Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-22, n. 201500254

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-22, n. 201500254
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500254
Data del deposito : 22 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07538/2004 REG.RIC.

N. 00254/2015REG.PROV.COLL.

N. 07538/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7538 del 2004, proposto dal signor P A, rappresentato e difeso dall’avvocato G D M, con domicilio eletto in Roma presso lo studio Marco Gardin, via Laura Mantegazza, 24;

contro

La Provincia di Foggia (Fg), in persona del suo Presidente pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. S D, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Angelo Emo, 56;

nei confronti di

Il signor Oo C;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Bari, Sez. II, n. 2023 dd. 26 aprile 2004, resa tra le parti a’ sensi dell’art. 9 della L. 21 luglio 2000, n. 205, e concernente la graduatoria del concorso interno a 23 posti di istruttore direttivo tecnico.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. F R e uditi per l’appellante l’avv. G D M e per l’appellata l’avv. S D;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.L’attuale appellante, geom. Aldo P, è dipendente di ruolo della Provincia di Foggia inquadrato nella categoria C e ha partecipato ad un concorso interno bandito a’ sensi dell’art. 4, comma 3, del CCNL del 31 marzo 1999 dalla medesima amministrazione provinciale per l’accesso mediante progressione verticale per titoli ed esame-colloquio, a 23 posti di istruttore direttivo tecnico (cat. D1), dei quali 9 presso il Servizio progettazione, manutenzione e gestione strade e infrastrutture.

A seguito della valutazione dei titoli, il signor P ha ottenuto il punteggio di 11\ 80 sul massimo di 24 punti previsto dalla lex specialis del concorso, ottenendo con ciò la seconda migliore valutazione tra tutti i partecipanti al concorso;
peraltro, in esito al susseguente colloquio lo stesso candidato è stato giudicato “non idoneo” , classificandosi al 25° posto della graduatoria finale, ossia in posizione non utile alla nomina alla qualifica superiore.

Il signor P riferisce di aver inutilmente proposto dapprima un ricorso gerarchico inteso ad evidenziare l’illegittimità del risultato finale da lui ottenuto, avuto riguardo al soddisfacente servizio da lui prestato e ai titoli di merito ottenuti, e, susseguentemente, di aver proposto sub R.G.L. 4617 del 2002 un ricorso presso il giudice del lavoro di Foggia.

L’attuale appellante evidenzia che la proposizione di tale azione giudiziale derivava dalla giurisprudenza consolidata a quel tempo, secondo la quale tutti i ‘concorsi interni’ banditi dalle pubbliche amministrazioni rientravano nella giurisdizione del giudice ordinario.

Medio tempore , tuttavia, in considerazione della sopravvenuta giurisprudenza secondo la quale spetta al giudice amministrativo, a’ sensi dell’art. 63, comma 4, del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, conoscere delle controversie relative alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale della p.a., già in servizio, ad una fascia od area superiore (cfr. Cass. SS.UU. civili, 15 ottobre 2003 n. 15403), lo stesso signor P ha proposto sub R.G. 658 del 2004 un ricorso innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, formulando innanzi a tale nuovo giudice le medesime censure già da lui dedotte in sede di giurisdizione ordinaria, in particolare l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 39 Cost., degli artt. 2, 18 e 21 del Regolamento di attuazione delle procedure selettive per la progressione verticale emanato in data 31 ottobre 2001 dall’amministrazione provinciale, nonché eccesso e sviamento di potere per contrasto con precedenti determinazioni della stessa amministrazione, difetto di motivazione, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.

Il signor P ha preliminarmente chiesto al T.A.R. il riconoscimento, nella specie, di un errore scusabile a’ sensi dell’allora vigente combinato disposto dell’art. 19, primo comma, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, e dell’art. 36, terzo comma, del T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, con la conseguente concessione da parte del giudice del beneficio della rimessione in termini, posto che il ritardo nella proposizione del ricorso innanzi al medesimo T.A.R. sarebbe stato dovuto all’anzidetta sopravvenienza della nuova giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla giurisdizione in tema di concorsi interni per l’accesso nelle pubbliche amministrazioni alla qualifica superiore.

