Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-27, n. 202211305
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Testo completo
Pubblicato il 27/12/2022
N. 11305/2022REG.PROV.COLL.
N. 03230/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3230 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato D A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
il Ministero dell'interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. I, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Prefettura di Ravenna di rigetto dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare ex art. 103, comma 1, d.l. n. 34 del 2020.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 20 giugno 2020, la signora -OMISSIS- ha presentato alla Prefettura di Ravenna domanda di emersione dal lavoro irregolare subordinato, ex art. 103, comma 1, d.l. n. 34 del 2020, convertito in l. n. 77 del 2020, in favore del cittadino ghanese signor -OMISSIS-.
2. La Prefettura di Ravenna, il 7 settembre 2020 ha inviato ad entrambi i richiedenti preavviso di rigetto ex art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, motivato dal parere negativo reso dalla Questura di Ravenna, in quanto è emersa, a carico del lavoratore, sentenza di condanna su richiesta delle parti, alla pena di anni 1, mesi 10 di reclusione ed € 400,00 di multa pronunciata dal GIP del Tribunale di Forlì il 22 ottobre 2014, divenuta irrevocabile il 24 novembre 2014, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 (illecita detenzione di stupefacenti ad uso non esclusivamente personale per quantità e modalità di presentazione), in concorso (formale) con il reato previsto all’art. 582 c.p. (lesioni personali) e con quello di cui all’art. 337 c.p. (resistenza a pubblico ufficiale).
3. Con nota del 9 novembre 2020, il signor -OMISSIS-ha replicato, per il tramite del difensore, evidenziando che l’interessato stava presentando istanza al Tribunale di Forlì volta ad ottenere la declaratoria di estinzione dei reati di cui a detta condanna, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p.;declaratoria poi intervenuta, nelle more del procedimento, con ordinanza del 15 dicembre 2020 del Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Forlì.
4. Con provvedimento del 17 dicembre 2020, notificato allo straniero il 26 gennaio 2021, la Prefettura di Ravenna ha rigettato la domanda di emersione, ritenendo irrilevante la dichiarata estinzione degli effetti penali del reato, rispetto alla condanna riportata per violazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e artt. 582 e 337 c.p..
5. Avverso tale provvedimento, il signor -OMISSIS-ha proposto ricorso innanzi al Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, domandandone l’annullamento, previa sospensiva. Lo straniero ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 103, comma 1, d.l. n. 34 del 2020, nonché l’eccesso potere per difetto di istruttoria, lamentando la mancata valutazione dell’estinzione del reato intervenuta il 15 dicembre 2020 dal Tribunale di Forlì, a suo avviso idonea e sufficiente all’accoglimento della domanda.
6. Con sentenza del -OMISSIS-, la sez. I del Tar Bologna ha giudicato legittimo il provvedimento elevato nei confronti dello straniero e ha respinto il ricorso, venendo in rilievo una fattispecie di reato automaticamente ostativa, per legge, all’accoglimento della domanda di regolarizzazione e rilevando che comunque l’Amministrazione aveva considerato il profilo opposto dal ricorrente.
7. Con appello notificato il 23 marzo 2022 e depositato il successivo 19 aprile, il signor -OMISSIS-ha impugnato la sentenza n. -OMISSIS-, chiedendone l’annullamento previa sospensiva, riprospettando le censure del primo grado in chiave critica rispetto alla sentenza gravata. In particolare, lo straniero ha dedotto l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta, mancanza di idonei parametri di riferimento, difetto di istruttoria e carenza di motivazione e ha lamentato di aver subìto un danno grave e irreparabile.
8. Con ordinanza del-OMISSIS-, è stata respinta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar Bologna n. -OMISSIS- di reiezione del ricorso di primo grado, per carenza di fumus.
9. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno senza espletare difese scritte.
10. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Come esposto in narrativa, oggetto della controversia è il provvedimento della Prefettura di Ravenna che ha rigettato la domanda di emersione dal lavoro irregolare avanzata, ex art. 103, comma 1, d.l. n. 34 del 2020, in favore del cittadino ghanese -OMISSIS- in quanto condannato, con sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., del Tribunale di Forlì, divenuta irrevocabile, per il reato di illecita detenzione di stupefacenti ad uso non esclusivamente personale per quantità e modalità di presentazione (art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990), in concorso con il reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) e con quello di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), alla pena di anni 1, mesi 10 di reclusione ed € 400,00 di multa;sentenza poi dichiarata estinta ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., con provvedimento giudiziale intervenuto nelle more del procedimento.
Con un unico motivo l’appellante ha dedotto che la Prefettura non avrebbe tenuto conto, come dovuto, del provvedimento giudiziale di estinzione pronunciato ai sensi e per gli effetti dell’art. 445, comma 2;pertanto, il diniego sarebbe illegittimo.
