Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-16, n. 202002433
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Testo completo
Pubblicato il 16/04/2020
N. 02433/2020REG.PROV.COLL.
N. 03542/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3542 del 2015, proposto dai signori D P, N P, A P e D N, rappresentati e difesi dall'avvocato P T, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana, n. 58;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale - Giustizia amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 2986 del 16 agosto 2008.
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale - Giustizia amministrativa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato P T e l’avvocato dello Stato Daniela Canzoneri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la decisione impugnata per revocazione n. 2986/2008 questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello n. 3277 del 2008, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti dei signori Guadagno Sabato, Minichini Ferdinando e P Filippo avverso la sentenza del T.a.r. della Campania – Sezione staccata di Salerno, 28 gennaio 2008, n. 93 resa in sede di ottemperanza.
2. La risalente vicenda processuale può essere così sintetizzata:
a) con la sentenza 12 marzo 1996, n. 175 il Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, in accoglimento del ricorso proposto dai signori Guadagno Sabato, Minichini Ferdinando e P Filippo aveva riconosciuto fondata la loro pretesa all’allineamento stipendiale previsto dall’art. 1, della legge 8 agosto 1991, n. 265, il quale richiamava l’art. 4, comma 3, d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869; il T.a.r. aveva quindi dichiarato il diritto degli stessi a conseguire il medesimo allineamento stipendiale “ con riferimento alla retribuzione percepita dai consiglieri di Stato G. G. e S. B., condannando l’amministrazione intimata al pagamento delle somme spettanti a tale titolo, incrementate con gli accessori di legge ”;
b) la sentenza era stata impugnata dall’Amministrazione, ma l’appello era stato dichiarato inammissibile dal Consiglio di Stato (Sez. IV) con decisione 22 maggio 2006, n. 3017, per inesistenza della notificazione;
c) gli originari ricorrenti, vittoriosi in sede cognitoria, avevano proposto ricorso in ottemperanza, e l’Amministrazione, costituendosi in giudizio, aveva sostenuto che l’adempimento invocato era ormai precluso per effetto dell’art. 50, della legge 23 dicembre 2000, n. 388;
d) il T.a.r., con la sentenza n. 93 del 28 gennaio 2008, disattendendo detta tesi, aveva tuttavia accolto il ricorso in ottemperanza ed aveva ordinato all’Amministrazione intimata di provvedere a dare compiuta esecuzione alla sentenza cognitoria n. 175 del 12 marzo 1996, sostenendo che nel caso di specie si era formato il giudicato prima dell’intervento della legge n. 388/2000, quindi si entrava nell’ipotesi derogatoria di non applicazione della nuova disciplina (sebbene avente efficacia retroattiva); secondo il T.a.r., invero, la (prima) sentenza del T.a.r. sarebbe passata in giudicato, perché all’interruzione del relativo termine non era valsa l’instaurazione del giudizio di appello attesa l’inesistenza della notificazione dell’atto di appello;
e) con il ricorso n. 3277 del 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva proposto appello avverso detta decisione, sostenendone la erroneità: la tesi di fondo sostenuta dalla difesa erariale era quella secondo cui il T.a.r. non aveva colto che la disposizione preclusiva di cui all’art. 50, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 era intervenuta prima che si fosse formato il giudicato sulla pretesa sollevata in sede cognitoria e, quindi, detta disposizione spiegava effetto in detto processo; in tesi, ciò era sufficiente ad impedire la valida (e fruttuosa) instaurazione del rito dell’ottemperanza; per altro verso, la sentenza del T.a.r. della Campania 28 gennaio 2008, n. 93 resa in sede di ottemperanza era certamente appellabile, in quanto non recava misure meramente attuative del giudicato, ma risolveva questioni “nuove” che vertevano sulla possibilità di attribuire il diritto vantato a parte ricorrente in ottemperanza;
f) con la sentenza gravata con l’odierna impugnazione revocatoria, la Sezione ha dichiarato ammissibile l’appello dell’Amministrazione e lo ha accolto riformando la sentenza di prime cure.
3. Con il gravame revocatorio chiamato in decisione la parte privata originaria ricorrente in ottemperanza rimasta soccombente ha dedotto che:
a) essa si era rivolta alla Corte di Strasburgo, evidenziando che a cagione di non chiare e non legittime disposizioni di legge emanate dallo Stato italiano era stato ad essa precluso il conseguimento di un beneficio che rientrava nella categoria dei diritti quesiti;
b) ciò in base a disposizioni irragionevoli, e penalizzanti, per di più spieganti portata retroattiva, ed incidenti su sentenze rese da Autorità giurisdizionali;
c) la Corte di Strasburgo, Seconda Sezione con la sentenza del 1° luglio 2014 resa sul ricorso n. 61820/08 aveva riconosciuto fondate le doglianze dedotte, liquidando in suo favore un indennizzo;
d) ciò che era importante precisare, però, era che il dictum della Corte di Strasburgo riconosceva la condotta illegittima complessiva dello Stato Italiano;
e) in virtù della sentenza della Sezione impugnata per revocazione recante n. 2986/2008, la parte originaria ricorrente in ottemperanza si era vista preclusa la possibilità di ottenere il bene della vita cui (fondatamente, secondo la Corte di Strasburgo) aspirava.
3.1. Armonicamente con tali premesse, la parte odierna ricorrente in revocazione ha quindi sostenuto che:
a) in via ermeneutica era ben possibile revocare la detta sentenza della Sezione n. 2986/2008, sebbene l’art. 106 del c.p.a. non recasse espressa menzione di tale “caso” di impugnazione revocatoria;
b) in via subordinata, comunque, sulla falsariga di quanto disposto dalla ordinanza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 2/2015, si sarebbe dovuta sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del c.p.a., nella parte in cui non contemplava, tra le ipotesi di revocabilità della sentenza regiudicata, quella riposante nel contrasto di una sentenza regiudicata con una successiva pronuncia della CEDU.
4. In data 4 giugno 2015 l’intimata amministrazione si è costituita con atto di stile.
5. In data 25 gennaio 2016 l’intimata amministrazione ha depositato una articolata memoria, chiedendo la reiezione del ricorso in revocazione, deducendo che:
a) la revocanda sentenza del Consiglio di Stato n. 2986/98 con la quale era stato respinto il ricorso per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.a.r. Salerno n.