Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-05-13, n. 201502380
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N. 02380/2015REG.PROV.COLL.
N. 05395/2014 REG.RIC.
N. 09052/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
1.
sul ricorso numero di registro generale 5395 del 2014, proposto da:
Azienda Agricola Antiche Terre del Baraccone di Postiglione Coppola Andrea, rappresentata e difesa dagli avv. F S, L G, con domicilio eletto presso Studio Legale Chiomenti in Roma, Via XXIV Maggio, 43;
contro
- Regione Campania, rappresentata e difesa dall'avv. L B, con domicilio eletto presso Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, Via Poli, 29;
- Provincia di Benevento;
2.
sul ricorso numero di registro generale 9052 del 2014, proposto da:
Regione Campania, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Imparato, con domicilio eletto presso Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, Via Poli, 29;
contro
Azienda Agricola Antiche Terre del Baraccone, rappresentata e difesa dagli avv. F S, L G, con domicilio eletto presso Studio Legale Chiomenti in Roma, Via XXIV Maggio, 43;
nei confronti di
- Autorità di Gestione del F.E.P. - Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
- Provincia di Benevento;
per la riforma
- quanto al ricorso n. 5395 del 2014:
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE III, n. 01534/2014, resa tra le parti, concernente revoca di contributo pubblico per investimenti nel settore dell'acquacoltura - parziale difetto di giurisdizione - recupero somme erogate;
- quanto al ricorso n. 9052 del 2014:
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE III, n. 03943/2014, resa tra le parti, concernente revoca di contributo pubblico per investimenti nel settore dell’acquacoltura – recupero somme erogate;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Campania, Azienda Agricola Antiche Terre del Baraccone ed Autorità di Gestione del FEP - Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2015 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati De Portu su delega di Scanzano, Panariello su delega dichiarata di Buondonno e di Imparato, e l’avvocato dello Stato M. La Greca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Vengono all’esame due appelli, concernenti due sentenze del TAR Campania che hanno deciso (per un profilo comune, in modo antitetico) le impugnazioni, da parte dell’Azienda agricola Antiche Terre del Baraccone, di due decreti di revoca di contributi concessi a valere sul Programma Operativo Nazionale Pesca 2007/2013, cofinanziato dal Fondo Europeo Pesca.
I due appelli possono essere riuniti ed esaminati congiuntamente, in quanto, oltre ad essere soggettivamente connessi, comportano l’esame di questioni in parte comuni.
2. Giova fin d’ora precisare il contesto procedimentale delle due controversie.
(a) – Per l’attuazione del P.O.N.P. predetto, la Regione Campania e le sue Province hanno sottoscritto un Accordo in data 19 dicembre 2008, in base al quale: nell’ottica dell’avvalimento, gli uffici delle Province dipendono funzionalmente dalla Regione quale soggetto avvalente, ferme restando nei confronti dei terzi, l’imputazione dell’attività al soggetto titolato alla funzione che è la Regione (art. 2, comma 3);le Province, quali soggetti attuatori, svolgono le attività istruttorie delle domande di finanziamento, approvano le graduatorie ed adottano i provvedimenti conseguenti, ivi compresi quelli di concessione e di revoca, oltre ai successivi controlli sulla realizzazione degli interventi (art. 4);mentre la Regione, quale Organismo Intermedio (ex art. 58, par. 2, Reg. (CE) n. 1198/2006, vale a dire come ente delegato dall’Autorità di Gestione, che è il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, responsabile per l’Italia nei confronti della Commissione UE), svolge le procedure di controllo al fine di verificare la corretta esecuzione da parte della Provincia, degli adempimenti affidati e la regolare attuazione delle operazioni finanziate (art. 5), esercitando a tal fine anche poteri sostitutivi (art. 15).
(b) – Nei procedimenti in questione, nel gennaio 2011, dopo che erano avvenuti il collaudo degli interventi e (in parte) l’erogazione dei contributi, la Regione ha disposto verifiche tecnico-amministrative ed in loco sugli interventi ammessi a certificazione per l’anno 2010;a seguito di dette verifiche, si è verificato un contrasto di valutazioni circa la legittimità della concessione del finanziamento ed il buon esito degli interventi, e ciò ha indotto la Regione - dopo aver invitato la Provincia di Benevento ad intervenire in autotutela, ma infruttuosamente (in quanto la Provincia ha ritenuto non ne sussistessero i presupposti) - a disporre essa stessa la revoca dei contributi.
