Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-10-10, n. 201906908
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 10/10/2019
N. 06908/2019REG.PROV.COLL.
N. 02182/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2182 del 2014, proposto da
A Z, rappresentata e difesa dall'avvocato N C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. D S in Roma, via Taranto, 44;
contro
Comune di Broni, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato G F F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Ripetta, 142;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE IV, n. 1866/2013, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Broni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Antonella Cassandro, in dichiarata delega dell'avv. Campana, e Giuseppe F. Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. A Z svolgeva, con il marito Luigi Catena, attività di rivendita di giornali e riviste sin dal 1990 in locale di proprietà del Comune di Broni, da ultimo, in forza di contratto di locazione stipulato il 20 maggio 2006.
1.1. Nel contratto le parti convenivano (al punto 2) la durata della locazione in sei anni, dal 15 maggio 2006 al 14 maggio 2012, e (al punto 6) che nei locali, concessi ad uso rivendita di giornali, riviste ed articoli di cartoleria, generi per la pulizia della persona, apparecchi telefonici e gadgets, sarebbe stato “ predisposto un apposito spazio destinato al servizio della cittadinanza, mirato alla diffusione di quanto proposto, prodotto e richiesto dall’Amministrazione Comunale e dalla Pro loco (quali materiali illustranti attività ed iniziative comunali, spettacoli, mappe e cartoline della città) nonché vendita di biglietti, gettoni e quant’altro riferito a pubblici servizi, con le modalità che – di volta in volta – verranno concordate tra le parti ”. Nulla prevedevano le parti in punto di rinnovazione del contratto alla scadenza prevista.
1.2. Venuto a compimento il termine di durata del contratto di locazione, il Comune di Broni, con nota del 15 maggio 2012, prot. 7652, invitava la Z a rilasciare i locali e riconsegnarne le chiavi entro il 23 maggio 2012. I locali, tuttavia, non venivano spontaneamente rilasciati dalla conduttrice che continuava a svolgere la sua attività commerciale, nella convinzione, esplicitata all’amministrazione comunale, che il contratto di locazione si fosse automaticamente rinnovato alla scadenza prevista, per mancata preventiva disdetta del locatore, ai sensi dell’art. 29 l. 27 luglio 1978 n. 392. Seguivano altre diffide del Comune, anch’esse rimaste inattuate.
1.3. Con nota 5 febbraio 2013 la Provincia di Pavia richiedeva ai Comuni aderenti al “ Progetto Itinerari – le tre valli ” di indicare quali risorse intendessero destinare al suddetto progetto;il Comune di Broni, con deliberazione di Giunta comunale del 27 febbraio 2013, dichiarava il proprio impegno alla realizzazione di un info point nel proprio territorio, da collocare, per il principio di economicità, in un immobile appartenente al patrimonio comunale, ubicato in area del centro storico.
1.4. Accertato che l’unico locale con le richieste caratteristiche era quello già locato alla Z e dalla stessa mai rilasciato, la Giunta comunale, con deliberazione 13 marzo 2013, n. 46, prendeva atto che A Z non aveva adempiuto alle intimazioni di rilascio del locale e dava mandato al Responsabile del settore pianificazione e progettazione di intimare alla stessa, detentrice senza titolo del locale, il rilascio entro 60 giorni dalla notifica della intimazione. Demandava, infine, al Comando di Polizia locale di accertare l’ottemperanza alla intimazione e, in difetto, l’esecuzione coattiva dello sgombero del locale.
1.5. Il Responsabile del Settore pianificazione e progettazione, emetteva, pertanto, ordinanza 18 marzo 2013, n. 6 di intimazione al rilascio del locale sgombero da qualsiasi materiale e suppellettile nel tempo di 60 giorni dalla notifica;il 21 maggio 2013 agenti della Polizia locale accertavano a verbale l’inottemperanza alla citata ordinanza, continuando la Z a svolgere la propria attività commerciale nel locale comunale.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, A Z impugnava la deliberazione giuntale 13 marzo 2013 (notificata alla ricorrente il 16 marzo 2013) unitamente all’ordinanza 18 marzo 2013, n. 6 (notificata il 19 marzo 2013) domandandone l’annullamento, previa sospensione degli effetti.
