Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-01-20, n. 202000443
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Pubblicato il 20/01/2020
N. 00443/2020REG.PROV.COLL.
N. 05989/2016 REG.RIC.
N. 05991/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 5989 del 2016, proposto da
S A, B C, P U, F F, F P, R L, R P, T D, F P M, T S, C R, M V, G G, D P C, C D, U D, I S, S A, Q G, M R, M F F, S N, C A M, T T D, C R I, U M A, U R, A M, M S, A M N, D Nasir Uddin, Sweet Food Inernational s.r.l., Hilary s.r.l., Desirée 2012 s.r.l., Mistery s.r.l., Mixage ‘93 s.n.c. di Molinaro Domenico e C., Nur Islam &Md Kamrul s.n.c., Amin &Jamal s.n.c., in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandro C, Gianfranco Di Meglio, Francesco Saverio M e Antonio Fabbricatore, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gianfranco Di Meglio in Roma, via Gregorio VII, 225;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Rodolfo Murra, domiciliata presso gli uffici della propria avvocatura in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Ministero per i beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Teresa Cpa, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
sul ricorso in appello numero di registro generale 5991 del 2016, proposto da
T D, C A M, T T D, rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandro C, Gianfranco Di Meglio, Francesco Saverio M e Antonio Fabbricatore, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gianfranco Di Meglio in Roma, via Gregorio VII, 225;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Rodolfo Murra, domiciliata presso i propri uffici in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Teresa Cpa, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Codacons, non costituito in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 5989 del 2016:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione Seconda) n. 3529/2016, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 5991 del 2016:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione Seconda) n. 3536/2016, resa tra le parti
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in entrambi i giudizio di Roma Capitale, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e della Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 4721 del 20 ottobre 2016 che ha disposto la riunione dei giudizi;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2019 il Cons. A U e uditi per le parti, in relazione ad entrambi i giudizi, gli avvocati M, C, P in dichiarata delega di Cpa, e dello Stato Gerardis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Gli appellanti in epigrafe sono titolari o gestori di piccole aziende per il commercio su aree pubbliche esercitate tramite mezzo mobile con posteggio in vari punti del centro storico di Roma (posteggi a rotazione per somministrazione di alimenti e bevande, cd. “bibite e sorbetti”, o esercizi a cd. “posteggio fisso”). Con il ricorso in primo grado essi hanno impugnato i provvedimenti con i quali Roma Capitale ha ricollocato le loro postazioni in punti della città diversi da quelli precedentemente concessi in uso, dopo avere formulato ai sensi dell’art. 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) un giudizio d’incompatibilità di tale forma di commercio con le esigenze di tutela culturale delle aree in cui tali concessioni erano state rilasciate.
2. I provvedimenti sono stati emessi sulla base delle risultanze del tavolo tecnico tra Roma Capitale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, istituito ai sensi della direttiva (cd. “sul decoro”) del Ministro del 10 ottobre 2012 (concernente l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, finalizzata a “ contrastare, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, l’esercizio di attività commerciali e artigianali in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, con particolare riferimento alla necessità di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti nonché delle aree a essi contermini ”: cfr. il relativo art. 1).
In particolare, il tavolo tecnico (istituito da Roma Capitale con delibera di Giunta n. 96 del 9 aprile 2014, che ha dato luogo all’Accordo di collaborazione ex art. 15 l. n. 241 del 1990 del 17 aprile 2014) ha giudicato incompatibili ai sensi del citato art. 52 le seguenti aree di Roma: Area archeologica centrale, Circo Massimo - Tridente;Piazza Navona - Piazza della Rotonda/Pantheon ( i.e. , aree territoriali n. 1 e 2). Le risultanze del tavolo sono poi state fatte proprie dai due enti pubblici partecipanti con accordo ex art. 15 l. 7 agosto 1990, n. 241 stipulato in data 4 agosto 2014.
3. Preso atto di tali risultanze, Roma Capitale ha individuato nuovi punti per il commercio su aree pubbliche (deliberazione di Giunta n. 233 del 30 luglio 2014 e determinazione dirigenziale n. 1927 del 17 settembre 2014).
4. I provvedimenti venivano impugnati dai titolari ed esercenti in epigrafe con distinti ricorsi davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma.
Sono stati così impugnati la deliberazione di Giunta capitolina n. 233 del 30 luglio 2014 di presa d’atto delle determinazioni del tavolo tecnico “del decoro” istituito ai sensi della delibera capitolina n. 96 del 2014 e di approvazione del relativo schema di accordo interistituzionale tra Roma Capitale e il Ministero per beni e le attività culturali e per il turismo ex art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004;la d.d. di Roma Capitale n. 1927 del 17 settembre 2014;la deliberazione di Giunta Capitolina n. 96 del 9 aprile 2014;gli accordi ex art. 15 l. n. 241 del 1990;la suddetta direttiva ministeriale “sul decoro” del 10 ottobre 2012;il d.m. 17 settembre 2013 del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo di vincolo degli spazi pubblici del “Tridente” del centro storico di Roma.