3. Il TAR Campania, con la prima delle sentenze appellate (III, n. 1534/2014) ha in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione e per il resto ha respinto il ricorso dell’Azienda agricola avverso la revoca, disposta dalla Regione Campania con decreto n. 30/2013, del decreto n. 1/2010 della Provincia di Benevento, con il quale le era stato concesso un contributo in conto capitale per la realizzazione di interventi di miglioramento della propria azienda ittica (realizzazione di una struttura da adibire a lavorazione dei prodotti aziendali, all’impacchettamento ed al deposito;realizzazione di una struttura da adibire a punto vendita).
4. Appella l’Azienda, prospettando articolati motivi di censura.
5. Si è costituita in appello e controdeduce puntualmente la Regione Campania.
6. Il Collegio sintetizza ed esamina partititamente le censure dedotte.
6.1. Va esaminato anzitutto il motivo con cui l’Azienda appellante (invero, posponendolo, “in via subordinata”) lamenta che il TAR abbia erroneamente declinato la giurisdizione su parte delle censure.
Sottolinea, con riferimento ai criteri stabiliti dall’Adunanza Plenaria con le sentenze n. 17/2013 e n. 6/2014, come sia la concessione, sia la revoca del finanziamento, siano state disposte in esito ad attività valutative non vincolate.
Ripropone pertanto i motivi di ricorso in relazione ai quali il TAR ha declinato la giurisdizione, incentrati sull’illegittimità di alcuni dei profili posti a giustificazione della revoca del contributo;in sintesi: esecuzione di maggiori lavori in assenza dell’obbligatoria approvazione preventiva dell’Ente (paragrafo 15 del bando);inattività della struttura all’atto dei controlli;mancata attuazione delle previsioni progettuali di incremento delle unità lavorative;assenza nel fascicolo dell’operazione di documenti, anche progettuali, presentati solo in allegato alle controdeduzioni all’avvio del procedimento di revoca in data 4 ottobre 2011;mancato rispetto dell’obbligo di perfezionare le originali intese triennali in contratti di commercializzazione, ad avvenuto collaudo (allegato 1 del bando, e in seno all’istanza);riscontro di fatture non riportanti la specifica indicazione del bene acquistato ed il numero di matricola di fabbricazione (allegato 5 del bando;art. 3, lettera d), decreto di concessione n. 1/2010).
6.2. Il Collegio ricorda che, in tema di contributi pubblici, sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento sia riconosciuto direttamente dalla legge e all’amministrazione sia demandato soltanto di verificare l’esistenza dei relativi presupposti;nel caso di revoca del contributo, se essa sia stata disposta per un inadempimento del beneficiario o per lo sviamento dei fondi acquisiti, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, mentre è configurabile una situazione d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, se il provvedimento discrezionale attributivo del beneficio sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr Cons. Stato, A.P. n. 6/2014, che ha precisato e parzialmente modificato l’orientamento espresso da A.P. n. 17/2013).
Ciò posto, tutti i profili sopra ricordati riguardano inadempimenti agli impegni previsti dalla lex specialis della sovvenzione e/o assunti con la domanda di contributi, che hanno comportato da parte dell’Amministrazione un riscontro che prescinde da qualsiasi apprezzamento discrezionale.
Pertanto, alla luce dei criteri suddetti, rispetto a tali censure appare corretta la pronuncia del TAR, rientrando la relativa cognizione nella giurisdizione del giudice ordinario.
6.3. La Provincia di Benevento, a seguito delle richieste della Regione di revocare la concessione del contributo, ha risposto, per due volte, che non sussistevano i presupposti per la revoca;erroneamente, quindi, secondo l’appellante, il TAR ha qualificato la condotta della Provincia come inerzia, presupposto dell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui all’art. 15 dell’Accordo, cit.;viceversa, avendo la Provincia svolto il supplemento istruttorio richiestole, non vi era stata alcuna inerzia (né ritardo o inadempimento) nello svolgimento delle funzioni istruttorie ed esecutive ad essa esclusivamente attribuite.
6.4. Il Collegio osserva che la prospettazione dell’appellante muove dall’errato presupposto che i poteri sostitutivi siano, in base all’Accordo, attribuiti alla Regione solo per l’ipotesi che si debba supplire ad un comportamento inerte della Provincia.
Al contrario, come anticipato in premessa (al punto 2), in base all’Accordo stipulato ex art. 15 della legge 241/1990, la Provincia agisce in avvalimento ed alle dipendenze funzionali della Regione, alla quale si imputano i risultati delle attività della Provincia e le connesse responsabilità, e coerentemente alla Regione sono mantenuti i poteri di controllo e quelli sostitutivi per assicurare la regolare attuazione del Programma.
