Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-08-19, n. 201603656
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Testo completo
Pubblicato il 19/08/2016
N. 03656/2016REG.PROV.COLL.
N. 00002/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 2/2009 RG, proposto da A T e T A, rappresentati e difesi dall'avv. M O, con domicilio eletto in Roma, via del Vignola n. 5, presso l’avv. Livia Ranuzzi,
contro
il Comune di Ascoli Piceno, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti A C e S T, con domicilio eletto in Roma, via Crescenzio n. 82, presso l’avv. Bassi,
per la riforma
della sentenza del TAR Marche n. 1773/2007, resa tra le parti e relativa al diniego di concessione edilizia per il completamento del fabbricato attoreo;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 7 luglio 2016 il Cons. S M R e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Ranuzzi (per delega di Ortenzi) e Tosti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – I sigg. A T e T A sono proprietari di un’area sita in Ascoli Piceno, fraz. Mozzano e ricadente in zona 9), verde vincolato A) del vigente PRG, sul quale insistono pure altri vincoli di natura idrogeologica e paesaggistica.
Già il 21 ottobre 1991, i sigg. T ed Alfonsi avevano chiesto al Comune di Ascoli Piceno di voler colà realizzare un edificio di civile abitazione, asserendo in progetto che la destinazione urbanistica fosse estensiva di completamento di frazione. Tanto a loro dire perché, con la deliberazione n. 115 del 27 luglio 1991, il Consiglio comunale di Ascoli Piceno avrebbe accolto una loro osservazione sull’inserzione di detta area nel perimetro delle frazioni. Sennonché la delibera non divenne efficace e, quindi, il Comune il 24 febbraio 1993, rilasciò un certificato di destinazione urbanistica negativo.
2. – Su tale area, a detta dei sigg. T ed Alfonsi, il 17 giugno 1993 il sig. M A, altro loro consorte, chiese al Comune, ai sensi dell’art. 8, II c. del DL 23 gennaio 1982 n. 9 (conv. modif. dalla l. 25 marzo 1982 n. 94), di voler comunque realizzare il predetto edificio, avvalendosi di questa procedura semplificata.
Tal edificazione, ad avviso del sig. T e consorte, sarebbe stata allora assentita per silenzio, ai sensi del precedente I c. e, anzi, essi affermano pure adesso che il titolo, che si dice così ottenuto, non sia mai stato annullato dal Comune.
Consta nondimeno che la P.A. iniziò dapprima un procedimento per abuso edilizio a carico di tutti i consorti interessati. Inoltre, a seguito d’un parere pro veritate concludente nel senso che non si sarebbe mai potuto formare il predetto silenzio-assenso, più volte li diffidò a non eseguire le opere edilizie. Con sentenza n. 291 del 17 aprile 1996, il Tribunale penale di Ascoli Piceno accertò l’insussistenza dei presupposti per la formazione del silenzio-assenso.
In data 10 gennaio 2001, il sig. M A chiese al Comune il completamento dell’edificio de quo , ma tal richiesta fu respinta, previo conforme parere della CDC, con la nota prot. n. 42218 del 14 settembre 2001, essendo risultati l’opera in contrasto con le vigenti norme di zona ed il progetto tecnico affetto da varie anomalie.
3. – Contro tal statuizione insorsero allora vari soggetti (tra cui anche il sig. T e consorte) avanti al TAR Marche, con il ricorso n. 963/2001 RG. I ricorrente lamentarono: I) – l’omessa revoca del silenzio-assenso ex art. 8 del DL 9/1982;II) – l’asserita, ma non dimostrata vigenza di vari vincoli sull’area d’intervento, invece ricadente in zona estensiva A) del REC;III) – l’assenza di modifiche sull’area stessa, ché, anzi, il progetto di completamento tenne conto delle norme edilizie per i centri storici delle frazioni;IV) – l’assenza d’ogni irregolarità nel progetto stesso.
L’adito TAR, con sentenza n. 1773 del 24 ottobre 2007, respinse la pretesa attorea perché: 1) – non fu applicabile l’art. 8 del DL 9/1982 all’istanza del 23 gennaio 1991, in quanto, nei 90 gg. per la formazione del silenzio-assenso, tal norma fu abolita;2) – comunque il silenzio-assenso non si poté formare nella specie, riguardando un intervento su un’area priva di strumento urbanistico attuativo e definita agricola a causa dell’annullamento tutorio, prima che il sig. Alfonsi presentasse la propria istanza, dell’inserzione di essa nei perimetri delle frazioni;3) – nessun altro regime di silenzio-assenso si rese applicabile nella specie.