5. Con motivi aggiunti gli stessi ricorrenti impugnavano i provvedimenti con i quali era rispettivamente disposta la ricollocazione temporanea delle loro attività, per una durata di diciotto mesi, nelle nuove ubicazioni (determinazione n. 1365 del 16 giugno 2015 per i posteggi “a rotazione”;determinazione n. 1828 in pari data per gli esercizi “a posteggio fisso”) nonché gli atti presupposti e correlati (tra cui gli atti della conferenza di servizi svolta tra Roma Capitale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e le relative decisioni).
6. Con un secondo atto di motivi aggiunti venivano impugnati anche il protocollo d’intesa tra la Regione Lazio, Roma Capitale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo recante l’intesa interistituzionale sul nuovo regime di tutela delle aree di valore archeologico, storico e artistico di Roma Capitale, siglato all’esito della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 140 del 9 luglio 2015), nonché la presupposta delibera di Giunta regionale di approvazione del relativo schema (protocollo di intesa in data 21 luglio 2015 e delibera di Giunta regionale n. 365 in pari data).
7. Con le sentenze in epigrafe il Tribunale amministrativo adìto, nella resistenza di Roma Capitale, del Ministero e della Regione Lazio, nonché a fronte - quanto al ricorso definito con sentenza n. 3536 del 2016 - dell’intervento ad opponendum del Codacons, ha respinto i ricorsi e i motivi aggiunti.
8. A tali pronunce hanno fatto seguito i distinti appelli degli originari ricorrenti, contenenti la riproposizione delle censure respinte in primo grado, e ai quali resistono le amministrazioni parimenti epigrafate.
9. Giusta ordinanza n. 4721 del 20 ottobre 2016, la Sezione ha disposto la riunione degli appelli.
10. Sulla discussione delle parti all’udienza pubblica del 14 novembre 2019, come da verbale, le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Va preliminarmente confermata la riunione degli appelli, già disposta con ordinanza n. 4721 del 2016 della Sezione, stante l’evidente connessione oggettiva ex art. 70 Cod. proc. amm. dei ricorsi decisi dalle sentenze impugnate, riguardanti provvedimenti fondati sui medesimi presupposti, aventi analoghi effetti e censurati per motivi di identico tenore.
1.1. Sempre invia preliminare va posto in risalto come le questioni sottoposte al Collegio abbiano formato oggetto d’esame da parte di diversi precedenti di questa Sezione, il primo dei quali - pressoché in termini - risale alla decisione n. 3681 del 23 agosto 2016, dai cui principi non v’è ragione di discostarsi, salve le precisazioni e integrazioni di seguito indicate.
2. Con i primi motivi dei rispettivi appelli gli appellanti si dolgono dell’intervenuta rilocalizzazione delle postazioni pur a seguito dell’impugnativa giudiziale e del successivo annullamento del d.m. del 17 settembre 2013 che aveva decretato l’interesse storico e interdetto l’attività commerciale e artigianale ambulante nell’area del cd. “Tridente”.
2.1. Il motivo è infondato.
2.1.1. Va premesso come la rilocalizzazione ordinata da Roma Capitale con le determinazioni qui impugnate sia avvenuta - come evidenziato in narrativa - all’esito dei lavori del tavolo interistituzionale al tempo maturati e dell’accordo del 4 agosto 2014 che aveva formalizzato le conclusioni del suddetto tavolo in relazione agli ambiti territoriali n. 1 e 2.
In tale contesto, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, il presupposto delle suddette determinazioni e degli atti alle stesse correlati non è costituito dalla dichiarazione di bene culturale, e comunque dal decreto del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo del 17 settembre 2013, recante l’apposizione del ricordato vincolo culturale ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. g), del d.lgs. n. 42 del 2004 (vincolo culturale su pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico) e l’interdizione del Tridente al commercio ambulante, ma dalla autonoma - e di suo sufficiente - valutazione comunale del decoro urbano del centro storico di Roma (per quanto identificata d’intesa e in leale cooperazione mediante le forme collaborative che si sono ricordate).
Il decoro urbano, infatti, non è una materia o un’attività, ma una finalità immateriale dell’azione amministrativa, che corrisponde al valore insito in un apprezzabile livello di qualità complessiva della tenuta degli spazi pubblici, armonico e coerente con il contesto storico, perseguita mediante la selezione delle apposizioni materiali e delle utilizzazioni, specie commerciali (art. 52 del Codice;v. ora l’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 222 del 2016) ma non solo. A seconda del profilo e dello strumento, può essere frutto vuoi di tutela (e valorizzazione) del patrimonio culturale, vuoi di disciplina urbanistica o del commercio, vuoi della politiche comunali di concessioni di suolo pubblico: comunque in ragione delle competenze di legge. E difatti l’art. 4 dell’Accordo del 17 aprile 2014, bene ripartendo le competenze seppur all’esito della leale cooperazione e della concertazione delle amministrazioni coinvolte, prevede che le risultanze del tavolo tecnico siano oggetto di dichiarazione di compatibilità da parte del Ministero ai sensi del Codice e, al contempo, elemento essenziale dei piani di riordino delle attività commerciali su aree pubbliche di Roma Capitale e di rilocalizzazione di quelle non compatibili con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, nonché di successiva normativa regolamentare afferente gli specifici settori trattati (cfr. in proposito il verbale del 22 maggio 2014 del Tavolo, in cui Roma Capitale si richiama proprio al suddetto art. 4 in vista dei piani di riordino da adottare;v. altresì il conforme art. 3 dell’accordo del 4 agosto 2014).
