Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-07-01, n. 202205518
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Pubblicato il 01/07/2022
N. 05518/2022REG.PROV.COLL.
N. 07046/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7046 del 2021, proposto dalla sig.ra
-OMISSIS-, per sé e quale titolare del -OMISSIS- “
-OMISSIS-
” di -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. M C e con domicilio digitale come da
P.E.C.
da Registri di Giustizia;
contro
Unione dei Comuni del Trasimeno, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avv. G T e con domicilio digitale come da
P.E.C.
da Registri di Giustizia;
per la riforma,
previa sospensione dell’esecutività,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, Sezione Prima, n. -OMISSIS-del -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, presentata in via incidentale dall’appellante;
Vista la memoria di costituzione e difensiva dell’Unione dei Comuni del Trasimeno;
Vista l’ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. -OMISSIS-dell’8 ottobre 2021, con cui è stata respinta l’istanza cautelare;
Visti i documenti dell’appellante, la memoria dell’Unione appellata, la replica dell’appellante;
Viste le istanze delle parti di passaggio della causa in decisione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2022 il Cons. P D B e preso atto che nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con l’appello indicato in epigrafe la sig.ra -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del T.A.R. Umbria, Sez. I, n. -OMISSIS-del -OMISSIS-, chiedendone la riforma, previa sospensione dell’efficacia.
1.1. L’appellante espone, in punto di fatto, di essere titolare di una concessione di beni appartenenti al demanio idrico statale del Lago Trasimeno costituiti da una spiaggia denominata “ -OMISSIS- ”, su cui si trovano alcune infrastrutture (banchina, alaggio per natanti, pontile, ecc.) ed alcuni edifici e cioè cabine, servizi igienici, tettoia e un bar -OMISSIS- (“ -OMISSIS- ”), che la predetta appellante gestisce. Tale concessione – -OMISSIS-, rilasciata dalla Provincia di Perugia il -OMISSIS-– è scaduta il 31 dicembre 2015.
1.2. Il 2 agosto 2014 l’esponente chiedeva (e otteneva) la rateizzazione per quindici anni del debito derivante dei canoni pregressi non pagati, avendo dovuto sostenere – aggiunge – notevoli spese per ripristinare i manufatti in concessione. Successivamente, richiedeva alla Provincia la proroga della concessione demaniale non solo per il tempo indicato dal titolo, il quale prevedeva la possibilità di una proroga che portasse la concessione ad avere durata complessiva di quindici anni, con scadenza al 2023 ( rectius : al 31 dicembre 2022), ma per un periodo ulteriore di cinque anni (cioè una proroga complessiva di quindici anni, con scadenza al 31 dicembre 2028), per far sì che la concessione fosse parificata, quanto alla durata, al termine di rateizzazione dei canoni.
1.2.1. L’esponente evidenzia che su tale ultima richiesta la Provincia si pronunciava con nota del 7 ottobre 2014, in cui veniva espresso avviso favorevole (“ si ritiene che nulla osti ”), a condizione che la richiedente formalizzasse correttamente l’istanza come da modello allegato, il che avveniva in data 3 dicembre 2015. A questo punto la Provincia comunicava l’avvio del procedimento di “ rinnovo ” della concessione, che si sarebbe dovuto concludere nel termine di centottanta giorni dal 4 dicembre 2015: a detta comunicazione, però, non seguiva più alcun altro atto della P.A. e la sig.ra -OMISSIS- – riferisce la sentenza appellata – interpretava tale silenzio come una conferma dell’avvenuto assenso alla proroga fino al 2028, continuando a gestire l’attività di ristorazione e di accoglienza dei turisti e a pagare i canoni.
1.3. Senonché, con atto del 15 luglio 2020 l’Unione dei Comuni del Trasimeno, divenuta nelle more competente al rilascio e alla modifica delle concessioni lacuali sulla base della normativa regionale, comunicava all’interessata l’avvenuto accoglimento dell’istanza di concessione dell’area demaniale, a condizione che fosse depositata nei trenta giorni dal ricevimento la prova del versamento del canone pari ad € 20.848,60 e del deposito cauzionale (o della fideiussione).
