Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-06-20, n. 201904212

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-06-20, n. 201904212
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904212
Data del deposito : 20 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/06/2019

N. 04212/2019REG.PROV.COLL.

N. 09886/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9886 del 2018, proposto da
G B, rappresentato e difeso dagli avvocati A S e B C, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Terza, 27 settembre 2018, n. 9583.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati B C e Ilia Massarelli dell'Avvocatura Generale dello Stato.


FATTO

1.Ë— La dott.ssa Boletto, ricercatore confermato di diritto tributario presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Pisa, ha partecipato alla procedura del 2012 per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia nel settore 12/D2, diritto tributario.

All’esito della procedura, non ha ottenuto l’abilitazione.

Una volta terminata tale procedura, a seguito di una denuncia presentata da uno dei partecipanti, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, con ordinanza 6 settembre 2017, ha disposto misure cautelari nei confronti di quattro membri della commissione. Nell’ordinanza si è messo in rilievo come il sistema consistesse anche nell’escludere che alcuni candidati potessero ottenere l’abilitazione.

La dott.ssa Boletto, venuta a conoscenza del procedimento penale, con istanza 24 novembre 2017, ha chiesto al Ministero di disporre, in via di autotutela, l’annullamento della procedura e la rivalutazione, con diversa commissione, della propria posizione.

L’amministrazione non ha risposto.

2.Ë— La parte ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, rilevando: i ) la violazione dell’obbligo di provvedere da parte dell’amministrazione, che avrebbe dovuto prendere in esame i fatti sopravvenuti penalmente rilevanti; ii ) la nullità degli atti amministrativi della procedura; iii ) in via subordinata rispetto alla richiesta di nullità, l’annullamento in autotutela della procedura.

3.Ë— Il Tribunale amministrativo, con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 27 settembre 2018, n. 9583, ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando come «i provvedimenti emessi in via di autotutela sono manifestazione tipica dell’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, a cui solo è rimessa la valutazione relativa all’emissione o meno dell’atto di annullamento, non essendo il soggetto pubblico tenuto in alcun modo a provvedere».

4.Ë— Il ricorrente di primo grado ha proposto appello.

5.Ë— La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 16 maggio 2019.

DIRITTO

1.Ë— La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità del comportamento dell’amministrazione resistente che non ha risposto alla istanza di avviare la procedura di autotutela e concluderla nel senso dell’annullamento degli atti della procedura concorsuale posti in essere in un contesto caratterizzato da condotte dei commissari di concorso penalmente rilevanti.

2.Ë— Con un primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto sussistente un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione pur in presenza di fatti sopravvenuti penalmente rilevanti.

Il motivo è fondato.

Il giudizio avverso il silenzio inadempimento, ai sensi dell’art. 31 cod. proc. amm, presuppone, tra l’altro, che l’amministrazione abbia violato il dovere di provvedere e cioè il dovere di iniziare e concludere il procedimento nel termine previsto dalla legge.

Occorre accertare se tale dovere sussista anche quando vengono in rilievo procedimenti di secondo grado.

L’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo « può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (…) e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge ».

I procedimenti di autotutela hanno natura discrezionale.

La discrezionalità attiene, normalmente, sia all’ an del provvedere sia al contenuto del provvedere.

In relazione all’ an del provvedere, questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che se si imponesse un obbligo di provvedere il rischio sarebbe anche quello di eludere i termini di impugnare mediante la proposizione di un’ istanza all’amministrazione, con possibilità di impugnare l’eventuale esito negativo della procedura, nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini per proporre ricorso nei confronti del provvedimento di primo grado (Cons. Stato sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270).

Esistono, però, fattispecie in relazione alle quali è ravvisabile un obbligo di provvedere con conseguente configurazione di fattispecie di cosiddetta autotutela obbligatoria.

Nell’ambito di tali fattispecie, la Sezione ritiene che vadano inserite anche quelle che presentano le caratteristiche di quella in esame.

In particolare, in presenza di un procedimento penale, fondato su elementi probatori che hanno condotto all’adozione delle indicate misure cautelari, iniziato dopo che si è conclusa la procedura concorsuale, l’amministrazione ha l’obbligo di iniziare un procedimento di autotutela per valutare se sussistono i presupposti per rivedere le determinazioni assunte. In questa casi, infatti, si è verificata una sopravvenienza che si presenta idonea a modificare, per fatti di rilevanza penale, i presupposti posti a base dell’esercizio del potere di primo grado.

3.Ë— Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che, anche a volere ritenere sussistere un obbligo di provvedere, mancherebbe un altro requisito necessario per annullare un atto in via di autotutela e cioè l’adozione di un provvedimento illegittimo. Ciò in quanto la mera esistenza di un procedimento penale non è idoneo a determinare l’invalidità dell’atto amministrativo adottato in un contesto illecito.

Il motivo non è fondato.

A prescindere dalla effettiva qualificazione giuridica dei vizi dell’atto amministrativo adottato mediante condotte che integrano fatti di reato, nella specie, questi ultimi non sono stati accertati in modo definitivo e, dunque, non è possibile, allo stato, ritenere che gli atti amministrativi contestati siano invalidi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord. 29 aprile 2013, n. 2337).

La motivazione della sentenza impugnata è, pertanto, corretta.

4.Ë— Con un secondo motivo, si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha esaminato la censura di primo grado con la quale è stata dedotta la nullità degli atti della procedura impugnata perché posti in essere con condotte che integrano gli estremi di un fatto di reato.

Il motivo non è fondato, per le ragioni indicate nel precedente punto della presente sentenza.

5.Ë— L’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

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