Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-16, n. 202201157
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Testo completo
Pubblicato il 16/02/2022
N. 01157/2022REG.PROV.COLL.
N. 04024/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4024 del 2016, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato P L, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato P in Roma, via di Priscilla, n. 106;
contro
il Ministero della giustizia, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la -OMISSIS-, Sezione I, n. -OMISSIS- del 26 ottobre 2015, resa inter partes ;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2022 il consigliere G S, nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio è rappresentato dal Decreto del 18 dicembre 2013, con il quale il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha disposto nei confronti del signor -OMISSIS-, Assistente della Polizia penitenziaria in servizio presso il penitenziario di -OMISSIS-, l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio dal 5 novembre 2002 dopo che presso la sua abitazione erano stati rinvenuti “ una chiave per autovettura marca Fiat, portachiavi con relativo telecomando antifurto e un frontalino estraibile per autoradio, tutti riconducibili ad un’autovettura Fiat 600 rubata e parcheggiata all’interno del carcere, con fogli di carta al posto delle targhe ”.
2. Avverso tale atto (nonché quelli ad esso propedeutici quali il verbale del Consiglio centrale di disciplina del 6 novembre 2013 – 18 dicembre 2013, la nota del 29 aprile 2013 e l’avviso di avvio del procedimento di pari data) il signor -OMISSIS- ha proposto il ricorso n. -OMISSIS-/2014 innanzi al T.a.r. per la -OMISSIS-, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: i) violazione dei termini procedimentali di cui al d.lgs. n. 449/1992;ii) carattere sproporzionato della sanzione destitutoria;iii) difetto di motivazione in ordine alle circostanze descritte all’art. 11 d.lgs. n. 449/92;iv) difetto di motivazione;v) difetto di istruttoria.
3. Costituitosi il Ministero della giustizia in resistenza, il Tribunale adìto (Sezione I) con la sentenza segnata in epigrafe:
- ha respinto il ricorso avendo reputato infondate tutte le censure articolate;
- ha condannato il ricorrente al rimborso delle spese di lite (€ 2.000,00).
4. Avverso tale pronuncia il signor -OMISSIS- ha interposto appello, notificato il 25 maggio 2016 e depositato il 10 giugno 2016, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 5-14):
I) punto primo della motivazione di rigetto. Error in iudicando. Violazione dell'art. 120 d.p.r. n.3 del 1957. Violazione art. 6 d.lgs. 449 del 1992 , non avendo il T.a.r. considerato che il procedimento disciplinare, dalla data della contestazione degli addebiti a quella di irrogazione della sanzione, era durato 199 giorni e dunque ben più dei 90 giorni previsti dalla legge;
II) punti secondo e terzo della motivazione di rigetto. Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. 449/1992 e dell'art. 3 legge n. 241/90 , in quanto il T.a.r. non avrebbe tenuto conto delle specificità del fatto e dei motivi enunciati con il ricorso, in ordine al difetto motivazionale ed alla violazione delle norme che regolano i procedimenti disciplinari interni al Corpo della Polizia penitenziaria, non configurandosi alcun automatismo della destituzione (stante la mancanza di una sentenza di condanna passata in giudicato) anche in considerazione dei lodevoli precedenti di servizio dell’appellante;
III) punto terzo della motivazione di rigetto. Error in iudicando. Carenza istruttoria , in quanto il T.a.r. non avrebbe tenuto conto che l’Ufficio avrebbe mancato di svolgere la dovuta istruttoria attraverso l’audizione del personale in servizio al penitenziario di -OMISSIS- all’epoca dei fatti, sebbene richiesta nel corso del procedimento disciplinare;
IV) omessa pronuncia. Violazione dell'art. 112 c.p.c. - error in procedendo. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. 449/1992 e dell’art. 3 legge n. 241/90 , non essendosi il T.a.r. pronunciato sul lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, censura puntualmente riproposta, evidenziandosi che i fatti di ricettazione addebitatigli non erano sfociati in una sentenza passata in giudicato e che, a prescindere dalla ricostruzione della vicenda (a seconda cioè che si ritenga che egli sia venuto in possesso delle chiavi perché rinvenute presso l’istituto penitenziario o consegnategli da un detenuto), non si poteva ritenere quest’unico episodio talmente grave da giustificare la destituzione.
