Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-18, n. 202201210

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-18, n. 202201210
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202201210
Data del deposito : 18 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/02/2022

N. 01210/2022REG.PROV.COLL.

N. 06695/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6695 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato O M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno, n. 6;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza - Comando Generale, Guardia di Finanza, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comando Interregionale -OMISSIS- della Guardia di Finanza, Comando Regionale della -OMISSIS- della Guardia di Finanza, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, che ha rigettato la domanda di annullamento -previa sospensiva- della Determinazione di perdita del grado per rimozione e cessazione dal rapporto di impiego adottata a carico del Maresciallo Capo in servizio permanente -OMISSIS- “-OMISSIS-” dal Comando Interregionale -OMISSIS- della Guardia di Finanza in data 24.06.2020 prot. 0332684/2020;
del verdetto di “non meritevolezza a conservare il grado”, formulato dalla Commissione di disciplina in data 08.06.2020 ma non conosciuto, e di tutti i verbali, ancorchè non conosciuti, della suddetta Commissione;
della nota n. 56872/1481//2020 del 25.02.2020;
della determinazione n. 75352/1295/2020 del 04.03.2020 trasmesso con nota prot. 75392 e della nota n. 75411/1295/2020 pari data;
della nota n. 85447/1295/2020 del 11.03.2020;
dei fogli nn. 100105 e 100250/1295/2020 del 26.03.2020, nn. 121151 e 121156/1295/2020 del 15.04.2020, n. 154707/1295/2020 del 16.05.2020, n. 167458/1295/2020, n. 167498/1295/2020;
della dichiarazione prot. n. 82521/2020 del 09.03.2020 e della nota di comunicazione recante pari data e pari numero di protocollo a firma del Ten. Col. -OMISSIS-;
per quanto occorrer possa del Rapporto finale relativo all'inchiesta formale disciplinare prot. n. 292087/2018 del 17.09.2018 notificato il 18.09.2018;
della Relazione riepilogativa e della Determinazione n. 317733/18/1295 del 09.10.2018;
della nota n. 253760/2018 del 07.08.2018, di contestazione degli addebiti;
della nota n. 248592/18/1295 del 02.08.2018;
di tutti gli atti del procedimento disciplinare, nonché di ogni altro atto propedeutico e/o presupposto e/o effettuale e consequenziale, ancorchè non conosciuto.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Guardia di Finanza - Comando Generale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2022 il Cons. Stefano Filippini e uditi per le parti l’avv. O M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La vicenda riguarda il procedimento disciplinare aperto a carico del militare, Maresciallo Capo in servizio permanente della Guardia di Finanza, per un fatto avvenuto a -OMISSIS- il 26 gennaio 2010, così descritto nel provvedimento di sanzione: mentre era fuori servizio, egli si recava presso un supermercato locale e lì “si impossessava di merce varia (cartucce di inchiostro per stampante, del valore complessivo di € 67,43, NDR) prelevando alcune confezioni dagli scaffali, aprendo con un taglierino le confezioni, occultando detta merce sulla persona ed omettendo il pagamento del prezzo dovuto alla cassa. Il militare non riusciva nell'intento per cause indipendenti dalla propria volontà, poiché veniva osservato durante il compimento dell'azione dal personale dì vigilanza del supermercato e successivamente fermato alla cassa ”.

Per questo fatto, qualificato come tentato furto aggravato, il Tribunale di -OMISSIS-, con sentenza del 6 dicembre -OMISSIS-, ha riconosciuto il militare colpevole del reato ascritto e lo ha condannato a sei mesi di reclusione e 300 euro di multa e alla pena accessoria della rimozione, con sospensione condizionale sia della pena principale che di quella accessoria. La Corte d’Appello di -OMISSIS-, con sentenza del 13 marzo -OMISSIS-, ha confermato la condanna ma ha ridotto la pena principale. La Corte di Cassazione, pronunciandosi con sentenza -OMISSIS--, ha dichiarato inammissibile il ricorso, facendo divenire definitiva la condanna.

Il militare, come anticipato, è stato sottoposto a procedimento disciplinare sfociato nel provvedimento -OMISSIS-, di rimozione con cessazione del rapporto di impiego. Il TAR -OMISSIS-, con una prima sentenza (la n. -OMISSIS-) poi passata in cosa giudicata, ha annullato, per la riscontrata violazione del diritto di difesa, la valutazione della commissione di disciplina dell’11 dicembre 2019 e la determinazione conclusiva del procedimento, “salva ulteriore attività dell’Amministrazione in esito alla riedizione del potere”.

Riattivato il procedimento disciplinare mercé la nomina di una nuova commissione di disciplina, con il provvedimento impugnato è stata nuovamente disposta la sanzione disciplinare della rimozione con cessazione del rapporto di impiego, contro cui è stato proposto nuovo ricorso.

