Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-10, n. 201903869

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-10, n. 201903869
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903869
Data del deposito : 10 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/06/2019

N. 03869/2019REG.PROV.COLL.

N. 00306/2009 REG.RIC.

N. 00308/2009 REG.RIC.

N. 00307/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui seguenti ricorsi in appello:
1) numero di registro generale 306 del 2009, proposto dalla signora P V, rappresentata e difesa dall’avvocato A M, con domicilio eletto presso lo studio Grez &
associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18,

contro

il Comune di Rimini, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato E F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M T B in Roma, via Caio Mario, 7;



2) numero di registro generale 307 del 2009, proposto dalla signora P V, rappresentata e difesa dall’avvocato A M, con domicilio eletto presso lo studio Grez &
associati in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18,

contro

il Comune di Rimini, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato E F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M T B in Roma, via Caio Mario, 7;



3) numero di registro generale 308 del 2009, proposto dalla signora P V, rappresentata e difesa dall’avvocato A M, con domicilio eletto presso lo studio Grez &
associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

il Comune di Rimini, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato E F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M T B in Roma, via Caio Mario, 7;

per la riforma

quanto al ricorso n. 306 del 2009:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Emilia Romagna - Sez. I - n. 2713/2007, resa tra le parti, concernente sospensione lavori di completamento funzionale di opere per le quali è stata avanzata istanza di condono;

quanto al ricorso n. 307 del 2009:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna - Sez. I - n. 2714/2007, resa tra le parti, concernente ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive;

quanto al ricorso n. 308 del 2009:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Emilia Romagna - Sez. I - n. 2715/2007, resa tra le parti, concernente diniego di condono.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2019 il Consigliere A M e uditi per le parti l’avvocato Gabriele Pafundi, su delega dell’avvocato Alessanro Mantero, l’avvocato Luigi Fedeli Barbantini, su delega dell’avvocato E F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’odierna appellante è proprietaria di un’unità immobiliare sita al piano attico di un edificio in viale Tripoli n. 165, a Rimini. In data 30 gennaio 1995 comunicava l’inizio di lavori di manutenzione ordinaria consistenti in rifacimento dell’impermeabilizzazione e della pavimentazione del lastrico solare. Con segnalazione della Polizia municipale in data 6 febbraio 1995 venivano tuttavia accertate opere in corso di realizzazione del tutto diverse da quelle assentite, ovvero la tamponatura di preesistente pensilina, con ampliamento della stessa per la porzione aggettante sulla ridetta via Tripoli, priva di copertura, in relazione alle quali il Comune di Rimini adottava ordinanza di sospensione dei lavori (non impugnata) prot. n. 33427/B del 14 febbraio 1995.

2. Con istanza in data 28 febbraio 1995, l’interessata chiedeva il rilascio di concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 39 della l. n. 724/1994, “ per cambio di destinazione d’uso da porticato a locale di abitazione ”, mediante “ tamponamento di porticato con ampliamento dell’unità immobiliare ”, attestando di aver ultimato le opere entro il 31 dicembre 1993, siccome richiesto dalla invocata normativa.

3. Nelle more del perfezionamento dell’ iter di rilascio di suddetto condono, la signora V comunicava al Comune di Rimini il completamento funzionale delle opere ai sensi dell’art. 35, co. 8, della l. n. 47/1985. Non ritenendo sussistenti i presupposti di operatività della norma richiamata, il Comune le intimava la sospensione dei lavori con provvedimento del 27 marzo 1997.