4. – Appellarono quindi solo il sig. T e consorte, col ricorso in epigrafe, facendo riemergere tutti i motivi di primo grado e deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per: A) – la piena applicabilità nella specie del regime ex art. 8 del DL 9/1982 e l’ inutilità d’ogni richiamo ad altre simili discipline;B) – l’applicabilità di tal art. 8 anche perché l’area d’intervento era equiparata ad una zona estensiva di completamento e, ad ogni modo, era del tutto urbanizzata;C) – l’omesso annullamento in autotutela del silenzio-assenso a suo tempo formatosi;D) – la mancanza di ogni contraddittorio con gli appellanti sul contenuto della CTU in primo grado. Resiste in giudizio il Comune intimato, concludendo per il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 7 luglio 2016, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
5. – L’appello non può esser condiviso e va respinto, per le ragioni di cui appresso.
Quanto al primo mezzo di gravame, gli appellanti contestano l’impugnata sentenza perché, secondo loro, il regime del silenzio-assenso ex art. 8 del DL 9/1982 si sarebbe perfezionato a loro favore per il sol fatto della vigenza della norma al momento dell’istanza (21 ottobre 1991) al fine di costruire il fabbricato non completato.
Com’è noto, l'art. 8 del 9/1982 previde il formarsi della c.d. concessione edilizia tacita per silenzio -assenso, una volta decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda senza che fosse intervenuto e comunicato un diniego espresso e motivato sul punto. Non sfugge al Collegio che detto termine, indicato nel I c. dell’art. 8, era stato prorogato al 31 dicembre 1991 dall’art. 3 della l. 20 maggio 1991 n. 158. Esso però fu soppresso, seppur con riferimento alla data originaria (31 dicembre 1984), grazie all’art. 23, c. 4 della l. 17 febbraio 1992 n. 179, ma tal soppressione ha un significato ben diverso da quello cui s’appunta il TAR. È vero che il silenzio-assenso ebbe in origine un carattere transitorio con efficacia temporale limitata, ma ciò fino all'entrata in vigore del citato art. 23, c. 4, in virtù del quale la disciplina della concessione tacita fu acquisita a regime ed in via definitiva (cfr. così Cons. St., V, 28 dicembre 2001 n. 6438;id., IV, 13 giugno 2011 n. 3582).
Sicché è un falso problema quello della vigenza, o meno, dell’istituto del silenzio-assenso rispetto alla vicenda particolare degli appellanti, in quanto ciò che più rileva non è (o non è solo) l’elemento cronologico, ma è quello funzionale. Invero, detto silenzio-assenso si può addirittura formare anche su istanze di concessione in astratto rigettabili (p. es., per realizzare una volumetria superiore a quella assentibile), ma purché ricorrano i seguenti requisiti essenziali: a) presentazione di un'istanza per un intervento di edilizia residenziale;b) l'avvenuto decorso del termine di novanta giorni;c) la natura edificatoria dell'area oggetto d'intervento;d) la vigenza di uno strumento urbanistico attuativo (cfr. così Cons. St., V, 3 luglio 1996 n. 834;id., 10 febbraio 1998 n. 150;id., 21 aprile 2006 n. 2261). In ciò si sostanzia quella natura eccezionale dell’istituto, rispetto alla disciplina generale, ma pure con un campo di applicazione ben definito e limitato ai soli interventi di edilizia residenziale, diretti alla costruzione di abitazione ed al recupero del patrimonio abitativo esistente, nelle sole aree deputate a tal scopo.
6. – Nella specie, l’area d’intervento attoreo era priva di tal caratteristica, ed il TAR ben lo spiega.
Essa non era inclusa né tra i terreni regolati da uno strumento urbanistico attuativo, né allo stato tra quelli perimetrati nel centro abitato delle frazioni (a causa dell’annullamento tutorio, anteriore all’istanza citata, della delibera consiliare n. 115 del 26 luglio 1991). Inoltre, quest’ultima vicenda neppure si poté dire, come vorrebbero gli appellanti, irrilevante nella specie, perché detta area era comunque esterna al centro storico della fraz. Taverna Piccinini e, quindi, non le si sarebbero potute applicare le regole di beneficio ex art. 108 del REC, ossia la possibilità di costruire con le norme vigenti per la zona 5) estensiva di completamento.
S’appalesa suggestiva, ma non convince la tesi attorea per la quale, essendo comunque l’area in questione posta nel centro abitato della fraz. Taverna Piccinini, il concetto di « centro abitato » non va confuso con quello di « centro storico ». Ora la Sezione ha da ultimo chiarito (cfr. Cons. St., IV, 21 ottobre 2014 n. 5173) che la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci, per cui occorre far riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione. Tuttavia, non risponde al preciso disposto dell’art. 41-quinquies, VI c. della l. 17 agosto 1942 n. 1150 procedere all’edificazione in assenza di perimetrazione del centro abitato come se invece questa esistesse (è quel che in sostanza chiedono gli appellanti), specie se, come nel caso in esame, la delibera di perimetrazione fu annullata in via definitiva ed inoppugnabile. Scolorano quindi le considerazioni degli appellanti sull’irrilevanza materiale di tal annullamento, in quanto si sarebbe potuto applicare il principio fattuale (cfr. sul punto Cons. St., IV, 27 giugno 2007 n. 3741) soltanto in assenza di un siffatto intervento repressivo sulla perimetrazione.