In particolare, l’Accordo prevede (art. 15 – “Attuazione”) che “qualora vengano rilevati ritardi o inadempienze” la Regione inviti la Provincia “a rimuoverle fissando un congruo termine per adempiere non superiore a 30 giorni, trascorso inutilmente il quale potrà azionare il potere sostitutivo in relazione a singole istanze ovvero, nei casi in cui l’inadempienza o l’inerzia della Provincia dovessero recare grave pregiudizio all’attuazione di una o più misure, disporre l’avocazione alla Regione di tutte le funzioni” (comma 1).
Dunque, non è solo in presenza di un’inerzia in senso stretto, ma anche di qualsiasi ipotesi di inadempienza rispetto a ciò che la Regione, unico soggetto responsabile dell’attuazione verso l’Autorità di Gestione del F.E.P. Italia, ritenga motivatamente debba essere la corretta gestione dei procedimenti, che possono essere esercitati i poteri sostitutivi.
E’ ciò che sembra avvenuto nel caso in esame.
Il motivo è perciò infondato.
6.5. L’Azienda lamenta che erroneamente il TAR abbia ritenuto fosse stato rispettato il diritto di partecipazione procedimentale;infatti, nonostante la previa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento di revoca, il titolare dell’Azienda ha potuto esercitare il diritto di accesso agli atti, pur tempestivamente richiesto, solo il giorno dopo (12 aprile 2013) l’adozione della revoca.
6.6. Il Collegio osserva che già il TAR ha sottolineato come l’Azienda sia stata resa pienamente partecipe del procedimento, da considerarsi unitariamente nonostante l’intervenuta variazione soggettiva dell’amministrazione procedente, rilevando che la ricorrente aveva presentato osservazioni alla Provincia di Benevento in data 18 ottobre 2011 in relazione all’originaria comunicazione di avvio del procedimento di revoca, aveva ricevuto comunicazione del compimento di attività istruttorie da parte della Regione (nota prot. 449585 del 12 giugno 2012, avente ad oggetto l’accertamento d’ufficio da parte della Regione in merito alla valutazione di incidenza di cui necessitava l’intervento finanziato, ricadendo esso in un sito della rete Natura 2000), nonché dell’esercizio dei poteri sostitutivi da parte della Regione (nota prot. 154308 del 1 marzo 2013, ricevuta in data 11 marzo 2013, con la quale le si assegnava un termine di 10 giorni per la presentazione di scritti difensivi).
Tali argomentazioni non vengono specificamente censurate in appello.
Né viene indicato, ad accesso ormai avvenuto, quale ulteriore apporto procedimentale l’Azienda avrebbe potuto utilmente svolgere sulla base di una maggiore conoscenza degli atti custoditi dalla Regione.
Può aggiungersi che il provvedimento di revoca si fonda sostanzialmente sugli stessi motivi già comunicati dalla Regione, dopo i controlli, alla Provincia di Benevento in data 11 agosto 2011, e da essa all’Azienda con nota prot. 6186 in data 2 settembre 2011.
Ciò stante, deve ritenersi che la ritardata effettuazione di un accesso documentale richiesto dall’Azienda qualche settimana prima, e peraltro – come precisa la stessa appellante – consentito già in data 4 aprile 2013, non vizia l’adozione del provvedimento, avvenuta a conclusione di un procedimento, si ripete, avviato diciotto mesi prima.
6.7. Erroneamente, secondo l’Azienda, è stata ritenuto non fosse finanziabile l’attività di realizzazione del locale da adibire a “lavorazione, impacchettamento e deposito dei prodotti aziendali”;infatti, l’intervento non è espressamente escluso dal bando della Misura 2.1.1. e viceversa rientra nelle finalità di cui al paragrafo 3, e costituisce utilizzazione delle attrezzature e macchinari (attrezzature per la sterilizzazione, tavoli di sezionamento, recipienti, celle frigo, vasche, aeratori, etichettatrici, etc.) il cui acquisto rientra tra le spese ammissibili in base alla scheda tecnica descrittiva, essendo strumentale al confezionamento del prodotto per la vendita ai consumatori, il cui punto vendita risulta altresì finanziabile.
6.8. Il Collegio osserva che tra le finalità della Misura 2.1., Sottomisura 2.1.1., esplicitate nel capitolo 3, rientra “la realizzazione di un punto vendita all’interno dell’impianto di produzione, definito ‘commercio al dettaglio in azienda’ in cui il pesce prodotto è venduto direttamente dall’allevatore ai consumatori” (si tratta, infatti, di un’operazione di ampliamento ed ammodernamento degli impianti di acquacoltura in terraferma).
