Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-12-05, n. 202310513

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-12-05, n. 202310513
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202310513
Data del deposito : 5 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/12/2023

N. 10513/2023REG.PROV.COLL.

N. 09799/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9799 del 2019, proposto da
M Arredamenti di M Gino &
C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A M, P e A M, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Alberico II 33;

contro

Comune di Codogné, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato M D B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L L, in Roma, via del Viminale 43;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione seconda) n. 905/2019


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Codogné;

Vista l’ordinanza cautelare della VI sezione di questo Consiglio di Stato del 27 gennaio 2020, n. 353;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 10 novembre 2023 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Andrea Michelan e M D B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La M Arredamenti di M Gino &
C. s.n.c., esercente l’attività lavorazione e produzione di mobili e di componenti per mobili e arredamenti in legno e in altri materiali, attraverso l’impianto produttivo artigianale sito nel Comune di Codognè, via Ancillotto 25, censito a catasto al foglio 13, particella 177, sub. 14, ricadente in zona urbanisticamente tipizzata come agricola (nuclei residenziali agricoli), agisce nel presente giudizio per l’annullamento dell’ordinanza comunale del 28 maggio 2018, n. 24, con cui le è stata ingiunta la demolizione del manufatto di mitigazione acustica delle emissioni rumorose provenienti dallo stabilimento produttivo.

2. Il manufatto in questione consiste in una barriera fonoassorbente delle dimensioni di 4 metri lineari di lunghezza per 4 metri di altezza, posta a 50 cm dal confine con la proprietà M Graziano e altri (area cortilizia pertinenziale, censita al foglio 5, mappale 385), così come accertato nel corso del sopralluogo della polizia municipale in data 14 maggio 2018, sulla cui base veniva emesso il provvedimento impugnato. L’opera era stata installata dalla società ricorrente in forza della s.c.i.a. presentata il 27 luglio 2016 (prot. n. 7539), nell’ambito del progetto di « completamento della recinzione esistente mediante posa della rete metallica e paletti nonché posa di una barriera fonoassorbente » (così nella relazione tecnica allegata), nella quale la stessa veniva qualificata come manufatto tecnologico. Essa era posta a chiusura del cortile pertinenziale dello stabilimento rivolto verso est - già recintato mediante paletti e rete metallica, ad eccezione di un tratto di 7,70 metri lineari - confinante con le vicine proprietà, utilizzate a scopi residenziali da alcuni familiari del titolare della società ricorrente Gino M, tra cui il menzionato Graziano M.

3. Da questi ultimi (lo stesso Graziano M e Lino M, cointestatario del menzionato mappale 385) erano giunte segnalazioni sulle emissioni rumorose provenienti dall’impianto produttivo, alle quali avevano fatto seguito i conseguenti accertamenti svolti dall’ARPAV e l’ingiunzione dell’amministrazione comunale ad adottare gli interventi necessari di mitigazione acustica « in particolare riguardo le aree confinanti con le abitazioni » (ordinanza in data 30 maggio 2016, n. 20). In ragione di ciò la medesima barriera fonoassorbente era indicata dalla società come opera rientrante nel piano di mitigazione acustica, presentato dalla società al Comune in data 1° agosto 2016 (prot. n. 7661), in riscontro all’ordinanza comunale da ultimo menzionata.

4. Nel provvedimento impugnato veniva dato atto che contrariamente alla sua qualificazione come « manufatto tecnologico » ai sensi dell’art. 34 del regolamento edilizio comunale, data dalla società nella propria s.c.i.a., lo stesso doveva invece essere considerato come un intervento di nuova costruzione ex art. 3 del testo unico dell’edilizia di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, posto ad una distanza dal confine inferiore a quella minima di tre metri prevista dalla normativa urbanistica vigente e per il quale non era inoltre stato acquisito alcun « atto di assenso del confinante ».

5. L’impugnazione contro il provvedimento i cui contenuti sono così sintetizzabili, proposta in primo grado davanti al Tribunale amministrativo per il Veneto, è stata respinta con la sentenza indicata in epigrafe.