In tale contesto, la disgiunzione delle competenze nell’esercizio delle rispettive funzioni, pur nella dimensione della collaborazione, nonché nella partecipazione - con ruolo e secondo prospettive differenziate - al perseguimento di finalità comuni, consente di apprezzare anche i profili di separatezza e distinzione delle attività provvedimentali.
Ogni amministrazione, infatti, espletata la procedura congiunta esercita la propria competenza - che di suo ben può essere autosufficiente rispetto a quella delle altre - a realizzare i condivisi obiettivi di decoro urbano. Il vincolo di leale cooperazione (di cui a Corte cost., n. 140 del 2015, su cui v. infra ) non sovverte la ripartizione delle competenze e non crea, al di fuori della legge, presupposizioni di atti: è un vincolo di mezzi, cioè di confronto e sollecitazione alla convergenza dei rispettivi giudizi, non di risultati, cioè di nuove priorità tra i provvedimenti finali (i quali restano legati agli ordinari reciproci rapporti). E come vincolo di mezzi, è qui stato ben rispettato a fronte della piena intesa fra i vari enti e livelli di governo coinvolti (cfr. amplius infra , sub § 5.1).
2.1.2. In tale contesto, l’impugnazione e l’annullamento giurisdizionale del d.m. del 17 settembre 2013 in relazione a situazioni dedotte su alcuni posizionamenti di strutture [cfr. ad es. Tar Lazio, II-ter, 13 giugno 2016, n. 6742, 6749, 6751, 6752, 6754;25 maggio 2016, n. 6126;5 settembre 2016, n. 9542;v. anche Id., II- quater , 3 febbraio 2017, n. 1822;per il commercio ambulante, v. Tar Lazio, II-ter, 22 marzo 2016, n. 3536] non diviene rilevante e ostativo rispetto ai provvedimenti qui all’esame.
Al di là della considerazione dei limiti dell’interesse dedotto in quei giudizi e di quegli annullamenti e la diversa natura dell’oggetto di quei provvedimenti, vale considerare che il detto d.m. - come già rilevato - non costituisce diretto presupposto dei provvedimenti gravati nella presente sede, né in relazione alla dichiarazione di bene culturale, né rispetto all’interdizione al commercio ambulante della zona del Tridente;d’altra parte, la suddetta dichiarazione di bene culturale (art. 13 del Codice) accerta il pregio culturale, il quale nella realtà fattuale preesiste (nel caso di specie, si tratta degli spazi pubblici del centro storico di Roma), e come tale va di per sé considerato dalle altre amministrazioni, specie locali, nell’esercizio delle proprie competenze - tra cui quelle dell’art. 52 - anche in rispetto dell’art. 1, comma 3, del Codice recante il principio di corresponsabilizzazione finalistica delle autonomie territoriali, che impone loro di assicurare e sostenere le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
Di qui l’infondatezza della doglianza che vuol ricondurre all’impugnazione e annullamento del suddetto d.m. l’automatica illegittimità derivata dei provvedimenti qui gravati.
3. Per le stesse ragioni non sono suscettibili di favorevole apprezzamento i secondi connessi motivi di gravame, con i quali gli appellanti si dolgono dell’illegittimità della direttiva ministeriale “sul decoro” del 10 ottobre 2012 e del d.m. del 17 settembre 2013.
Entrambi tali atti vengono qui impugnati in via incidentale, nella loro dedotta qualità di presupposti di quelli attinenti al procedimento volto alla ricollocazione delle postazioni controverse, confluito nelle d.d. n. 1365 e 1828 del 16 giugno 2015: tanto ciò è vero che sia la direttiva che il d.m. sono stati impugnati ben oltre il termine di legge di loro gravame in via principale.
Tuttavia, come già osservato, difetta in specie l’invocato rapporto di presupposizione rispetto agli atti lesivi oggetto d’impugnativa, costituendo la direttiva e il d.m. meri antecedenti d’un procedimento avente sua autonomia, rispetto a cui la direttiva e il d.m. hanno valore di mera premessa o antefatto, non inserendosi direttamente nel complessivo iter procedurale esitato nelle d.d. che dispongono la ricollocazione delle postazioni degli appellanti.
4. Col terzo motivo delle rispettive impugnazioni gli appellanti reiterano l’assunto secondo cui la pronuncia di parziale incostituzionalità dell’art. 52 del Codice di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 (Corte cost., 9 luglio 2015, n. 140) in relazione ai commi 1- bis e 1- ter - applicabili alla fattispecie in luogo del comma 1, erroneamente richiamato dal Tar - avrebbe inibito ai Comuni di rilocalizzare le attività commerciali una volta accertatane l’incompatibilità con il regime di tutela delle aree sottoposte a vincoli culturali. In base a questa prospettazione l’impedimento conseguirebbe al profilo di illegittimità costituzionale rilevato, e cioè la mancata previsione dell’intesa con la Regione per l’adozione dei provvedimenti ai sensi del medesimo art. 52, intesa che non potrebbe peraltro intervenire “a sanatoria”, in via successiva.
