Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-16, n. 202002433

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-16, n. 202002433
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002433
Data del deposito : 16 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/04/2020

N. 02433/2020REG.PROV.COLL.

N. 03542/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3542 del 2015, proposto dai signori D P, N P, A P e D N, rappresentati e difesi dall'avvocato P T, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana, n. 58;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale - Giustizia amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 2986 del 16 agosto 2008.


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale - Giustizia amministrativa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato P T e l’avvocato dello Stato Daniela Canzoneri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la decisione impugnata per revocazione n. 2986/2008 questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello n. 3277 del 2008, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti dei signori Guadagno Sabato, Minichini Ferdinando e P Filippo avverso la sentenza del T.a.r. della Campania – Sezione staccata di Salerno, 28 gennaio 2008, n. 93 resa in sede di ottemperanza.

2. La risalente vicenda processuale può essere così sintetizzata:

a) con la sentenza 12 marzo 1996, n. 175 il Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, in accoglimento del ricorso proposto dai signori Guadagno Sabato, Minichini Ferdinando e P Filippo aveva riconosciuto fondata la loro pretesa all’allineamento stipendiale previsto dall’art. 1, della legge 8 agosto 1991, n. 265, il quale richiamava l’art. 4, comma 3, d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869;
il T.a.r. aveva quindi dichiarato il diritto degli stessi a conseguire il medesimo allineamento stipendiale “ con riferimento alla retribuzione percepita dai consiglieri di Stato G. G. e S. B., condannando l’amministrazione intimata al pagamento delle somme spettanti a tale titolo, incrementate con gli accessori di legge ”;

b) la sentenza era stata impugnata dall’Amministrazione, ma l’appello era stato dichiarato inammissibile dal Consiglio di Stato (Sez. IV) con decisione 22 maggio 2006, n. 3017, per inesistenza della notificazione;

c) gli originari ricorrenti, vittoriosi in sede cognitoria, avevano proposto ricorso in ottemperanza, e l’Amministrazione, costituendosi in giudizio, aveva sostenuto che l’adempimento invocato era ormai precluso per effetto dell’art. 50, della legge 23 dicembre 2000, n. 388;

d) il T.a.r., con la sentenza n. 93 del 28 gennaio 2008, disattendendo detta tesi, aveva tuttavia accolto il ricorso in ottemperanza ed aveva ordinato all’Amministrazione intimata di provvedere a dare compiuta esecuzione alla sentenza cognitoria n. 175 del 12 marzo 1996, sostenendo che nel caso di specie si era formato il giudicato prima dell’intervento della legge n. 388/2000, quindi si entrava nell’ipotesi derogatoria di non applicazione della nuova disciplina (sebbene avente efficacia retroattiva);
secondo il T.a.r., invero, la (prima) sentenza del T.a.r. sarebbe passata in giudicato, perché all’interruzione del relativo termine non era valsa l’instaurazione del giudizio di appello attesa l’inesistenza della notificazione dell’atto di appello;

e) con il ricorso n. 3277 del 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva proposto appello avverso detta decisione, sostenendone la erroneità: la tesi di fondo sostenuta dalla difesa erariale era quella secondo cui il T.a.r. non aveva colto che la disposizione preclusiva di cui all’art. 50, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 era intervenuta prima che si fosse formato il giudicato sulla pretesa sollevata in sede cognitoria e, quindi, detta disposizione spiegava effetto in detto processo;
in tesi, ciò era sufficiente ad impedire la valida (e fruttuosa) instaurazione del rito dell’ottemperanza;
per altro verso, la sentenza del T.a.r. della Campania 28 gennaio 2008, n. 93 resa in sede di ottemperanza era certamente appellabile, in quanto non recava misure meramente attuative del giudicato, ma risolveva questioni “nuove” che vertevano sulla possibilità di attribuire il diritto vantato a parte ricorrente in ottemperanza;

f) con la sentenza gravata con l’odierna impugnazione revocatoria, la Sezione ha dichiarato ammissibile l’appello dell’Amministrazione e lo ha accolto riformando la sentenza di prime cure.

