Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-04-26, n. 202203151

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-04-26, n. 202203151
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203151
Data del deposito : 26 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2022

N. 03151/2022REG.PROV.COLL.

N. 09722/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9722 del 2020, proposto da
EUTELIA S.P.A., in amministrazione straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato E M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

AUTORITÀ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco D’Ostuni, Marco Zotta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Marco D’Ostuni in Roma, piazza di Spagna, n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 9098 del 2020;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Telecom Italia s.p.a. e dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 marzo 2022 il Cons. Dario Simeoli e udito l’avvocato Rubinacci Luca, per delega dichiarata dell’avvocato Monaco Eutimio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così riassunti:

- Telecom s.p.a. ed E s.p.a. (di seguito anche la ‘Società’) stipulavano un contratto di interconnessione ‘inversa’, relativo cioè alla terminazione delle chiamate effettuate da utenti di Telecom verso numerazioni attribuite a E, in virtù del quale quest’ultima aveva diritto, per ciascuna chiamata, al pagamento di un prezzo;

- nel mese di marzo 2009, Telecom segnalava all’Autorità ed al Ministero dello Sviluppo Economico l’impiego delle numerazioni geografiche (e, segnatamente, i numeri della decade O, preceduti da un prefisso che designa la località di ubicazione del destinatario della chiamata) secondo modalità a suo dire difformi rispetto al corretto utilizzo, in particolare perché erano stati forniti servizi di intrattenimento riconducibili al fenomeno commerciale noto come «Ascolta a Guadagna» (in virtù del quale l’utente riceve un incentivo economico a chiamare determinate numerazioni, comunemente utilizzate per fruire via telefono di contenuti e servizi a valore aggiunto, diversi dunque dal servizio di telefonia);

- il Ministero non dava alcun seguito alla segnalazione di Telecom, mentre l’Autorità, con la nota del 10 marzo 2009, escludeva la sussistenza delle violazioni della disciplina regolamentare denunciate dall’odierna controinteressata;

- successivamente, Telecom deliberava di sospendere, ai sensi dell’art. 1460 c.c., il pagamento di importi dovuti all’appellante per un importo pari a € 3.299.174,29, oltre agli interessi e alla liquidazione delle penali previste nel contratto in caso di inadempimento dell’obbligo di pagamento;

- con istanza del 19 gennaio 2010, E chiedeva all’Autorità, ai sensi dell’art. 3 allegato A della delibera 352/08/Cons, di decidere la controversia insorta con Telecom in merito alla predetta sospensione dei pagamenti dei corrispettivi derivanti dai contratti di interconnessione e relativi al servizio di terminazione vocale su rete E;

- nel corso del procedimento, l’Autorità emanava la delibera 71/10/CONS, con cui diffidava una serie di operatori di rete fissa, tra i quali l’odierna ricorrente, a non utilizzare le numerazioni geografiche di cui gli stessi erano titolari per usi diversi da quelli consentiti dalla normativa vigente e, in particolare, per la fornitura di servizi diversi da quelli ‘PATS’ (Public Available Telephone Service, ovvero i servizi telefonici accessibili al pubblico), pena l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 98, comma 11, del d.lgs. n. 259 del 2003;

- in data 4 marzo 2011, l’Autorità, a seguito dello svolgimento dell’attività istruttoria, del deposito delle memorie e dell’audizione delle parti, adottava il seguente dispositivo di decisione: « 1. Fatta salva ogni valutazione dell’Autorità giudiziaria in merito all’accertamento della liceità delle condotte relative all’utilizzo delle numerazioni geografiche da parte degli operatori di comunicazione elettronica, si dispone quanto indicato nei successivi commi 2, 3 e 4 nei confronti di Telecom Italia e E.

2. Telecom Italia è tenuta a versare a E, per la fornitura del servizio di terminazione vocale su rete E, una somma pari al 60 per cento degli importi sospesi nei mesi di competenza che vanno da maggio 2009 a luglio 2010 (pari complessivamente a 3.299.174,29 milioni di Euro, iva inclusa), corrispondente a € 1.979.504,57 (iva inclusa).

3. E è tenuta a monitorare, ai sensi della normativa vigente, l’utilizzo svolto della propria numerazione geografica da parte dei soggetti cui è stata ceduta in uso, al fine di garantire la conformità dei servizi dagli stessi offerti alla disciplina regolamentare vigente.