4. Con un primo ricorso al T.A.R. per l’Emilia Romagna, contrassegnato dal n.r. 1292/1997, la signora V chiedeva l’annullamento del ridetto provvedimento, contestando in particolare la circostanza di fatto cristallizzata nell’accertamento della Polizia municipale: ben due perizie asseverate del proprio tecnico incaricato, rispettivamente in data 6 marzo 1997 e 28 giugno 1997, avrebbero confermato infatti la diversa epoca di realizzazione e la necessità degli interventi effettuati, essendo la sostituzione di parte di copertura in tavolato e guaina in poliestere “ intervento obbligatorio al fine di conseguire l’idoneità sismica delle opere oggetto di condono edilizio ”, per le quali sarebbe anche stata rilasciata da parte del Servizio circondariale per la difesa del suolo autorizzazione n. 8154 del 26 maggio 1995.

5. Il T.A.R., con sentenza n. 2713/2007, respingeva il ricorso avallando l’operato del Comune di Rimini, correttamente basato sulla verbalizzazione di quanto riscontrato dalla Polizia municipale nel sopralluogo del 2 febbraio 1995.

Nel corso del giudizio, tuttavia, veniva accolta l’istanza di sospensiva (ordinanza n. 507 del 24 luglio 1997), ritenendo di poter scongiurare qualsivoglia indebito effetto anticipatorio del provvedimento di condono attraverso il richiamo all’assunzione di responsabilità di chi procede al completamento delle opere, testualmente contenuto anche nell’art. 35 della l. n. 47/1985. Sulla base di tale decisione i lavori venivano pertanto ripresi e presumibilmente portati a termine.

6. In data 19 agosto 1997 veniva adottato il provvedimento dirigenziale prot. 165239/B di diniego del richiesto condono, motivato in relazione alla riscontrata mancata esecuzione ed ultimazione delle opere entro il termine del 31 dicembre 1993 di cui al comma 1, primo periodo, dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724. Anche avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso al T.A.R. per l’Emilia Romagna (n.r. 2300/1997), contestando la circostanza di fatto cristallizzata nel verbale dei Vigili urbani: la fotografia dello stato dei luoghi al 2 febbraio 1995, della quale non è ragione di contestare la veridicità, non potrebbe essere estesa retrospettivamente alla situazione -non visualizzata e conseguentemente non accertata - esistente al 31 dicembre 1993, della quale si rivendica la successiva modifica per esigenze di messa in sicurezza del lastrico, nell’interesse di tutti i condomini.

7. Il T.A.R., con sentenza n. 2715/2007, ha respinto anche tale gravame, richiamando nuovamente le risultanze del sopralluogo della Polizia municipale in quanto preclusive anche della collocazione dell’avvenuta ultimazione delle opere entro il termine statuito dalla legge per la fruizione del richiesto condono. In particolare, dal verbale si evince che “ sul fronte aggettante la via Tripoli, ovvero per la porzione avente lunghezza di mt. 10,00 e larghezza di mt. 1,10 non è esistente alcuna pensilina di copertura ”.

8. In data 10 marzo 1998, quale doveroso epilogo della vicenda, il Comune di Rimini ingiungeva alla signora V la demolizione del manufatto abusivamente realizzato, descritto come “ ampliamento al corpo di fabbrica preesistente, di una superficie pari a mq. 47,50 circa con altezza interna di circa mt. 2,92 ”. Con sentenza n. 2714/2007 (su ricorso n.r. 1004/1998) l’adìto T.A.R. per l’Emilia Romagna respingeva il ricorso volto all’annullamento del richiamato provvedimento in quanto correlato al sopravvenuto diniego di sanatoria. Non riteneva di dover accogliere l’eccezione di improcedibilità del ricorso avanzata dalla ricorrente in ragione della sopravvenuta carenza di interesse riconducibile al procedimento conseguito all’avvenuta presentazione di una nuova istanza di condono, “ non essendovi riscontro probatorio della identità delle opere edilizie abusive di riferimento rispetto a quelle incise dall’impugnata ordinanza ”.

