Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-07, n. 202000098

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-07, n. 202000098
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000098
Data del deposito : 7 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/01/2020

N. 00098/2020REG.PROV.COLL.

N. 07742/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7742 del 2013, proposto dalle signore A D M, R D M, G D M e M D M, quali eredi del signor R D M, rappresentate e difese dagli avvocati D M e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Mario D'Acunti in Roma, viale delle Milizie, n. 9;

contro

il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A B e A D M, domiciliato presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

per la riforma

della sentenza del TAR Campania, Sezione staccata di Salerno, sezione I, 27 maggio 2013 n. 1160, che ha pronunciato sui ricorsi riuniti n.3938/1998 e 4761/1998 R.G. proposti per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di Salerno:

(ricorso n. 3938/1998)

a) della nota 17 giugno 1998, prot. n. 6770, notificata il giorno 19 giugno 1998, con la quale il Capo Settore urbanistica ha comunicato il parere contrario 9 giugno 1998, n. 376, della commissione edilizia comunale sulla domanda di condono edilizio presentata dal signor R D M il giorno 28 febbraio 1995 al prot. n.21945 quanto ad opere abusive di sua proprietà, situate in località Ogliara, su terreno distinto al catasto al foglio 6 mappale 94 e costituite da due depositi prefabbricati, il primo di mt. 6 x 2,5 ed il secondo di mt. 12 x 6,15, per una complessiva superficie di mq 85;

b) del predetto parere negativo;

c) della nota 1° aprile 1996, prot. n. 34853, di richiesta di integrazione documentale;

e di ogni atto anteriore, connesso e conseguente;

(ricorso n.4761/1998)

d) del provvedimento 2 ottobre 1998, prot. n. 67, notificato il giorno 6 ottobre 1998, con il quale il Direttore del Settore urbanistica ha respinto la suddetta domanda di condono;

e degli atti di cui sopra.

In particolare, la sentenza ha dichiarato inammissibile il ricorso n. 3938/1998 e respinto il ricorso n. 4761/1998;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 26 novembre 2019 il Cons. F G S e uditi per le parti l’avvocato Stefano D'Acunti, in delega dell’avvocato D M, e l’avvocato A B;


Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

- il ricorrente in primo grado (dante causa delle appellanti) ha presentato il giorno 28 febbraio 1995, al prot. n. 21945, al Comune di Salerno una domanda di condono edilizio, ai sensi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, per opere abusive realizzate su un terreno di sua proprietà, che si trova in località Ogliara ed è distinto al catasto al foglio 6 mappale 94, opere costituite da due depositi, uno di mt 6 x 2.5, realizzato in lamiera ed il secondo di mt. 12 x 6,15 realizzato con pareti in muratura e tetto in lamiera, il tutto per circa 85 mq di superficie, destinato asseritamente a deposito attrezzi per l’impresa edile che il proprietario gestiva (v. la domanda di condono);

- sulla domanda in questione, il Comune ha richiesto un’integrazione documentale, con nota 1° aprile 1996, prot. n. 34853 (doc. 5 Comune), alla quale l’interessato ha risposto con atto 17 febbraio 1998, prot. n. 16207 (doc. 6 Comune);

- la commissione edilizia comunale ha espresso parere contrario al condono, n.376 del 9 giugno 1998, “trattandosi di interventi precari realizzati con strutture inidonee, i cui materiali non sono suscettibili di miglioramento sia statico che estetico, se non con una sostituzione radicale in contrasto con le norme” (doc. 7 Comune), parere comunicato all’interessato con la nota 17 giugno 1998 di cui in epigrafe (doc. 8 Comune);

- con il ricorso n. 3938/1998, l’interessato ha impugnato il parere e la nota di trasmissione;

- successivamente, il Comune ha emesso il provvedimento di diniego 30 settembre 1998 di cui pure in epigrafe (doc. 9 Comune), motivato con riferimento al parere in questione;

- con il ricorso n. 4761/1998, l’interessato ha impugnato tale provvedimento di diniego;

- con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha riunito i ricorsi per connessione, ha dichiarato inammissibile il ricorso n. 3938/1998 - perché rivolto contro un atto endoprocedimentale, privo come tale di carattere lesivo - ed ha respinto il ricorso n. 4761/1998, ritenendo non illogico l’apprezzamento della commissione edilizia;

- contro tale sentenza, il ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene nove censure, riconducibili secondo logica a sette motivi, così come segue:

- con il primo di essi, che coincide con la prima censura a p. 8 dell’appello, la parte appellante critica la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile il ricorso n. 3938 del 1998, sostenendo che la comunicazione del parere negativo avrebbe di per sé valore di diniego

- ciò posto, ripropone i motivi assorbiti già dedotti in primo grado contro tale atto, e quindi:

- con il secondo motivo, che coincide con la seconda censura rubricata I a) a p. 10 dell’appello, deduce la violazione dell’art. 6, comma 2, della l. 15 maggio 1997, n. 127, nel senso che l’atto impugnato sarebbe sottoscritto non dal funzionario competente, ma da un anonimo non identificabile;

- con il terzo motivo, che coincide con la terza censura rubricata I b) a p. 10 dell’appello, deduce violazione dell’art. 35 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, come richiamato dall’art. 39 della citata l. 724/1994, nel senso che a suo dire sulla domanda si sarebbe formato il silenzio assenso, per decorso dei 24 mesi previsti dalla norma;

- con il quarto motivo, risultante dalle due censure rubricate I c) e I d) alle pp. 11 e 13 dell’atto, deduce difetto di motivazione quanto al diniego;

