Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-01-05, n. 201500009
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Testo completo
N. 00009/2015REG.PROV.COLL.
N. 08622/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8622 del 2013, proposto dall’azienda agricola ‘Il Nuovo Bosco’ S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Lavatelli, Vincenzo Latorraca e Cristina Della Valle, con domicilio eletto presso Cristina Della Valle in Roma, via Merulana, 234
contro
Comune di RA, in persona del Sindaco, legale rappresentane pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Mascetti e Ercole Romano, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione II, n. 1985/2013
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di RA;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Magnano San Lio per delega dell’avvocato Della Valle e l’avvocato Corbions per delega dell’avvocato Mascetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
I presupposti fattuali della vicenda di causa vengono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 1985/2013.
L’appellante azienda agricola ‘Il Nuovo Bosco’ s.r.l. (d’ora innanzi anche “ Nuovo Bosco s.r.l. ” o “ la società appellante ”) è proprietaria di un vasto appezzamento di terreno collocato nei territori dei Comuni di RA, Mariano Comense e Lentate sul Seveso, utilizzati dalla stessa per lo svolgimento di attività zootecnica.
In data 14 luglio 2011, la società appellante presentava al Comune di RA istanze di accertamento di conformità edilizia e di accertamento di compatibilità paesaggistica per un intervento eseguito senza titolo su un immobile situato nel suindicato complesso e, precisamente, su un edificio situato nel territorio del predetto Comune ed identificato al mapp. n. 1697, foglio n.6.
Il Comune di RA, con provvedimenti in data 23 aprile 2012 prot. n. 2832 e prot. n. 2822, preannunciava l’accoglimento delle suddette istanze, specificando tuttavia che tale accoglimento sarebbe stato subordinato alla condizione sospensiva del pagamento delle sanzioni pecuniarie connesse all’illecito edilizio ed all’illecito paesaggistico commessi ed ammontanti rispettivamente ad euro 28.678,42 ed euro 75.437,39.
Tali prescrizioni sono state ribadite nel provvedimento assunto in data 18 giugno 2012, con il quale è stata accolta l’istanza di accertamento di conformità edilizia e nelle note del 7 giugno 2012, con le quali il Comune ha disatteso le richieste di riesame formulate dalla parte.
I provvedimenti da ultimo richiamati sono stati impugnati dalla Nuovo Bosco s.r.l. dinanzi al T.A.R. della Lombardia il quale, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.
La sentenza in questione è stata impugnata dalla società appellante la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di doglianza.
Con il primo motivo la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui si è affermato (condividendo sul punto le affermazioni del Comune) che gli interventi realizzati dalla stessa appellante (e per i quali era stata presentata istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) avessero determinato una modificazione della destinazione d’uso dell’immobile stesso.
In particolare, il Comune di RA (con deduzione confermata in parte qua dai primi Giudici) avrebbe erroneamente ritenuto che l’intervenuta modificazione della destinazione d’uso fosse desumibile: a ) dalla destinazione sostanzialmente commerciale impressa al manufatto già in precedenza destinato all’allevamento di conigli e censito in catasto terreni al mappale 1697; b ) dall’aumento della superficie dell’immobile in questione determinata dal nuovo rivestimento in pietra e mattoni.
In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che, ai sensi della pertinente normativa nazionale e regionale, le attività di vendita dei prodotti agricoli del fondo rientrano sotto ogni aspetto fra le attività stricto sensu agricole, ragione per cui risulterebbe erronea l’assimilazione di tale attività a quella commerciale sia per quanto riguarda la pretesa modificazione della destinazione d’uso (invero, mai realizzata), sia per quanto riguarda la quantificazione della sanzione conseguente alla realizzazione sine titulo degli interventi all’origine dell’istanza di accertamento di conformità.
L’erronea deduzione del Comune (confermata in parte qua dai primi Giudici) avrebbe comportato la - parimenti erronea - qualificazione degli interventi in questione come di ‘ristrutturazione edilizia’ e non come di ‘manutenzione straordinaria’, in tal modo contraddicendo in modo ingiustificato quanto rappresentato dalla società appellante in sede di istanza di accertamento di conformità.