3. Con il gravame revocatorio chiamato in decisione la parte privata originaria ricorrente in ottemperanza rimasta soccombente ha dedotto che:

a) essa si era rivolta alla Corte di Strasburgo, evidenziando che a cagione di non chiare e non legittime disposizioni di legge emanate dallo Stato italiano era stato ad essa precluso il conseguimento di un beneficio che rientrava nella categoria dei diritti quesiti;

b) ciò in base a disposizioni irragionevoli, e penalizzanti, per di più spieganti portata retroattiva, ed incidenti su sentenze rese da Autorità giurisdizionali;

c) la Corte di Strasburgo, Seconda Sezione con la sentenza del 1° luglio 2014 resa sul ricorso n. 61820/08 aveva riconosciuto fondate le doglianze dedotte, liquidando in suo favore un indennizzo;

d) ciò che era importante precisare, però, era che il dictum della Corte di Strasburgo riconosceva la condotta illegittima complessiva dello Stato Italiano;

e) in virtù della sentenza della Sezione impugnata per revocazione recante n. 2986/2008, la parte originaria ricorrente in ottemperanza si era vista preclusa la possibilità di ottenere il bene della vita cui (fondatamente, secondo la Corte di Strasburgo) aspirava.

3.1. Armonicamente con tali premesse, la parte odierna ricorrente in revocazione ha quindi sostenuto che:

a) in via ermeneutica era ben possibile revocare la detta sentenza della Sezione n. 2986/2008, sebbene l’art. 106 del c.p.a. non recasse espressa menzione di tale “caso” di impugnazione revocatoria;

b) in via subordinata, comunque, sulla falsariga di quanto disposto dalla ordinanza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 2/2015, si sarebbe dovuta sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del c.p.a., nella parte in cui non contemplava, tra le ipotesi di revocabilità della sentenza regiudicata, quella riposante nel contrasto di una sentenza regiudicata con una successiva pronuncia della CEDU.

4. In data 4 giugno 2015 l’intimata amministrazione si è costituita con atto di stile.

5. In data 25 gennaio 2016 l’intimata amministrazione ha depositato una articolata memoria, chiedendo la reiezione del ricorso in revocazione, deducendo che:

a) la revocanda sentenza del Consiglio di Stato n. 2986/98 con la quale era stato respinto il ricorso per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.a.r. Salerno n. 175/1996 (che aveva accolto il ricorso proposto dal dott. P unitamente ad altri magistrati) per ottenere l'allineamento stipendiale previsto dall'art. 1 l. n. 265/1991 - c.d. galleggiamento) era motivata sulla base della ritenuta applicabilità alla fattispecie (quale evento normativo ostativo all'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 175/1996) del disposto dell'art. 50, c. 4, l. n. 388/2000, che aveva disposto la perdita di efficacia delle decisioni delle autorità giurisdizionali comportanti provvedimenti di allineamento stipendiale;

b) in particolare, la revocanda sentenza, dopo aver dato atto della ininfluenza di tale norma sulle sole situazioni già coperte da giudicato, aveva ritenuto che nella specie il giudicato formale sulla sentenza n. 175/1996 del TAR Salerno si fosse formato solo nel 2006, sicché la fattispecie in esame doveva ricadere nel disposto del richiamato art. 50, c. 4, l. n. 388/2000;

c) la parte odierna ricorrente in revocazione aveva proposto ricorso alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo che, con la sentenza del 1° luglio 2014, aveva riconosciuto la violazione dell'art. 6 par. 1 della CEDU ed aveva accordato al dott. P la somma di euro 95.000 (maggiorata di interessi) quale equa soddisfazione per “perdita di chance” in riferimento all'esito del giudizio sul quale aveva influito l'art. 50, c. 4, l. n. 388/2000 (a fronte della maggior somma di euro 532.951 euro richiesta): la somma liquidata si riferiva al periodo fino al 31 dicembre 2008 mentre, con riferimento al periodo successivo al 2008, la Corte EDU aveva rilevato che l’ammontare delle perdite era necessariamente ipotetico, dipendente soprattutto da parametri non conosciuti, ed aveva rimesso tali questioni all'eventuale esame del giudice nazionale;