1.3.1. Nel frattempo la sig.ra -OMISSIS- aveva chiesto l’azzeramento del canone per il 2020 (stante la grave crisi indotta dalla pandemia), o in alternativa la riduzione dello stesso al 50% ai sensi dell’art. 1, comma 251, lett. c) , della l. n. 296/2006;di seguito, presentava ancora istanza di differimento del termine di versamento del canone e del deposito cauzionale (da trenta a sessanta giorni), ma tutte tali richieste venivano riscontrate negativamente dall’Unione dei Comuni con nota del 18 agosto 2020, la quale recava altresì comunicazione del preavviso di diniego del rilascio della concessione, stante il mancato versamento delle somme richieste.
1.4. A tale comunicazione seguiva, in data 11 settembre 2020, il provvedimento con cui l’Unione dei Comuni rigettava definitivamente l’istanza di rilascio della concessione, non avendo la parte privata provveduto a pagare il canone, né a versare il deposito cauzionale.
1.4.1. Posteriormente al provvedimento di diniego la richiedente procedeva a pagare, in modo tardivo, una minima parte (€ 2.000,00) di quanto richiestole.
2. L’interessata ha impugnato il diniego di rilascio del titolo emesso nei suoi confronti dall’Unione dei Comuni del Trasimeno, chiedendone l’annullamento unitamente agli atti presupposti e connessi e chiedendo, altresì, l’accertamento dell’avvenuto rilascio da parte della Provincia di Perugia (Ente all’epoca competente) dell’atto di proroga dell’efficacia della concessione demaniale lacuale, ma il T.A.R. Umbria con la sentenza appellata ha respinto il ricorso, ritenendo i motivi ivi dedotti privi di fondamento.
2.1. In particolare, ad avviso del primo giudice:
a) la proroga della concessione fino al 2028, richiesta dalla ricorrente, contrasta sia con l’art. 5 del capitolato dell’asta pubblica per l’affidamento della concessione, sia con l’art. 6 del disciplinare della concessione, dai quali si evince che la durata della concessione era di anni otto prorogabili fino a un massimo di quindici, e ciò già basta ad escludere ogni automatismo connesso alla mera presentazione dell’istanza da parte della concessionaria;
b) la nota della Provincia di Perugia del 7 ottobre 2014 (recante l’affermazione: “ si ritiene che nulla osti, per la concessione in questione con scadenza il 31/12/2015, alla proroga per un periodo pari al piano di rientro stabilito dalla Regione e cioè fino al 31/12/2028 ”) è priva di valore provvedimentale, trattandosi di risposta interlocutoria che evidenziava la necessità di un’integrazione della domanda e, quindi, di una successiva valutazione della documentazione complessiva. Ad essa non può, dunque, attribuirsi quel significato di assenso all’istanza della concessionaria che quest’ultima ha preteso di riconnettervi, né è rinvenibile nella vicenda in esame un atto implicito di assenso (derivante dal fatto che, mentre la P.A. restava inerte, la richiedente ha continuato a utilizzare l’area, gestire l’attività e pagare i canoni);
c) la ricorrente, quindi, non è titolare di un valido ed efficace rapporto di concessione, né le si può applicare l’art. 100, comma 1, del d.l. n. 104/2020 (conv. con l. n. 126/2020), recante estensione alle concessioni lacuali e fluviali della proroga delle concessioni demaniali ex art. 1, commi 682 e segg., della l. n. 145/2018, poiché l’art. 100, comma 1, cit. non ha portata retroattiva e dunque non può che riguardare le concessioni in essere al momento della sua entrata in vigore (15 agosto 2020), mentre, come detto, la concessione di cui è titolare la ricorrente era scaduta il 31 dicembre 2015;
d) non possono essere estese al demanio lacuale le altre disposizioni invocate dalla ricorrente (art. 34 del d.l. n. 162/2019, conv. con l. n. 8/2020;art. 1, comma 251, della l. n. 296/2006, che ha sostituito il comma 1 dell’art. 03 del d.l. n. 400/1993, conv. con l. n. 494/1993), che fanno riferimento al solo demanio marittimo e prevedono la sospensione o la riduzione del pagamento del canone, trattandosi di norme eccezionali insuscettibili di applicazione analogica;
e) da ultimo, erra la ricorrente a ritenere che la P.A. abbia disposto la decadenza per morosità di una concessione in essere ed a censurare l’irrilevanza del mancato pagamento di un’annualità, rispetto alla sorte della concessione, poiché in realtà nel caso di specie si è trattato del mancato rilascio di una nuova concessione, rispetto al quale la richiesta di pagamento dell’annualità del canone e del deposito cauzionale trova giustificazione nell’art. 9 del r.d. n. 726/1895 e nell’art. 9 della D.G.R. n. 661 del 17 maggio 2019 (quest’ultima non impugnata dalla ricorrente).
