Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-09, n. 202001687

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-09, n. 202001687
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001687
Data del deposito : 9 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/03/2020

N. 01687/2020REG.PROV.COLL.

N. 07002/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7002 del 2016, proposto da M C, rappresentato e difeso dagli avvocati S C e S D M, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pisanelli, n. 2;

contro

l’Università degli studi di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A O, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A D A in Roma, via Portuense, n. 104;
l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati L C, F M, M P e L C, con domicilio eletto in Roma, via Cesare Beccaria, n. 29;
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, Sezione Prima, n. 615/2016, resa tra le parti e concernente: accertamento diritto ad assegno ad personam ;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019, il consigliere B L e uditi, per le parti, gli avvocati S D M, A O e F M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR per la Sardegna respingeva il ricorso n. 238 del 2012 proposto da M C – professore ordinario di diritto costituzionale italiano e comparato presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Cagliari, eletto dal Senato della Repubblica a componente effettivo del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti per il periodo dal 7 aprile 2005 al 25 maggio 2009 e rientrato all’Università con decorrenza dal 1° giugno 2009 – nei confronti dell’Università degli studi Cagliari e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per sentir accertare il diritto a percepire dal 1° giugno 2009 l’assegno ad personam costituito dal trattamento economico complessivo spettante per stipendio e indennità di rappresentanza alle categorie di magistrati indicate nell’art. 6, n. 3, l. 24 maggio 1951, n. 302, ossia del diritto a mantenere ad personam il trattamento economico goduto al momento della conclusione dell’incarico, formulando consequenziali domande di condanna alla corresponsione di detto trattamento con decorrenza 1° giugno 2009, nonché impugnando, con atto per motivi aggiunti notificato anche all’INPS, i decreti del dirigente per il personale dell’Università degli Studi di Cagliari n. 120 e n. 116 del 21 febbraio 2014, di determinazione della base pensionabile e di cessazione della qualifica.

In particolare il TAR, previa declaratoria della carenza di legittimazione passiva in capo all’INPS, basava la statuizione di rigetto sul centrale rilievo che difettava una base legale per la pretesa azionata dal ricorrente, non contenendo l’art. 12 l. 13 aprile 1988, n. 117, rubricato « Stato giuridico ed economico dei componenti non magistrati del consiglio di presidenza della Corte dei conti », un rinvio generale alla disciplina di cui alla l. 24 marzo 1958, n. 195, sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura, «[i] l che giustifica un trattamento differenziato posto che differente è lo status giuridico dei componenti dell’uno e dell’altro organo di autogoverno » (v. così, testualmente, l’appellata sentenza).

2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originario ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cpc in tema di legittimazione passiva dell’INPS », in quanto, in caso di accoglimento del ricorso di primo grado, dovrebbe essere rideterminato anche il trattamento pensionistico erogato dall’INPS;

b) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cpc;
2907 cc;
34 L. n. 104/2010;
in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato
», sotto il profilo che sia l’Università sia il Ministero avrebbero riconosciuto, con atti espressi, la spettanza dell’assegno ad personam per cui è causa, sicché il TAR non avrebbe potuto trascurare tali risultanze processuali e sostituirsi alle amministrazioni resistenti, mentre l’unico questione controversa sarebbe stata quella dell’individuazione dell’amministrazione obbligata a sostenere il relativo onere economico;

c) « Violazione e falsa applicazione: dell’art. 7, comma 5, legge 27.04.1982, n. 186 come novellato dall’art. 18 legge 21.07.2000, n. 205;
dell’art. 10 legge 13.04.1988, n. 117 e ss.mm.ii.;
dell’art. 12 legge 13.04.1988, n. 117;
della legge 24.03.1958, n. 195 e ss.mm.ii., in particolare del suo articolo 40;
degli artt. 3 e 4 legge 03.05.1971, n. 312;
dell’art. 202

DPR

10.01.1957, n. 3, parte seconda;
dell’art. 81, 5° comma, e dell’art. 161 legge 11.07.1980, n. 312;
dell’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/10, convertito nella legge n. 122/2010;
dell’art. 6, n. 3, legge 24.051951, n. 392;
del D.P.C.M. in data 21.07.1988. Illogicità, contraddittorietà, difetto di motivazione
».

L’appellante chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento delle domande proposte in primo grado.

3. Costituendosi in giudizio, l’Università degli studi di Cagliari eccepiva la parziale inammissibilità dell’appello nella parte in cui l’appellante avrebbe modificato la causa petendi della domanda di primo grado, fondando le proprie pretese economiche su un decreto del Presidente del Consiglio di Ministri (indicato nel ricorso in appello con la data del 21 luglio 1988) asseritamente emanato ai sensi dell’art. 12, seconda parte, l. n. 117/1988, mentre lo stesso in primo grado aveva basato la propria pretesa sugli artt. 40 l. n. 195/1958 e 3 l. n. 312/1971, e contestava comunque la stessa esistenza del decreto ex adverso invocato per la prima volta nel ricorso in appello e la mancata e comunque irrituale e tardiva produzione in giudizio. Nel merito, l’Ateneo appellato contestava la fondatezza dell’avversaria impugnazione, chiedendone la reiezione.

Con comparsa di stile si costituiva in giudizio il MIUR, resistendo.

Con atto separato si costituiva, altresì, in giudizio l’INPS, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.