4. A tal fine E, qualora emergano anomalie a seguito del suddetto monitoraggio dei parametri statistici del traffico terminato sulla propria rete (quali, ad esempio, la durata e il numero delle conversazioni, gli Erlang di traffico svolto) oppure a seguito di segnalazioni, verifica le caratteristiche e le finalità del servizio svolto dai propri resellers/centri servizi. Nel caso in cui E individui un utilizzo anomalo della numerazione geografica dalla stessa ceduta in uso, è tenuta ad adottare ogni misura consentita al fine di ripristinare il corretto utilizzo della numerazione, inclusa la eventuale comunicazione della condotta rilevata alle autorità competenti
»;

- successivamente, con la delibera 17/11/ CIR, comunicata a E il 14 aprile 2011, l’Autorità rendeva note le motivazioni della anzidetta decisione;

- l’Autorità, in particolare, rinveniva dalla disamina di tre dati valutati congiuntamente ‒ quali: i ) la tipologia dei servizi offerti dai centri servizi legati da rapporti commerciali con E; ii ) le statistiche di traffico depositate agli atti; iii ) e la forte riduzione del traffico reverse nel periodo successivo alla delibera 71/10/CONS ‒ la prova che una quota parte del traffico reverse era stato finalizzato a scopi diversi dalla comunicazione ‘PATS’ e, pertanto, non ottemperante alla normativa vigente;

- tale quota di traffico veniva stimata in misura pari al 40%, con la conseguenza che a E veniva negato il diritto a riscuotere il pagamento per una quota corrispondente del proprio credito vantato nei confronti di Telecom;

- l’Autorità evidenziava altresì che la previsione di clausole di attribuzione di responsabilità ai ‘centri servizi’, ai quali le numerazioni erano messe a disposizione dall’operatore titolare della rete di comunicazioni, non esonerava quest’ultimo dal vigilare sul corretto utilizzo della numerazione, rilevando che E non aveva efficacemente esercitato le predette funzioni di vigilanza (come dimostrato a contrario dalla forte contrazione del traffico anomalo dopo l’intervento di E in ottemperanza alla delibera 71/10/CONS);

- la Società, con ricorso e successivi motivi aggiunti, chiedeva l’annullamento, sia della nota del 4 marzo 2011 contenente il dispositivo, sia della delibera n. 17/11/CIR contenente la motivazione, nonché dell’art. 3 della delibera Agcom n. 26/08/CIR, lamentando che l’Autorità avrebbe dovuto accogliere integralmente la domanda di E e condannare Telecom al versamento dell’intero importo dalla stessa illegittimamente trattenuto, in quanto il traffico oggetto di controversia sarebbe stato conforme al vigente quadro normativo e regolamentare;

- a fondamento dell’azione di annullamento, la Società deduceva i seguenti vizi:

i) il difetto di attribuzione, poiché i poteri che l’art. 23 del d.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) attribuisce all’Autorità sarebbero limitati alla verifica del rispetto, da parte degli operatori, degli «obblighi derivanti dal Codice», laddove la pretesa dedotta da Telecom nell’ambito del procedimento avviato da E sarebbe fondata sulla eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., risolvendosi quindi in una questione squisitamente contrattuale;

ii) la non imputabilità a E di eventuali illeciti connessi all’utilizzo delle numerazioni non geografiche e l’assenza degli obblighi di vigilanza individuati con il provvedimento impugnato;

iii) il legittimo affidamento riposto nella nota dell’Autorità del 10 marzo 2009, che avrebbe escluso ogni illecito a carico di E;

iv) l’inattendibilità delle evidenze probatorie assunte a fondamento della decisione, avendo l’Autorità riscontrato l’uso anomalo delle risorse di numerazione da parte di E, sulla base dell’esame dei documenti proveniente da una società appartenente allo stesso gruppo della controinteressata;

v) la non configurabilità giuridica della violazione, in quanto un utilizzo illegittimo della numerazione potrebbe ravvisarsi solo in caso di fornitura di servizi di intrattenimento (circostanza mai dimostrata), e non nell’uso prolungato oltre lo stretto necessario da parte degli utenti, evenienza quest’ultima per la quale si porrebbe, al massimo, una questione di natura civilistica di esecuzione del contratto in buona fede;

vi) l’erronea stima del traffico anomalo operata dall’Autorità, in quanto la metodologia utilizzata sarebbe lacunosa, non essendo condivisibili i parametri alla luce dei quali è stata condotta la suddetta stima;

vii) l’omessa pronuncia dell’Autorità sulla richiesta di condannare Telecom al pagamento del credito insoluto da interconnessione inversa oltre alle penali e agli interessi da ritardato pagamento.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 9098 del 2020, respingeva ricorso e motivi aggiunti.