9. Con separati ricorsi n.r. 306/2009, 308/2009 e 307/2009 l’interessata proponeva appello avverso le ridette sentenze n. 2713/2007 (relativa alla intimata sospensione del “ completamento funzionale ”), n. 2715/2008 (concernente il diniego di sanatoria) e n. 2714/2007 (avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione) del T.A.R. per l’Emilia Romagna, lamentandone l’erroneità in fatto e in diritto.

10. In primo luogo si duole della mancata riunione dei procedimenti, tutti di fatto incentrati sull’accertamento della data di realizzazione delle opere che ha determinato il diniego di condono, la cui asserita illegittimità non può che riverberarsi pregiudizialmente sul contenuto degli altri provvedimenti avversati. Da tale scelta, peraltro, effettuata in dispregio dell’art. 52 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, e dell’art. 274 c.p.c., sarebbe conseguito un indebito aggravio delle spese di soccombenza, di fatto triplicate. Nel merito, ha sostanzialmente riproposto i motivi di doglianza del giudizio di primo grado, insistendo anche sulla eccepita improcedibilità del ricorso avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione (appello avverso la sentenza n. 2714/2007), a maggior ragione alla luce dei provvedimenti medio tempore intervenuti all’esito della rappresentata nuova istanza di condono (istanza prot. 110838 del 18 giugno 2004 per “ ampliamento del piano attico esistente rispetto al progetto licenziato a destinazione abitativa per una superficie di mq. 50,62 ”, rigettata per “ irricevibilità ” con provvedimento prot. n. 133954 del 20 luglio 2007). L’avvenuta asserita riedizione del procedimento sanzionatorio avrebbe cioè fatto traslare l’interesse a ricorrere sul futuro provvedimento che, eventualmente, respinga la nuova domanda di condono, disponendo nuovamente la demolizione dell’opera abusiva.

11. Si è costituito in giudizio in ciascuno dei tre procedimenti il Comune di Rimini, insistendo per la reiezione dei ricorsi e la conferma delle sentenze appellate.

12. In vista dell’udienza, le parti hanno presentato memorie e memorie di replica, per ribadire le proprie contrapposte prospettazioni.

13. Alla pubblica udienza del 7 maggio 2019 le cause venivano trattenute in decisione.

DIRITTO

14. Preliminarmente il Collegio, preso atto della connessione, soggettiva e oggettiva, tra i tre giudizi, ritenendo opportuna nell’odierno grado di giudizio una loro trattazione congiunta, anche in adesione ad esplicita rappresentazione in tal senso dell’appellante, dispone la riunione dei ricorsi nn.r. 306/2009, 307/2009 e 308/2009.

15. Quanto sopra non inficia la ritenuta infondatezza dello specifico motivo d’appello, riprodotto in limine di ciascuno dei tre ricorsi, laddove intende individuare una specifica violazione di legge nella diversa scelta procedurale seguita dal giudice di prime cure. Secondo giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, infatti, dalle cui risultanze non è motivo di discostarsi, la riunione dei ricorsi, oggi contemplata dall’art. 70 c.p.a., “ rappresenta una facoltà rimessa alla discrezionalità del Collegio, il cui mancato esercizio, sebbene ne sussistano i presupposti, non può di per sé costituire vizio della pronuncia, essendo sindacabile soltanto per manifesta abnormità ” (v. ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2018, n. 2366;
Sez. V, 27 dicembre 2017, n. 6081;
Sez. III, 3 agosto 2016, n. 3518). Il principio risultava già affermato anche in relazione al previgente art. 52, r.d. 17 agosto 1907, n. 642, essendo comunque la riunione dei ricorsi giurisdizionali “rimessa alla potestà discrezionale e insindacabile del giudice;
nessuna censura può, quindi, essere validamente mossa a carico delle sentenze impugnate in dipendenza della mancata riunione della trattazione dei ricorsi pendenti tra le stesse parti
” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1133). D’altro canto, nessun pregiudizio difensivo, tale da concretizzare la richiamata “abnormità”, risulta conseguito alla trattazione disgiunta dei ricorsi, non potendo ritenersi tale la condanna alle spese avvenuta applicando il principio della soccombenza, costituente l’unico limite all’esercizio dell’ampia discrezionalità riconosciuta al giudice amministrativo in materia.