5. L’appellante ha concluso chiedendo, in accoglimento dell’appello, la riforma o la revisione dell’impugnata sentenza con vittoria di spese da anticiparsi al difensore dichiaratosi antistatario.
6. In data 25 giugno 2016 il Ministero della giustizia si è costituito in giudizio.
7. In data 21 settembre 2021 l’appellante ha depositato dichiarazione circa il persistente interesse alla decisione del gravame.
8. In prossimità dell’udienza di trattazione del gravame, entrambe le parti hanno depositato memoria. L’appellante, dopo aver ulteriormente argomentato nel senso della fondatezza dei motivi sollevati, ha insistito per l’accoglimento dell’appello. Il Ministero appellato, da parte sua, ha opposto l’infondatezza delle deduzioni ex adverso sollevate, evidenziando peraltro l’inapplicabilità dell’art. 6, comma 4, del d.lgs. 449/1992 e pertanto concludendo per il rigetto dell’avverso gravame.
9. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica dell’11 gennaio 2022, è stata trattenuta in decisione.
10. L’appello è infondato.
10.1 Col primo motivo l’appellante ripropone la censura di primo grado con la quale aveva dedotto che “ la fase del procedimento disciplinare vero e proprio iniziava in data 3 giugno 2013, con la formulazione delle contestazioni disciplinari al dipendente, formulate dalla dott.ssa -OMISSIS- (nominata funzionario istruttore del procedimento con nota del D.A.P. n. GDAP/0147816/2013);solo in data 18 dicembre, dopo 199 giorni, e dunque ben oltre il termine perentorio di novanta giorni previsto dalla legge, il procedimento sanzionatorio si concludeva con l’irrogazione della sanzione ”. Da tanto sarebbe derivata la violazione dell’art. 120 d.P.R. n. 3 del 1957, secondo cui “ il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che, nessun ulteriore atto sia stato compiuto ”. Col ricorso di primo grado si lamentava però anche la violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 449/92, rimarcandosi la formulazione del quarto comma, secondo cui “ la destituzione per le cause di cui al comma 3 è inflitta all’esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna […] e concluso nei successivi novanta giorni ”. L’appellante, nell’abbandonare il primo profilo di censura, prendendo atto di quanto osservato dal T.a.r. circa la successione degli atti endoprocedimentali ciascuno a distanza non superiore a 90 giorni, insiste nel ritenere violata la succitata disposizione che governa il lasso temporale a disposizione dell’Amministrazione per la conclusione del procedimento che conduce alla destituzione. Osserva, infatti, che tra la contestazione degli addebiti, notificata il 7 maggio 2013, e la data del 18 dicembre 2013, in cui è stato emesso il provvedimento destitutorio, sono trascorsi ben più dei previsti 90 giorni.
La censura è infondata.