3.‒ Avverso la predetta sentenza la Società ha quindi proposto appello, riproponendo le censure già sollevate in primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazionale della sentenza di primo grado.

L’appellante, in particolare, ribadisce che:

a) il fondamento della decisione assunta dall’Agcom non risiederebbe in considerazioni di natura regolatoria, bensì in rilievi civilistici circa il presunto diritto di Telecom a invocare il diritto all’autotutela contrattuale sancito dall’art. 1460 c.c.;
la decisione impugnata sarebbe quindi nulla per difetto di attribuzione, atteso che la disamina di questioni di mero rilievo privatistico non rientrerebbe fra le prerogative dell’Autorità in materia di risoluzione delle controversie;
le doglianze rivolte da Telecom nei confronti di E andrebbero ricondotte, a tutto concedere, a una sorta di abuso del diritto, cioè all’utilizzo del servizio di interconnessione inversa per finalità difformi dalla destinazione effettiva dello stesso servizio, censure in alcun modo ascrivibili al genus dell’inadempimento;
l’Autorità avrebbe dovuto rilevare l’alterità del fondamento di ciascuna delle posizioni contrapposte (quella di E basata su obblighi derivanti dal Codice e quella di Telecom che, invece, ne prescindeva) e, subito dopo, dichiararsi competente a vagliare la prima ma non anche la seconda;

b) eventuali illeciti nell’utilizzo delle numerazioni avrebbero potuto essere, al più, contestate ai centri servizi che forniscono il servizio agli utenti finali, pena l’attribuzione a operatori come la ricorrente di una inammissibile responsabilità a titolo oggettivo;
nella misura in cui alle previsioni richiamate nella decisione si attribuisse valenza costitutiva di obblighi regolamentari di vigilanza, sussisterebbe la violazione del principio di parità di trattamento, tenuto conto che E sarebbe il solo operatore titolare di una rete di comunicazioni a essere assoggettato a obblighi regolamentari di siffatta portata;
vi sarebbe inoltre una lesione delle garanzie partecipative di E, cui l’Autorità avrebbe imposto un nuovo obbligo regolamentare, in difetto della previa acquisizione della posizione dell’odierna appellante sul punto;
qualora siffatti obblighi si facessero discendere dall’art. 3 della delibera 26/08/CIR (richiamata nel provvedimento impugnato in ordine alla portata dell’obbligo di vigilanza dell’operatore di rete circa l’utilizzo delle numerazioni), la stessa delibera 26/08/CIR risulterebbe illegittima;

c) la decisione sarebbe illegittima anche poiché adottata in palese contrasto con la precedente nota del 10 marzo 2009, con cui l’Autorità aveva dato riscontro alla segnalazione di Telecom circa presunte violazioni nell’utilizzo delle numerazioni attribuite a E, escludendo in radice la sussistenza di un illecito da parte dell’odierna appellante;
diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la predetta nota non si sarebbe limitata ad un mero accertamento preliminare, in quanto gli ulteriori approfondimenti ivi annunciati non avrebbero potuto intaccare in alcun modo la consistenza della posizione già assunta, da un punto di vista generale, rispetto alla compatibilità tra le offerte flat di Telecom e gli accordi che aveva volontariamente assunto con E;

d) la delibera impugnata sarebbe stata adottata esclusivamente sulla base di una istruttoria parziale, in quanto l’Autorità avrebbe riscontrato l’uso anomalo delle risorse di numerazione all’esito di una disamina della sola produzione documentale di Telecom, priva di alcuna valenza oggettiva per il fatto di provenire da società appartenente allo stesso gruppo di imprese dell’odierna controinteressata;

e) quanto al merito della decisione impugnata, viene osservato che un caso di utilizzo non in linea con la normativa vigente della numerazione potrebbe porsi solo nella misura in cui un numero geografico venga utilizzato per la fornitura di servizi di intrattenimento (circostanza mai provata nel caso di specie), e non qualora gli utenti facciano un uso in qualche modo strumentale della numerazione, prolungando oltre lo stretto necessario la durata delle proprie chiamate al fine di ottenere gli incentivi economici riconosciuti dal centro servizi;
in quest’ultimo caso potrebbe porsi al più un problema civilistico di esecuzione del contratto secondo canoni di buona fede, ma non verrebbero in rilievo gli obblighi regolamentari del settore;
sarebbero risultate del tutto sfornite di prova, ed anzi confutate in punto di fatto, tutte le affermazioni di Telecom circa l’erogazione di servizi di intrattenimento da parte di E sulle proprie numerazioni geografiche;
per quanto riguarda i numeri sospesi nel mese di febbraio 2010, sarebbe emerso, dalle prime verifiche effettuate dall’odierna appellante, che i numeri risultati “occupato” sarebbero assegnati a normalissimi clienti Retail e Wholesale di E, oppure sarebbero stati riabilitati da Telecom;
infine, sarebbe emerso che i numeri con “risposta password” erano semplicemente destinati a servizi che prevedono la digitazione di una password, quali la audioconferenza o le carte telefoniche;