1.2. Tuttavia, con la sentenza n. 2023 dd. 26 aprile 2004, resa nelle forme semplificate di cui all’allora vigente art. 26 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, come integrato dall’art. 9 della L. 21 luglio 2000, n. 205, la Sezione II dell’adito T.A.R. ha dichiarato il ricorso del signor P irricevibile, “considerato” che il ricorso medesimo “si appalesa (va) manifestamente irricevibile giusta eccezione spiegata dalle parti resistenti, in quanto notificato fuori ed oltre termine decadenziale e precisamente dopo due anni dalla adozione della delibera di approvazione della graduatoria di merito (atto 171 del 24 dicembre 2001 affisso all’albo pretorio dal 24 dicembre 2001 all’8 gennaio 2002;
delibera fatta oggetto d’impugnazione tardiva, il cui
dies a quo decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione degli atti di cui è causa. Nè può ammettersi la scusabilità dell’errore ai fini della remissione in termini processuali, secondo richiesta di parte ricorrente, in quanto anche il ricorso avverso lo stesso atto avanti il Tribunale del lavoro di Foggia è stato proposto fuori termine ed esattamente il 10 settembre 2002” .

Il giudice di primo grado ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe, il signor P chiede ora la riforma di tale sentenza, contestando la mancata concessione nei suoi confronti del beneficio dell’errore scusabile e riproponendo pertanto nel presente grado di giudizio le medesime censure già da lui dedotte innanzi al T.A.R.

2.2. Si è costituita anche nel presente grado di giudizio la Provincia di Foggia, concludendo per la reiezione dell’appello.

2.3. Non si è – viceversa – costituito nel presente grado di giudizio il Sig. C Oo, evocato in primo grado quale controinteressato e ivi costituitosi.

3. Con ordinanza collegiale n. 2426 dd. 13 maggio 2014, la Sezione ha “ ritenuto che ai fini del decidere necessita (va) acquisire copia conforme all’originale della sentenza con la quale il giudice ordinario a suo tempo adito dall’attuale appellante (presumibilmente il giudice del lavoro presso il Tribunale ordinario di Foggia), al fine dell’annullamento del concorso di cui trattasi, ebbe a dichiarare il proprio difetto di giurisdizione (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio) e ha rimesso tale incombente alla Provincia di Foggia, la quale ha provveduto ad esso depositando quanto chiesto in data 24 luglio 2014.

4. Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

5.1. Tutto ciò premesso, il Collegio reputa che la sussistenza dell’errore scusabile – con la conseguente rimessione in termini del ricorrente in primo grado agli effetti della proposizione del ricorso – sia nella specie riconoscibile.

5.2. L’errore scusabile identifica un istituto processuale - attualmente disciplinato dall’art. 37 cod. proc. amm. - inteso a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, suscettibile di trovare applicazione sia quando siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a difficoltà interpretative o ad oscillazioni giurisprudenziali, sia quando si sia di fronte a comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti provenienti dalla medesima amministrazione, da cui possano conseguire difficoltà nella domanda di giustizia ed un’effettiva diminuzione della tutela giustiziale;
di conseguenza il riconoscimento dell'errore scusabile può avvenire solo previo rigoroso accertamento, caso per caso, dei presupposti e, quindi, soltanto in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2014, n. 3708), posto che l’istituto di cui trattasi è carattere eccezionale proprio in quanto deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini d'impugnazione e postula pertanto una stretta interpretazione della relativa disciplina (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 luglio 2014, n. 3986), non potendo l’istituto medesimo ragionevolmente tradursi nella irrilevanza del termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico (cfr. sul punto, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 16 settembre 2014, n. 4623).

Premesso doverosamente tutto ciò, il Collegio reputa che, nella specie, i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile in capo all’appellante senz’altro sussistano.