E tale errore avrebbe comportato conseguentemente un ulteriore errore nell’individuazione della normativa applicabile ai fini sanzionatori. Ed infatti il Comune (e con esso il T.A.R.) avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile al caso in esame la previsione di cui all’articolo 37 del d.P.R. 380 del 2001 (riferita all’ipotesi di interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla D.I.A.), ritenendo – al contrario – che il titolo abilitativo richiesto per l’intervento in questione fosse il permesso di costruire e non la semplice D.I.A. (in seguito: S.C.I.A.).
Inoltre, altrettanto erroneamente il Comune (e con esso il T.A.R.) avrebbe ritenuto applicabili al caso in esame le previsioni di cui agli articoli 16 e 36, comma 2 del medesimo d.P.R. 380 del 2001 (inerenti la determinazione del contributo per il rilascio del permesso di costruire).
Ma, ancora una volta, l’erronea individuazione delle disposizioni applicabili ai fini determinativi discenderebbe dall’altrettanto erronea individuazione del titolo abilitativo necessario e - ancora più a monte – dalla non corretta qualificazione dell’intervento come implicante una modificazione della destinazione d’uso dell’immobile.
Per quanto riguarda, poi, la determinazione della sanzione per il danno ambientale arrecato all’area sottoposta a vincolo (articoli 167, comma 5 e 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004), il Comune – e in seguito il T.A.R. – avrebbe erroneamente preso le mosse dalla qualificazione dell’intervento come di ‘ristrutturazione edilizia’ (e non come di ‘manutenzione straordinaria’), in tal modo pervenendo a una quantificazione tanto eccessiva, quanto ingiusta.
Con il secondo motivo la società appellante lamenta sotto diversa angolazione l’erronea qualificazione degli interventi operati sull’immobile i quali (nella tesi del Comune, condivisa dai primi Giudici) avrebbero comportato un cambio nella destinazione d’uso.
Ma il punto è che se davvero cambio della destinazione d’uso vi fosse stato, non sarebbe stato neppure possibile rilasciare il richiesto accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36, d.P.R. 380, cit., e ciò rappresenterebbe un insanabile profilo di incongruità dell’operato del Comune (nonché della sentenza in epigrafe).
Ad ogni modo, siccome è provato che non si sia verificata alcuna modificazione della destinazione d’uso dell’immobile, del tutto erroneamente il Comune (e in seguito il T.A.R.) avrebbero affermato la possibilità di un incremento del carico urbanistico conseguente all’avvio in loco di un’attività di vendita dei prodotti del fondo.
Allo stesso modo, il Comune avrebbe in modo erroneo (se pure, confermato dai primi Giudici) affermato che il carattere di ‘ristrutturazione edilizia’ degli interventi per cui è causa sarebbe confermato dall’aumento della superficie lorda di pavimento determinato dall’introduzione di un nuovo rivestimento in pietra e mattoni che ha ispessito i muri perimetrali per circa 25 cm.
A tacer d’altro, il rivestimento delle pareti esterne non potrebbe rappresentare in alcun modo l’elemento discretivo in base al quale affermare la natura di ‘ristrutturazione edilizia’ dell’intervento per cui è causa.
Con il terzo motivo (articolato in via soltanto subordinata rispetto all’accoglimento dei primi due motivi) la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto i motivi di ricorso relativi alla quantificazione della sanzione applicata per l’illecito paesaggistico.
In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente affermato che la scelta del Comune di assumere quale parametro di riferimento per le operazioni di computo di cui all’articolo 167, co. 5 del decreto legislativo n. 42 del 2004 i valori di immobili aventi destinazione commerciale rientrasse nell’ambito della discrezionalità tecnica dell’Ente accertatore, sì da consentirne la censura solo in caso di palesi profili di irragionevolezza o incongruità.
In tal modo statuendo i primi Giudici avrebbero omesso di tenere in