f) le lacune sottese alla metodologia con cui l’Autorità ha ritenuto di stimare la quota di traffico anomalo oggetto di sospensione sarebbero evidenti: anzitutto, sarebbe indebito il rilievo per cui una durata di alcune ore sarebbe indice di un utilizzo improprio del servizio di chiamata su numeri geografici;
i numeri in questione sarebbero utilizzati per servizi quali la conference call cioè sono destinati a raggruppare un numero anche molto elevato di chiamanti, e dunque sarebbero chiamate fisiologicamente destinate a durare più a lungo di una semplice telefonata tra due utenti;
in ogni caso, l’Autorità non avrebbe indicato, in alcun modo, quante chiamate verso numeri geografici di E risulterebbero avere durata superiore alla soglia di anomalia, quante sarebbero le chiamate tra gli stessi utenti nel corso di un medesimo giorno, né quante di queste ultime chiamate avrebbero una durata “anomala”;
l’Autorità avrebbe così finito per stabilire una ‘cifra tonda’ (il 40% delle chiamate) al fine di definire, in un’ottica apparentemente più conciliativa che para-giurisdizionale, il contenzioso insorto tra i due operatori;

g) posto che E aveva chiesto la condanna di Telecom al pagamento del credito insoluto da interconnessione inversa (€ 3.299.174,29), oltre alle penali e agli interessi per il ritardato pagamento, nonché aveva sollevato lo specifico profilo della indebita sospensione retroattiva dei pagamenti, cioè la sospensione del pagamento relativamente a traffico di terminazione già inserito nelle partite di compensazione reciprocamente scambiate dai due operatori su base mensile, nessuna delle questioni sopra richiamate sarebbe stata decisa nel provvedimento impugnato, integrando il vizio di omessa pronuncia dell’Autorità su una specifica questione sottoposta al suo esame;

4.– Si è costituita in giudizio l’Autorità, insistendo per il rigetto del gravame.

5.‒ All’odierna udienza del 31 marzo 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.‒ Ai sensi dell’art. 26 del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (analoga disposizione, prima della modifica introdotta dall’articolo 1, comma 1, del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 207, era collocata all’art. 23 dello stesso Codice delle comunicazioni elettroniche): «[ q ] ualora sorga una controversia avente ad oggetto gli obblighi derivanti dal presente decreto, fra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica o tra tali imprese e altre imprese che beneficiano dell’imposizione di obblighi in materia di accesso o di interconnessione derivanti dal presente decreto, l’Autorità, a richiesta di una delle parti […] adotta quanto prima, e comunque, entro un termine di quattro mesi dal ricevimento della richiesta, una decisione vincolante che risolve la controversia » (comma 1).

La disposizione precisa altresì che: «[ l ] a decisione dell’Autorità deve essere motivata, nonché pubblicata sul sito internet istituzionale dell'Autorità nel rispetto delle norme in materia di riservatezza ed ha efficacia dalla data di notifica alle parti interessate ed è ricorribile in via giurisdizionale ».

1.1.‒ In forza delle predette previsioni, la Società, con nota della data 19 gennaio 2010, in sede di avvio della controversia nei confronti di Telecom, ha chiesto che l’Autorità: - disponesse il pagamento da parte di Telecom dei corrispettivi derivanti dai contratti di interconnessione e relativi al servizio di terminazione vocale su rete E in quanto illegittimamente sospesi, inclusivi di penali e interessi;
- inibisse a Telecom di trattenere nell’ambito dei futuri cicli di compensazione, i compensi

derivanti dai contratti di interconnessione e relativi al servizio di terminazione vocale su rete E

con modalità illegittime;
- adottasse, in via di urgenza, misure provvisorie con riferimento alle sopra citate richieste.

1.2.‒ L’art. 26 del Codice delle comunicazioni elettroniche è riconducibile alla categoria degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (c.d. ‘ADR’- Alternative Dispute Resolution), contrassegnati dal minimo comune denominatore di non essere gestiti da giudici togati e che si prefiggono principalmente la finalità di ridurre il carico del sistema giudiziario, nonché i costi e i tempi del processo tradizionale.