E’ indubbio, infatti, che al momento della proposizione del ricorso innanzi al giudice del lavoro di Foggia la giurisprudenza, anche - e soprattutto - delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, era orientata nel senso della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario per i concorsi cc.dd. “interni” , posto che a quel tempo le Sezioni Unite medesime sostenevano al riguardo che la riserva in via residuale alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di impiego pubblico c. d. “privatizzato” (o “contrattualizzato” ) di cui all’art. 63, comma 4, del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, atteneva esclusivamente alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione del rapporto di lavoro e non riguardava i casi in cui il concorso fosse diretto non già ad assumere, ma a promuovere il personale già assunto: e ciò in quanto il legislatore avrebbe inteso attribuire al giudice ordinario la giurisdizione su tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, dalla sua instaurazione fino alla sua estinzione, compresa ogni fase intermedia relativa a qualsiasi vicenda modificativa, anche se finalizzata alla progressione in carriera e realizzata attraverso una selezione di tipo concorsuale (così, testualmente, - tra le tante - la sentenza delle medesime SS.UU. 27 febbraio 2002, n. 2954 in motivazione;
cfr. inoltre, nello stesso senso, le precedenti sentenze delle stesse SS.UU. 22 marzo 2001, n. 128, 11 giugno 2001, n. 7859, 10 dicembre 2001, n. 15602, nonché le ordinanze 21 febbraio 2002, n. 2514, e 26 giugno 2002, n. 9334), con la significativa precisazione che “nell’ambito dello stesso rapporto, che ha natura privatistica , non … (era) possibile configurare la procedura selettiva per ottenere un superiore inquadramento come un concorso esterno, trattandosi invece di un concorso interno per la progressione in carriera che si conclude con un atto amministrativo non negoziale” (così, testualmente, l’anzidetta ordinanza n. 2514 del 2002).

La citata sentenza delle SS.UU. 15 ottobre 2003, n. 15403, è stata pubblicata, altrettanto indubitabilmente, nel corso della pendenza della causa promossa dal signor P innanzi al giudice del lavoro;
e dagli atti della presente causa consta che egli, prima ancora dell’emanazione della sentenza n. 3192 dd. 20 luglio 2004 da parte del medesimo giudice del lavoro dichiarativa della giurisdizione del giudice amministrativo sulla base della nuova giurisprudenza delle SS.UU., ha proposto le medesime domande e censure innanzi al giudice amministrativo invocando a scusante della violazione dei termini decadenziali per la proposizione del ricorso la circostanza che al momento della conclusione del concorso il giudice del riparto della giurisdizione escludeva al riguardo la sussistenza di quella del giudice amministrativo.

Il Collegio reputa che tale allegazione sia di per sé decisiva per fondare, nella specie, il riconoscimento dell’errore scusabile segnatamente derivante da “ oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto” (cfr. art. 37 cod. proc. amm. cit.) e che risulta del tutto erronea al riguardo la contraria notazione del giudice di primo grado secondo la quale “anche il ricorso avverso lo stesso atto avanti il Tribunale del lavoro di Foggia è stato proposto fuori termine ed esattamente il 10 settembre 2002” : nella devoluzione al giudice ordinario delle controversie in materia di lavoro pubblico c.d. “contrattualizzato” , sia l’art. 63 e ss. del D.L.vo 165 del 2001, sia la previgente disciplina contenuta nell’art. 68 e ss. del D.L.vo 3 marzo 1993 n. 29 e successive modifiche non hanno infatti introdotto termini decadenziali - per la proposizione delle relative cause - omologhi a quelli imposti per la presentazione dei ricorsi impugnatori innanzi al giudice amministrativo, per cui il ricorso proposto nella specie innanzi al giudice del lavoro di Foggia, in quanto relativo ad un concorso conclusosi nel dicembre del 2001, è stato presentato entro il lasso di tempo proprio del regime della prescrizione di cui all’art.2934 e ss. cod. civ.

Contrariamente ha quanto ha ritenuto la sentenza appellata, il ricorso di primo grado risulta dunque tempestivo.

6.1. Nondimeno, il ricorso di primo grado va respinto, perché infondato.

6.2. Secondo la prospettazione dell’appellante, sussisterebbe innanzitutto un obiettivo contrasto tra l’elevato punteggio da lui ottenuto in sede di valutazione dei propri titoli, per gran parte rinvenienti dalla sua attività lavorativa, e il bassissimo punteggio da lui ottenuto nel colloquio.