Previo rigetto della richiesta di sospensiva, il secondo ricorso è stato deciso in data -OMISSIS- con la sentenza qui impugnata, essendo state ritenute infondate le censure in tema di pretesa violazione degli artt. 1370, 1373, 1393 e 1380 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 nonché in tema di vizio della motivazione.

Con il ricorso in appello il Mar. -OMISSIS- reitera gli argomenti già esposti in primo grado, lamentando:

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1373 c.o.m. dal momento che la rinnovata decisione disciplinare avrebbe dovuto essere assunta entro il 23.3.2020, non essendo sufficiente che entro quel termine sia avvenuta la sola ripresa del procedimento con la nomina della rinnovata Commissione disciplinare;

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1392 c.o.m. ;
l’atto di nomina e convocazione della prima Commissione di disciplina del 9.10.2018 non ha formato oggetto di annullamento ma è stato semplicemente modificato, con previsione di una diversa composizione della Commissione medesima in ossequio all’art. 1380 cit.;
per tale motivo i termini del procedimento disciplinare hanno continuato a decorrere da detta data (9.10.2018) sino al 11.12.2018, epoca a cui risale il primo atto effettivamente annullato con la citata decisione n. 150/20, con decorso di ulteriori 63 giorni che debbono essere computati per individuare il termine ultimo entro cui il nuovo provvedimento doveva essere adottato;
l’amministrazione appellata ha invece indicato in 97 giorni (dunque con scadenza al 20 luglio 2020) il termine per rinnovare il procedimento, ma tale comportamento si risolve in un indebito ampliamento dei termini perentori fissati dal legislatore.

- violazione del principio di imparzialità della commissione di disciplina (l’ufficiale sostituto è un sottoposto del sostituito).

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1370 d. Lgs. n. 66/2010 ;
violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa;
violazione e/o falsa applicazione della circolare ministero difesa del 13.12.2016 “guida tecnica procedure disciplinari 5° edizione – dicembre 2016, punto 1.5;
violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 6 l. n. 241/90;
è mancata l’assistenza del difensore in fase prodromica del procedimento.

- error in iudicando;
erroneità della sentenza in ordine alla censura di violazione del diritto di difesa e di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1375 c.o.m. ;
difetto, carenza, insufficienza della motivazione per travisamento fattuale e contraddittorietà;
- violazione del principio di proporzionalità.

Si è costituita l’Amministrazione convenuta contrastando l’appello.

La controversia è stata trattenuta in decisione all’udienza del 1.2.2021 .

DIRITTO

L’appello è infondato.

In primo luogo è opportuno ripercorrere l’iter del procedimento che ha portato all’adozione della sanzione disciplinare. A seguito dell’accoglimento da parte del TAR (con sentenza pubblicata il 23.1.2020) di una prima sanzione disciplinare (in considerazione di un vizio del contraddittorio verificatosi dinanzi alla Commissione disciplinare riunitasi in data 11.12.2018 nonostante che l’incolpato avesse giustificato con certificato medico il proprio impedimento), l’Amministrazione, in data 24.2.2020 ha provveduto all’autoannullamento del precedente provvedimento;
con atto del 4.3.2020 si è provveduto alla nomina di una nuova Commissione;
ha fatto seguito un periodo di sospensione delle attività per l’emergenza da Covid-19 (relativa al periodo dal 23.2 al 15.5) sino alla riunione della Commissione disciplinare in data 8.6.2020 e alla adozione del nuovo provvedimento disciplinare espulsivo del 24.6.2020.

Ciò posto, come correttamente osservato dal TAR, manifesta appare l’infondatezza dei primi due motivi di appello;
è ben vero che, ai sensi dell’art. 1373 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, ”… il nuovo procedimento riprende, a partire dal primo degli atti annullati, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto piena conoscenza dell'annullamento o dalla data di adozione del provvedimento di autotutela”;
tuttavia il termine perentorio per il riavvio del procedimento, che andava a scadere, nel caso in esame, il giorno 23 marzo 2020, risulta pienamente rispettato con la nomina della nuova Commissione avvenuta il 4.3.2020. E’ pur vero che detta nomina non aveva formato oggetto di un esplicito e diretto annullamento giurisdizionale, ma risulta parimenti evidente come la stessa dovesse essere comunque rinnovata, vuoi per effetto dell’autonomo provvedimento di autoannullamento amministrativo, vuoi a causa dello stesso annullamento giurisdizionale. Invero, una volta rimosso il precedente provvedimento sanzionatorio, la riedizione del potere doveva necessariamente passare per la rinnovazione degli atti espressamente annullati o comunque necessariamente travolti dall’azione demolitoria. E così è per la rinnovazione della Commissione, posto che, ai sensi dell’art. 1380, comma 3, lett.l), c.o.m., i componenti della precedente Commissione erano oramai incompatibili rispetto al nuovo procedimento;
dunque, la precedente nomina dei commissari si è venuta a trovare in posizione di insanabile contrarietà rispetto alla richiamata norma imperativa, tanto da dover essere necessariamente rinnovata. Del tutto legittimo, quindi, risulta il comportamento dell’Amministrazione rispetto al termine decadenziale per la conclusione del procedimento, dovendosi tenere conto che il primo atto dopo la sentenza di annullamento non poteva che essere la nomina della commissione di disciplina, sicché è questo l’atto endoprocedimentale cui occorre guardare per verificare quale fosse il tempo residuo per la conclusione del procedimento (correttamente individuato, come detto, al 20.7.2020). Atto di nomina, propulsivo della riedizione del potere, comunque intervenuto nel termine di sessanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto piena conoscenza dell'annullamento.