Le ‘ADR’ conoscono numerose varianti, dovendosi distinguere, quantomeno, i modelli che mirano alla soluzione di un conflitto tentando di fare pervenire le parti ad un accordo (negoziazione, mediazione, conciliazione), ed i modelli (come quello per cui è causa) che invece terminano con l’adozione di una decisione vincolante del soggetto decidente terzo.

Le funzioni giustiziali attribuite alle autorità amministrative indipendenti si giustificano in ragione della loro competenza «tecnica» di settore e riguardano, di regola, controversie fra privati ‒ come tali rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario ‒ e non con pubbliche amministrazioni, pur involgendo questioni di diritto pubblico regolatorio.

Il caso in esame, riguarda proprio una controversia ‘orizzontale’ tra operatori economici, vertente sugli accordi di «interconnessione» (secondo la definizione di cui all’art. 2, lettera z, del Codice), i quali costituiscono fattispecie contrattuali tipizzate, assistite da un regime peculiare di controlli e poteri autoritativi, posti a presidio e garanzia di una esigenza essenziale del sistema liberalizzato delle comunicazioni, caratterizzato dalla pluralità delle reti di comunicazione (l’interconnessione rappresenta, a date condizioni, anche un obbligo per le imprese fornitrici dei servizi: cfr. articoli 57 comma 8, 71, comma 1, 72 e 84, del Codice).

L’obbligo di interpretazione costituzionalmente conforme impone di ritenere che la decisione dell’Autorità ‒ che l’art. 26 dichiara «vincolante», anche quando richiesta da una sola delle parti ‒ deve necessariamente riposare sul consenso delle parti, cosicché qualora una di esse abbia preferito radicare la controversia avanti il suo giudice naturale (quello ordinario), l’Autorità deve sospendere la procedura e dichiararsi incompetente (nella specie, tra gli atti del giudizio di primo grado risulta soltanto una richiesta di misura cautelare di E, ex art. 700 c.p.c., dichiarata inammissibile con ordinanza del Tribunale di Roma).

A questo punto, l’impugnabilità innanzi al giudice amministrativo delle decisioni amministrative assunte dall’Autorità in sede giustiziale richiede una importante precisazione: l’istituto in esame costituisce uno strumento ‘alternativo’ alla giurisdizione, e non equivale ad un meccanismo di surrettizia traslazione (mancando una espressa deroga al riparto di giurisdizione) della cognizione di rapporti contrattuali dal giudice civile a quello amministrativo.

Ne consegue che, per ragioni di coerenza sistematica, il sindacato del giudice amministrativo deve essere inteso come verifica di mera legittimità dell’atto dell’Autorità, mentre le questioni di fatto (relative all’accertamento delle condotte reputate non conformi al contratto di interconnessione) possono essere vagliate solo in termini di errore manifesto, in quanto la volontà delle parti è stata quella di non devolvere la cognizione del ‘rapporto’ contrattuale al giudice civile.

1.4.‒ Su queste basi è possibile ora scrutinare i motivi di appello.

2.‒ La Società censura il difetto di attribuzione dell’Autorità, la quale avrebbe deliberato su questioni di mero rilievo privatistico, non rientranti tra le prerogative dell’Autorità in materia di risoluzione delle controversie.

La censura è infondata.

2.1.‒ E ha avviato il procedimento di risoluzione alternativa della controversia, contestando un preteso inadempimento di Telecom al contratto di interconnessione.

Vero è che il potere giustiziale dell’Autorità è circoscritto alle controversie fra imprese aventi ad oggetto «gli obblighi derivanti dal Codice». Sennonché, l’Autorità ha incentrato il proprio accertamento esclusivamente sulla violazione di obblighi imposti dalla regolazione di settore (i quali integrano, come fonte eteronoma, il contenuto del contratto di interconnessione), e segnatamente: il coretto uso della numerazione e l’obbligo di vigilanza sullo stesso, come prescritti dalle Delibere 71/10/Cons e n. 11/06/CIR (con riferimento all’uso della numerazione geografica), e 26/08/CIR (con riferimento all’obbligo di vigilanza).

