Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-21, n. 201003223

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-21, n. 201003223
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201003223
Data del deposito : 21 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08518/2009 REG.RIC.

N. 03223/2010 REG.DEC.

N. 08518/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 8518 del 2009, proposto da:
E N, rappresentato e difeso dall'avv. L S A, con domicilio eletto presso Studio Abbamonte -Soprano in Roma, via degli Avignonesi 5;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, non costituita in giudizio.

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 01624/2009, resa tra le parti, concernente INQUADRAMENTO NEI RUOLI - esecuzione del giudicato e risarcimento danni.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2010 il Cons. Andrea Migliozzi e udito per la parte appellante gli avvocati Enrico Iossa su delega di L S A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente, già dipendente del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, distaccato presso la Prefettura di Napoli a disposizione del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile impugnava innanzi al Tar per la Campania, unitamente ad altri colleghi, il decreto con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministeri lo aveva escluso dal chiesto inquadramento nel ruolo del personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri , ai sensi dell’art.38, commi 3 e 4 della legge n.400 del 1988.

L’adito TAR accoglieva il ricorso con sentenza n.2690(03 che veniva confermata in appello dal Consiglio di Stato ( Sezione VI) con decisione n.1455/06.

Quindi , la Presidenza del Consiglio dei Ministri con nota del 2/4/2007 precisava che l’inquadramento sarebbe avvenuto nella qualifica corrispondente a quella posseduta al 29/7/ 1988 ai sensi del comma 3 della legge n.400/88 e che la sede di servizio sarebbe stata Roma.

L’interessato che in precedenza aveva manifestato il suo consenso all’inquadramento subordinandolo però a diverse condizioni ( inquadramento nella qualifica superiore e assegnazione sede di Napoli o SSPA di Caserta) faceva presente alla PCM che non avrebbe assunto servizio tenuto conto del disposto inquadramento e delle sede proposta : di qui l’atto della Presidenza del 30/1/2008 recante la dichiarazione di decadenza dall’assunzione presso la PCM.

Il sig. N ha proposto avverso tali atti ricorso giurisdizionale al TAR per la Campania denunciando il vizio di violazione ed elusione del giudicato formatosi inter partes con la sentenza 2690/03, con contestuale richiesta di accertamento del suo diritto ad essere inquadrato nella qualifica superiore e di condanna dell’Amministrazione del risarcimento dei danni, in ragione dell’elusivo comportamento della PCM, a mezzo di reintegrazione in forma specifica nella sua rivendicata posizione di inquadramento o con la condanna della P.A. al pagamento dell’equivalente monetario ammontante ad euro 150.000,00.

IL Tar con sentenza n.1624/2009 respingeva il ricorso, sul rilievo che non era configurabile alcuna ipotesi di violazione o elusione del giudicato, non ponendosi l’attività svolta dall’Amministrazione in contrasto con la pregressa sentenza e potendo le determinazioni assunte dalla PCM eventualmente essere oggetto di altra, ordinaria impugnativa.

Il giudice di primo grado rigettava altresì la richiesta risarcitoria, dal momento che, non rinvenendosi alcuna mancata esecuzione del giudicato, la pretesa de qua era del tutto improponibile.

La suindicata sentenza è stata impugnata col ricorso in appello all’esame dal sig. N che ne ha chiesto l’integrale riforma , in quanto ritenuta ingiusta ed erronea nelle sue osservazioni e prese conclusioni

L’intimata Amministrazione statale non risulta costituita in giudizio




DIRITTO

L’appello è infondato e va, pertanto, respinto.

Con il primo motivo d’impugnazione parte appellante deduce la mancata comunicazione dell’avviso dell’udienza di trattazione della causa definita con la sentenza qui gravata.

La doglianza non merita positiva considerazione.

Il denunciato inadempimento processuale viene genericamente dedotto , senza che sia stata data adeguata prova della circostanza omissiva in questione e tanto vale di per sé a far ritenere insussistente il lamentato vizio ( cfr questa Sezione, decisione n.1831/1010). In ogni caso, ad escludere che nella specie si sia verificata una quale che sia limitazione e/ o compressione del diritto di difesa soccorre il fatto che nella sentenza impugnata si dà atto, nel preambolo, della circostanza per cui alla camera di consiglio di trattazione del ricorso per esecuzione del giudicato di che trattasi sono stati uditi i difensori delle parti, sicchè lo scopo dell’avviso è stato comunque raggiunto.

Quanto agli altri profili di illegittimità ravvisati dall’appellante a carico dell’impugnata sentenza, degli stessi s’impone una trattazione congiunta, per evidenti ragioni di connessione tra le doglianze formulate.

In concreto, parte appellante deduce l’avvenuta violazione del giudicato che avrebbe sancito il suo diritto all’inquadramento nei ruoli della PCM con la qualifica ed il livello in godimento ed imputa al giudice di primo grado di aver erroneamente qualificato gli atti emessi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri come non elusivi delle statuizioni di merito contenute nella sentenza n.2690/2003 di cui si è chiesto l’esecuzione, omettendo altresì di accertare l’effetto ripristinatorio del giudicato, coincidente, sempre ad avviso, del sig. N, con la pretesa sostanziale a suo tempo fatta valere.

I dedotti profili di illegittimità sono insussistenti.