3. Nell’appello vengono dedotti avverso l’ora vista sentenza i seguenti motivi:
I) sulla parte di sentenza che ha respinto il terzo motivo del ricorso, relativo all’applicabilità al caso de quo dell’art. 100 del d.l. n. 104/2020, violazione e non corretta applicazione di legge e dei principi invocati (formulato come primo motivo d’appello per il suo carattere assorbente), giacché ai sensi del comma 683 dell’art. 1 della l. n. 145/2018 sarebbero prorogate anche le concessioni vigenti prima del 31 dicembre 2018, ma dopo il 31 dicembre 2009 (data di abrogazione del cd. diritto di insistenza) e, dunque, sarebbero interessate dalla proroga anche le concessioni in essere prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 104/2020, compresa quella della sig.ra -OMISSIS-;
II) sulle parti di sentenza che hanno respinto i primi due motivi del ricorso di primo grado, aventi ad oggetto la contraddittorietà rispetto ai precedenti comportamenti della P.A., errata interpretazione di atti e documenti, non corretta applicazione dei principi di diritto, perché, da un lato, con la nota del 7 ottobre 2014 la Provincia avrebbe stabilito che la proroga era concessa e durava fino al 31 dicembre 2028, occorrendo solo la formalizzazione dell’istanza. Dall’altro, la P.A., se avesse ritenuto la sig.ra -OMISSIS- priva del titolo, avrebbe dovuto attivare una procedura di rilascio e non già accettare i versamenti del canone. Infine, in presenza del “ nulla osta ” di cui alla citata nota della Provincia, il privato non avrebbe avuto alcun onere di attivare il cd. rito del silenzio;
III) sulla parte di sentenza che ha respinto il quarto motivo di ricorso, avente ad oggetto la dedotta irrilevanza del mancato pagamento di un’annualità del canone, erronea interpretazione della domanda di parte ricorrente ed erronee conseguenze giuridiche, perché in realtà la doglianza della ricorrente avrebbe riguardato l’inesistenza di norme che imponessero l’obbligo del versamento di un’annualità del canone prima di ricevere il titolo e quale condizione per averlo o che imponessero l’obbligo della fideiussione nei medesimi termini, mentre il T.A.R. avrebbe equivocato nel ritenere che la doglianza fosse indirizzata verso un atto di decadenza dalla concessione;
IV) sulla parte di sentenza che ha respinto il quinto motivo di ricorso, avente ad oggetto la violazione dei principi derivanti dalla legislazione speciale sulle conseguenze del COVID-19 , mancato esame dei documenti e degli atti di causa, erroneità della pronuncia sotto il profilo della valutazione delle prove e del comportamento delle parti (artt. 64 c.p.a. e 116 c.p.c.), perché il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che la ricorrente non avesse fornito la prova della riconducibilità al rispetto delle misure di contenimento previste dalla normativa emergenziale sul COVID-19 del parziale inadempimento, da parte sua, alla richiesta di pagamento dell’intera annualità del canone 2020;
V) sulla reiezione della domanda di accertamento, errori di valutazione delle risultanze processuali e non corretta applicazione dei principi giuridici invocati al riguardo, in quanto nella vicenda in esame sarebbero rinvenibili gli estremi dell’atto implicito di rilascio della proroga della concessione, avendo la P.A. tenuto un comportamento univoco per quanto riguarda sia l’ an , sia il quomodo , sia il quando della proroga dell’efficacia.
