Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-04-14, n. 201501862

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-04-14, n. 201501862
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201501862
Data del deposito : 14 aprile 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

1998/html4"> N. 07843/2013 REG.RIC.

N. 01862/2015REG.PROV.COLL.

N. 07843/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7843 del 2013, proposto da:
Noy Ambiente Spa in proprio e quale Capogruppo Mandataria della Costituenda ATI, rappresentata e difesadagli avv. R M, C R e G F R, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Romanelli in Roma, Via Cosseria, 5;
ATI-Rea Dalmine Spa, ATI -Valeco Spa, Ati-Cogeis Spa e ATI -Ivies Spa, rappresentati e difesi dagli avv. R M, G F R e C R, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Romanelli in Roma, Via Cosseria, 5;
ATI-Gea Srl, rappresentata e difesa dagli avv. G F R, C R e R M, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Romanelli in Roma, Via Cosseria, 5;

contro

Regione Autonoma della Valle D'Aosta, rappresentata e difesa dall'avv. Gianni Maria Saracco, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Saverio Marini in Roma, Via dei Monti Parioli, 48;

nei confronti di

Paul Wurth Italia Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Abbruzzese, Filippo Pacciani e Alessandro Botto, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Associato Legance in Roma, Via San Nicola Da Tolentino, 67;
Fabrizio Roscio, Marco Grange e Jeanne Cheillon, rappresentati e difesi dagli avv. Roberto Louvin, Domenico Palmas e Stelio Mangiameli, con domicilio eletto presso l’avv. Stelio Mangiameli in Roma, Via Alessandro Poerio, 56;
Anna Gamerro e Elisa Maria Desandrè, rappresentati e difesi dagli avv. Stelio Mangiameli, Roberto Louvin e Domenico Palmas, con domicilio eletto presso l’avv. Stelio Mangiameli in Roma, Via Alessandro Poerio, 56;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VALLE D'AOSTA - AOSTA: SEZIONE I n. 00051/2013, resa tra le parti, concernente affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta – Risarcimento danni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Valle D'Aosta, della Paul Wurth Italia Spa, di Fabrizio Roscio, di Marco Grange, di Jeanne Cheillon, di Anna Gamerro e di Elisa Maria Desandrè;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2015 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati C R, Francesco Saverio Marini su delega dell'Avv. Gianni Maria Saracco, e Giuseppe Abbruzzese;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta, con la sentenza 10 luglio 2013, n. 51 ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento della deliberazione della Giunta Regionale della Valle d'Aosta n. 2452 del 21 dicembre 2012, recante “Revoca della procedura d'appalto relativa all'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta (CIG 056730393C – CUP B52I1000120007)” e di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, con particolare riguardo alla nota del R.U.P. prot. n. 1053/TA del 30 gennaio 2013, con la quale è stato comunicato il diniego di annullamento, in via di autotutela, della delibera di revoca della gara di cui sopra, richiesto dalla ATI ricorrente ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 163/2006.

Secondo il TAR:

- il divieto di utilizzare impianti di trattamento a caldo, ivi compresi quelli “di pirolisi e gassificazione”, sancito dalla LR 33-2012, era di portata tale da precludere la realizzazione dell'impianto di pirogassificazione oggetto dell’appalto revocato, e da comportare, come necessaria conseguenza, l’impossibilità di procedere oltre nella procedura di gara: ai sensi del disposto dell’art. 21-octies della legge 241-1990 il provvedimento non avrebbe quindi potuto essere diverso da quello in concreto adottato;

- La modifica dell’oggetto della gara mediante l’eliminazione della gestione e realizzazione degli impianti avrebbe avuto come effetto quello di trasformare radicalmente (ed inammissibilmente) l’oggetto della gara dopo la chiusura del termine per la presentazione delle offerte;

- In considerazione della inscindibilità dell’oggetto della gara e della necessità dell’annullamento della procedura in conseguenza della promulgazione della L.R. n. 33-2012, la deliberazione risulta quindi congruamente motivata, mediante il riferimento alla sopravvenienza di detta L.R. n. 33-2012;

- Inoltre, in considerazione del tenore della disposizione legislativa, che vieta radicalmente le tecniche di trattamento a caldo dei rifiuti, non si può fondatamente sostenere che residuasse all’Amministrazione alcun margine di discrezionalità che permettesse di individuare utilizzi legittimi di tali tecniche;