2.1. Costituitosi il Comune di Broni, che concludeva per il rigetto del ricorso, il giudice di primo grado, alla camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza cautelare, adottava la sentenza in forma semplificata, sez. IV 16 luglio 2013, n. 1866, di reiezione del ricorso e compensazione tra le parti in causa delle spese di lite.
2.2. Il ricorso era respinto con la seguente motivazione:
- prioritariamente andava accertata la natura del bene giuridico oggetto del contratto di locazione, se rientrante nel patrimonio disponibile o indisponibile del Comune, anche al fine di stabilire l’appartenenza della controversia alla giurisdizione amministrativa: se il bene avesse fatto parte del patrimonio indisponibile, infatti, quale che fosse la terminologia utilizzata, il godimento poteva essere attribuito a soggetto diverso dall’ente titolare del bene solo a mezzo concessione amministrativa, con conseguente riserva delle controversie attinenti al suddetto godimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo indennità, canoni ed altri corrispettivi;
- il locale rientrava nel patrimonio indisponibile del Comune, come da sentenza della Corte di Cassazione (sez III) dell’11 aprile 2006, n. 8403 secondo cui la dizione dell’art. 826 Cod. civ., per includere nel patrimonio indisponibile “ gli edifici destinati a sede di uffici pubblici ” consente di ricomprendervi anche “ l’edificio del municipio comunale ” dove si svolge l’attività istituzionale dell’ente;
- l’atto con il quale, pertanto, era stato attribuito alla Z il godimento del locale comunale era una concessione di bene pubblico, con conseguente riconoscimento al privato di un diritto condizionato, degradabile ad interesse legittimo in caso di provvedimento amministrativo che intimi la restituzione del bene a causa del contrasto tra godimento del privato e prevalente interesse pubblico;
- se tale era la natura dell’atto amministrativo dal quale la Z aveva tratto il suo godimento, ella avrebbe dovuto indicare in ricorso i vizi di violazione di legge o eccesso di potere dei provvedimenti amministrativi successivi alla scadenza prevista in concessione con i quali il Comune aveva inteso riacquisire il godimento del bene (la deliberazione giuntale n. 46 del 2013 e l’ordinanza del Responsabile di settore n. 6 del 2013), ma nessun vizio di legittimità era stato individuato per essersi la ricorrente limitata a sostenere la “ natura disponibile dell’immobile locato ” da cui sarebbe dovuto derivare il “ difetto di competenza del giudice adito ” e la violazione della l. 392/78 sulla locazione degli immobili;
- in conclusione, per l’ascrizione al patrimonio indisponibile del bene, per la natura concessoria del rapporto tra le parti, idoneo ad essere conosciuto dal giudice amministrativo e per l’inapplicabilità alla fattispecie della l. 392/78, dettata in materia di locazione, il ricorso era da ritenersi infondato.
3. Propone appello Antonio Z, affidato a due motivi;si è costituito in giudizio il Comune di Broni. Il Comune di Broni ha depositato memoria ex art. 73 Cod. proc. amm..
All’udienza del 20 giugno 2019 la causa è stata assunta in decisione.
3.1. Con il primo motivo di appello, la sentenza di primo grado è censurata per “ Error in judicando – violazione di legge: art. 21 septies l. 241/1990;art. 7 l. 241/90;art. 3 comma iv l. 241/90;art. 97 cost;eccesso di potere sotto il profilo dell’erronea applicazione ed interpretazione del regolamento della gestione e alienazione del patrimonio immobiliare;difetto di motivazione;difetto di istruttoria;irragionevolezza;illogicità manifesta;contraddittorietà manifesta e ingiustizia manifesta ”: il giudice avrebbe errato nel negare la natura locativa del contratto intervenuto con il Comune di Broni, per aver assunto a fondamento del ragionamento un presupposto sbagliato, vale a dire la natura indisponibile del bene oggetto di locazione in quanto “ porzione indivisa ” della casa comunale, senza tener conto, invece, che l’immobile aveva subito una variazione catastale solo nel 2003, prima della quale la Casa comunale e l’immobile locato erano unità a sé stanti;circostanza quest’ultima che precluderebbe di definire automaticamente l’edificio comunale come bene indisponibile, poiché la destinazione originaria dell’immobile non era quella di sede di edificio pubblico.