Ora, poiché le finalità della Misura 2.1. non contemplano direttamente investimenti per strutture di lavorazione, anche ammettendo che un’attività di lavorazione e confezionamento del prodotto fosse astrattamente finanziabile, in quanto finalizzata a consentire al consumatore condizioni di trasporto igienicamente sicure, sembra coerente con le previsioni del bando ed in sé del tutto ragionevole ritenere – come ha fatto la Regione – che la realizzazione del locale e l’acquisto delle relative attrezzature dovesse essere proporzionata alle quantità vendute ed in generale al fabbisogno aziendale.
La Regione ha sottolineato come, al contrario, la relazione tecnica presentata a corredo dell’istanza di finanziamento, precisasse che la fase di trasformazione del prodotto era già stata avviata recentemente mediante gli investimenti finanziati dalla Misura P.O.R. 4.22/7, e che la scelta aziendale non prevedeva incrementi della produzione ittica.
E che, conseguentemente, vi era una evidente contraddizione sotto i profili del “giusto dimensionamento delle strutture”, del “giusto dato di tonnellate/anno allevate” e del “giusto fabbisogno di attrezzature” (cfr. comunicazione prot. 154308/2013, cit.).
Tali profili non risultano censurati in appello.
Nella memoria finale, l’appellante sostiene che si tratti di due programmi finanziati attinenti ad attività diverse, per cui l’attrezzatura acquistata con riferimento alla trasformazione del prodotto non poteva essere presa a riferimento per valutare la coerenza e proporzionalità dell’impianto realizzato per la vendita. Ma sembra evidente al Collegio come una simile argomentazione cada, se si considera che si discute proprio dell’ammissibilità a finanziamento di un impianto destinato alla trasformazione del prodotto, anche se con la necessaria finalizzazione della vendita al consumatore.
6.9. L’Azienda deduce anche che erroneamente è stato ritenuto che mancasse l’autorizzazione sanitaria all’attività di lavorazione, in quanto invece essa doveva ritenersi acquisita (cfr. parere igienico sanitario favorevole della ASL BN1 prot. 1587 in data 25 ottobre 2010;richiesta del titolare dell’Azienda in data 4 maggio 2011 e presa d’atto della ASL con assegnazione del codice azienda);del resto, è anche intervenuta la positiva verifica della documentazione sanitaria in sede di collaudo (cfr. nota commissione di collaudo prot. 7307 in data 31 ottobre 2011).
6.10. Il Collegio osserva che, come sottolineato dalla Regione Campania, il parere della ASL BN 1 invocato riguarda locali da destinare “ad esposizione, vendita e degustazione dei prodotti aziendali”, e la stessa relazione di collaudo si riferisce, oltre che al parere dell’ASL BN 1, al certificato di agibilità parziale del Comune di Castelpagano, che riguarda “ampliamento di un fabbricato rurale da adibire a punto esposizione e vendita”.
Con ciò risultando confermato il rilievo sulla mancanza agli atti dell’autorizzazione sanitaria per l’attività di lavorazione, formulato dal TAR.
6.11. L’Azienda appellante ribadisce che la valutazione di incidenza ambientale era stata rilasciata con decreto assessorile n. 609/2004, in ordine ad un progetto che, a suo dire, comprendeva quanto effettivamente realizzato.
6.12. Il Collegio, premesso che l’intervento ricade nel SIC IT 8020014 “Bosco di Castelpagano e torrente Tammarecchia” e che quindi è pacifica la necessità della valutazione d’incidenza, osserva che la Regione obietta che l’Azienda non ha mai fornito gli elaborati grafici dai quali si possa rilevare se l’intervento finanziato con le risorse del F.E.P. fosse effettivamente incluso nel progetto di cui al decreto n. 609/2004, e che comunque la descrizione della progettazione sottoposta a valutazione di incidenza risultante dalla relazione istruttoria (in quanto si riferisce ad adeguamento di un invaso collinare, a strutture lignee e prefabbricate per un’area coperta di stoccaggio per i mangimi, a vasche interrate per l’allevamento ittico, etc.), appare estranea all’intervento in questione oggetto del finanziamento F.E.P. e dei permessi di costruire in sanatoria del Comune di Castelpagano n. 5/2008 e n. 8/2009.