In tal modo, sempre secondo l’appellante, la commissione esaminatrice non si sarebbe attenuta al criterio – reso vincolante dalla lex specialis del concorso - della valutazione della “preparazione tecnica e del curriculum del candidato” , nonché delle sue “attitudini, capacità ed esperienze” .

In particolare, anche per quanto attiene alla valutazione dei punti inerenti alla professionalità, l’appellante lamenta di aver riportato soltanto il punteggio di 0,5 su 1,0, incongruo – a suo dire – rispetto al proprio curriculum , soprattutto in considerazione della circostanza che egli avrebbe già di fatto disimpegnato le mansioni proprie del posto messo a concorso, venendo nondimeno giudicato inidoneo a ricoprirlo.

L’appellante afferma inoltre che né la commissione esaminatrice, né la stessa amministrazione provinciale avrebbero esternato, nonostante la specifica richiesta di accesso, i criteri e le modalità di valutazione dei titoli posseduti dai candidati, e che comunque risulterebbe del tutto inspiegabile la valutazione nel colloquio di “non idoneo” alle mansioni messe a concorso nonostante che egli le avesse già di fatto espletate.

L’appellante afferma inoltre che il colloquio sarebbe avvenuto con modalità del tutto illegittime, a porte chiuse – senza quindi la necessaria pubblicità dello stesso – e con l’irrituale partecipazione ai lavori della commissione esaminatrice (e, per di più, soltanto per l’esame di taluni candidati: precisamente 4 su 30) di un membro esterno, ossia del dott. Gio. D’At. quale esperto della materia relativa al Servizio ambiente e attività produttive, con conseguente violazione della regola della composizione della commissione esaminatrice quale collegio perfetto.

Da ultimo, l’appellante contesta l’avvenuta attribuzione nei suoi riguardi del giudizio di “non idoneo”, in quanto di per sé non previsto dal Regolamento recante la disciplina di concorso, il quale all’art. 15 disponeva nel senso che la commissione d’esame poteva attribuire ai candidati, all’esito della prova orale, un punteggio complessivo fino a 96 punti, senza - per l’appunto - prevedere una valutazione di non idoneità.

Secondo l’appellante, il giudizio di “non idoneità” da lui riportato non solo risulterebbe intrinsecamente illegittimo in quanto neppure contemplato dalla lex specialis del concorso, ma anche non consentirebbe di risalire al procedimento logico seguito dalla commissione esaminatrice per formulare tale suo giudizio.

6.3. Il Collegio rileva che la commissione esaminatrice di un pubblico concorso è titolare di ampia discrezionalità nel catalogare i titoli valutabili in seno alle categorie generali predeterminate dal bando, nell’attribuire rilevanza ai titoli e nell’individuare i criteri per attribuire i punteggi ai titoli nell’ambito del punteggio massimo stabilito e che l’esercizio di tale discrezionalità non può essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimità, a meno che non venga dedotto l’eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e arbitrarietà (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3043): deduzione che nella specie non è consentito di rilevare nel contesto dei motivi di ricorso proposti in primo grado e riformulati nel presente giudizio d’appello, stante la ben evidente non adeguata specificità delle censure formulate dall’interessato.

Questi, infatti, si è limitato ad affermare una pretesa incongruenza tra la valutazione dei titoli da lui riportata con particolare riguardo alla professionalità derivante dal proprio curriculum e l’asserzione – assolutamente indimostrata, e comunque irrilevante per l’economia della presente causa – di aver già svolto di fatto le mansioni corrispondenti al posto messo a concorso.

Né può sostenersi che nella specie sia mancata la predeterminazione dei criteri per l’attribuzione dei punteggi per i titoli e per la valutazione del colloquio: a tale riguardo, nel suo primo verbale dd. 20 dicembre 2001 la commissione d’esame ha correttamente preso atto che in proposito gli artt. 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 21 del regolamento concorsuale avevano sufficientemente definito i criteri per la valutazione dei titoli e delle prove di esame, e si è limitata pertanto a ripartire il massimale di 1 punto previsto per la valutazione del curriculum dei candidati nelle seguenti sottocategorie: idoneità concorso categoria superiore punti 0,30;
idoneità concorso di pari categoria punti 0,25;
attestazione professionale dirigente punti 0.05;
corsi attinenti la materia professionale punti 0,05.

