Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-09-16, n. 201105234

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-09-16, n. 201105234
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201105234
Data del deposito : 16 settembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05673/2009 REG.RIC.

N. 05234/2011REG.PROV.COLL.

N. 05673/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5673 del 2009, proposto da:
F A, G B, I C, G C, R F, M M, A A, R B, M B, S C, G C, S C, P C, E D D, E F, F F, F G, Amado Harake', P I, C M, V M, C N, M Q, M S, M S, M T, P L V, B V, E V, G V, S P, R C, S C, V M, G M, A B, R F, M G, L Piglione, Luciano Stocchi, Antonio Tripodi, Michele Velon, rappresentati e difesi dagli avv. Franco Campione, Corrado Pascasio, con domicilio eletto presso Corrado Pascasio in Roma, via V. Picardi 4;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 05674/2008, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 05674/2008, resa tra le parti, concernente RESTITUZIONE SOMME INDEBITAMENTE PERCEPITE.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2011 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Corrado Pascasio e Giovanni Palatiello (Avv.St.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso al TAR il sig. F A, e gli altri odierni appellanti in epigrafe specificati, Ufficiali in s.p.e, adivano il TAR del Lazio per l’annullamento delle determinazioni con le quali – da parte delle Autorità militari – veniva chiesta la restituzione delle somme di denaro da essi percepite, nel corso degli anni ‘92 e ‘93, ai sensi della legge 10.3.87 n.100.

I ricorrenti avevano percepito gli emolumenti di cui trattasi in relazione alla frequenza dei corsi, in qualità di Allievi Ufficiali, presso l’Accademia militare di Modena, e presso la Scuola di applicazione, e successivamente ai quali erano stati avviati – per compiervi il prescritto tirocinio pratico- presso i vari Battaglioni di addestramento o i Reparti operativi.

Con la sentenza epigrafata il TAR ha respinto il ricorso, per le motivazioni che si intendono qui riportate.

Di qui l’appello in esame, proposto dai ricorrenti, i quali lamentano l’erroneità della sentenza gravata, riproponendo essenzialmente i motivi già formulati in primo grado e che risultano infondati.

Sulla materia la giurisprudenza di questa Sezione ha infatti già avuto modo di esprimersi, con orientamento dal quale non si ritiene in questa sede di discostarsi e che deve qui essere riepilogato.

In particolare è stato affermato anzitutto il principio che il luogo nel quale l’allievo militare svolge il periodo di addestramento necessario per essere assunto in ruolo non costituisce sede di servizio in senso proprio, per essa dovendosi invece intendere quella alla quale detto militare è successivamente assegnato ove abbia superato con esito positivo detto corso;
da ciò deriva che detta assegnazione non costituisce affatto un trasferimento d’ufficio da una sede ad altra di servizio e quindi non ingenera il diritto al trattamento economico previsto per tale evenienza dall’art. 1 L. n. 100 del 10 marzo 1987 da tempo enunciati dal giudice di appello (Cons. Stato, IV Sez., 27 febbraio 1995 n. 109, 2 dicembre 1997 n. 1337, 13 luglio 1998 n. 1083, 10 novembre 2003 n. 7143, 5 novembre 2004 n. 7204). In sintesi, la funzione addestrativo-formativa propria del corso frequentato dai ricorrenti esclude che sussistano i presupposti fondanti la pretesa alla corresponsione dell’indennità di cui si tratta.

Ma la reiezione del ricorso di primo grado si conferma corretta anche sotto gli altri aspetti evidenziati e qui riproposti dagli appellanti. Correttamente infatti il TAR ha ritenuto che:

- posta l’inesistenza del diritto all’indennità vantato dai ricorrenti, il recupero degli emolumenti indebitamente corrisposti costituisce per l’amministrazione l’esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, ex art. 2033 c.c., avente carattere di doverosità nell’interesse pubblico e privo di valenza provvedimentale (sul punto v. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 6787;
20 dicembre 2005, n. 7221);

- anche in ordine alla motivazione degli atti, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che a fronte di somme indebitamente corrisposte essa deve ritenersi insita nell’acclaramento della non spettanza degli emolumenti percepiti dal dipendente, senza che occorra una comparazione alcuna tra gli interessi coinvolti (quello pubblico e quello del privato), non vertendosi in ipotesi di interessi sacrificati (non c’è esercizio di discrezionalità, né amministrativa né tecnica), se non sotto il limitato aspetto delle esigenze di vita del debitore (Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008 n. 293).

- analoghe osservazioni vengono in rilievo in merito alla buona fede dell'accipiens”, la quale non può costituire un ostacolo all’esercizio da parte dell’amministrazione del recupero dell’indebito, comportando per l’Amministrazione solo l’obbligo di procedere al recupero stesso con modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze di vita del debitore (Cons. Stato, Sez. IV,n.293/2008, cit.), come nella specie avvenuto.

- Con specifico mezzo d’appello (n. 4), infine, i ricorrenti Forgione, Gentile, Postiglione, Stocchi, Tripodi e Velon deducono la nullità della sentenza impugnata per non aver considerato che in loro favore si era già formato un giudicato, costituito dalla sentenza TAR Lazio n.5789/2000. Anche questo mezzo deve essere respinto. Il giudicato in questione si è formato successivamente alla proposizione del ricorso di primo grado (1997) ed in pendenza di questo, di talchè la sopravvenienza costituiva ragione per proporre motivi aggiunti avverso i censurati provvedimenti di recupero. Non essendo ciò avvenuto, la formazione del giudicato in pendenza di giudizio di primo grado non può in alcun modo costituire vizio (azionabile in appello) incidente sulla legittimità della pronunzia che poi lo ha definito, non essendo questa tenuta (ex art. 112 c.p.c) ad esprimersi sul punto in questione. In ogni caso la censura sembra limitata ad ottenere gli effetti del riconoscimento della buona fede che, tuttavia (come già sopra osservato), non incidono sulla legittimità dei provvedimenti di recupero dello somme erogate ma, semmai, sulla eventuale pretesa dell’amministrazione di ottenere dal dipendente interessi e rivalutazione sulle somme stesse.

Conclusivamente il gravame deve essere respinto, meritando di essere confermata la sentenza oggetto di impugnazione.

Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c) e vanno perciò poste a carico degli appellanti.

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