c) la richiesta di revocazione era inammissibile in quanto:

i ) la invocata richiesta (avanzata in via principale) di provvedere ad una “ lettura costituzionalmente orientata degli artt. 106 c.p.a., 395 e 396 c.p.c. ” (che tale fattispecie di revocazione non prevedono) collideva con la tesi - che costituisce jus receptum - per cui il contrasto della norma nazionale con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo può essere dichiarato solo previa declaratoria di incostituzionalità della norma nazionale da parte del Giudice delle leggi ( ex plurimis , Corte Cost. n. 348 e 349/2007);

ii ) quanto alla tesi –avanzata in via subordinata- volta a sollecitare il Collegio a sollevare questione di legittimità costituzionale delle richiamate norme nazionali (sulla falsariga di quanto disposto da Cons. Stato, Ad.Plen. ord.n. 2 del 4 Marzo 2015), essa era inammissibile ed infondata per difetto di rilevanza;

iii ) ciò in relazione alla circostanza che dalla citata sentenza della Corte EDU dell’1 luglio 2014 non poteva trarsi il convincimento che l’odierna parte impugnante avesse conseguito un diritto ad ottenere l'adeguamento stipendiale richiesto;

iv ) al contrario di quanto sostenuto da parte impugnante, la Corte EDU aveva espressamente escluso che il “danno” dovuto a titolo di “equa soddisfazione” potesse essere commisurato all'importo delle differenze stipendiali e retributive richieste respingendo la tesi volta ad ottenere una liquidazione del danno in misura “piena” e riconoscendo solo un danno da “perdita di chance ”: non considerando, quindi, “certo” e scontato l'esito del giudizio durante il quale era intervenuta la norma interpretativa di cui all'art. 50, c. 4, l. n. 388/2000;

v ) il punto dal quale doveva muoversi, quindi, era quello secondo cui la Corte EDU aveva ritenuto non già “certo” ma solo “possibile” e “verosimile” che il giudizio di ottemperanza (in ipotetica assenza della norma interpretativa di cui all'art. 50, c. 4, l. n. 388/2000), si sarebbe potuto chiudere in senso favorevole alla parte odierna ricorrente in revocazione: ed infatti essa aveva liquidato soltanto la chance ;

d) ed una volta escluso il diritto al conseguimento delle differenze retributive connesse al richiesto allineamento stipendiale, non residuava alcuna ragione di procedere alla “riapertura” del processo di ottemperanza definito con la revocanda sentenza in quanto:

i ) con riferimento al periodo anteriore al 31 dicembre 2008, la riapertura del giudizio di ottemperanza sarebbe stata in contrasto con quanto stabilito dalla stessa Corte EDU;

ii ) quanto al periodo successivo al 31 dicembre 2008, risultando dalla sentenza della Corte EDU, che per tale periodo non erano stati prodotti “i relativi documenti giustificativi”, la “riapertura” del giudizio di ottemperanza non avrebbe avuto alcuna utilità in quanto il giudizio rimesso dalla Corte alla “competenza dei giudici nazionali” non avrebbe potuto avere ad oggetto, come preteso da parte impugnante “ le differenze retributive, ed ogni altra indennità e remunerazione, indennità di buonuscita e trattamento pensionistico ”;

e) sotto il profilo processuale, poi, anche la subordinata richiesta di proposizione della questione di legittimità costituzionale era inutile in quanto:

i ) la Corte Costituzionale, ove eventualmente adita, non avrebbe potuto procedere ad emettere una sentenza additiva ampliando le ipotesi di revocazione, ma avrebbe dovuto rimettere la questione al Legislatore;