Controdeduce il Ministero che la norma non sarebbe suscettibile di applicazione nel caso di specie, non venendo in considerazione una “ sentenza irrevocabile di condanna ”, come tale passata in giudicato, quanto una sentenza (quella della Corte di cassazione n. -OMISSIS-/2013 divenuta irrevocabile il 16 aprile 2013) di proscioglimento per prescrizione (circostanza, questa, ammessa dallo stesso appellante col secondo e quarto motivo). Si osserva, infatti, che una pronuncia di tale genere importa la necessità di ricorrere ad autonomi accertamenti in sede disciplinare e che ben possono non esaurirsi nell’arco temporale anzidetto. Questo Consiglio si è però già espresso su tale problema interpretativo, ritenendo che “ l’Amministrazione procedente è tenuta a concludere il procedimento disciplinare nel termine di complessivi duecentosettanta (270) giorni da quando ha avuto notizia della sentenza penale a carico del dipendente incolpato, e tale termine complessivo, che si ricava sommando al termine di 180 giorni imposto per l'inizio del procedimento disciplinare, e decorrente dalla suddetta notizia, quello di successivi 90 giorni imposto per la conclusione del procedimento disciplinare, trova applicazione sia che la sentenza penale sia di condanna che di proscioglimento per prescrizione del reato ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2941). Ad ogni modo, anche a voler accedere alla tesi prospettata dall’appellante, deve rilevarsi che la norma invocata contempla un primo termine di 180 giorni ai fini dell’avvio del procedimento disciplinare, decorrente “ dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna ovvero del provvedimento con cui stata applicata in via definitiva la misura di sicurezza o di prevenzione” ed un secondo termine di 90 giorni, dovendo il procedimento essere “concluso nei successivi novanta giorni ”, termine quest’ultimo che si reputa inosservato. La norma va correttamente interpretata nel senso che, ai fini della tempestiva conclusione del procedimento disciplinare che conduce all’irrogazione della sanzione destitutoria, occorre procedere alla sommatoria dei due lassi temporali di 180 e 90 giorni, “ con la conseguenza che la sanzione disciplinare in parola deve essere inflitta entro 270 giorni dalla predetta notizia ” (Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2013, n. 4456). Alla luce di tali coordinate interpretative deve escludersi la denunciata violazione in considerazione del tempo trascorso, inferiore ai prescritti 270 giorni, tra il 13 aprile 2013, in cui l’Amministrazione ha preso conoscenza della predetta sentenza, e la data del 18 dicembre 2013, di emissione del provvedimento di destituzione.
10.2 Infondati sono anche i motivi secondo e quarto, per il loro tenore suscettibili di trattazione congiunta, coi quali si deduce che l’amministrazione non avrebbe motivato la scelta della sanzione espulsiva, la quale non sarebbe comunque proporzionata rispetto alla gravità dei fatti addebitati all’appellante. Sul punto questi lamenta che il T.a.r. nemmeno si sarebbe espresso su tali deduzioni che pertanto sono state integralmente riproposte. E’ il caso di precisare che tale pretesa mancanza non integra la fattispecie della rimessione della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 105 c.p.a., non assurgendo al rango di difetto assoluto di motivazione. Infatti il carattere devolutivo dell’appello giustifica il rinvio, a norma dell’art. 105 c.p.a., della causa al Tribunale solo ove sia raggiunta la soglia del difetto assoluto di motivazione (come rammentato dalla Sezione con la sentenza 12 agosto 2019, n. 5657 alla luce delle pronunce dell’Adunanza plenaria ivi richiamate;così di recente anche 22 novembre 2021, n. 7767). Ne consegue che la mancata disamina di talune censure articolate col ricorso introduttivo della lite non inficia la sentenza di prime cure per la sussistenza degli estremi della carenza motivazionale di grado assoluto che giustifica la revocazione della sentenza in luogo dello scrutinio delle obliterate doglianze in questa sede di giudizio. Ad ogni modo, le censure del difetto di motivazione e di proporzionalità sono state in realtà esaminate dal Collegio di prime cure, sia pure sinteticamente, avendo osservato che “ le valutazioni dell’Amministrazione esposte nel verbale della seduta del Consiglio di disciplina tenuta il 6 dicembre 2013 appaiono logiche e ragionevoli in relazione al fatto compiuto, che è particolarmente grave per un appartenente alle Forze dell’Ordine e tale da compromettere la prosecuzione del rapporto di impiego, a prescindere dalla valutazione del servizio prestato successivamente ”. Le considerazioni rese sul punto dal T.a.r. vanno in questa sede confermate, dovendosi tener conto del quadro motivazionale che presenta il provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure, essendosi in esso specificato, dopo aver sottolineato la gravità della condotta contestata, che “ l’Amministrazione non può tenere nel Corpo soggetti che si sono resi responsabili di illeciti penali quando la legge di riforma 15 dicembre 1990, n. 395 ha addirittura consentito, confidando nella loro onestà morale e nella responsabile professionalità, di partecipare “anche nell’ambito di gruppi di lavoro, alle attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati ””.
Venendo alla disamina della censura relativa al difetto di proporzionalità va innanzitutto osservato che “ la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629).