4. All’udienza pubblica del 26 settembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. L’appello è infondato.

5.1. Destituito di fondamento è il primo motivo d’appello, di cui sopra sub a).

Infatti, il TAR ha correttamente dichiarato la carenza di legittimazione passiva dell’INPS, in quanto l’odierno appellato, sin dal ricorso di primo grado – non notificato all’INPS, al quale risulta essere stato notificato solo il successivo atto per motivi aggiunti, peraltro dichiaratamente « per mera cautela » (v. p. 12 dell’atto per motivi aggiunti) e senza formulazione di domanda alcuna nei confronti di detto ente –, ha fatto valere esclusivamente una pretesa economica nei confronti della parte datoriale, e non già una pretesa di natura pensionistica (quale, ad es., una domanda di riliquidazione del trattamento pensionistico) nei confronti dell’ente previdenziale, a prescindere dal rilievo che, in tesi, dovrebbe trovare accoglimento l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativa a conoscere di eventuali domande veicolanti pretese pensionistiche, (ri)proposta in via subordinata dall’INPS, rientrando eventuali siffatte domande nell’ambito di giurisdizione della Corte dei conti.

5.2. In reiezione del secondo motivo d’appello, di cui sopra sub 2.b), occorre rilevare che:

- per un verso, gli atti invocati dall’odierno appellante (la nota n. 17198 del 16 novembre 2009 del dirigente della Direzione per la gestione amministrativa del personale, Area docenti, dell’Università degli studi di Cagliari, diretta al MIUR, e la nota del direttore generale del competente dipartimento MIUR n. 478 del 13 settembre 2010, diretta all’Università), oltre a non essere rivolti in via immediata e diretta all’odierno appellante, non contengono affatto un riconoscimento espresso e univoco della spettanza del diritto all’assegno ad personam da esso reclamato e, in ogni caso, provengono da unità organizzative non munite di poteri di rappresentanza esterna delle rispettive amministrazioni e quindi non legittimate ad adottare atti di ricognizione di debito vincolanti per le amministrazioni medesime;

- per altro verso, ad una semplice lettura degli atti processuali di parte di primo grado la questione centrale dedotta in giudizio e controversa tra le parti non era costituita dall’individuazione dell’amministrazione tenuta all’erogazione dell’assegno in questione, bensì, a monte, dalla spettanza o meno, in punto di an debeatur , dell’indennità ad personam reclamata dallo stesso appellante;

- vertendosi in fattispecie di giurisdizione esclusiva ed essendo, nel caso concreto, azionato un diritto soggettivo al conseguimento di una componente del trattamento economico, la cognizione giudiziale investe direttamente tutti i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio (infatti, sono state proposte correlative domande di accertamento e di condanna), senza che venga in rilievo un potere discrezionale della pubblica amministrazione, con la conseguente manifesta infondatezza del profilo di censura incentrato sulla violazione dell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm.;

- deve pertanto escludersi che il TAR sia incorso nei denunziati vizi di ultrapetizione e di eccesso di potere giurisdizionale.

5.3. Destituito di fondamento è, infine, anche il terzo motivo d’appello, di cui sopra sub 2.c).

Premesso che nel ricorso introduttivo di primo grado la pretesa dell’odierno appellante al conseguimento dell’assegno ad personam ex art. 202 d.P.R. n. 3/1957 in conseguenza della cessazione dell’incarico ricoperto quale membro elettivo del Parlamento in seno al Consiglio di Presidenza della Corte e dei conti e del rientro nel ruolo di professore presso l’Università degli studi di Cagliari (con decorrenza dal 1° giugno 2009) si basava sul combinato disposto degli artt. 12 l. n. 117/1988, 40 l. n. 195/1958 e 3 l. n. 312/1971, si osserva che il TAR correttamente ha affermato l’infondatezza di detta pretesa.

5.3.1. L’art. 12 l. n. 117/1988, rubricato « Stato giuridico ed economico dei componenti non magistrati del consiglio di presidenza della Corte dei conti », testualmente recita: « Per lo stato giuridico dei componenti non magistrati del consiglio di presidenza della Corte dei conti si osservano in quanto applicabili le disposizioni di cui alla legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni. Il trattamento economico di tali componenti è stabilito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, avuto riguardo alle incompatibilità, ai carichi di lavoro ed all’indennità dei componenti del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento ».

L’art. 40 l. n. 159/1958 ( Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura ), ai commi 2 e 3 statuisce: « Agli altri componenti eletti dal Parlamento è corrisposto un assegno mensile lordo pari al trattamento complessivo spettante, per stipendio ed indennità di rappresentanza, ai magistrati indicati nell’art. 6, n. 3, della legge 24 maggio 1951, n. 392 [Presidente di sezione della Corte di cassazione ed uffici direttivi equiparati;
n.d.e.] .

Qualora i componenti eletti dal Parlamento fruiscano di stipendio o di assegni a carico del bilancio dello Stato, spetta il trattamento più favorevole, restando a carico dell'Amministrazione di appartenenza l'onere inerente al trattamento di cui risultino già provvisti, ed a carico del Ministero di grazia e giustizia quello relativo all’eventuale eccedenza del trattamento loro spettante quali componenti del Consiglio superiore ».

L’art. 3 l. n. 312/1971 ( Trattamento economico dei componenti del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento cessati dalla carica ), al comma 1 statuisce testualmente: « Ai componenti che fruiscono del trattamento previsto dall’articolo 40, comma terzo, della legge 24 marzo 1958, n. 195, l’assegno mensile a carico del Consiglio superiore della magistratura verrà tramutato, all’atto della cessazione dalla carica per decorso del quadriennio, in assegno personale agli effetti e nei limiti stabiliti dall'articolo 202 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n.

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