16. Va di contro osservato che essa ha se mai agevolato la ricostruzione in fatto della vicenda, tutt’affatto semplice, avuto riguardo in particolare all’autonoma e centrale valenza dell’accertamento dell’illecito edilizio da parte dei Vigili urbani, che consegue alla presentazione di comunicazione di lavori di manutenzione ordinaria, ma precede l’istanza di sanatoria, costituendo lo snodo documentato della modifica di strategia operativa della ricorrente, compulsata dagli esiti di tale sopralluogo, che ha comportato il contestuale sequestro del cantiere e la conseguente intimazione di sospensione dei lavori. L’ordinanza di demolizione, quindi, oggetto del ricorso autonomamente proposto dalla parte (n. r. 1004/1998), consegue sì al diniego del condono, ma anche, senza soluzione di continuità, al ridetto accertamento del 2 febbraio 1995, ratificato da quello del tecnico comunale del 20 febbraio 1995, agli esiti del quale la parte si è tempestivamente attivata rappresentando una modifica di destinazione d’uso neppure menzionata nelle pur recenti interlocuzioni con il Comune di Rimini in relazione all’attività edilizia da effettuare sull’immobile de quo .

17. Nel quadro del continuo mutamento di strategie operative seguito dalla ricorrente, si colloca anche la nuova richiesta di condono avanzata in data 18 giugno 2004, dalla quale discende la riproposta eccezione di improcedibilità avanzata nel ricorso n.r. 307/2009: pur prescindendo, infatti, dalla circostanza, di immediato rilievo, che la metratura riportata nel verbale dei Vigili urbani del 1995 non corrisponde a quella oggetto della nuova richiesta di condono (mq. 47,50, a fronte degli attuali dichiarati mq. 50,62), come correttamente argomentato dal giudice di prime cure non appare provata la sovrapponibilità delle opere incise dall’impugnata ordinanza di demolizione rispetto a quelle oggetto della nuova richiesta. Né risulta chiaro il richiamo ad un “ nuovo documento sanzionatorio ”, cui allude parte appellante, stante che la nuova istanza di condono parrebbe essersi conclusa con il solo provvedimento di irricevibilità prot. 133954 del 20 luglio 2007, pure oggetto di impugnativa, conclusasi in senso sfavorevole alla V con sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna n. 286/2016, il cui appello risulta non ancora definito. L’appellante, infatti, subito dopo l’adozione del provvedimento demolitorio (in data 10 marzo 1998) ha presentato (in data 18 marzo 1998) una comunicazione relativa a opere interne ex art. 26 della l. n. 47/1985, integrata con relazione tecnica di descrizione degli interventi in data 31 marzo 1998. Di poi, la Polizia Municipale in data 6 maggio 1998 ha riscontrato che “ i lavori in corso d’opera riguardavano la demolizione delle murature che, allo stato dell’ampliamento rilevato, sono diventate interne, visto che le nuove, costruite, costituiscono le murature perimetrali ”. La demolizione d’ufficio intimata con l’ordinanza impugnata, a sua volta, non pare essere stata eseguita giusta l’avvenuta valutazione tecnico-economica negativa da parte del Comune di Rimini ex art. 27 della l. n. 47/1985, di cui si dà atto con provvedimento prot. n. 15594 del 28 gennaio 2003: in sintesi, non risultano chiariti dalle parti né gli esiti dell’originario procedimento sanzionatorio, né l’effettiva avvenuta attivazione di quello ulteriore che l’Amministrazione abbia ritenuto di far conseguire all’avvenuta verifica di un nuovo abuso, ovvero alla riscontrata permanenza del precedente, tenuto conto che la dichiarata irricevibilità della nuova istanza di condono non ne ha comportato una disamina contenutistica.