L’acclarata sussistenza di criteri per la formazione del giudizio da parte della commissione esaminatrice – nel caso di specie esaustivamente determinati dalla stessa lex specialis del concorso - consente pertanto di affermare che l’attribuzione del punteggio numerico per la valutazione sia dei titoli, sia delle prove sostenute dai candidati, identifica di per sé una congrua e sufficiente motivazione dell’operato della commissione medesima (cfr. sul punto, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3053);
e, in tale contesto, neppure emergono atti riguardanti i criteri di valutazione, che l’amministrazione non abbia consentito di esaminare, a fronte delle asserite – e, peraltro, non documentate – richieste di accesso pervenute da parte dell’interessato.

L’ulteriore affermazione dell’appellante - secondo la quale la porta della sala nella quale si sono svolti i colloqui sarebbe rimasta chiusa, con conseguente illegittimità della prova per mancanza di pubblicità della stessa - non è supportata da alcuna prova al riguardo.

Né può essere accolta la censura dell’appellante secondo la quale la commissione esaminatrice non avrebbe operato quale collegio perfetto nella valutazione del colloquio di 4 dei 30 candidati ammessi a tale prova.

A tale riguardo va evidenziato che lo stesso regolamento concorsuale - non impugnato sul punto dall’interessato (e comunque ispirato ad un principio di maggiore trasparenza e controllabilità delle prove) - dava facoltà ai dirigenti preposti ai servizi comprendenti i posti messi a concorso di assistere la commissione al fine di esaminare i concorrenti nelle specifiche materie rientranti nelle competenze dei servizi medesimi, salva restando la valutazione di esclusiva competenza della commissione medesima.

Di tale facoltà si è avvalso il solo dott. D’Att., preposto al Servizio ambiente e attività produttive;
e, per contro, il dirigente preposto al servizio nel quale prestava servizio l’attuale interessato non ha reputato di avvalersi della facoltà predetta (che non costituiva dunque un obbligo, stante – come testè rilevato - l’esclusiva competenza della commissione esaminatrice nella valutazione dei candidati, disposta dallo stesso regolamento concorsuale).

Da ultimo, neppure può essere accolta la contestazione dell’appellante circa la mancata previsione nel regolamento concorsuale di una valutazione ‘di non idoneità’.

La possibilità per la commissione d’esame di esprimere tale valutazione, anche al di là della circostanza che l’art. 15 del regolamento concorsuale di per sé prevedeva la possibilità di attribuire ad ogni candidato sino a 96 punti complessivi, risulta dalla lettura dell’art. 24 del regolamento medesimo, laddove segnatamente si dispone che l’ufficio concorsi, a conclusione delle prove d’esame, procede alla formazione dell’elenco dei concorrenti ai quali spetta l’attribuzione dei posti disponibili, “attenendosi alla graduatoria degli idonei risultante dai verbali rimessi dalla commissione giudicatrice” .

Risulta pertanto con ciò esplicitamente contemplata dalla lex specialis la possibilità per la commissione esaminatrice di giudicare sic et simpliciter “non idoneo” il candidato che non ha superato il colloquio: e, a fronte del rilievo dell’appellante - secondo cui la commissione, vincolata ad esprimere comunque a’ sensi dell’anzidetto art. 15 del regolamento concorsuale un punteggio numerico, avrebbe dovuto nel suo caso attribuirgli una valutazione numerica pari a “zero” - va evidenziato che il giudizio di “non idoneità” espresso nei suoi confronti è di fatto equiparabile allo “zero” comunque presupposto dallo stesso art. 15 e che, pertanto, sotto questo profilo la censura formulata dall’appellante medesimo risulta infondata.

7. Per le ragioni che precedono, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado – da considerare tempestivo – va respinto, perché infondato.

Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, avuto riguardo alla soccombenza dell’amministrazione appellata per quanto attiene alla sussistenza dei presupposti per riconoscere nella specie l’errore scusabile del ricorrente in primo grado.

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