ii ) il riconoscimento delle pretese di parte impugnante era condizionato dalla eventuale declaratoria di incostituzionalità dell'art. 50, c. 4, l. n. 388/2000 (ma la Corte Costituzionale con la sentenza del 15 luglio 2005, n. 282 si era già pronunciata in passato sulla medesima questione, affermando l'immunità da vizi di costituzionalità della norma richiamata);

f) anche con riguardo alla fase rescissoria, la impugnazione era infondata in quanto:

i ) la pretesa della odierna parte impugnante era quella volta ad ottenere che all’art. 50, c. 4, l. n. 388/2000 venisse attribuita portata non retroattiva;

ii ) senonché la Corte Costituzionale con la sentenza del 15 luglio 2005, n. 282 si era già pronunciata anche su detta questione, riconoscendo la natura interpretativa della disposizione succitata finalizzata a risolvere i dubbi interpretativi connessi al tenore (non chiaro) dell'art. 2, c. 4, del d.l. n. 333/1992;

iii ) per via interpretativa, quindi, il Giudice del merito giammai avrebbe potuto accedere ad una tesi diversa, come invece preteso da parte impugnante, che, in conclusione aspirava ad una (impossibile) “revisione” in via ermeneutica della portata della citata disposizione.

6. In data 4 febbraio 2016 l’odierna parte impugnante ha depositato una memoria di replica ribadendo le proprie tesi difensive.

7. Alla pubblica udienza del 26 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione ed è stata emessa l’ordinanza collegiale n. 2640/2016 (da intendersi integralmente richiamata e trascritta nel presente elaborato) con la quale è stato disposto il differimento della trattazione della causa al fine di consentire alle parti di esprimersi compiutamente in ordine alla rilevanza di due questioni di costituzionalità attualmente pendenti.

8. In data 11 ottobre 2016 l’odierna parte impugnante ha depositato una ulteriore memoria ripercorrendo, anche sotto il profilo cronologico, la risalente vicenda processuale ed ha sottolineato che:

a) la sentenza dell’1 luglio 2014 della Corte EDU (punto 40) aveva rimesso ai Giudici nazionali la competenza a pronunciarsi sui danni patiti e patendi;

b) entrambe le questioni attualmente rimesse al giudizio della Corte Costituzionale dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, con le ordinanze collegiali n. 2 del 4 marzo 2015 e n. 7 del 14 luglio 2015, erano rilevanti per la decisione della odierna causa;

c) la “lettura” della sentenza della Corte EDU del 1° luglio 2014 prospettata dalla difesa erariale era erronea e fuorviante.

9. Alla pubblica udienza del 3 novembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione ed è stata emessa l’ordinanza collegiale n. 4765/2016 (da intendersi integralmente richiamata e trascritta nel presente elaborato) con la quale è stato dato atto che:

a) con l’ordinanza n. 2/2015 l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 106 del Codice del processo amministrativo e 395 e 396 del Codice processuale civile, in relazione agli artt. 117 co.1, 111 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU;

b) con l’ordinanza n. 7/2015 l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha sollevato la questione di costituzionalità dell'articolo 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (" Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato- Legge finanziaria 2001 "), nella parte in cui tale norma, sancendo la portata retroattiva dell'abrogazione dell'articolo 4, nono comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, prevede che detta abrogazione possa travolgere anche posizioni individuali già riconosciute mediante decisioni definitive su ricorsi straordinari.