18. Nel merito, rileva il Collegio come effettivamente il fulcro dell’odierna controversia, denominatore comune sotteso alla decisione di tutti e tre i ricorsi, sia l’accertamento della data di avvenuta ultimazione delle opere, in quanto da un lato legittima il diniego di condono – e conseguentemente l’ingiunzione demolitoria - ;
dall’altro non consente di “completare” ciò che, di fatto, è stato acclarato come neppure realizzato alla data stabilita dal legislatore (31 dicembre 1993). Sul punto, come già affermato nei paragrafi precedenti, appare dirimente la valenza probatoria dell’accertamento dei Vigili urbani del 2 febbraio 1995, formalizzato nel verbale del 6 febbraio 1995. La ricorrente, infatti, consapevole di non poterne confutare le risultanze in fatto, in quanto fidefacenti fino a querela di falso, tenta di dequotarne gli effetti circoscrivendone la portata al solo momento storico di avvenuta percezione sensoriale degli accadimenti: in sintesi, pur non disconoscendo che nel febbraio 1995 la situazione era quella descritta dall’organo di polizia locale operante, da ciò non può inferirsi anche la sua corrispondenza senza mutamenti intermedi a quanto preesistente nel 1993. La lamentata mancanza di copertura, almeno parziale, in uno con la sostituzione della preesistente, sarebbe al contrario da inquadrare come (ri)copertura, allo scopo di ripristinare in chiave migliorativa il precedente assetto, eseguito ed ultimato abusivamente, ma in tempo utile a fruire del richiesto condono.

19. L’affermazione non è condivisibile. Al riguardo, sarebbe sufficiente richiamare la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze non è ragione di discostarsi, secondo la quale l’onere della prova della data di ultimazione delle opere edilizie delle quali si richiede la sanatoria ricade sul privato “ i n quanto soltanto l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. Pertanto, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare ka sanzione demolitoria ” (cfr. ex multis Cons Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3666;
Sez. IV, 11 settembre 2017, n. 4268). Il che non è avvenuto nel caso di specie, non potendosi ritenere sufficienti allo scopo le affermazioni, provenienti peraltro dal professionista incaricato dalla parte, di cui alle relazioni in data 6 marzo 1997, a corredo documentale della comunicazione di completamento funzionale e quella del 28 giugno 1997, allegata alla pratica autonomamente instaurata presso il Servizio circondariale per la difesa del suolo di Rimini, cui l’appellante fa riferimento in particolare nel fascicolo n.r. 306/2009: un’attenta lettura della richiamata documentazione - si ripete, comunque inidonea ad inficiare le risultanze della verbalizzazione dei Vigili urbani quali pubblici ufficiali- non evidenzia mai la chiara affermazione che le opere sarebbero state ultimate prima del 31 dicembre 1993, ma ne attesta lo stato di fatto al momento dei propri rilievi, utilizzando peraltro terminologia contraddittoria inidonea a dirimere in maniera ineludibile la questione controversa. Il riferimento, ad esempio, al “ completamento della copertura ”, evoca la necessità di provvedere innovando rispetto alla situazione preesistente, in maniera del tutto coerente con quanto accertato dalla vigilanza urbana in relazione ad una parte del porticato, riscontrato, appunto, originariamente privo di suddetta copertura, che unitamente alla tamponatura anche del manufatto precedente ha concretizzato l’ampliamento di superficie immobiliare nel quale si concretizza l’intervento effettuato.