L’appellante, nella memoria finale, contesta la paternità e l’autenticità della documentazione (che, fornita da un impiegato del Settore Ambiente regionale in data 26 settembre 2011, sarebbe però priva del protocollo e della dicitura di conformità all’originale), e sottolinea che, come attestato dal competente dirigente regionale di settore, la Valutazione di Incidenza Ambientale richiesta dall’Azienda “non è più in possesso della struttura regionale a seguito di un allagamento che ha interessato l’archivio del Settore nell’anno 2005”.
Ora, il Collegio osserva che è singolare che il destinatario di un provvedimento autorizzatorio non conservi, oltre al decreto, anche la documentazione che ne costituisce parte integrante (tanto più nel caso di una valutazione ambientale, in cui, di regola, la parte dispositiva assume significato concreto in relazione ad un’abbondante documentazione tecnica, in massima parte di provenienza della parte richiedente);così come, più in generale, è singolare che un’impresa non conservi la documentazione presentata per ottenere un importante provvedimento autorizzatorio non molti anni prima.
Ciò detto, in base all’onere della prova, non potendosi acquisire ulteriori elementi a causa dell’evento esterno dell’alluvione, deve darsi prevalenza alla prospettazione della Regione.
Anche in questo caso, dunque, trova conferma quanto affermato dal TAR.
6.13. Infine, l’appellante lamenta che non sussistessero comunque i presupposti per l’annullamento d’ufficio richiesti dall’art. 21-nonies, della legge 241/1990, non sussistendo vizi di legittimità, non essendo comunque stato considerato l’interesse aziendale, ed essendo il provvedimento intervenuto allorquando l’intervento era già stato ultimato e collaudato, e quindi mancando l’autotutela di ogni ragionevolezza temporale.
6.14. Il Collegio osserva che la censura non risulta esaminata dal TAR.
Cionondimeno, anch’essa è infondata.
Infatti, la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un'indebita erogazione di contributi pubblici sia quando è emerso che il beneficio era stato accordato in assenza dei presupposti di legge, sia quando è stato accertato un successivo inadempimento da parte del beneficiario;e in ambo i casi è anche da escludere la sussistenza per l'Amministrazione di uno specifico obbligo di motivazione, essendo l’interesse pubblico all'adozione dell’atto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, n. 3688/2012, e precedenti ivi citt.).
A maggior ragione l’orientamento va ribadito con riferimento al caso specifico, posto che, ai sensi dell’art. 70 del reg. CE n. 1198/2006, spetta agli Stati membri prevenire, individuare e correggere le irregolarità e recuperare gli importi indebitamente versati, con correlato obbligo di comunicazione agli organi comunitari e responsabilità per eventuali inadempimenti.
7. Per quanto esposto, l’appello dell’Azienda deve essere respinto.
8. Il TAR Campania, con la seconda sentenza in esame (III, n. 3943/2014) ha invece accolto il ricorso della medesima Azienda agricola avverso la revoca, disposta dalla Regione Campania con decreto n. 33/2013 (e successivo n. 59/2013, con rettifica dell’importo da restituire), del decreto n. 2/2010 della Provincia di Benevento con il quale le era stato concesso un contributo in conto capitale a valere sulla medesima Misura 2.1.1. del F.E.P. 2007/2013.
Il contributo riguarda il miglioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza dei lavoratori dell’azienda ittica.
9. Anche in questo caso, la Provincia di Benevento aveva espresso l’avviso che non si dovesse procedere alla revoca e la Regione Campania ha esercitato i poteri sostitutivi previsti dall’art. 15 dell’Accordo 19 dicembre 2008.
Il TAR, diversamente da quanto ritenuto con la sentenza n. 1534/2014 sopra esaminata, ha ritenuto fondata la censura di violazione del predetto art. 15, affermando che non sussistevano i presupposti ivi indicati, in quanto la Provincia di Benevento aveva tempestivamente risposto (ancorché in senso negativo) agli inviti regionali a provvedere, né erano state evidenziate eventuali ragioni per le quali l’inadempienza o l’inerzia della Provincia (nella specie, secondo il TAR, non riscontrabile) potessero recare pregiudizio all’attuazione di una o più misure.
Ed ha assorbito le altre censure dedotte dall’Azienda.
10. La sentenza è appellata dalla Regione Campania, la quale, sottolineando come quattro mesi prima, lo stesso Collegio (ma con diverso relatore) avesse assunto una decisione diametralmente opposta, deduce i motivi appresso sintetizzati.
(a) – Vi è omessa pronuncia sull’inammissibilità del ricorso introduttivo, per mancata notifica alla Provincia di Benevento, da ritenersi controinteressato in quanto soggetto che svolge le attività in attuazione dell’Accordo del 19 dicembre 2008.