2. L’appello è infondato.
Va premesso che l’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 (T.U. sugli stupefacenti) tipizza diverse condotte che integrano il reato di spaccio di stupefacenti;tali reati (tra cui quello per il quale è stata inflitta la condanna all’appellante) rientrano espressamente nel novero dei casi in presenza dei quali il d.l. n. 34 del 2020 non consente ai cittadini extracomunitari di accedere alle procedure di regolarizzazione ivi previste.
L’art. 103, comma 10, del citato decreto ha infatti stabilito che “Non sono ammessi” alle procedure ivi previste i cittadini stranieri “c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall’art. 380 del codice di procedura penale…ovvero per i reati inerenti agli stupefacenti”.
La formulazione del citato comma 10 dell’art. 103, d.l. n. 34 del 2020 è sostanzialmente analoga, per evidente identità di ratio, a quella dell’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. b), l. n. 189 del 2002, il quale non ammette in Italia lo straniero che “risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti (…)”. Tale regola è peraltro mitigata dal successivo art. 5, comma 5, ultimo periodo per il quale “Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
La giurisprudenza consolidatasi in relazione ai dettami dei citati articoli del T.U. sull’immigrazione ha posto in luce come, a fronte di una condanna per un reato in materia di stupefacenti, all’Autorità amministrativa non residui alcun margine di apprezzamento, dovendo ricollegarvi per legge un automatico effetto ostativo, derivante dalla valutazione effettuata ex ante dal legislatore, in relazione alle esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale nonché al particolare disvalore e allarme sociale generato dalle condotte incriminate.
In ragione di tale automatismo, l’Amministrazione è vincolata al rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, salva l’eccezionale ipotesi in cui sussistano vincoli familiari sul territorio italiano perché, allora, l’Amministrazione è chiamata operare un bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e il diritto dello straniero alla protezione dell’unità familiare, riconosciuto, sia pur non come diritto assoluto, dall’art. 8 della C.E.D.U. (così, da ultimo, Cons. St., sez. III, 19 agosto 2022, n. 7325).
Stante la rilevata identità di ratio, tale giurisprudenza, come correttamente evidenziato dai primi giudici, deve ritenersi applicabile anche con riguardo alle istanze di permesso di soggiorno per emersione dal lavoro irregolare (come nel caso su cui si controverte) e di permesso di soggiorno per attesa occupazione, rispettivamente previste ai commi 1 e 2 dell’art. 103, d.l. n. 34 del 2020.
Coerentemente a tale impostazione, questa Sezione ha avuto modo di rilevare che “La vincolatività dell’atto in presenza di condanne ostative e in assenza di legami familiari sul territorio nazionale rende irrilevante che lo straniero abbia beneficiato della sospensione condizionale della pena” (Cons. St., sez. III, 19 agosto 2022, n. 7325). L’intervenuta condanna del medesimo è necessaria e sufficiente ad impedire il rilascio del permesso di soggiorno, né rileva in senso contrario la circostanza che lo stesso abbia intrapreso un percorso espiativo e beneficiato dell’affidamento in prova ai servizi sociali” (Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2020, n. 155). Le condanne in materia di stupefacenti sono automaticamente ostative e lo è anche una sola condanna, a prescindere dalla specifica pena detentiva riportata dal condannato, non rilevando la concessione di attenuanti o della sospensione condizionale della pena, né le modalità di esecuzione della stessa (Cons. St., sez. III, 28 luglio 2020, n. 4797).
Peraltro, quand’anche si volesse accedere alla pretesa forza neutralizzante della dichiarazione di estinzione ex art. 445, comma 2, c.p.p., e ritenere che la condanna inflitta al signor -OMISSIS-abbia, per l’effetto, perso l’efficacia preclusiva attribuita per legge, ciò non potrebbe mai tradursi nell’obbligo dell’Amministrazione di rilasciare il provvedimento positivo, dando per scontato un inammissibile effetto preclusivo in senso contrario rispetto a quello contestato;infatti, in ogni caso, l’Autorità procedente sarebbe chiamata ad un doveroso controllo sulla concreta pericolosità sociale dello straniero istante, in base alle circostanze concretamente sussistenti al momento della valutazione e operando anche in tal caso, laddove si riscontri la sussistenza di vincoli familiari, un bilanciamento dell’interesse pubblico all’ordine e alla sicurezza nazionale e alla civile convivenza con quello all’unità familiare del soggetto.