In tale contesto gli appellanti si dolgono inoltre del richiamo, da parte della sentenza, ai poteri di revoca ex art. 21- quinquies l. n. 241 del 1990 per giustificare comunque l’operato dell’amministrazione civica a prescindere dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004.
5. Anche questo motivo è infondato.
5.1. I provvedimenti amministrativi oggetto di doglianza si collocano nel paradigma di cui all’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004 nei termini di seguito specificati.
All’esito del giudizio ostativo espresso nel tavolo interistituzionale - suggellato nell’accordo fra Roma Capitale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo del 4 agosto 2014 - in ordine al mantenimento delle attività commerciali con postazioni presso le aree n. 1 e 2, la Giunta capitolina, preso atto di dette risultanze, ha deliberato di assoggettare le attività in questione ad un “ progetto di rilocalizzazione ”, dando mandato al Dipartimento sviluppo economico e attività produttive formazione e lavoro di procedere “ all’avvio dei relativi procedimenti amministrativi di competenza ”, e formulando un apposito indirizzo al riguardo per l’individuazione di alcune “ localizzazioni transitorie ”, nelle more “ dell’adozione del progetto di riordino generale, delle attività commerciali risultate incompatibili ” (delibera n. 233 del 30 luglio 2014, sopra citata).
A questa delibera si è uniformato il Dipartimento incaricato attraverso i successivi atti di rilocalizzazione temporanea delle postazioni commerciali ubicate nelle aree tutelate (per quanto qui di rilievo, cfr. determinazioni n. 1927 del 17 settembre 2014, nonché n. 1365 e 1828 del 16 giugno 2015).
In tale contesto la delibera di Giunta di presa d’atto dei lavori del tavolo tecnico e di conseguente impulso ai procedimenti di rilocalizzazione delle attività commerciali rientra nel modello dell’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004. Il comma 1 di questa disposizione prevede infatti che con apposite « deliberazioni » adottate nell’ambito della loro competenza in materia di commercio « i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio ».
Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie con la delibera di Giunta n. 233 del 30 luglio 2014, laddove il parere dell’Amministrazione delle belle arti era stato precedentemente acquisito in sede di tavolo tecnico;né rileva in senso contrario il richiamo, da parte degli appellanti, al regime di cui all’art. 28 d.lgs. n. 114 del 1998, atteso che il modello seguito da Roma Capitale, basato sulla delibera comunale a fronte dell’intesa con l’amministrazione statale, ben rispecchia - direttamente - quello di cui all’art. 52, comma 1 per l’individuazione delle aree in cui vietare o sottoporre a particolari condizioni l’esercizio di attività commerciali, rientrando le deliberazioni adottate fra quelle in materia di « commercio » di competenza comunale, né contenendo all’uopo l’art. 52, comma 1, un rinvio specifico al d.lgs. n. 114 del 1998.
La conseguente ricollocazione temporanea delle postazioni va ricondotta poi - nel quadro generale così individuato - ai poteri di cui al comma 1- ter del medesimo art. 52, atteso che, come affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, sebbene non formalmente previsto, il potere di sistemazione temporanea in questione è implicitamente attribuito all’amministrazione comunale, trattandosi di un minus rispetto a quello di revoca del titolo commerciale riconosciuto in modo espresso dal comma 1- ter dell’art. 52, e strettamente strumentale a quest’ultimo (Cons. Stato, n. 3681 del 2016, cit., confermata da Cass., SS.UU, 25 marzo 2019, n. 8311;Cons. Stato, V, 30 novembre 2018, n. 6819;cfr. anche Id., 21 giugno 2018, n. 3813).
5.2. Così chiarito il fondamento dei provvedimenti adottati, è assorbente rilevare, ai fini del rigetto della doglianza di parte appellante, come l’intesa raggiunta ex post con la Regione Lazio - con protocollo siglato il 21 luglio 2015, a fronte della presupposta delibera di Giunta regionale di approvazione del relativo schema, n. 365 in pari data, impugnati con il secondo ricorso per motivi aggiunti - è stata già ritenuta idonea, dalla condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, a rimuovere ogni vizio di legittimità degli atti impugnati nel presente giudizio (cfr. Cons. Stato, n. 3681 del 2016 e n. 6819 del 2018, sopra citate).
Il contrario assunto in base al quale detta intesa avrebbe dovuto trovare necessaria collocazione nell’ambito della Conferenza unificata non trova conferma nel dettato della sentenza della Corte costituzionale, la quale da un lato ha dichiarato l’illegittimità delle norme scrutinate ( i.e. , artt. 2- bis e 4- bis d.l. n. 112 del 2013 e art. 4, comma 1, d.l. n. 83 del 2014, che introducevano i commi 1- bis e 1 -ter all’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004) non già per vizi in procedendo , bensì con sentenza additiva in relazione al contenuto delle disposizioni introdotte ( i.e. , quanto agli artt. 2- bis e 4- bis , “ nella parte in cui non prevedono l’intesa ”;quanto all’art. 4, “ nella parte in cui non prevede alcuno strumento idoneo a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni ”);dall’altro ha a tal fine omesso qualsivoglia riferimento alla Conferenza unificata, sicché - come questo Consiglio di Stato ha già ritenuto con i citati precedenti - nel novero degli strumenti di collaborazione previsti dall’ordinamento fra i diversi livelli di governo, non risulta incompatibile con le indicazioni della sentenza quello dell’intesa amministrativa, in specie successiva, con la Regione interessata. Il che coincide del resto con quanto oggi previsto, a seguito dell’interpolazione del suddetto comma 1- ter per effetto dell’art. 16, comma 1- ter , lett. a), d.l. n. 78 del 2015 ( ratione temporis non applicabile alla fattispecie in esame) per la revisione delle autorizzazioni e concessioni di suolo pubblico non più compatibili con l’interesse di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da rilevanti flussi turistici.