(b) – Erroneamente è stata disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione, posto che, trattandosi di revoca di un contributo già concesso per inadempimento del beneficiario, la giurisdizione è del giudice ordinario.
(c) – La sentenza è comunque erronea, in quanto il titolare della funzione era e resta la Regione, la quale, secondo l’art. 2, comma 3, dell’Accordo, si avvale degli uffici provinciali, che non hanno autonomo potere decisionale in ordine all’ammissibilità a finanziamento dei progetti, ed esercita, in caso di inadempimento della Provincia, i poteri sostitutivi previsti dall’art. 15, cit.
11. L’Azienda si è costituita e controdeduce, anche riproponendo le censure assorbite dal TAR.
Si è costituito in giudizio, con memoria formale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, pure intimato dall’appellante.
12. Il Collegio ritiene opportuno precisare che il provvedimento di revoca n. 33/2013 ha una motivazione assai articolata.
Infatti, da un lato espressamente rinvia alle motivazioni indicate nella nota prot. 231498 in data 29 marzo 2013 e nel relativo allegato (che contiene un esame completo delle criticità evidenziate dal procedimento di controllo);dall’altro, richiama una serie di inosservanze degli obblighi cui il beneficiario del contributo è tenuto per effetto del bando e del provvedimento di concessione n. 2/2010.
Tra gli obblighi inadempiuti, vengono elencati, in particolare: l’assenza di documentazione tecnico-amministrativa e di cantiere in occasione del controllo;la carenza di esecutività della progettazione;la realizzazione delle opere in luoghi diversi, che si configurerebbe come variante non autorizzata;la presenza di titoli di spesa difformi;la presenza di forniture non ammissibili;la trasmissione successiva di copie di allegati all’istanza contenenti dati difformi da quelli presenti nel fascicolo dell’intervento agli atti della Provincia.
13. Ciò detto, in ordine logico occorre anzitutto esaminare il motivo di appello incentrato sulla giurisdizione.
Si è già ricordato (al punto 6.2.) quale sia il parametro del riparto di giurisdizione in materia di sovvenzioni pubbliche, in ultimo precisato dalla Adunanza Plenaria con la sentenza n. 6/2014.
Sembra evidente al Collegio che i profili di inadempimento che sono stati contestati all’Azienda, e che hanno comportato un riscontro che prescinde da qualsiasi apprezzamento discrezionale, esulino dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
Pertanto, in relazione a tale parte della domanda di annullamento, è fondato il motivo di appello dedotto dalla Regione, e, in parziale riforma della sentenza appellata, deve dichiararsi il difetto di giurisdizione rispetto alle censure prospettate dall’Azienda in primo grado concernenti detti presupposti della revoca.
14. L’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notifica alla Provincia va disattesa.
Infatti, non sono stati impugnati atti della Provincia di Benevento ma solo atti della Regione, né la Provincia ha interesse alla conservazione degli atti regionali. Anzi, la posizione della Provincia è antitetica a quella della Regione, posto che la revoca è stata adottata a seguito dell’esercizio dei poteri di sostituzione/avocazione di cui la Provincia contestava la legittimità.
15. Passando al merito dell’appello, nella parte rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, in base alle considerazioni sopra esposte (al punto 6.4.) risulta fondato il motivo concernente la sussistenza dei presupposti giustificativi dell’esercizio dei poteri sostitutivi regionali.
Occorre precisare che la distinzione, nell’ambito dell’Accordo 19 novembre 2008, tra sostituzione ed avocazione, non sembra del tutto coerente con la comune accezione delle espressioni, in quanto sembra attenere alla dimensione dell’esercizio dei poteri sostitutivi, riferito in un caso a singoli procedimenti e nell’altro all’insieme delle funzioni attribuite alla Provincia.
In ogni caso, della rilevanza della distinzione non si fa questione in giudizio.
Anche per l’appello ora in esame, deve comunque ribadirsi che non era necessaria un’inerzia della Provincia in senso stretto (assenza di decisione sul provvedimento), e che la riluttanza della Provincia a seguite le indicazioni della Regione, la sua espressa contrarietà sulla sussistenza dei presupposti della revoca, giustificavano, a termini dell’Accordo, l’intervento sostitutivo regionale.
16. La fondatezza del motivo di appello dedotto dalla Regione, comporta l’esame delle censure dedotte dall’Azienda in primo grado ed assorbite dal TAR, che appresso si sintetizzano e si esaminano partitamente.
16.1.Violazione del principio del giusto procedimento e del diritto di partecipazione procedimentale dell’interessata.