Esclusa la natura di bene indisponibile per la sua intraneità alla Casa comunale, il giudice, per giungere alla medesima conclusione, avrebbe dovuto accertare l’esistenza del rapporto di strumentalità fra bene locato e fini pubblici dell’ente territoriale, quivi, tuttavia, insussistente poiché nell’immobile locato non era mai stata svolta alcuna attività istituzionale e/o pubblica di qualsiasi natura, essendo stato sempre devoluto all’attività privatistica di edicola storica.
In conclusione sul punto, secondo l’appellante il giudice di primo grado avrebbe erroneamente qualificato come concessorio il rapporto intervenuto tra le parti “ con le conseguenze giuridiche del caso, irreparabilmente prodottesi a carico della ricorrente ”.
3.2. Con il secondo motivo di appello, la sentenza è censurata per “ Errore nel giudicare e nel procedere dell’appellata sentenza;eccesso di potere giurisdizionale;travisamento dei fatti;irragionevolezza, illogicità manifesta ”: è evidenziata l’assenza di nesso logico tra la prima parte della sentenza, nella quale è ricostruita la natura giuridica del bene in contestazione, e la seconda parte, nella quale si rileva la mancata enunciazione in ricorso di vizi di legittimità dei provvedimenti comunali;è aggiunto, inoltre, che “ l’eccesso di potere degli atti amministrativi impugnati e l’abuso di potere dell’amministrazione comunale citata è stato ampiamente sostenuto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, proprio in forza della natura disponibile del bene locato ”.
4. I motivi di appello, che possono essere unitariamente esaminati, sono infondati, salvi i profili di inammissibilità dell’appello che si vanno ad enunciare.
4.1. Con il primo motivo l’appellante contesta la sentenza di primo grado per aver qualificato il rapporto intercorso con il Comune di Broni come di natura concessoria anziché di natura locatizia e, per giungere alla diversa qualificazione, si impegna a dimostrare che il bene in contestazione – locale interno alla sede del Comune – non era in realtà appartenente al patrimonio indisponibile, ma a quello disponibile.
Senonchè, la questione, quand’anche fosse risolta nel senso auspicato dall’appellante – ritenendo il locale appartenente al patrimonio disponibile e non a quello indisponibile – non avrebbe quale effetto immediato la caducazione degli atti impugnati, dei quali, anche in questa fase di appello, non sono specificatamente enunciati i vizi di legittimità che, ove fondati, possono portare all’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento degli stessi.
Nel secondo motivo di appello, infatti, Z si limita a contestare la sentenza per non aver esaminato i vizi di eccesso di potere e abuso di potere dell’amministrazione comunale enunciati nel ricorso introduttivo, ma manca del tutto di specificare il contenuto delle censure svolte, ossia non sottopone al giudice d’appello le contestazioni all’azione amministrativa dedotte in primo grado e non esaminate dal giudice.
4.2. Tale rinvio, peraltro effettuato in maniera allusiva e non diretta, non vale ad assolvere all’onere di riproposizione delle censure non esaminate che la parte appellante è tenuta a compiere nel proprio atto di appello ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm..
Non può essere richiesto al giudice d’appello, infatti, lo spoglio degli atti del primo grado del giudizio – ammesso pure che siano tutti immediatamente reperibili – alla ricerca dei motivi di ricorso, non esaminati dal primo giudice, e che si vuole siano conosciuti nel grado d’appello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1994 ove è ben spiegato che: “ In termini generali, infatti, la riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata dal Giudice di primo grado richiede la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure ”, ed anche Cons. Stato, IV, 14 novembre 2018, n. 6416;V, 22 giugno 2018, n. 3874).
4.3. In sostanza, l’appello è infondato perché quale che sia la natura del bene, disponibile o indisponibile, non sono allegate ragioni di illegittimità dell’azione amministrativa rivolta al recupero dello stesso, che, per questo motivo, non può che restare ferma.
5. Le spese del giudizio vanno compensate per la peculiarità della vicenda.