- Nel caso di specie, impregiudicata qualunque valutazione circa l’applicabilità dell’art. 21-quinquies della l. n. 241-90 al caso di specie, non vi è comunque spazio per la liquidazione di un indennizzo dal momento che non è mai stata disposta l’aggiudicazione definitiva, atto conclusivo della procedura;

- L’istituto del preavviso di ricorso assolve a funzioni deflattive del contenzioso e l’inerzia della stazione appaltante inerisce, in base al disposto del comma 5 dell’art. 243-bis, al regime delle spese di giudizio, nonché alla eventuale riduzione dell’importo del risarcimento;

- Correttamente nel caso di specie il responsabile del procedimento, attese le sue generalizzate funzioni di cui all’articolo 10 del d.lgs. n. 163-2006, ha deciso in ordine al preavviso di ricorso;

- L’ambito di legislazione esclusiva statale sui rifiuti e sull’ambiente non impedisce che la legislazione regionale preveda livelli di tutela più elevati per ambiti rientranti nella loro specifica competenza, quale la tutela della salute;

- Quindi esiste un’interpretazione non irragionevole della norma impugnata conforme a Costituzione e ciò che esclude la possibilità di sollevare, sotto tale profilo, questione di legittimità costituzionale;

- Con riferimento all’asserita violazione dell’art. 182-bis, comma 1, lett. b) (nonché art. 195, comma 1, lett. f) e p) del d.lgs. n. 152-2006 si è rilevato che tale norma non prevede l’utilizzo di una particolare tecnica di trattamento dei rifiuti e, quindi, non può dirsi violato dalla disposizione della L.R. n. 33-2012, che vieta solo il trattamento termico dei rifiuti, e non tutti i tipi di trattamento;

- Nessuna possibilità di modifica della proposta di legge residuava all’esito positivo del referendum, con la conseguenza che, essendosi il legislatore regionale, nella sua forma del corpo referendario, espresso con una disposizione che vieta le tecniche di trattamento a caldo dei rifiuti, non residuava all’Amministrazione regionale alcun margine di discrezionalità che permettesse di individuare utilizzi legittimi di tali tecniche;

- La L.R. n. 33-2012 non determina affatto un divieto di ingresso e trattamento in regione di rifiuti di provenienza extraregionale.

L’attuale appellante contestava la sentenza del TAR deducendo:

- Eccesso di potere giurisdizionale - Violazione ed errata applicazione di legge: art. 23, comma 2, della L. 11 marzo 1953, n. 87 - Errore di motivazione - Illogicità manifesta;

- Eccesso di potere giurisdizionale - Violazione ed errata applicazione di legge: art. 23, comma 2, della L. 11 marzo 1953, n. 87 sotto diverso profilo - Errore di motivazione - Illogicità manifesta;

- Illegittimità costituzionale dell’articolo unico della Legge Regionale n. 33 del 23.11.2012 per violazione dell’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. Incompetenza della Regione Valle d’Aosta in materia di legislazione esclusiva statale;

- Illegittimità costituzionale della Legge Regionale n. 33 del 23.11.2012 per violazione degli artt. 116 e 123 della Costituzione, come attuati dagli artt. 15 e 27 della Legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto della Regione) e degli artt. 3, 7 e 17 della Legge Regionale “interposta” 25 giugno 2003 n. 19;

- Illegittimità costituzionale della Legge Regionale n. 33 del 23.11.2012 per violazione dell’art, 182-bis, comma 1, lett. b) e art. 195, comma 1, lett. i) e p) del d.lgs. 152-2006. quali norme interposte dell’art. 117. comma 2, lett. s) della Costituzione - Illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di logicità della legge;

- Illegittimità costituzionale della Legge Regionale n. 33 del 23.11.2012 per violazione dell’art. 120 e dell’art. 41 della Costituzione;

- Errore di motivazione della Sentenza appellata - Violazione di legge: artt. 7, 8, 9, 10 della L. 241-1990 - Eccesso di potere per vizio del procedimento;

- Errore di motivazione della Sentenza appellata - Violazione dei principio costituzionale di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione - Violazione del principio fondamentale di economicità e proporzionalità dell’azione amministrativa, di cui all’art. 1 della L. 241-1990 e all’art. 2 del d.lgs. 163-2006 - Eccesso dì potere per difetto di presupposti;
travisamento dei fatti;
irragionevolezza manifesta;

- Errore di motivazione della Sentenza appellata - Violazione di legge: art. 3 della L. 241-1990 - Eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di istruttoria;

- Errore di motivazione della Sentenza appellata - Illegittimità propria e illegittimità derivata del provvedimento di diniego di ritiro in autotutela – Incompetenza – Vizio del procedimento – Eccesso di potere per difetto di motivazione illogicità e ingiustizia manifesta;

- Istanza di risarcimento danni per illegittimo provvedimento di revoca della procedura;

- Violazione di legge art. 21-quinquies della l. 241-1990 - Istanza di indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della l. 241-1990.