- con i residui tre motivi, coincidenti rispettivamente con le censure rubricate II a), II b) e II c) e d) alle pp. 13, 15 e 20 dell’appello, ripropone contro il provvedimento di diniego motivi identici ai tre sopra riportati;

- il Comune si è costituito con atto 27 novembre 2013 ed ha chiesto che l’appello sia respinto, osservando in particolare come la nota e il diniego impugnati siano stati sottoscritti, con firma leggibile, da un funzionario legittimamente a ciò delegato dal Dirigente, e come i termini per pronunciarsi sulla domanda di condono siano stati rispettati, tenendo conto dell’integrazione documentale;

- con atto 9 aprile 2019, si sono costituite le attuali appellanti, quali eredi dell’originario ricorrente appellante;

- all’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione;

- l’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte;

- il primo motivo, che critica la dichiarazione di inammissibilità del ricorso n. 3938/1998 di primo grado, è infondato. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (in termini, sez. VI, 23 settembre 2008, n. 4596), la comunicazione all’interessato da parte del Comune del parere sfavorevole all'accoglimento di un’istanza di rilascio di un titolo edilizio equivale a rigetto dell'istanza stessa nel caso in cui il parere stesso manifesti un inequivoco contrario avviso dell’amministrazione all’accoglimento.

Nel caso di specie, la nota 17 giugno 1998 di cui si è detto (doc. 8 Comune, cit.) si limita a comunicare un parere “contrario” della Commissione, che non è vincolante, potendo in linea di principio essere disatteso dall’organo di amministrazione attiva attraverso una congrua motivazione di segno opposto.

Di conseguenza, l’onere di impugnare non sussisteva e il ricorso di primo grado n. 3938 del 1998 è stato correttamente dichiarato inammissibile;

- il secondo motivo, centrato sulla sottoscrizione dell’atto impugnato col ricorso n. 3938/1998, va quindi dichiarato improcedibile, dato che il ricorso stesso è inammissibile;

- il terzo motivo, che sostiene l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono, va invece respinto nel merito, in base a quanto affermato dalla costante giurisprudenza di questo Giudice, in particolare dalla sentenza sez. II 18 luglio 2019, n. 5061: il termine di 24 mesi, decorso il quale si forma il silenzio assenso su una domanda di condono edilizio, previsto dall’art. 39, comma 4, della l. 724/1994, presuppone che la domanda stessa sia completa di tutta la documentazione necessaria a valutarla. Nel caso di specie, la parte ricorrente appellante, come essa stessa ammette (appello, p. 3 prime due righe), consegnò tutti i documenti richiesti dal Comune solo il giorno 17 febbraio 1998, sì che il diniego del successivo 2 ottobre è stato emesso nei termini;

- è infondato anche il quarto motivo, che sostiene la mancanza di motivazione del diniego. Come sostenuto, fra le molte, dalla sentenza sez. V 4 febbraio 1998 n.131, riferita al condono ai sensi dell’originaria l. 28 febbraio 1985, n. 47, ma con argomenti applicabili anche al caso di specie, non è possibile sanare con il condono un manufatto precario, intendendosi tale quello che abbia oggettivamente quel carattere, perché esso ha la sua funzione naturale nel servire ad uno scopo ed essere poi rimosso. Ciò posto, nel caso in esame i due depositi di cui si tratta, come percepibile semplicemente osservando le fotografie allegate alla domanda di sanatoria (doc. 3 Comune, cit.), rappresentano l’usuale deposito di materiali e attrezzi edili, che per sua natura avrebbe durata limitata al cantiere al quale serve;

- risulta comunque ragionevole ed insindacabile di per sé in questa sede la valutazione dell’Amministrazione di considerare non condonabili i manufatti, anche in ragione delle loro oggettive caratteristiche estetiche, da considerare senz’altro rilevanti quando si chieda il rilascio di un titolo che abiliti a mantenere in loco manufatti a tempo indeterminato;

- dei residui tre motivi, quelli che richiamano i motivi precedenti terzo e quarto, sono infondati per le stesse ragioni esposte nel decidere i motivi suddetti;
è poi infondato anche quello che richiama il precedente secondo motivo, il quale censura l’asserito vizio della sottoscrizione dell’atto di diniego. Va premesso in linea di fatto che l’atto in questione (doc. 9 Comune, cit.) si presenta redatto su carta intestata dell’ufficio, che ne indica con chiarezza la provenienza, del resto non contestata. Ciò che la parte appellante contesta è quella che a suo dire sarebbe un’incertezza nella sottoscrizione, nel senso che l’atto è intestato come proveniente dal “Direttore del settore” ed è sottoscritto “per il Direttore del settore, ing. Elvira Cantarella”, formula cui segue una firma in corsivo che, sempre a dire della parte ricorrente, sarebbe illeggibile. Nel momento però in cui è certa la provenienza dell’atto dall’ufficio che figura averlo emanato, si applica la regola individuata, per tutte, da C.d.S. sez. III 24 marzo 2015, n. 1573, secondo la quale “non è configurabile un vizio di incompetenza qualora si sia in presenza non già di una delega di funzioni, ma di una mera delega di firma la quale, senza alterare l'ordine delle competenze, attribuisce al soggetto titolare dell'ufficio delegato, e non all'ufficio oggettivamente considerato, il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata”. In tali termini, l’imputabilità dell’atto al Direttore di settore, competente ad emanarlo, non è in discussione sotto alcun profilo;

- per le ragioni che precedono, l’appello va respinto;

- le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo;

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