Manifestamente infondati sono anche gli altri motivi.

Invero, quanto alla pretesa violazione del principio di imparzialità della commissione di disciplina, del tutto adeguata è la risposta offerta dal TAR, sia a proposito della mancata previsione normativa della situazione di incompatibilità per chi è inferiore gerarchico del presidente della prima commissione, sia in merito al mancato ricorso, da parte dell’incolpato, all’istituto della ricusazione.

Quanto ai pretesi vizi del contraddittorio asseritamente verificatisi nella fase prodromica del primo procedimento disciplinare, trattasi di questione che la precedente sentenza di annullamento, passata in giudicato, ha considerato assorbita dalla più evidente ragione che ha giustificato quell’annullamento. E quindi, essendo divenuta quella sentenza definitiva, trattasi di pretesa violazione inerente un segmento procedimentale coperto da giudicato.

Quanto, infine ai motivi attinenti al vizio di motivazione e alla pretesa erroneità o eccessività della sanzione, devesi rilevare, come già adeguatamente evidenziato dal TAR , “ che l’Amministrazione ha fatto legittima applicazione dell'art. 653 c.p.p., in forza del quale il giudicato penale fa stato nei giudizi di responsabilità disciplinare quanto all'accertamento dei fatti, della loro illiceità penale ed alla loro riconducibilità alla condotta dell'incolpato. Ciò posto, risultando evidente il rilievo anche disciplinare della condotta del militare, occorreva valutare e adeguatamente motivare in merito alla gravità della violazione disciplinare, come adeguatamente fatto dall’Amministrazione che ha valorizzato i passaggi motivazionali delle diverse sentenze penali, dalle quali emerge che l’odierno appellante, avvalendosi di un taglierino, ha aperto le confezioni contenenti la merce, ha occultato quest’ultima e ha riposizionato le confezioni sugli scaffali;
e che mai, in sede penale, ha inteso giustificare o comunque spiegare la propria condotta. Ha ritenuto, quindi, priva di pregio la unilaterale e tardiva ricostruzione alternativa dei fatti, fornita soltanto in sede di procedimento disciplinare. Ha dunque bilanciato la gravità della vicenda sottoposta a valutazione disciplinare (non senza omettere di rilevare come, nel corso della perquisizione che seguì l’arresto, furono rinvenuti a casa dell’odierno ricorrente 22 g. di sostanza stupefacente e, presso il suo ufficio, una paletta segnaletica irregolarmente detenuta) e lo stato di servizio del militare. Ha concluso nel senso che le gravissime carenze in ordine alle qualità morali, professionali e caratteriali emerse, la violazione del giuramento di fedeltà, lealtà e rettitudine, il nocumento arrecato al prestigio del Corpo non potevano che determinare l’applicazione della contestata sanzione disciplinare.

Ebbene, la sanzione, pur grave, risulta, nei limiti in cui può essere esercitato il sindacato del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 570), proporzionata rispetto alla gravità dei fatti addebitati al ricorrente, comportanti la violazione degli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza, tale da rendere irrilevante qualunque considerazione circa la rilevanza penale del fatto, l'asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell'incolpato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3736).”

Rispetto a tali considerazioni, corrette ed esaustive, solo genericamente contrastate dall’appellato, non si ravvisano motivi per dissentire.

Né ricorre alcun travisamento del fatto in relazione al richiamo fatto, nel corpo del provvedimento amministrativo, alla previsione di cui all’art. 33 del Codice penale militare di pace (secondo cui l’applicazione della pena accessoria della rimozione consegue nei confronti dei militari in servizio condannati per il delitto di furto ex art. 624 c.p.) ;
invero, anche a non voler considerare che la prima delle richiamate previsioni non distingue tra fattispecie tentate e fattispecie consumate ed è dunque applicabile ad entrambe (cfr. Cass. penale, Sez. 1, n. 12295 del 08/10/2019, Rv. 278627 – 01;
n. 34368 del 2009, Rv. 244818 – 01), il provvedimento impugnato chiaramente indica che il fatto penale accertato è quello di furto tentato e richiama (cfr. pag. 13) quel tipo di pena accessoria solamente come uno dei plurimi argomenti valorizzati per giustificare la severa sanzione adottata .

L’appello va quindi rigettato.

Possono essere compensate le spese del presente grado di giudizio in considerazione della peculiarità della vicenda.

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