3.1. Si è costituita in giudizio l’Unione dei Comuni del Trasimeno, contestando la fondatezza dei motivi dell’appello e concludendo per la reiezione dello stesso, previa reiezione, altresì, dell’istanza cautelare.
3.2. L’istanza di sospensione della sentenza appellata è stata respinta con ordinanza della Sezione V, n. -OMISSIS-dell’8 ottobre 2021.
3.3. In vista dell’udienza di merito l’Unione dei Comuni ha depositato una memoria finale, insistendo per la reiezione dell’appello.
3.3.1. L’appellante, a sua volta, ha depositato documentazione attinente al pagamento dell’indennità di occupazione per le annualità 2020/2021 (e 2022) e una memoria di replica, con cui ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.
3.3.2. Le parti hanno poi rispettivamente depositato istanza di passaggio della causa in decisione sulla base degli scritti difensivi.
3.4. All’udienza pubblica del 10 maggio 2021 il Collegio, preso atto che nessuno è comparso per le parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello è infondato.
4.1. Le connessioni sussistenti tra i motivi di gravame sotto il profilo logico e giuridico ne rendono opportuna la trattazione congiunta.
5. È, innanzitutto, infondata la pretesa dell’appellante di beneficiare della proroga ex lege di quindici anni prevista per le concessioni demaniali marittime dall’art. 1, commi 682 e ss., della l. n. 145/2018 ed estesa alle concessioni lacuali e fluviali dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 104/2020 (recante misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), conv. con l. n. 126/2020, stante la contrarietà di tale disciplina nazionale rispetto al diritto eurounitario.
5.1. Invero, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le decisioni nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, ha affermato che le norme legislative nazionali di proroga automatica e generalizzata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, tra cui in specie l’art. 1, comma 682, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, “ sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione ”, e che deve perciò escludersi che gli attuali concessionari vantino alcun “ diritto alla prosecuzione del rapporto ” in virtù di proroghe legali generalizzate (cfr. i punti 1 e 2 dei principi di diritto enunciati dalla Plenaria).
5.2. L’Adunanza Plenaria ha, nondimeno, modulato gli effetti temporali dei principi affermati, al fine di “ evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere ”, nonché in considerazione “ dei tempi tecnici ” necessari per espletare le procedure competitive ai sensi dell’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE (cd. direttiva Bolkenstein ): a tale scopo ha stabilito che le concessioni “ già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023 ” (punto 3 dei principi di diritto).
5.3. Di tale modulazione temporale cerca di giovarsi l’appellante nella memoria di replica, invocando la proroga della concessione di cui è titolare fino al 31 dicembre 2023, quale misura di minima tutela temporale della sua posizione: di tal ché, in definitiva, la doglianza in esame, che era stata formulata quale primo motivo dell’appello per la sua portata assorbente, assume ora una valenza subordinata (quanto ad utilità per l’appellante) rispetto al secondo e al terzo motivo di gravame, volti a sostenere l’avvenuta proroga della concessione fino al 31 dicembre 2028.
5.4. Senonché, si è visto che la permanenza dell’efficacia delle concessioni sino al 31 dicembre 2023 riguarda, nelle parole dell’Adunanza Plenaria, le sole concessioni “ già in essere ”, mentre nel caso di specie la concessione di cui si discute era scaduta il 31 dicembre 2015 e nessuna proroga o rinnovo della stessa si è mai inverata, ad onta di quanto afferma l’appellante.
6. Emerge, dunque, la connessione tra i motivi di appello, l’infondatezza degli uni illuminando altresì quella degli altri.