Con l’appello in esame, si chiedeva pertanto l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si costituiva la Regione appellata chiedendo la reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 10 febbraio 2015 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

La Corte Costituzionale, con la sentenza 2 dicembre 2013, n. 285, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo unico della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 23 novembre 2012, n. 33 (Modificazione alla legge regionale 3 dicembre 2007, n. 31 – Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-28 gennaio 2013, depositato in cancelleria il 29 gennaio 2013 ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2013.

Con tale decisione, la Consulta ha stabilito che la disposizione impugnata, imponendo un divieto generale di realizzazione e utilizzo di determinati impianti su tutto il territorio regionale, non contiene un “criterio” né di localizzazione, né di idoneità degli impianti. Si tratta di un limite assoluto, che si traduce in una aprioristica determinazione dell’inidoneità di tutte le aree della Regione a ospitare i predetti impianti.

Infatti, la Corte costituzionale, in altre materie come quella della localizzazione di impianti energetici, ha affermato il principio generale per cui la Regione non può introdurre “limitazioni alla localizzazione”, ben può somministrare “criteri di localizzazione”, quand’anche formulati “in negativo”, ovvero per mezzo della delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, e purché ciò non determini l’impossibilità di una localizzazione alternativa (sentenza n. 278 del 2010);
del resto, la generale esclusione di tutto il territorio esime dalla individuazione della ratio che presiede alla dichiarazione di inidoneità di specifiche tipologie di aree (sentenza n. 224 del 2012);
pertanto, alla Regione non può essere consentito, anche nelle more della definizione dei criteri statali, di porre limiti assoluti di edificabilità degli impianti (sentenza n. 192 del 2011).

Conseguentemente, si ribadisce, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo unico della Legge Regionale Valle d’Aosta n. 33 del 2012, perché in contrasto con gli artt. 195, comma 1, lettere f) e p), e 196, comma 1, lettere n) e o), del d.lgs. n. 152 del 2006, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Posteriormente a tale pronuncia e alla sentenza del TAR appellata è stata emanata la Deliberazione della Giunta Regionale della Valle d’Aosta n. 1242 del 5 settembre 2014, recante “Conferma della revoca della procedura d’appalto relativa all’affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d’Aosta (CIG 0567303 93C - CUF B52fl 000120007) di cui alla Deliberazione della Giunta Regionale n. 2452 del 21 dicembre 2012, a seguito della modifica delle motivazioni a supporto della revoca conseguenti all’approvazione dei nuovi obiettivi di gestione dei rifiuti da parte del Consiglio Regionale con Deliberazione n. 667/XIV del 30 luglio 2014”.

E’ evidente che tale atto sopravvenuto, da qualificarsi inequivocabilmente come conferma in senso proprio, recando nuove e diverse motivazioni e un nuovo approfondimento istruttorio sulla vicenda in esame, comporta la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, poiché anche annullando l’atto impugnato con il ricorso in primo grado, parte appellante, non potrebbe ottenere quanto aspirato, nemmeno sotto il profilo risarcitorio o indennitario, per effetto della suddetta determinazione sopravvenuta.

Infatti, il risarcimento dei danni, ovvero l’indennità richiesta possono essere determinati solo all’esito eventualmente vittorioso del ricorso, già intrapreso in primo grado, avverso la suddetta determinazione sopravvenuta, ove se ne stabilisse l’illegittimità.

Inoltre, per quanto riguarda l’istanza di indennizzo ex art. 21-quinquies relativa all’atto oggetto del presente giudizio, si deve rilevare che la “revoca” impugnata con cui si è rimosso l'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta in favore dell’odierno appellante non può qualificarsi come revoca in senso proprio, in quanto non è giustificata da “sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”, bensì è basata su una sopravvenienza normativa (il divieto di utilizzare impianti di trattamento a caldo, ivi compresi quelli “di pirolisi e gassificazione”, sancito dalla L.R. n. 33-2012) e concretizza, quindi, una situazione di illegittimità sopravvenuta dell’atto amministrativo;
il concetto di sopravvenienza normativa, infatti, è evidentemente diametralmente diverso dal concetto di sopravvenienza di fatto, cui fa riferimento la norma di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241-90.