Ciò posto, occorre rilevare che i fatti penalmente rilevanti così come accertati a seguito di perquisizione domiciliare, sono di oggettiva e rilevante gravità essendo consistiti nella perpetrazione del reato di ricettazione a’ sensi dell’art. 648 c.p. L’appellante veniva infatti trovato in possesso delle chiavi di un’autovettura rubata per giunta rinvenuta, come risulta dal verbale di sequestro del 4 gennaio 2002, proprio all’interno del “ parcheggio riservato agli Agenti di Custodia della Casa Circondariale di -OMISSIS- ”. Detta circostanza è tale da far ritenere comprovata, con solare evidenza, la condotta di reato contestatagli avendo dimostrato la disponibilità di un’autovettura oggetto di furto le cui modalità di ricovero (come detto, all’interno del parcheggio dell’istituto penitenziario nonché “ con due fogli manoscritti con impressa la targa -OMISSIS- posto rispettivamente sul parabrezza e sul lunotto termico ”) denotano totale noncuranza verso il rispetto delle leggi e l’assoluto disprezzo dei compiti e dei doveri d’ufficio. Quanto riferito dall’appellante in ordine alle modalità di rinvenimento delle chiavi, in prossimità della festività di Capodanno, ed alla loro custodia in un sacchetto di plastica per provvedere solo temporaneamente al loro trasferimento presso la propria abitazione, risultano del tutto inidonee a minare la bontà del quadro probatorio adeguatamente suffragato dalle risultanze della disposta perquisizione domiciliare. Non va infine trascurata, sempre con riferimento alla congruità della sanzione, l’espressa previsione del delitto di ricettazione quale ipotesi in cui è consentito ricorrere alla sanzione destitutoria, ai sensi dell’art. 6, comma 3) lett. a), del d.lgs. n. 449/92. È direttamente il legislatore, pertanto, ad aver effettuato una ponderazione della gravità del reato che legittima l’Amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, a comminare la misura della destituzione. Né può essere utilmente enfatizzata la mancanza di una sentenza di condanna passata in giudicato, come richiesto dall’evocato art. 6, in quanto i fatti addebitati all’appellante sono stati puntualmente confermati in sede dibattimentale innanzi al giudice penale, tanto che intervenivano due pronunce di condanna sia in primo che in secondo grado e la mancanza di una sentenza definitiva è stata determinata soltanto dal fatto che la Corte di Cassazione rilevava l’intervenuta decorrenza del termine prescrizionale.
10.3 Privo di fondamento è anche il terzo motivo di gravame, col quale si deduce il difetto di istruttoria per la mancata audizione delle persone informate sui fatti indicate in sede procedimentale dall’appellante, non palesandosi alcuna necessità di effettuare detto approfondimento proprio in considerazione della rilevata esaustività probatoria delle risultanze della perquisizione domiciliare in uno alle modalità di ricovero dell’autovettura. Tali circostanze sono risultate adeguatamente univoche anche in sede penale, tanto, come detto, da condurre all’emissione di sentenza di condanna sia in primo che in secondo grado. Né può essere efficacemente valorizzato il fatto che il processo penale non si è concluso con una sentenza di condanna ma di proscioglimento per prescrizione. Questo Consiglio ha infatti ritenuto che “ legittimamente l’Amministrazione può promuovere il procedimento disciplinare contestando al pubblico dipendente la condotta fatta oggetto dell’imputazione nel processo penale conclusosi con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere in ordine al reato ascritto perché estinto per prescrizione e altrettanto legittimamente può applicare la sanzione disciplinare ove disattenda le controdeduzioni eventualmente svolte dal dipendente a sua difesa sulla base di autonomi elementi di valutazione tratti da tutti gli atti formati ed acquisiti nell’ambito del procedimento penale ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 luglio 2014, n. 3445). Tra questi rientra anche l’audizione del teste agente -OMISSIS-, che secondo l’appellante avrebbe dovuto essere nuovamente sentito anche nell’ambito del procedimento disciplinare;tale approfondimento istruttorio deve invece reputarsi, per le ragioni anzidette, del tutto superfluo. Lo stesso dicasi per il restante personale in servizio presso l’istituto penitenziario di -OMISSIS-.
11. In conclusione, l’appello in esame è infondato e deve essere respinto.
12. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo applicando i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.