Nel caso di specie, la Regione Lazio ha dapprima espresso chiara manifestazione di volontà adesiva (“ avviso favorevole ”: così nella delibera di Giunta regionale n. 365 del 21 luglio 2015) in ordine alle valutazioni effettuate ex art. 52 da Roma Capitale e dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo in sede di tavolo tecnico per il decoro della città;successivamente ha sottoscritto, unitamente alle suddette amministrazioni, il protocollo del 21 luglio 2015 che faceva propri i risultati del tavolo in ordine alle dette valutazioni. Dal che deriva il perfezionamento dell’intesa tra tutti i livelli di governo territoriale titolari di funzioni amministrative in materia, su una base comune e condivisa, consistente nelle risultanze del tavolo tecnico per il decoro urbano del centro storico di Roma che aveva visto partecipare inizialmente solo l’amministrazione comunale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, ai quali si è poi aggiunta la Regione Lazio.
Di fronte a siffatta chiara e consapevole manifestazione di volontà da quest’ultima amministrazione, rispondente agli obblighi di leale collaborazione affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 140 del 9 luglio 2015, ogni questione di ordine procedimentale sollevata dagli appellanti perde rilievo;né rilevano le censure in ordine alla mancanza degli elementi e dell’ animus per la convalida dell’originario accordo da parte della Regione, attesa la chiara e completa adesione di questa al protocollo che perfezionava l’intesa, nonché la motivazione di siffatta adesione espressa nella deliberazione giuntale n. 365 del 2015 attraverso il richiamo agli atti del tavolo e alle relative conclusioni, oltreché il riconoscimento dell’ampia autonomia di Roma Capitale in relazione all’esercizio del commercio su aree pubbliche, in considerazione della specialità del suo ordinamento.
Né può sostenersi, ancora, che occorresse in specie una puntuale adesione della Regione ai singoli provvedimenti adottati dall’amministrazione comunale, atteso che l’intesa è prodromica a tali provvedimenti, potendo ben collocarsi (anche in via sopravvenuta, come in specie avvenuto) a livello di tavolo interistituzionale.
Alla luce di ciò risultano peraltro superate anche le censure in ordine al richiamo, da parte della sentenza di primo grado, alla revoca ex art. 21- quinquies l. n. 241 del 1990 al fine di legittimare l’operato dell’amministrazione, atteso lo speciale statuto normativo dell’azione amministrativa qui censurata ( i.e. , l’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004), da ritenere legittimo e adeguato a fronte della sopraggiunta intesa con la Regione. In tale contesto, pure le doglianze sul mancato bilanciamento degli interessi coinvolti, la violazione del legittimo affidamento degli appellanti - anche a fronte delle laboriose istruttorie già svolte ai fini della concessione degli spazi originari - la contraddittorietà rispetto alle finalità del tavolo tecnico e il difetto di motivazione sulla ricollocazione delle postazioni si rivelano infondate: a fronte del modulo seguito dall’amministrazione, essa, muovendo dai lavori e risultati del tavolo, ha legittimamente e motivatamente disposto le ricollocazioni (pur temporanee) delle postazioni degli interessati coerentemente con le valutazioni dello stesso tavolo, e rispetto a ciò gli appellanti non possono invocare alcuna violazione del loro legittimo affidamento, rientrando lo spostamento dei posteggi nelle prerogative di cui all’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004, alla luce peraltro della natura concessoria - intrinsecamente conformata rispetto all’interesse pubblico - del rapporto sottostante.
Allo stesso modo si appalesano inammissibili le prospettate questioni di legittimità costituzionale sul nuovo comma 1- ter dell’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004, all’esito delle modifiche introdotte con il d.l. n. 78 del 2015, in quanto ratione temporis inapplicabile alla fattispecie, nonché del comma 1 del medesimo art. 52 a fronte dell’assorbente sopravvenienza della detta intesa con la Regione, nei termini già indicati, in relazione ai lavori e alle conclusioni del tavolo interistituzionale direttamente rilevanti rispetto ai provvedimenti in questa sede impugnati.
L’assorbente sopravvenienza di detta intesa consente peraltro di superare anche le critiche rivolte alla sentenza nella parte in cui essa, nell’interpretare l’art. 52, afferma che le modifiche apportate dai d.l. n. 91 del 2013 e n. 83 del 2014 si risolverebbero in mere variazioni in melius del precedente regime, con riferimento in particolare alle speciali tutele introdotte in favore dei soggetti coinvolti in procedimenti di riesame dei titoli abilitativi posseduti.