Il punto fondamentale da cui prendere le mosse per dipanare le questioni qui in rilievo è quello di procedere ad una verifica in ordine alla portata e ai limiti del giudicato formatosi sull’originaria sentenza n.2690/2003 che accoglieva il gravame del ricorrente contro il provvedimento di esclusione dall’inquadramento nei ruoli della presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ebbene, la predetta sentenza, poi confermata da questo giudice d’appello, ha annullato il decreto nella parte in cui aveva escluso i ricorrenti, tra cui il N dall’inquadramento nei ruoli in questione, ai sensi dell’art.38 comma 3 della legge n.400/88, imponendo all’Amministrazione di procedere all’inquadramento degli aventi titolo.

In tali sensi e solo entro tali limiti la sentenza del TAR ha definito la consistenza dell’obbligo di conformarsi da parte dell’Amministrazione che , in concreto ha poi proceduto, dopo aver consultato gli interessati, all’inquadramento nei ruoli degli interessati.

Ora in relazione all’illustrato ubi consistam del giudicato formatosi sul decisum , le pretese avanzate dal N in ordine al suo “diritto” ad essere inquadrato in un qualifica superiore a quella presa in considerazione dalla PCM in sede di inquadramento e alla ( chiesta) assegnazione in un Ufficio della Presidenza di Napoli o Caserta costituiscono questioni che fuoriescono dall’alveo delle statuizioni recate dal giudice di primo grado sulle quali si è formato il giudicato.

Parimenti, gli atti adottati dalla PCM ( tra cui quello recante la dichiarazione di decadenza dall’assunzione nei propri ruoli ) circa la definizione delle richieste avanzate specificatamente dall’attuale appellante ( inquadramento verticale e assegnazione in sedi diverse da quella assegnata) attengono a questioni di merito che sono svincolate dagli obblighi posti dalla sentenza di cui si è chiesta l’esecuzione e che , in quanto recanti autonome determinazioni potevano e dovevano essere fatto oggetto di contestazione in sede giurisdizionale con lo strumento ordinario dell’ impugnazione.

La giurisprudenza si è fatta carico di evidenziare e circoscrivere l’entità dell’effetto conformativo da connettersi al giudicato, precisando che l’atto emanato dall’Amministrazione , dopo l’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo, può considerarsi adottato in violazione o elusione del giudicato solo quando da esso deriva un obbligo talmente puntuale che l’ottemperanza si concreta nell’adozione di un atto il cui contenuto è integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza ( cfr CGA Regione Siciliana 4/11/2008 n.899) e tale ipotesi, nella specie non è certamente non rinvenibile.

Invero, la valenza delle statuizioni assunte dalla sentenza di cui si chiede l’esecuzione è da intendersi limitata a l’aver posto all’Amministrazione un semplice vincolo di procedere all’inquadramento c. d. orizzontale , ai sensi del comma 3 dell’art.38 della legge n.400/88, rimanendo fuori da tale dictum ogni altra pretesa dell’interessato, la quale è stata definita con altro, autonomo procedimento, sichhè le questioni poste dall’appellante vanno valutate non in termini di esecuzione del giudicato, ma come questioni di vizi di un nuovo procedimento ( cfr , questa Sezione decisione 9/7/2002 n.1546).

Se così è , l’ intera impostazione delle questioni fatte valere dall’appellante muove da un presupposto del tutto erroneo, quello di versare nell’ambito di una non puntuale esecuzione del giudicato, ex art.37 della legge n.1034/71, mentre, in realtà alcun inadempimento può configurarsi, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, a carico dell’Amministrazione in ordine agli obblighi derivanti dalle statuizioni giurisdizionali a suo tempo assunte in sede di annullamento del decreto di esclusione dall’inquadramento di che trattasi.

Parte appellante insiste sull’invocato “effetto ripristinatorio del giudicato” che, in realtà viene collegato ad una domanda “nuova”, quella (di contenuto squisitamente pretensivo) di ottenere l’inquadramento nella qualifica superiore la quale non è stata oggetto di positiva statuizione da parte del giudice di primo grado e sulla quale non è, perciò, intervenuta la res judicata

Avuto riguardo, quindi, ai concreti e reali effetti conformativi recati dal giudicato formatosi sulla sentenza n.2690/2003, priva di fondamento si appalesa la pretesa risarcitoria formulata dall’appellante sotto il profilo della reintegrazione in forma specifica nella posizione di inquadramento superiore o, quello, formulato in via subordinata, del riconoscimento del diritto a ricevere l’equivalente monetario.

Se , in linea teorica è ammissibile in sede di ottemperanza una domanda di risarcimento danni ( cfr Cos Stato Sez V 17/9/2008 n.4377), essa deve essere pur sempre collegata alla accertata violazione

degli obblighi derivanti all’Amministrazione dall’esecuzione del giudicato, circostanza che, come sopra evidenziato, nella fattispecie non si è avverata, con conseguente inconfigurabilità della pretesa de qua in relazione all’esecuzione della sentenza di merito, e potendo la medesima , se del caso, essere azionata in sede di giudizio cognitorio da proporsi in via autonoma ( cfr Cons Stato Sez. V 4/3/2008 n.849).

In forza delle suesposte considerazioni la sentenza qui impugnata appare meritevole di essere confermata , con conseguente reiezione del proposto appello.

Non occorre pronunziarsi sulle spese di causa in assenza di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata






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