L’Autorità ha appurato che una quota parte del traffico reverse era stata finalizzata principalmente a scopi diversi dalla effettiva comunicazione telefonica tra soggetti, che costituiva la finalità della assegnazione della numerazione. L’assunto muove da considerazioni prettamente regolatorie: le richiamate prescrizioni si giustificano, infatti, in quanto l’utilizzo della rete telefonica fissa per la fornitura di servizi diversi da quelli vocali, per i quali la rete è stata dimensionata, che comportano l’occupazione della linea per molte ore può comportare un rischio di saturazione delle risorse con rischi di congestione della rete, ponendo a rischio i requisiti di integrità della stessa. Inoltre, tenuto conto che la delibera n. 251/08/CONS definisce le tariffe di terminazione degli operatori alternativi notificati sul mercato di terminazione su rete fissa sulla scorta del principio dell’orientamento al costo, gli OLO (Other Licensed Operators) non possono pretendere, a titolo di corrispettivo per il servizio di instradamento e terminazione sulla propria rete delle chiamate originate dal cliente di altro operatore, più di quanto necessario a coprire i costi da loro stessi sostenuti.

Le statuizioni patrimoniali della decisione (relative al pagamento del traffico reverse) sono meramente consequenziali alle violazioni accertate.

3.‒ Con il secondo motivo di appello viene censurato il capo di sentenza che ha confermato ‒ a dire della Società in modo confuso ed immotivato ‒ la legittimità della Delibera 17/11, nella parte in cui ha ravvisato l’inottemperanza di E all’obbligo di vigilanza sul corretto utilizzo da parte dei centri di servizi delle numerazioni ad essa assegnate.

Il motivo è anch’esso destituito di fondamento.

3.1.‒ L’Autorità ha fatto legittima applicazione delle disposizioni regolatorie che impongono a carico dei titolari delle numerazioni l’onere di diligenza relativo alla predisposizione di tutte le cautele necessarie ad evitare che le numerazioni possano essere utilizzate con modalità difformi dalle previsioni normative.

La delibera n. 26/08/CIR prevede che: « [i] soggetti titolari di diritti d’uso di numerazione sono responsabili del corretto utilizzo della numerazione loro assegnata in conformità con le prescrizioni del presente piano (enfasi aggiunta). Tali operatori sono pertanto tenuti a garantire, con il costante impiego della massima diligenza possibile, la conformità dei servizi offerti alle prescrizioni del presente provvedimento e ad ogni altra normativa pertinente alle numerazioni di cui sono titolari dei diritti d’uso » (art. 3 comma 3);
aggiungendo che « in ogni caso, è fatto divieto, oltre che ai soggetti assegnatari di numerazione, anche ai soggetti che offrono servizi su numerazioni messe a disposizione dagli operatori ed agli utenti finali di utilizzare le numerazioni in maniera difforme da quanto definito nel presente piano di numerazione, sia con riferimento ai servizi svolti sulle numerazioni sia per quanto riguarda la struttura stessa della numerazione […]» (art. 3, comma 4).

Dalle disposizioni richiamate l’Autorità ha correttamente tratto un’ipotesi di responsabilità per culpa in vigilando (e non di tipo oggettivo per fatto altrui) dell’assegnatario. Da tali obblighi pubblicistici di vigilanza e sorveglianza non è possibile spogliarsi invocando semplicemente le clausole dei contratti di cessione in uso dei numeri di E ai centri servizi, in cui questi ultimi si assumevano la responsabilità del corretto utilizzo della numerazione.

3.2.‒ Su queste basi, non sussiste l’asserita violazione del principio di parità di trattamento, trattandosi di obblighi regolamentari valevoli erga omnes.

Neppure sussiste alcuna lesione delle garanzie partecipative in quanto E ha preso parte alla consultazione pubblica sulla cui base è stata adottato il PNN di cui alla citata delibera n. 26/08/CIR.

Va pure precisato che la contestazione mossa alla Società è quella di non avere svolto le dovute verifiche sul corretto utilizzo delle numerazioni da parte dei centri servizi nel periodo interessato dalla controversia e non certo di avere stipulato accordi di revenue sharing tra resellers ed E che l’Autorità ha affermato di non considerare illegittimi (come si legge al paragrafo 29 della delibera).

3.3.‒ Per gli stessi motivi vanno respinte le considerazioni formulate da E in merito alla illegittimità dell’art. 3, commi 3 e 4 del PNN (in disparte, l’evidente tardività dell’impugnazione di una delibera del 2008, contenente prescrizioni autonomamente lesive).

4.‒ La sentenza di prime cure ha correttamente respinto anche la censura relativa alla dedotta violazione del legittimo affidamento, scaturito dalla nota del 10 marzo 2009.

4.1.‒ In termini generali, va senza dubbio tutelata l’aspettativa di coerenza dell’amministrazione con il proprio precedente comportamento.

