).

Con riguardo a tale profilo dell’attualità e concretezza del pericolo desumibile da fatti risalenti, il Collegio osserva che l'infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (Cons. Stato, Sez. III, n. -OISSIS-).

6.5.- Venendo al proprium della informativa oggetto di appello, non vi è dubbio che deve ritenersi confermata la completezza istruttoria, l'adeguatezza motivazionale e l'attendibilità delle conclusioni alle quali è pervenuta l'Amministrazione prefettizia, avuto riguardo:

- alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, considerate attendibili dalla Corte d’Assise di -OISSIS- e poste a fondamento della sentenza “-OISSIS-”, da cui risulta che il -OISSIS- aveva il controllo del territorio e spartiva i lavori negli --OISSIS- tra la società ricorrente e le altre -OISSIS- del settore -OISSIS- dell’-OISSIS-, dietro pagamento di pizzo (-OISSIS-), non rilevando, per quanto sopra detto, che nessuno dei componenti della società ricorrente sia stato condannato;

- all’o.c.c. n. -OISSIS- con la quale veniva disposta la custodia cautelare in carcere di numerosi esponenti dei -OISSIS- per un’estorsione aggravata dal contesto mafioso, avvenuta “-OISSIS- ai danni di -OISSIS- -OISSIS- “ -OISSIS- ” della società all’epoca dei fatti, il quale versava periodicamente somme di denaro a titolo estorsivo alla -OISSIS-, senza aver denunciato gli episodi estorsivi;
contrariamente a quanto sostiene l’appellante, trova applicazione anche all’iscrizione in White list l’art. 84 del d.lgs. 159/2011, che considera come sintomatica l’omessa denuncia di episodi estorsivi subita dalla Società e, inoltre, dalla relazione del Gruppo Interforze risulta che -OISSIS- -OISSIS- (-OISSIS-) ha poi acquistato dal -OISSIS- le altre quote sociali insieme al -OISSIS- (-OISSIS-), il -OISSIS-, e successivamente fino al -OISSIS- egli ha rivestito la carica di -OISSIS- -OISSIS-;

-al decreto di fermo del P.M. in data -OISSIS- (episodio estorsivo delle -OISSIS- date alla società ricorrente dai -OISSIS-) di cui si contesta il presupposto della fornitura di -OISSIS- (sia per i lavori -OISSIS-, che in favore del -OISSIS-) dichiarandosi l’estraneità agli appalti relativi alle opere in questione;
tuttavia, tale contestazione dell’appellante contrasta con le dichiarazioni rese da -OISSIS- -OISSIS- e -OISSIS- -OISSIS-, riportate nella -OISSIS- del provvedimento impugnato;

- al decreto di fermo del P.M. in data -OISSIS-, in cui sono riportate le liste coi nomi di attività commerciali di -OISSIS-, rinvenute all’-OISSIS-: dalla -OISSIS- del provvedimento si evince che sia l’esame diretto del documento, sia l’interrogatorio in data -OISSIS- del -OISSIS- non lasciano “ ragionevolmente dubitare ” che si tratti di “contabilità di entrate e uscite del gruppo di -OISSIS- del -OISSIS-” e tra i soggetti nei cui confronti venivano perpetrate estorsioni risulta anche “ -OISSIS-”;
la Relazione Interforze chiarisce che il riferimento non è generico, come contesta l’appellante, in quanto nel fermo la parte offesa è compiutamente identificata dalla P.G. operante ed avallata dall’AG in -OISSIS-, nato ad -OISSIS- il -OISSIS-, all’epoca -OISSIS- e non -OISSIS- della -OISSIS- -OISSIS-.

6.6.- Col quinto motivo di appello, la società lamenta il difetto del requisito di attualità non solo per la risalenza nel tempo degli episodi riferiti quali elementi indizianti, ma anche per l’assenza di accertamenti sulla attuale situazione dell’impresa, su frequentazioni, su quanto possa oggi costituire pregiudizio secondo la normativa antimafia.

Il Collegio, oltre le osservazioni già svolte al precedente punto 5.2, rileva che l’ultimo indizio valorizzato dal provvedimento impugnato è tratto dal decreto di fermo del PM n. -OISSIS- DDA Napoli e risale al -OISSIS-;
ma, altresì, va considerato che l’attualità del pericolo desunto dalla pluralità degli elementi indiziari raccolti permane fino a fatti nuovi ulteriori di segno contrario atti a dimostrare il discostamento dalla situazione precedentemente emersa.

La società è attualmente inserita nel medesimo contesto, operante nel medesimo settore, e ne fanno parte i medesimi soggetti (-OISSIS- -OISSIS- e -OISSIS-), mentre l’amministrazione -OISSIS- è affidata al -OISSIS-composto dal -OISSIS-, -OISSIS- -OISSIS- – -OISSIS- – dal -OISSIS- e da -OISSIS- (cfr.Visura Camera di Commercio, -OISSIS-).

Deve concludersi, in accordo con le valutazioni della Prefettura, che il quadro indiziario del pericolo di infiltrazioni delineato, per il contesto sociale e territoriale, lascia ragionevolmente presumere anche nell’attualità la vicinanza e il condizionamento della società ricorrente da parte delle organizzazioni criminali operanti nella zona, la cui forza intimidatrice è tristemente nota.