6.1. In dettaglio, è palesemente infondato l’assunto dell’appellante che la Provincia di Perugia, con la nota del 7 ottobre 2014, avrebbe accolto la sua istanza di prolungamento della concessione oltre la durata massima (che, in base al titolo stesso, avrebbe potuto essere prorogata fino a quindici anni, venendo a scadenza il 31 dicembre 2022) fino al 31 dicembre 2028, in modo da abbinare la scadenza del titolo con la conclusione del periodo di rientro nel pagamento rateizzato dei vecchi canoni rimasti insoluti.
6.1.1. Invero, la lettura di tale nota (all. 16 all’appello) già confuta un simile assunto, poiché in essa il Servizio Difesa e Gestione Idraulica della Provincia sottolinea che “ la ditta concessionaria dovrà comunque provvedere, al fine di formalizzare correttamente la proroga della concessione di cui trattasi, ad integrare la richiesta in oggetto ( id est : la richiesta di proroga) formulando la domanda di rinnovo concessione come da modello allegato ”.
6.1.2. Dirimente è poi la circostanza che di seguito a detta nota la sig.ra -OMISSIS- ha provveduto a compilare e presentare il modello di domanda di concessione, pagando anche le spese d’istruttoria della pratica, e che in riscontro la Provincia – con nota del 15 dicembre 2015, sempre del Servizio Difesa e Gestione Idraulica– ha comunicato l’avvio del relativo procedimento, con la precisazione che lo stesso si sarebbe concluso entro n. 180 giorni a decorrere dal 4 dicembre 2015 (data di ricezione della domanda di concessione) e che, in caso di mancata conclusione del procedimento nel termine ora visto, sarebbe stato possibile proporre ricorso al T.A.R. per l’Umbria. Correttamente, pertanto, la sentenza appellata ha escluso che la nota del 7 ottobre 2014 avesse natura provvedimentale, poiché in realtà il procedimento è stato avviato più di un anno dopo la sua adozione ed è rimasto pendente, non essendosi concluso nel termine prefissato con un provvedimento espresso.
6.1.3. C’è da aggiungere, peraltro, che non era vero che nulla ostasse alla proroga della concessione “ per un periodo pari al piano di rientro stabilito dalla Regione e cioè fino al 31/12/2028 ” (così la nota provinciale del 7 ottobre 2014), poiché al contrario – come già accennato – una tale proroga si sarebbe posta in esplicito contrasto sia con il disciplinare di concessione del -OMISSIS-(art. 6), sia con il capitolato del 17 dicembre 2007 relativo all’indizione dell’asta pubblica per l’affidamento in concessione dell’area in esame (art. 5), i quali avevano ambedue previsto che la concessione avesse una durata di otto anni, prorogabili fino a un massimo di quindici anni: di tal ché, in base a tali atti, la concessione sarebbe in ogni caso scaduta il 31 dicembre 2022. Emerge, pertanto, anche da questo punto di vista l’impossibilità di intendere la nota provinciale del 7 ottobre 2014 come provvedimento di accoglimento dell’istanza di proroga presentata dal privato.
6.1.4. Altrettanto giustamente il primo giudice ha escluso che il privato potesse interpretare l’inerzia serbata a lungo dalla P.A. in termini di una conferma dell’avvenuto assenso alla proroga. Ed infatti, proprio l’inciso contenuto nella nota provinciale del 15 dicembre 2015, per il quale in caso di mancata conclusione del procedimento nel termine di n. 180 giorni a decorrere dal 4 dicembre 2015 il privato avrebbe potuto proporre ricorso al T.A.R. per l’Umbria, sta a dimostrare – come rilevato dal T.A.R. – che la P.A. ha palesato alla richiedente l’insussistenza di un silenzio significativo nella materia in questione e il conseguente rimedio esperibile a fronte dell’eventuale inerzia della P.A. stessa: rimedio che, però, la ricorrente non ha azionato, non essendo convincenti le spiegazioni da essa formulate al riguardo.