L’Azienda lamenta che, pur avendo essa chiesto l’accesso agli atti del procedimento in data 6 febbraio 2013, la Regione Campania soltanto in data 4 aprile 2013 aveva dato l’assenso all’accesso, che era stato effettuato in data 12 aprile 2013 ma aveva consentito di visionare solo in parte i fascicoli relativi al finanziamento, mentre il rilascio degli ultimi documenti era avvenuto soltanto in data 5 luglio 2013, allorché il provvedimento di revoca (datato 30 maggio 2013) era già stato adottato.
16.2. Il Collegio osserva che – in mancanza di specifiche argomentazioni sul punto - non è univoco se l’accesso sia stato frazionato quanto al mero rilascio di copie o anche riguardo all’esibizione dei documenti, e se la dilazione sia derivata da una decisione dell’ufficio regionale e per quali motivi.
Tuttavia, nel procedimento in questione – che, come già sopra rilevato a proposito dell’altra impugnazione, deve essere considerato unitariamente nonostante il mutamento dell’Amministrazione procedente – non viene messo in dubbio che all’Azienda siano state tempestivamente trasmesse tutte le necessarie comunicazioni a fini di partecipazione procedimentale.
Inoltre, neanche in giudizio, cioè ad accesso ormai completato, l’Azienda ha minimamente esplicitato quale ulteriore apporto procedimentale avrebbe potuto utilmente svolgere qualora avesse avuto pieno accesso alla documentazione d’archivio prima dell’adozione della revoca.
Può aggiungersi che il provvedimento di revoca, per quanto desumibile dalla nota prot. 231498/2013, si fonda sostanzialmente sui motivi già comunicati, dopo i controlli, alla Provincia di Benevento con la richiesta di avvio del procedimento di revoca prot. 610530 in data 4 agosto 2011, e da essa all’Azienda con nota prot. 6166 in data 1 settembre 2011.
Ciò stante, deve ritenersi che la ritardata effettuazione di un accesso documentale richiesto dall’Azienda qualche settimana prima, e peraltro in parte tempestivamente effettuato, senza che, come esposto, siano stati precisati gli elementi mancanti, la loro potenziale rilevanza ed i motivi dell’asserita incompletezza dell’accesso, non possa viziare l’adozione del provvedimento, a conclusione di un procedimento, si ripete, avviato diciotto mesi prima.
16.3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti. Violazione e falsa applicazione delle norme dettate dal Bando della Misura 2.1.1. Difetto e perplessità della motivazione.
L’Azienda (oltre a confutare l’esistenza degli inadempimenti contestati - in ordine ai quali, come esposto, non sussiste la giurisdizione) lamenta che la complessità e tortuosità della motivazione della revoca sia elemento sintomatico della perplessità e contraddittorietà della motivazione stessa, che non consente di comprendere l’iter logico-giuridico della decisione, in violazione dell’art. 3 della legge 241/1990.
Per quanto concerne i presupposti, l’Azienda, quanto ai dubbi più volte sollevati circa la “coerenza/ammissibilità dell’operazione in sé considerata con le finalità della Misura”, l’Azienda sostiene che: (a) - l’ammissibilità è stata compiutamente valutata in sede istruttoria dalla Provincia;(b) - le criticità legate alla presenza di un lavoratore stagionale e alla predisposizione di un Piano per la sicurezza sono state contestate per la prima volta con l’avviso di revoca in data 29 marzo 2013, senza alcun approfondimento istruttorio;comunque, il dato occupazionale non è un parametro di valutazione preferenziale, ed il decreto di concessione n. 2/2010 non lo considera;(c) – la Valutazione di Incidenza Ambientale è stata rilasciata con decreto dell’assessore regionale all’ambiente n. 609/2004;in sede di richiesta di permesso di costruire al Comune di Castelpagano ed a corredo del progetto proposto per il finanziamento, il tecnico progettista e l’Azienda hanno dichiarato che le opere erano state sottoposte alla Valutazione;(d) – con riferimento all’attività prestata dalla società A.E.I. – Agri Euro Infocenter S.p.a., il bando non precludeva di far eseguire i lavori edili da un’impresa il cui proprietario coincide con il beneficiario del contributo;(e) – circa la mancata produzione della documentazione fotografica dell’inizio e della conclusione dei lavori, essa è sempre stata disponibile ma non è mai stata chiesta l’esibizione;(f) – circa la quantità delle terre di scavo, ogni verifica al riguardo dovrà essere compiuta in sede di collaudo finale delle opere, fermo il computo già presente nel progetto allegato alla domanda di contributi.