6.7.- Con riguardo alla contestazione mossa col decimo motivo di appello, non risponde al vero che la Prefettura si sia adagiata sulle risultanze del Gruppo Interforze senza tener conto degli “ atti liberatori ” sia il Nucleo di Polizia Tributaria, ma soprattutto della DIA.

Va rilevato, innanzitutto, che ai sensi dell’art. 93, D.lgs. 159/2011 per l'espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose, il Prefetto dispone accessi ed accertamenti nei -OISSIS- delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi dei gruppi interforze di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto del Ministro dell'interno 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 5 marzo 2004 e che la relazione acquisita, in esito agli accertamenti disposti, costituisce la base delle valutazioni prefettizie (art. 93, comma 3).

Inoltre, dagli atti della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) -OISSIS-, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, si evince che non v’è alcun elemento da segnalare “ oltre quelli già noti alla Prefettura ” (-OISSIS-).

6.8. - Infine, il Collegio non ritiene apprezzabili le argomentazioni svolte a sostegno della eccezione di incostituzionalità al fine di ritenerne la non manifesta infondatezza.

L’appellante richiama a sostegno della propria tesi la giurisprudenza della Corte Costituzionale riguardante le misure di prevenzione personali, che più volte si è pronunciata nel senso che l’autorità di pubblica sicurezza non può agire sulla base del mero arbitrio e, da ultimo, è intervenuta con la sentenza -OISSIS-, dichiarando costituzionalmente illegittimi l’art. 4, comma 1, lettera c) e l'art. 16 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui stabiliscono che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli artt. 20 e  24, si applichino anche ai soggetti indicati nell'art. 1, comma 1, lett. a).

La Corte ha ritenuto che la descrizione contenuta nella lett. a) citata («coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi»), anche se considerata alla luce della giurisprudenza che ha tentato sinora di precisarne l'ambito applicativo, non soddisfa le esigenze di precisione imposte dall'art. 42 Cost. e, in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., dall'art. 1 del Prot. addiz. CEDU per ciò che concerne le misure patrimoniali del sequestro e della confisca.

Il principio di legalità in materia di prevenzione, principio certamente sussistente anche in materia di documentazione antimafia, implicherebbe, ad avviso dell’appellante, che l’applicazione della misura, ancorché legata nella maggioranza dei casi ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in fattispecie di pericolosità previste e descritte dalla legge.

La disciplina antimafia, analogamente, sarebbe da ritenere costituzionalmente illegittima per insufficiente determinazione della fattispecie di “tentativo di infiltrazione mafiosa”.

6.9. - L’appellante opera un parallelismo non condiviso dal Collegio tra le misure di prevenzione patrimoniali, da un lato, e l’informativa antimafia e il diniego di iscrizione in White list, dall’altro.

Se per un verso tutta la giurisprudenza formatasi sull’argomento dell’informativa antimafia è ferma nel ripudio del mero sospetto come presupposto per l’adozione della stessa (principio questo che la Corte Costituzionale pone alla base della richiamata decisione concernente le misure di prevenzione patrimoniali);
tuttavia, ogni ipotesi di raffronto si arresta di fronte alla intrinseca diversità tra le fattispecie.

L’informativa, pur realizzando una misura di prevenzione in senso lato, in quanto soglia anticipata di tutela dell’ordinamento rispetto alle ingerenze della malavita organizzata nella gestione delle imprese che contrattano con lo Stato e gli enti pubblici, al fine evidente di non consentire alcuna forma di “sostegno” da parte dello Stato neppure indiretto agli affari illeciti dei clan mafiosi, tuttavia è misura finalizzata a produrre effetti nel limitato settore della capacità di agire dell’appaltatore quale soggetto contraente nei contratti pubblici (e/o nelle concessioni).

Né è appropriato l’uso dell’espressione, utilizzata dall’appellante, secondo cui l’informativa antimafia “comporta la morte dell’impresa”, essendo la limitazione circoscritta ai soli rapporti economici con la P.A., nulla impedendo all’imprenditore di continuare la propria attività nei rapporti con privati.

Al contrario, la misura di prevenzione colpisce il soggetto destinatario (e tra questi anche gli “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso”, a partire dalla L. n. 575 del 1965), raggiunto dal giudizio di pericolosità sociale, con l’imposizione di una serie di obblighi, di fare e di non fare, in varie forme restrittive della sua personalità, di carattere ben più esteso e penetrante, limitandone pesantemente la disponibilità di beni di proprietà o la libertà personale, di iniziativa economica, di circolazione e residenza, etc., e per tali ragioni sia la Corte EDU che la Corte Costituzionale hanno mostrato particolare attenzione ai requisiti di qualità della “base legale” della restrizione e alla tutela dei diritti fondamentali dei destinatari, che non possono essere esposti ad uno “spazio di incontrollabile discrezionalità” e che devono essere individuati come soggetti pericolosi sulla base di “elementi di fatto”, non in modo generico, giustificandosi, tra l’altro, proprio in ragione di tale pervasività, l’opera di progressiva giurisdizionalizzazione di tali misure.

Scopo essenziale delle misure di prevenzione personali è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato (anche se non la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato - cfr. Corte EDU, sentenza 23 febbraio 2017, de Tommaso

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