Il Collegio, pertanto, ha ritenuto che:

a) la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 va dichiarata inammissibile per difetto di attuale rilevanza della medesima, atteso che tale questione avrebbe rilevanza soltanto laddove la fase rescindente del presente giudizio si concludesse con l’accoglimento e pertanto, in altri termini, soltanto laddove il giudizio sulla costituzionalità degli artt. 106 del Codice del processo amministrativo e 395 e 396 del Codice processuale civile si concludesse positivamente per la parte impugnante, e laddove a seguito del successivo vaglio del Collegio si giungesse alla revocazione della impugnata sentenza;

b) non può essere condivisa la prospettazione secondo cui sarebbe possibile – a legislazione vigente - procedere a revocare la decisione nazionale regiudicata in quanto confliggente con una sentenza resa dalla Corte EDU;

c) allo stato non risulta che la Corte Costituzionale si sia pronunciata su alcuna delle questioni sollevate dalla citata ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 2/2015;

d) condivide l’orientamento di cui all’ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 28/2014 che ammette la c.d. sospensione impropria del giudizio principale per la pendenza della questione di legittimità costituzionale di una norma, applicabile in tale procedimento, ma sollevata in una diversa causa;

e) tuttavia, considerato che la parte ricorrente in revocazione ha fatto presente di avere un espresso interesse a che venga sollevata nell’odierno giudizio la questione di costituzionalità già pendente al fine di prendere parte al giudizio di costituzionalità, e ribadita la rilevanza nell’odierno giudizio della questione rimessa al giudizio del Giudice delle leggi dalla ordinanza n. 2/2015 resa dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, ha sospeso il giudizio e ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale.

In conclusione, il Collegio:

a) ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 106 del Codice del processo amministrativo e 395 e 396 del Codice processuale civile, in relazione agli artt. 117 co.1, 111 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo;

b) ha respinto per difetto di attuale rilevanza la questione di costituzionalità dell'articolo 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, nl. 388 (" Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato- Legge finanziaria 2001 ") in relazione agli articoli 3, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui tale norma, sancendo la portata retroattiva dell'abrogazione dell'articolo 4, nono comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, prevede che detta abrogazione possa travolgere anche posizioni individuali già riconosciute mediante decisioni definitive su ricorsi straordinari.

10. In data 8 febbraio 2018 è stata trasmessa copia della ordinanza della Corte costituzionale n. 19/2018, depositata in data 2 febbraio 2018.

10.1. In data 28 dicembre 2019 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato ulteriore memoria, in cui, dando atto della intervenuta dichiarazione di manifesta inammissibilità della questione di legittimità, ha insistito nel rigetto della domanda revocatoria.

11. All’udienza del 6 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

12. Il Collegio deve a questo punto dare atto che:

a) con riferimento alla questione di costituzionalità degli artt. 106 del Codice del processo amministrativo e 395 e 396 del Codice processuale civile, la Corte costituzionale:

a.1) in relazione alla questione sollevata con l’ordinanza di questa Sezione n. 4765/2016, con l’ordinanza n. 19/2018, depositata in data 2 febbraio 2018, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale;

a.2) ad ogni modo, in relazione alla questione sollevata con l’ordinanza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 2/2015, con la sentenza n. 123/2017 depositata in data 26 maggio 2017 ha:

- dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato;

- dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del d.lgs. n. 104 del 2010 e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

b) con riferimento alla questione di costituzionalità dell'articolo 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (" Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato- Legge finanziaria 2001 ") in relazione agli articoli 3, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, sollevata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con l’ordinanza del 14 luglio 2015 (nonché, in seguito, dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con ordinanza dell’8 febbraio 2017), la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24/2018, depositata in data 9 febbraio 2018, ha:

- dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000, sollevate dal Consiglio di Stato, sezione quarta, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;

- dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000, sollevate dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

13. Conclusivamente, premesso che non può essere condivisa la prospettazione secondo cui sarebbe possibile – a legislazione vigente - procedere a revocare la decisione nazionale regiudicata in quanto confliggente con una sentenza resa dalla Corte EDU, il Collegio, considerati gli esiti del giudizio sulla legittimità costituzionale degli artt. 106 c.p.a. e 395 e 396 c.p.c. e del giudizio sulla legittimità costituzionale dell’art. 50, c. 4, l. n. 388/2000, dichiara inammissibile il presente ricorso per revocazione.

14. La novità delle questioni sottese alla controversia giustifica la compensazione delle spese della presente fase di giudizio tra le parti.

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