16.4. Il Collegio condivide che la motivazione della revoca, in quanto in parte esternata per relationem alla nota prot. 231498/2013 ed al suo Allegato, ed in parte nel provvedimento, per di più con continenza dei contenuti (i rilievi indicati nell’Allegato sono in parte evidenziati nella nota, e solo alcuni di essi sono riportati nel provvedimento), non è un esempio di chiarezza e sinteticità.
Ciò, tuttavia, non assurge a vizio invalidante, poiché (rende più faticosa, ma) non impedisce la univoca comprensione delle ragioni giustificative e del contenuto del provvedimento.
Per quanto riguarda la sostanza delle contestazioni, va sottolineato che i profili oggetto di impugnazione riguardano solo alcuni aspetti delle perplessità sulla coerenza/ammissibilità dell’intervento, prospettate dalla Regione nella nota citata.
Tale valutazione, risulta esternata, anzitutto, con riferimento alla non riconducibilità delle opere preventivate/rendicontate, al di là del nomen (vasche prefabbricate per accumulo acqua e accumulo antincendio;impianto idrico e antincendio;preparazione di pellets per alimentazione di specie ittiche;impianto fotovoltaico;centrale termica a condensazione;veicolo anfibio per la gestione dell’allevamento ittico;carrello), alla tipologia di intervento “Miglioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza dei lavoratori all’interno dell’azienda”. Aggiunge la nota, che tali dubbi di ammissibilità non sono stati dipanati in istruttoria, tenuto conto che: la manodopera aziendale è di un solo operaio stagionale per 51 giornate lavorative annue;e che nel corso del controllo non è stato rinvenuto alcun Piano per la sicurezza dei lavoratori, fatta eccezione per la Tavola PdS riferita alla sicurezza del cantiere (è con riferimento a detta circostanza che viene poi rilevato, a corredo della mancanza di giustificazione del pagamento effettuato in favore della società A.E.I. per la predisposizione dello studio di fattibilità relativo al progetto di adeguamento alle norme di sicurezza, come detta società sia di proprietà esclusiva dello stesso beneficiario del finanziamento).
Inoltre, nella nota si rileva l’insussistenza di atti di assenso necessari, tra cui quello per lo scarico delle acque piovane in alveo superficiale (par. 18 del bando), e della Valutazione di Incidenza, necessaria in quanto l’intervento ricade nel SIC IT 8020014.
Il Collegio, alla luce delle considerazioni appena riassunte, osserva che le censure dell’Azienda colgono aspetti dei rilievi che appaiono non conferenti (esito della valutazione da parte della Provincia, in quanto poi motivatamente sconfessata dalla Regione), ovvero risultano esposti a conferma di argomentazioni più corpose (scarso rilievo occupazionale, identità dell’impresa affidataria dell’incarico tecnico sui lavori), o comunque di importanza secondaria (produzione documentazione fotografica, quantità delle terre da scavo – aspetti che non vengono affrontati dalla nota prot. 231498/2013, contenente una sintesi propositiva del ben più diffuso Allegato).
Gli aspetti più sostanziosi, quali la non riconducibilità delle opere alla tipologia di intervento per la quale era stata richiesta e concessa la sovvenzione, o la mancanza dei necessari titoli autorizzatori (riguardo alla Valutazione di Incidenze, può richiamarsi quanto sopra esposto al punto 4.12.), non sono stati adeguatamente confutati dalla ricorrente.
In conclusione sul punto, deve ritenersi che la gran parte (se non la totalità) dei rilievi, non possa essere inficiata dall’impugnazione, qui riproposta dall’Azienda.
16.5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies della legge 241/1990. Difetto di istruttoria e carenza assoluta di motivazione. Violazione del legittimo affidamento.
Sostiene l’Azienda che non ricorrono i presupposti richiesti da detta disposizione per l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo.
16.6. Il Collegio, al riguardo, richiama le considerazioni sopra svolte (al punto 6.14.) circa la sussistenza di un interesse intrinseco ad evitare esborsi di denaro pubblico senza titolo valido, e circa la doverosità del recupero in presenza di cofinanziamenti comunitari.
17. In conclusione, le censure (rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo) assorbite in primo grado risultano infondate e non possono comportare una riforma in senso favorevole all’Azienda della sentenza appellata.
18. La sentenza appellata deve essere riformata anche per quanto concerne la condanna della Regione alle spese disposta dal TAR, applicando il criterio ordinario della soccombenza.
19. Anche le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate, al pari di quelle del punto precedente, come da dispositivo.