20. Di nessun rilievo, infine, il richiamo, esso pure strumentale, al contenuto di provvedimenti a contenuto e motivazione eterogenea a vario titolo intervenuti nel procedimento del quale i singoli atti impugnati costituiscono singoli arresti: inconferente appare in primo luogo il richiamo alle decisioni del Pubblico Ministero adottate nell’ambito del procedimento penale conseguito alla comunicazione di notizia di reato della Polizia municipale e alla contestuale effettuazione del sequestro del cantiere in relazione all’accertata flagranza dell’illecito, cauterizzata anche con l’ordinanza di sospensione dei lavori in data 14 febbraio 1995. Essi infatti appaiono ispirati all’esigenza di tutelare i proprietari di porzioni di immobili sottostanti dai danni da infiltrazioni meteoriche derivanti dal mancato completamento dell’impermeabilizzazione del lastrico solare, senza attingere in alcun modo al ben diverso intervento di ampliamento della superficie abitativa per la quale si è poi richiesto il condono. Né può assumere rilievo la ricordata ordinanza n. 507/1997, con la quale il T.A.R. ha concesso la richiesta misura cautelare, stante che essa non si fonda neppure sul rilevato fumus di fondatezza del ricorso, ma consegue alla rilevata possibilità di ultimare l’opera “ sotto la responsabilità di chi vi procede ”, giusta l’esplicita previsione in tal senso contenuta al comma 8 dell’art. 35 della l. n. 47/1985, senza alcuna indebita efficacia anticipatoria degli esiti del giudizio di merito: Infine l’autorizzazione n. 8154 del 26 maggio 1995 del Servizio circondariale per la difesa del suolo di Rimini, che peraltro descrive l’intervento come “ ampliamento ”, ha portata esplicitamente limitata all’ambito di riferimento, tant’è che contiene esplicito rinvio al necessario rispetto delle norme urbanistico-edilizie, cui si riporta il richiamato art. 18 della l. n. 64/1974, la cui violazione non può essere in alcun modo sanata attraverso tale autonomo segmento procedurale.

21. Anche le ulteriori censure investenti la data di ultimazione dell’immobile, muovono da un equivoco di fondo, che l’appellante ha inteso perpetuare con il ricorso in appello. L’art. 35, comma 8, della l. n. 47/1985, infatti, consente al presentatore dell’istanza di concessione in sanatoria, decorsi 120 giorni e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, di “ completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all’articolo 31 ”. Affinché operi il combinato disposto delle norme sopra richiamate, cioè (art. 35, co. 8, in relazione all’art. 31 della l. n. 47/1985) l’opera deve essere “ ultimata ” in tempo utile per fruire del richiamato condono: nel caso di specie, ammesso e non concesso che la modifica di destinazione d’uso del porticato fosse stata quanto meno iniziata nel 1993 - ancorché inspiegabilmente neppure menzionata in sede di comunicazione di inizio dei lavori di manutenzione ordinaria - essa non risultava “completata” nell’accezione delineata dal legislatore al momento del sopralluogo dei Vigili urbani. La giurisprudenza sul punto ha avuto modo di precisare che la nozione di ultimazione delle opere, cui occorre far riferimento ai fini dell’applicabilità della disciplina sul condono edilizio, coincide con l’esecuzione del rustico, da intendersi come muratura priva di rifinitura (Cass. pen., Sez. III, 2 dicembre 1998, n. 10082) e da non confondere con lo scheletro, le pareti esterne non potendo considerarsi mere rifiniture (Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474);
ma comprende anche il necessario completamento della copertura, ovvero la parte riscontrata mancante per una parte del porticato che si intendeva annettere quale nuova unità abitativa all’immobile della parte appellante (Cass. pen. Sez. III, 2 dicembre 2008, n. 8064;
15 febbraio 2005, n. 10896;
Cons. di Stato, Sez. V, 19 ottobre 2011, n. 5625).

22. Alla luce di quanto sopra, il Collegio ritiene che i ricorsi n.r. 306/2009, 307/2009 e 308/2009 vadano respinti e conseguentemente confermate le sentenze n. 2713/2007, 2714/2007 e 2715/2007 del T.A.R. per l’Emilia Romagna.

23. La complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.

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