6. Con il quarto motivo gli appellanti censurano sotto vari profili i provvedimenti impugnati, in relazione alla violazione dei principi applicabili alla ricollocazione degli esercizi commerciali, all’incompetenza degli organi emananti, nonché all’adozione dei detti provvedimenti prima della conclusione dei lavori del tavolo interistituzionale.
Le doglianze non sono condivisibili per le ragioni di seguito indicate.
6.1.Sotto il primo profilo, gli esercenti lamentano che le vie nelle quali sono state ricollocate le loro postazioni non siano equivalenti ai sensi degli artt. 52, comma 1- ter , del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e 44, comma 3- bis , l. reg. Lazio n. 33 del 1999 (oltreché dell’art. 23 delibera C.c. n. 35 del 2006) a quelle da loro precedentemente occupate. Secondo gli appellanti, inoltre, la mancanza di analoga redditività delle nuove localizzazioni vizierebbe i provvedimenti impugnati anche alla luce del fatto che in essi si fa erroneo e contraddittorio riferimento all’esistenza di “ significativi flussi di utenza ” (in particolare nella determinazione n. 1927 del 17 settembre 2014) e si richiama il criterio della “ prossimità delle soste oggetto di rilocalizzazione alle soste originarie (…) esistenti ” (d.d. n. 1365 del 2015).
Ai fini del rigetto della doglianza è assorbente rilevare come le rilocalizzazioni disposte da Roma Capitale sulla base delle risultanze del tavolo tecnico con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo siano espressamente qualificate come “ localizzazioni transitorie ” - nell’esercizio d’un legittimo potere che, come già chiarito, costituisce un minus rispetto alle previsioni di cui al comma 1- ter - che l’amministrazione civica ha inteso adottare nelle more “ dell’adozione del progetto di riordino generale, delle attività commerciali risultate incompatibili ” ai sensi del più volte citato art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004 (delibera n. 233 del 30 luglio 2014, sopra citata).
Questa decisiva circostanza priva di fondamento le doglianze qui formulate dagli odierni appellanti, poiché essi si pongono nella prospettiva della revoca del titolo commerciale disposta ai sensi delle disposizioni da loro richiamate, mentre nel caso di specie Roma Capitale non ha adottato alcun siffatto provvedimento di ritiro, ma ha solo provveduto a reperire una sistemazione alternativa temporanea agli esercenti il commercio, presso aree pubbliche diverse da quelle nelle quali le ragioni di tutela culturale addotte rendevano incompatibile la prosecuzione dell’attività commerciale. Sicché, come già evidenziato, non ha comunque ragion d’essere - per difetto di presupposto - l’invocato criterio dell’equivalenza di cui all’art. 44, comma 3- bis , l.r. Lazio 18 novembre 1999, n. 33 (legge oggi abrogata dalla l.r. n. 22 del 2019), aggiunto dalla l.r. 25 maggio 2001, n. 12 (cfr., oltre a Cons. Stato, n. 3681 del 2016, cit., anche Id., 23 agosto 2016, n. 3680).
A conclusioni non dissimili deve pervenirsi anche in relazione alla ritenuta violazione del criterio di prossimità nelle rilocalizzazioni: trattasi invero di criterio che ha valore tendenziale e relativo, non potendo valere a legittimare la necessità di assicurare piena e integrale soddisfazione delle esigenze di ciascun esercente, e la cui valorizzazione è d’altra parte ancor più attenuata di fronte a rilocalizzazioni concepite in termini di temporaneità.
In tale contesto, peraltro, in ordine al carattere della temporaneità della ricollocazione, come già posto in risalto da questa Sezione, “ la circostanza che successivamente tale provvedimento [di ricollocazione] sia stato prorogato e che per effetto di tali proroghe l’originaria temporaneità sia, nei fatti, venuta meno, non incide sulla validità del primo provvedimento. Non è configurabile, invero, una sorta di invalidità sopravvenuta del provvedimento amministrativo derivante dal decorso del tempo o dall’adozione di successivi provvedimenti di proroga ” (cfr. Cons. Stato, n. 3813 del 2018, cit.). Anche perché il lamentato pregiudizio sarebbe da ricondurre eventualmente ai (distinti) provvedimenti di proroga, fuori dall’oggetto del presente giudizio.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche in ordine alle doglianze d’inadeguatezza istruttoria e assenza di valide motivazioni circa il mutamento merceologico imposto in relazione ad alcune delle postazioni ( i.e. , una postazione riconducibile alla Cirulli, limitata alla vendita di sole piante e fiori, originariamente autorizzata nel settore “non alimentare”;un’altra facente capo a T T D, assoggettata alla medesima limitazione benché originariamente estesa al settore alimentare, non alimentare e di somministrazione).
Risulta in realtà che le postazioni interessate siano collocate (quella della Cirulli sin dall’origine, quella della Tredicine a seguito dello spostamento) nella zona di piazza di Spagna-Trinità dei Monti, rispetto alla quale la determina n. 1828 del 2015 prevede, in conformità con le valutazioni e conclusioni del tavolo (cfr., in particolare, il verbale del 30 maggio 2014 e l’accordo del 4 agosto 2014;v. anche il verbale della conferenza di servizi del 9 marzo 2015), l’ammissibilità di sola attività di rivendita fiori.