Sennonché, nella nota dell’Autorità invocata dall’appellante si legge che: « Si evidenzia che il Piano di numerazione, la cui ultima variazione è stata approvata con la delibera n. 26/08/CIR, non contiene previsioni circa i contenuti delle comunicazioni terminate su numerazioni geografiche. Pertanto, sulla base della descrizione del fenomeno fatta da codesta Società, la problematica non parrebbe causata da violazioni del suddetto Piano da parte dall'operatore assegnatario delle numerazioni geografiche, quanto piuttosto della possibile non compatibilità tra le offerte flat operate ai propri clienti da Telecom Italia e quanto la stessa deve corrispondere per chiamate verso l'operatore E, che stimola chiamate di rilevante durata o, comunque, notevole traffico verso specifiche numerazioni geografiche.[...] Ad avviso della scrivente, la problematica sollevata trova la sua corretta collocazione nell’ambito delle analisi del mercato della terminazione su rete fissa, e nei connessi provvedimenti, laddove ne potrà essere ricercata soluzione, fermo restando l'avvio di un approfondimento sul tema in esame ».

Con tutta evidenza, si tratta di affermazioni interlocutorie: pur non rilevando specifiche violazioni, l’Autorità si riservava di compiere ulteriori approfondimenti, poi in effetti effettuati con l’adozione della delibera 71/10/CONS (con la quale l’Autorità ha diffidato E dall’utilizzare le numerazioni geografiche per utilizzi diversi da quelli consentiti dalla normativa vigente).

Non sussiste, dunque, alcuna contraddizione tra la lettera del 10 marzo 2009 (secondo la lettura che avrebbe dovuto farne un operatore prudente e accorto) e le successive determinazioni amministrative.

5.‒ Va confermato anche il capo di sentenza che ha rigettato la censura relativa all’asserita carenza di istruttoria, che secondo l’appellante sarebbe stata svolta «esclusivamente in base all’esame documentale probatorio offerto» da Telecom.

5.1.‒ Come rilevato anche dal giudice di prime cure, l’Autorità ha esercitato un’autonoma iniziativa istruttoria, utilizzando gli elementi proposti da entrambe le parti, nel rispetto del principio del contraddittorio.

In particolare:

i) con riguardo alle tabelle contenenti l’elenco delle numerazioni geografiche sospette, l’Autorità ha chiesto ulteriori dati relativi al traffico mensile ricevuto da tali numerazioni e il numero di chiamate mensili;

ii) l’Autorità ha altresì richiesto a Telecom di svolgere un’ulteriore verifica mediante chiamata diretta a tali numerazioni geografiche sospette;

iii) l’Autorità ha poi richiesto a Telecom di fornire i report delle statistiche del traffico complessivo diretto dalla propria rete verso la rete mobile di E e viceversa;

iv) sono stati acquisiti dati sulle numerazioni attestate su rete E raccolti direttamente da E e non solo i contratti stipulati tra E e i propri provider;

v) l’Autorità ha acquisito autonomamente ulteriori evidenze documentali e fattuali con riferimento all’andamento dei dati di traffico prima e dopo l’entrata in vigore della Delibera 71/10/CONS, con la quale l’Autorità ha appunto diffidato, tra gli altri, la stessa E al corretto adempimento delle disposizioni in materia di utilizzo delle numerazioni in oggetto.

Nel corso dell’istruttoria, E ha avuto ampia possibilità di interloquire, depositare documenti e memorie difensive.

6.‒ Con l’ulteriore motivo di appello, la Società censura, nel merito, i criteri utilizzati dall’Autorità per accertare l’illiceità del traffico. Secondo l’appellante, Telecom avrebbe semplicemente dimostrato che alcuni di questi numeri erano presenti su siti internet che pubblicizzavano regolari servizi di conference call. Le registrazioni raccolte avrebbero dimostrato soltanto che i resellers di E erogavano servizi di call conference che non erano né fittizi né passivi, che infatti non potevano accogliere un numero illimitato di partecipanti.

Anche queste deduzioni non possono essere accolte.

6.1.‒ Il Collegio ritiene che i parametri utilizzati dall’Autorità, letti congiuntamente, siano congrui e pienamente idonei sul piano inferenziale a provare che, sulla su rete E, una quota parte del traffico reverse era finalizzato principalmente a scopi diversi dalla comunicazione PATS e, pertanto, non in linea con la normativa vigente.