6.2. Neppure convince la tesi dell’atto amministrativo implicito, parimenti invocata dall’appellante a sostegno delle proprie pretese.
6.2.1. Per consolidata giurisprudenza, infatti, nel diritto amministrativo si ammette la sussistenza del provvedimento implicito quando la P.A., “ pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà ” (C.d.S., A.P. 20 gennaio 2020, n. 3;Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 6732;id., 27 novembre 2014, n. 5887;Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 589;id., 19 febbraio 2018, n. 1034;Sez. IV, 24 aprile 2018, n. 2456).
6.2.2. Si è precisato sul punto come la presenza di un atto implicito possa “ desumersi indirettamente ma univocamente da altro provvedimento o dal comportamento esecutivo dell’amministrazione, di modo che esso se ne possa dire l’antecedente dal punto di vista logico – giuridico ” (C.d.S., Sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543) e come si abbia un atto implicito “ le quante volte (….) emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà ” (C.d.S., Sez. V, n. 589/2019, cit.).
6.3. Orbene, nulla di tutto ciò è dato rinvenire nella fattispecie in esame.
6.3.1. Invero, non si vede come la condotta della P.A. consistente nell’aver consentito che, nelle more del procedimento di rilascio della nuova concessione, l’appellante continuasse a svolgere la propria attività imprenditoriale occupando l’area demaniale e pagando il relativo canone, possa essere intesa come un implicito assenso alla proroga. Ove poi si tenga conto della già riferita circostanza per cui, ai sensi dell’art. 6 del disciplinare di concessione e dell’art. 5 del capitolato, la durata massima della concessione, compresa la proroga ivi prevista, non poteva superare i quindici anni, meno che mai la condotta della P.A. poteva avere il significato di un assenso alla proroga della concessione fino al 31 dicembre 2028, cioè per una durata ben superiore ai suindicati quindici anni.
6.4. Con riferimento, infine, alla doglianza volta a contestare la motivazione del provvedimento di diniego basata sul mancato pagamento dell’annualità del canone e sulla mancata presentazione della cauzione, l’appellante lamenta l’erroneità del richiamo all’art. 9 del r.d. n. 726/1895, trattandosi di una disciplina che sarebbe stata abrogata in base al meccanismo introdotto della l. 28 novembre 2005, n. 246 (cd. taglia leggi). Nulla, però, dice sul rilievo mossole dal T.A.R. dell’omessa impugnazione da parte sua della D.G.R. n. 661 del 17 maggio 2019: detta deliberazione, parimenti richiamata dal diniego impugnato, prevede tra l’altro, agli artt. 6 e 9, l’obbligo del concessionario di prestare una cauzione a garanzia degli impegni assunti con il disciplinare di concessione. Ne segue l’infondatezza anche della doglianza ora analizzata.
6.4.1. Il parziale pagamento del canone per l’annualità 2020 (in misura di meno del 10% del dovuto), effettuato in data 22 settembre 2020, e la trasmissione da parte della ricorrente all’Amministrazione della documentazione inerente la fideiussione, avvenuta l’8 ottobre 2020, sono ambedue circostanze che, siccome posteriori alla data di adozione del diniego impugnato (11 settembre 2020), non rilevano ai fini del vaglio di legittimità di questo: ciò, in ossequio al principio “ tempus regit actum ”, secondo il quale la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, con conseguente irrilevanza delle circostanze successive, che non possono incidere ex post su precedenti atti amministrativi (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. VII, 26 aprile 2022, n. 3192;Sez. II, -OMISSIS-, n. 4759;id., 8 marzo 2021, n. 1908;Sez. III, 18 aprile 2011, n. 2384). Resta impregiudicata la facoltà della P.A. di valutare eventualmente la rilevanza di tali circostanze nella fattispecie per cui è causa.
7. In conclusione, pertanto, l’appello è infondato e deve essere respinto, attesa l’infondatezza di tutti i motivi con esso dedotti.
8. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio d’appello, considerate le peculiarità della vicenda esaminata.