Per tali motivi non è dato riscontrare i profili di lamentata carenza istruttoria e assenza di ragioni nel suddetto mutamento, anch’esso da ricondurre peraltro nella dimensione delle ricollocazioni temporanee operate a valle dei lavori del tavolo.
Né i provvedimenti nel complesso adottati dall’amministrazione sono tali da comportare una violazione dei principi della CEDU o della Carta di Nizza in materia di proprietà, atteso che l’attività svolta dagli esercenti discende - per le modalità con cui è prestata - da un rapporto di natura concessoria con l’amministrazione, assumendo perciò caratteristiche e connotazioni peculiari;in particolare la situazione che ne deriva risulta intrinsecamente conformata rispetto all’interesse pubblico, potendo perciò risentire, nei limiti della ragionevolezza e della legittimità dell’azione amministrativa qui riscontrabili, di ragioni pubbliche che - secondo quanto previsto in specie dall’art. 52 - possono incidere sulla collocazione della postazione utilizzata.
6.2. Parimenti infondate sono le censure d’incompetenza sollevate nei confronti degli atti oggetto di giudizio.
Non può infatti essere condivisa la premessa su cui si fonda il motivo, e cioè che gli atti in questione rientrerebbero tra quelli di natura pianificatoria previsti dall’art. 42, comma 2, lett. b), del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), ed avrebbero pertanto dovuto essere adottati dall’Assemblea capitolina anziché dalla Giunta e dai competenti dirigenti. La disposizione del Testo unico fa in realtà riferimento agli atti di programmazione finanziaria, dei lavori pubblici, territoriali e urbanistici, cosicché né la delibera ex art. 52, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, né tanto meno i successivi provvedimenti di delocalizzazione possono esservi ricondotti.
In particolare, non si ravvisano nel detto art. 52 elementi di carattere testuale che consentano di ricondurre la tipologia di provvedimento previsto alle attribuzioni dell’organo consiliare stabilite nel Testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000;sicché deve ritenersi che la relativa competenza sia devoluta alla Giunta comunale, in virtù della clausola residuale nei confronti della concorrente competenza dell’organo consiliare prevista dall’art. 48, comma 2, del medesimo Testo unico, venendo in rilievo in specie non già un’attività pianificatoria o di governo del territorio stricto sensu , bensì di regolazione del commercio a norma dell’art. 52 ai fini della collocazione dei singoli esercizi.
I successivi provvedimenti di puntuale rilocalizzazione rientrano poi, in difetto di concreti elementi contrari e in coerenza con gli atti di indirizzo, nel potere di gestione amministrativa attribuiti alla dirigenza comunale dall’art. 107 del medesimo Testo unico, nell’ambito del quale quest’ultima è titolata ad emettere « atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo » (comma 2).
Per tali ragioni, né i provvedimenti finali impugnati, né gli atti preliminari e procedimentali risentono dei vizi d’incompetenza denunciati dagli appellanti.
6.3. Deve poi escludersi che gli atti impugnati siano stati adottati violando le garanzie procedimentali previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostenuto dagli appellanti.
In primo luogo, nell’ambito del tavolo tecnico Roma Capitale - Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo nessun diritto partecipativo era riconoscibile in base alla legge a soggetti diversi dagli enti pubblici partecipanti. Questo modulo procedimentale è infatti riconducibile allo schema dell’accordo tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 della citata legge, che a sua volta è lo strumento attraverso cui si realizza una collaborazione istituzionale tra amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di attività di interesse comune, non destinato a tradursi senz’altro in provvedimenti aventi effetti esterni diretti nella sfera giuridica di privati o altri soggetti terzi. Proprio l’assenza di ripercussioni negative per soggetti terzi priva di base fondante l’assunto degli appellanti, diretto all’affermazione delle garanzie partecipative procedimentali anche in sede di accordo fra pubbliche amministrazioni.
La partecipazione ai sensi degli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990 è invece dovuta nelle determinazioni amministrative adottate in esecuzione dell’accordo raggiunto, quando gli impegni raggiunti tra i soli enti pubblici stipulanti vengono portati ad esecuzione attraverso atti aventi valore provvedimentale produttivi di modificazioni sfavorevoli nella sfera giuridica dei destinatari.
Nel caso di specie, gli obblighi discendenti dalla disposizione da ultimo richiamata sono stati regolarmente soddisfatti da Roma Capitale, dal momento che la determinazione n. 1927 del 17 settembre 2014 ha anche costituito l’avvio del procedimento di rilocalizzazione, sulla base della cui pubblicazione gli interessati sono stati posti nelle condizioni d’interloquire - ed hanno effettivamente interloquito - con l’amministrazione.
In particolare detta determinazione prevedeva espressamente la facoltà di presentare osservazioni nel termine di 20 giorni dalla pubblicazione, sicché gli interessati hanno ben avuto modo di partecipare al procedimento. A tal riguardo le determine dirigenziali n. 1365 e 1828 del 16 giugno 2015 relative alla rilocalizzazione danno peraltro espressamente atto del differimento del termine per la presentazione delle osservazioni su richiesta degli aventi diritto e delle associazioni di categoria, così come danno conto della presentazione delle siffatte osservazioni, le quali risultano del resto specificamente esaminate e valutate in sede di conferenza di servizi fra Roma Capitale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Il che è sufficiente al rispetto del contraddittorio procedimentale e dei correlati obblighi motivazionali in capo all’amministrazione.