In particolare:

a) con riguardo alla tipologia di servizi offerti, risulta che il traffico contestato da Telecom ad E, ricevuto dalle numerazioni pubblicate sui siti di Infomagic, Atomix e Call4Money che promettevano premi ai chiamanti commisurati alla durata delle chiamate, ammontava a 1.298.952 € (relativo al periodo maggio 2009-marzo 2010), pari alla metà dell’importo contestato ad E;

b) anche le statistiche di traffico, in termini di intensità, durata media delle chiamate e numero delle chiamate giornaliere, costituivano ulteriori gravi indizi dell’uso anomalo delle numerazioni geografiche: la durata media per numero su base mensile delle chiamate verso le cosiddette “numerazioni pubbliche” di E, da maggio 2009 a marzo 2010, è stata dell’ordine delle 4 ore, con picchi, su alcune numerazioni, di durata media anche di 15 ore mensili;
sono state rilevati casi di numerazioni che hanno ricevuto diverse migliaia di chiamate al mese (cui corrispondono anche ben oltre 200 chiamate medie giornaliere);

c) anche la forte riduzione del traffico reverse registrata dal mese di aprile 2010, come conseguenza del sistema di controlli adottato da E in ottemperanza alla diffida dell’Autorità ha costituito un importante elementi di riscontro: tale riduzione porta infatti logicamente a ritenere che nel periodo anteriore all’adozione dei sistemi di controllo, il traffico fosse finalizzato a scopi diversi dalla comunicazione vocale PATS consentita.

6.2.‒ L’Autorità ha dunque racconto circostanze senza dubbio sintomatiche (stante l’impossibilità, di verificare ex post i servizi svolti) di un utilizzo della numerazione strumentale ad incrementare i ricavi dalla terminazione tramite un incentivo economico al chiamante (in alcuni casi al chiamato), svolgendo connessioni di elevata durata, indipendentemente dall’utilità del servizio.

7.‒ Il motivo incentrato sulla quantificazione della quota di traffico anomalo oggetto di sospensione, è destituito di fondamento.

7.1.‒ I criteri utilizzati dall’Autorità per calcolare la quota complessiva di traffico, oggetto di sospensione dei pagamenti ‒ individuato nell’ordine del 40% del traffico complessivamente contestato da Telecom, da febbraio 2009 alla chiusura del procedimento ‒ appaiono esenti da vizi.

L’Autorità ha evidenziato in modo chiaro quali sono le ‘soglie’ di anomalia prese in considerazione ai fini di detta quantificazione: una durata media di chiamata, sulle numerazioni oggetto di sospensione, che supera le 2 ore;
un numero medio di chiamate giornaliere, tra due clienti, superiore ad alcune decine è stato ritenuto “anomalo”;
l’elevato numero di chiamate associato a una elevata durata media delle chiamate (anche di alcune ore).

Tali parametri appaiono idonei a riflettere l’intensità media di traffico fuori dalle normali condizioni di utilizzo, ed a quantificare l’ammontare che Telecom avrebbe dovuto corrispondere a E.

8.‒ Correttamente la sentenza ha infine rigettato i motivi relativi alla violazione del principio generale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto la Delibera 17/11 non si sarebbe pronunciata sulla condanna di Telecom al pagamento del credito insoluto da interconnessione inversa, e sulla questione dell’indebita sospensione retroattiva dei pagamenti da parte di Telecom. Tale condotta integrerebbe, a dire dell’appellante, un difetto di motivazione.

8.1.‒ Rispetto alla domanda di E di condannare Telecom al pagamento dei corrispettivi derivanti dai contratti di interconnessione (con credito insoluto ammontante ad € 3.299.171,29), l’Autorità ha definito la controversia con una pronuncia di parziale accoglimento della domanda, così quantificando l’ammontare della prestazione dovuta: « Telecom Italia è tenuta a versare a E, per la fornitura del servizio di terminazione vocale su rete E, una somma pari al 60 per cento degli importi sospesi nei mesi di competenza che vanno da maggio 2009 a luglio 2010 (pari complessivamente a 3.299.174,29 milioni di Euro, iva inclusa), corrispondente a € 1.979.504,57 (iva inclusa) ».

E aveva poi sollevato lo specifico profilo della indebita sospensione retroattiva dei pagamenti, cioè la sospensione del pagamento relativamente a traffico di terminazione già inserito nelle partite di compensazione reciprocamente scambiate dai due operatori su base mensile. Come giustamente osservato dal giudice di primo grado la questione, essendo meramente patrimoniale, poteva essere tralasciata dall’Autorità in quanto esorbitante dalle sue competenze.

9.– In definitiva, l’appello va interamente respinto.

9.1.‒ Le spese di lite del secondo grado di lite seguono la regola generale della soccombenza.

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