È vero, infatti, che nella più recente giurisprudenza penale si è andato affermando l’orientamento teso ad attribuire alla dichiarazione di estinzione ex art. 445 c.p.p. valenza meramente dichiarativa di effetti che si produrrebbero ipso iure al solo verificarsi delle condizioni previste al citato articolo (lo spirare del termine di legge senza che risultino commessi reati;così, in Cassazione, sez. III pen., 1 febbraio 2022, n. 3574), ma le valutazioni intervenute in sede penale non possono vincolare l’Autorità amministrativa, escludendo l’esercizio dell’autonomo potere discrezionale che le è attribuito in tali casi. Infatti, contesti, criteri e finalità sono differenti;come a suo tempo riconosciuto dalla Corte costituzionale, la rilevanza che assume l’interesse pubblico alla sicurezza e alla tranquillità dei cittadini nella speciale materia dell’immigrazione, rende ammissibile e giustificabile che uno stesso fatto possa ricevere diverse valutazioni nelle due sedi, penale e amministrativa (Cons. St., sez. III, ord., 1 luglio 2022, n. 5492).
3. Tutto ciò posto, nella fattispecie in esame, l’appellante ha riportato una condanna per illecita detenzione di stupefacenti ad uso non esclusivamente personale (tra l’altro, in concorso con i reati di lesione personale e resistenza a pubblico ufficiale), punita dall’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e prevista come causa impeditiva automatica all’accoglimento della domanda di regolarizzazione;trattasi, in particolare, di ipotesi delittuosa di una certa gravità, per il disvalore sociale e l’indice di pericolosità che esprime. Al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, inoltre, non risultava alcun legame familiare. Tanto basterebbe per considerare l’atto gravato legittimo.
Va tuttavia dato atto che dagli atti procedimentali versati in giudizio e dal tenore del provvedimento negativo impugnato emerge che, pur in presenza di una condanna ostativa all’accoglimento della domanda presentata ai sensi del d.l. n. 34 del 2020, preclusiva di ogni ulteriore valutazione, la Prefettura di Ravenna, contrariamente a quanto lamentato dall’appellante e, viceversa, fondatamente disconosciuto dai primi giudici, ha approfondito anche la questione concernente la dichiarazione di estinzione pronunciata dal giudice penale, procedendo, come si evince dal provvedimento impugnato, ad un esame della giurisprudenza consolidata in materia di estinzione;tuttavia, nell’esercizio della sua discrezionalità, non ha ritenuto dirimente tale elemento rispetto agli elementi a disfavore risultanti dai pareri della Questura e dagli atti della vicenda penale prodotti dallo stesso interessato, restando “ineliminabile” il dato storico di reato che, anche alla luce dell’indagine giurisprudenziale condotta, “continua a produrre i suoi effetti civili e amministrativi dal punto di vista giuridico”;effetti giuridici che, evidentemente, per quanto detto, sul piano amministrativo, nelle procedure di regolarizzazione di cui al d.l. n. 34/2020 si concretizzano, per le ragioni descritte, nella permanente rilevanza - in termini di pericolosità sociale - della condotta incriminata rispetto in ragione delle speciali finalità a degli interessi pubblici sottesi alla disciplina dell’immigrazione.
Il rifiuto impugnato risulta dunque assistito da congrua e legittima motivazione e non meramente ricollegato al disposto normativo. Le doglianze avanzate in relazione ai suddetti aspetti sono quindi destituite di fondamento.
Sotto altro profilo, si rileva che il signor -OMISSIS-ha riferito, per la prima volta in sede di appello, di avere nel territorio nazionale “importanti legami affettivi” con una fidanzata ed uno zio, dei quali fornisce copia dei documenti identificativi, e di essere “perfettamente integrato” nel nostro Paese;viceversa, non avrebbe alcun interesse rispetto al proprio Paese d’origine. Trattasi di circostanze e documenti di cui non c’è traccia né negli atti procedimentali depositati né nel fascicolo di primo grado.
In proposito, in disparte i profili di inammissibilità per divieto dei nova in appello, si osserva, in punto di fatto, che l’appellante si è limitato ad affermazioni generiche, senza fornire a supporto alcun elemento atto a comprovare l’effettività e serietà dei vantati vincoli familiari, non potendo queste ultime trarsi dai documenti identificativi prodotti o dalle scarne dichiarazioni contenute in appello;lo stesso vale per l’asserito inserimento sociale. In punto di diritto, alla luce degli univoci insegnamenti giurisprudenziali, anche costituzionali, si evidenzia che i legami familiari dedotti non rientrano tra quelli che, ai sensi dell’art. 29 T.U. sull’immigrazione, legittimerebbero il rilascio di un permesso per ricongiungimento familiare, comportando, per l’effetto, un contemperamento del rigido automatismo ostativo ricollegato alla fattispecie di reato per la quale è stato punito l’appellante.
Pertanto, il provvedimento, anche alla luce di tali allegazioni, non avrebbe e non può assumere nessun diverso contenuto ed è quindi legittimo.
4. In conclusione, per tutti i motivi che precedono, l’appello deve essere respinto.
L’assenza di difese scritte da parte del Ministero dell’Interno giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.