Né è tanto meno condivisibile la lamentata violazione del regime sulla partecipazione procedimentale rispetto alle associazioni di categoria, atteso che la possibilità d’interloquire con l’amministrazione ha avuto portata generale, mentre non ha di per sé rilievo che le proposte formulate da dette associazioni - anche in altre sedi, segnatamente nell’ambito del dialogo istituzionale con gli organi politici dell’Ente - non siano state recepite nelle determinazioni provvedimentali dell’amministrazione (peraltro nessun rilievo possono avere, a tal fine, le proposte e richieste richiamate dagli appellanti successive all’adozione dei provvedimenti impugnati);allo stesso modo, gli appellanti non possono dolersi che le osservazioni proposte in altre sedi non siano di per sé confluite nel procedimento de quo , dal momento che la partecipazione era ivi assicurata (e doveva avvenire) con le modalità previste dall’atto di avvio del procedimento. D’altra parte, anche il riferimento alla previsione di cui all’art. 35 l.r. n. 1999 (e al relativo richiamo all’art. 28 d. lgs. n. 114 del 1998) è inconferente, atteso che la disposizione riguarda l’ipotesi dell’adozione dei provvedimenti attuativi del Documento programmatico per il commercio su aree pubbliche, da adottarsi entro 180 dall’emanazione di quest’ultimo e, successivamente, con cadenza triennale, mentre lo stesso art. 28 riguarda l’attività regolatoria attribuita alla regione.
Di qui la complessiva infondatezza della doglianza.
6.4. Si dolgono ancora gli appellanti che le amministrazioni partecipanti al tavolo tecnico Roma Capitale - Ministero dei beni e le attività culturali e per il turismo non sarebbero pervenute a un giudizio definitivo e compiuto di incompatibilità del commercio su area pubblica con le esigenze di tutela culturale del centro storico di Roma, non essendo stati i lavori del tavolo ancora completati;sarebbe stata l’amministrazione comunale, per converso, ad avviare autonomamente la rilocalizzazione prima che i lavori del tavolo fossero chiusi, avocando nella sostanza a sé poteri che avrebbero dovuto essere esercitati d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Così operando Roma Capitale sarebbe incorsa complessivamente in uno sviamento di potere, approfittando dell’istituzione del tavolo interistituzionale per dar luogo autonomamente all’illegittimo spostamento delle postazioni controverse.
In senso inverso, s’è già rilevato come la ricollocazione delle postazioni sia avvenuta all’esito e in coerenza con il tavolo interistituzionale il quale, pur costituendo strumento di collaborazione fra i diversi livelli di governo coinvolti, non altera le competenze funzionali né incide sui poteri di ciascuna amministrazione ( retro , sub § 2.1.1).
Per questo, riconosciuti i poteri dell’amministrazione civica in ordine alla rilocalizzazione nei termini suindicati ( i.e. , ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 42 del 2004) non è ravvisabile alcuno sviamento di potere nell’adozione degli atti comunali in funzione delle valutazioni del tavolo - che i suddetti atti non contraddicono - né alla luce del mancato esaurimento delle attività del tavolo stesso, che non vale a rendere illegittimi i provvedimenti di rilocalizzazione, tanto più che la stessa rilocalizzazione aveva carattere di temporaneità e risultava coerente con le conclusioni (già) raggiunte dal tavolo sulle aree territoriali n. 1 e 2.
Non sono infine condivisibili le doglianze sulla disparità di trattamento subita dagli appellanti rispetto a una singola categoria di commercianti su aree pubbliche, i cd. “urtisti” (venditori di souvenir , cartoline, statuine di imperatori e pari e immagini sacre), beneficiari di una ricollocazione temporanea più favorevole, oltreché di più ampia partecipazione procedimentale.
Come emerge infatti dagli atti impugnati (ed in particolare dalla delibera di Giunta n. 233 del 30 luglio 2014) il trattamento parzialmente differenziato (anche in sede partecipativa procedimentale) riconosciuto alla tradizionale categoria di esercenti costituita dagli urtisti è stato correlato alle sue specifiche caratteristiche, ed in particolare al rilievo storico e identitario rispetto alla connotazione immateriale di Roma (che in relazione al decoro urbano può venire ad emergere, in termini valoriali, quale non tipizzata espressione d’identità culturale collettiva: cfr. l’art. 7- bis del Codice), derivante dalle risalenti origine storiche e dalle particolari caratteristiche di questa ristretta forma di commercio su strada.
Quindi, nell’ambito di provvedimenti che sono essenzialmente strumentali alla salvaguardia del decoro urbano romano, quali quelli che formano oggetto del presente giudizio, la descritta circostanza, non contestata dagli appellanti, rappresenta una sufficiente giustificazione per un trattamento parzialmente differenziato a beneficio della categoria.
7. In conclusione, per tutte le suindicate ragioni, l’appello va respinto.
8. Stante la complessità e delicatezza della fattispecie ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite fra le parti.