Anzi, è da rammentare che, pure ad accedere alla tesi degli appellanti stessi, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., V, n. 150/1998, cit;id., 1° ottobre 1998 n. 1381;id., 7 settembre 2000 n. 4702;id., n. 2261/2006) che l'equivalenza tra pianificazione attuativa e stato di sufficiente urbanizzazione fattuale della zona, ai fini del rilascio della concessione edilizia, non opera nel procedimento di formazione del silenzio-assenso ex art. 8 del DL 9/1982. Quest’ultimo è subordinato all'esistenza di una disciplina urbanistica di dettaglio che deve predeterminare in modo puntuale le caratteristiche dell'edificazione consentita, affinché ne se ne possa agevolmente verificarla mediante il raffronto tra dati obiettivi e dettagliatamente predefiniti. L’assenza della perimetrazione, quindi e ben lungi dal consentire comunque l’applicazione “a cascata” all’area attorea di norme urbanistiche pensate per terreni già a priori vocati all’edificazione in base all’art. 108 del REC, impedisce l’applicazione di tal beneficio e fa scattare il principio sull’irrilevanza fattuale dell’edificazione contermine.
7. – Obiettano ancora gli appellanti che, nella specie, si tratta del (l’ormai doveroso) completamento d’un edificio già assentito con silenzio-assenso, mai revocato in dubbio dal Comune.
Al riguardo, per vero è illegittimo il diniego del rilascio del titolo edilizio, una volta formatosi il silenzio-assenso non annullato dalla P.A. Nel caso in esame, però, s’applica il principio per cui, in assenza d’uno o più dei citati presupposti per la legittima formazione del silenzio-assenso ex art. 8 del DL 9/1982, la P.A. ben può, anche dopo il decorso del termine di 90 giorni, denegare tal rilascio appunto perché non è configurabile tal silenzio-assenso (arg. ex Cons. St., V, 17 dicembre 1990 n. 884). In particolare, è vero che si tratta di un’istanza per il completamento di un’opera solo in parte realizzata, ma quest’ultima è abusiva in toto , perché il silenzio-assenso non si poté formare e non s’è mai finora formato. Tuttavia, è sempre possibile, ove non si ravvisino altre criticità, l’eventuale accertamento di conformità dell’opera, su istanza degli interessati e nei limiti della vigente ed effettiva destinazione di zona.
Quanto poi ai motivi di primo grado assorbiti e qui riproposti, s’avrà anzitutto che non sussiste la lamentata contraddittorietà dell’azione amministrativa nella specie. Non vi fu, né pare che vi sia ora alcuna conferma esplicita, da parte del Comune, sulla liceità ab origine dell’intervento edilizio attoreo, non potendosi ritrarre un serio argomento a favore dalla nota del Servizio edilizia privata n. 12696 del 31 maggio 1996. Tal nota si limitò a precisare che non v’era a quel momento un interesse pubblico alla rimozione in autotutela del titolo assentito per silentium e che non sussisteva alcuna incompatibilità dell’opera con la sicurezza stradale. Per contro, tutto ciò non si tradusse in una vera e propria statuizione di conformità urbanistica dell’opera, atteso che, nello stesso arco di tempo, la P.A. chiese ed ottenne un parere pro veritate sulla mancata formazione del silenzio-assenso, da cui in varia guisa scaturirono gli atti di diffida del 18 aprile e dell’8 giugno 1996, nonché quelli del 24 novembre 1999 e del 10 novembre 2000.
In ordine poi alla vigenza dei vincoli sull’area d’intervento, anzitutto essa, al tempo dell’originaria istanza del 1991, già ricadeva in zona a verde vincolato A) di PRG. In secondo luogo, essa rimase soggetta sia al vincolo ex DM 31 luglio 1985 (valle del Tronto e del Fluvione), al vincolo di tipo idrogeologico ed al regime vincolistico del Piano paesistico-ambientale della Regione Marche, onde non si sarebbe comunque potuto formare detto silenzio-assenso.
Non hanno gran senso, alla luce di quanto detto sulla non applicabilità del regime edilizio per le zone estensive di completamento, tutte le questioni sulla riduzione del lotto di intervento a seguito dell’espropriazione per opere stradali, nonché sulla conformità materiale dell’opera ai parametri edilizi per dette zone, le quali al più potrebbero trovare ingresso in un eventuale procedimento circa l’accertamento di tal conformità, non certo per affermare un silenzio-assenso mai formatosi.
Da ciò discende l’assenza d’ogni interesse sulla questione della correttezza della sottoscrizione del progetto, poiché si tratta d’un argomento incapace, da solo, a confutare il difetto dei presupposti per la formazione del silenzio-assenso.
8. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va interamente rigettato. Le spese di lite seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.