Pertanto, muovendosi all’esterno del perimetro normativo di tale disposizione, non sono applicabili le pertinenti norme ivi richiamate in tema di indennizzo.

La revoca in oggetto è, dunque, qualificabile come revoca (rectius: annullamento) in autotutela per illegittimità sopravvenuta, avendo fatto esplicito riferimento ad un cd. “factum principis” che rende impossibile, anzi antigiuridica la realizzazione degli effetti di cui al provvedimento rimosso.

Esclusa la possibilità di ricorrere all’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241-90, residua la possibilità di configurare un’illiceità ai sensi dell’art. 2043 c.c., così come prospetta parte appellante.

Tuttavia, nel caso di specie, l’illegittimità dell’atto, che costituisce condicio sine qua non per ottenere il richiesto risarcimento del danno, è indissolubilmente legata alla citata normativa regionale.

Dunque, l’atto antigiuridico produttivo del danno è la legge regionale, affetta da illegittimità costituzionale, non l’atto amministrativo che ne ha fatto applicazione.

Come è noto, infatti, l’Autorità amministrativa, dinanzi al principio di legalità costituzionale, non ha un potere di sindacato costituzionale in via incidentale, nonostante l’autorevole e suggestiva tesi di un Autore, che affermava in capo alle Amministrazioni il dovere di disapplicazione di una legge ritenuta palesemente illegittima.

Tale dottrina, tuttavia, non ha trovato seguito nelle evoluzioni del sistema di giustizia costituzionale;
coloro che esercitano le funzioni amministrative hanno, infatti, l’obbligo di applicare le leggi (anche se ritenute illegittime), in ossequio al principio di legalità, visto che l’ulteriore dimensione della legalità costituzionale ha il proprio presidio naturale nella competenza (esclusiva) della Corte costituzionale.

Soltanto quando la Pubblica amministrazione assiste alla sopravvenienza di una dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla base della quale abbia in precedenza adottato un atto amministrativo, vi potrebbe essere una valutazione da parte dell’amministrazione procedente dell’impatto della pronuncia costituzionale sull’atto amministrativo ai fini dell’esercizio dei poteri di autotutela.

Pertanto, nella ricostruzione della giurisprudenza amministrativa, un atto emanato sulla base di una norma (successivamente) dichiarata illegittima è qualificabile come viziato in via derivata (o sopravvenuta) e quindi riconducibile al regime processuale dell’annullabilità, dovendo, invece, certamente escludersi il regime della inesistenza e quindi la logica della rimozione ipso iure dell’atto stesso.

Non può negarsi, però, come nel periodo precedente alla dichiarazione di incostituzionalità l’atto risulti conforme alla norma (non ancora dichiarata incostituzionale) e quindi legittimo, dovendo così essere il ricorrente (o in via diretta, come nel caso di specie, lo Stato o e Regioni) a provocare l’incostituzionalità della norma e quindi l’illegittimità dell’atto in via derivata, attraverso una impugnazione per motivi di incostituzionalità.

Con la conseguenza che, se nel periodo precedente alla dichiarazione di incostituzionalità l’atto risulti conforme alla norma e quindi, legittimo, nessun presupposto per il risarcimento del danno richiesto può riconoscersi.

Peraltro, giova osservare che una responsabilità dello Stato “legislatore” è stata riconosciuta soltanto per violazione del diritto comunitario, per la prima volta in via giurisprudenziale con la sentenza 19 novembre 1991, pronunciata a definizione del celebre caso Francovich (Cause riunite C-6/90 e C-9/90, in Racc. p. I-5357): la fattispecie concerneva il mancato recepimento della direttiva 80/97/CEE, che imponeva agli Stati membri la predisposizione di un meccanismo di tutela volto a garantire la liquidazione dei salari dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro.

Tale ipotesi non è chiaramente esportabile nel caso di supposta responsabilità del legislatore regionale, come nell’ipotesi di specie.

Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, deve essere dichiarata l’improcedibilità dell’appello per improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse per quanto riguarda l’azione impugnatoria e respinto l’appello con riguardo all’azione di indennizzo e all’azione risarcitoria.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate, in relazione all’evidente novità della questione.

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