6. La pronuncia di primo grado ha innanzitutto statuito che l’ingiunzione a demolire era legittimamente fondata sulla mancanza di un titolo edilizio, invece necessario per le caratteristiche dell’opera;
ed inoltre che la sua emanazione non era subordinata all’esercizio del potere di autotutela nei confronti della relativa segnalazione certificata di inizio attività a suo tempo presentata dalla società ricorrente, dal momento che l’efficacia di questa era stata inibita con provvedimento comunale (prot. n. 8754 dell’8 settembre 2016), che pur intervenuto dopo lo spirare del termine di 30 giorni previsto dall’art. 23, commi 1 e 6, del testo unico dell’edilizia, era nondimeno rimasto inoppugnato, e rispetto al quale la società interessata era quindi da considerarsi acquiescente.

7. Con riguardo alle ulteriori censure dedotte in ricorso, sono stati esclusi profili di contraddittorietà nell’operato dell’amministrazione comunale, nella misura in cui questa si era limitata a sollecitare « doverose opere di abbattimento del rumore » in attesa che venisse prodotta la documentazione richiesta con l’atto di inibitoria dell’efficacia della s.c.i.a.;
l’ingiunzione a demolire era pertanto da qualificare come atto di inibitoria dell’efficacia della medesima s.c.i.a., ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e non già di sospensione in via provvisoria dei lavori, per cui non era predicabile la cessazione della sua efficacia allo spirare del termine di 45 giorni ex art. 27, comma 3, del testo unico dell’edilizia. Né tanto meno l’atto impugnato poteva essere qualificato come di annullamento in autotutela della medesima della s.c.i.a., in tesi intervenuto oltre il termine di 18 mesi previsto dall’art. 21- nonies , comma 1, della medesima legge generale sul procedimento amministrativo, poiché la s.c.i.a. non si era consolidata per effetto del menzionato atto comunale di inibitoria dell’8 settembre 2016.

8. Quindi, la sentenza di primo grado ha respinto le censure concernenti la contestata violazione delle distanze dal confine. Ha innanzitutto escluso che fosse applicabile la deroga alla distanza minima dal confine prevista dalla vigente disciplina urbanistica, operante nella sola ipotesi di manufatti di modeste dimensioni, non ravvisabile nel caso di specie, ed inoltre condizionata ad una valutazione caso per caso. Sul punto ha rilevato che il provvedimento impugnato aveva legittimamente escluso la barriera fonoassorbente dall’ambito di applicazione della deroga, « in ragione del suo notevole impatto dato che comporta la costruzione di un muro di 4 m di altezza e 11 m di lunghezza ».

9. Di seguito è stato poi respinto l’assunto secondo cui nel caso di specie non sarebbe applicabile l’obbligo di rispetto della distanza minima di tre metri dal confine, previsto dall’art. 16 delle norme tecniche operative dello strumento urbanistico generale (programma degli interventi). A questo riguardo la sentenza ha statuito che, per un verso, la variante con cui la disposizione è stata introdotta è stata adottata con deliberazione consiliare del 27 luglio 2016, n. 26, « in regime di salvaguardia al momento della presentazione della segnalazione certificata di inizio attività »;
e per altro verso che in ogni caso la s.c.i.a. non aveva consolidato i propri effetti, come in precedenza stabilito.

10. Infine, sul rilievo che il menzionato art. 16 delle norme tecniche operative prescrive l’obbligatorio rispetto della distanza di 3 m dal confine, è stato escluso che potesse operare il principio civilistico di prevenzione in materia di distanze dalle costruzioni su fondi confinanti, e dunque fosse consentito di costruire lungo il confine in aderenza o in appoggio, in assenza di opere analoghe sull’altrui proprietà.

11. Le statuizioni così sintetizzate sono impugnate dalla società M Arredamenti s.n.c. a mezzo del presente appello, in resistenza del quale si è costituito il Comune di Codogné.

DIRITTO

1. In via preliminare va dato atto che l’appello non è stato notificato al signor Graziano M, sopra menzionato, comproprietario dell’area confinante con quella pertinenziale allo stabilimento produttivo della società ricorrente e da questa evocato in giudizio in primo grado, oltre che coautore dell’esposto sulla cui base hanno preso avvio gli accertamenti dell’ARPAV e dell’esposto (in data 11 maggio 2018) relativo all’installazione della barriera. Tuttavia, nella presente controversia quest’ultimo non riveste la qualità di parte necessaria, ed in particolare di controinteressato. Il presente giudizio è infatti di annullamento di un ordine di demolizione di un manufatto edilizio, rispetto al quale non sono ravvisabili interessi giuridicamente rilevanti alla sua conservazione, nemmeno in ragione dell’atto con cui l’abuso è stato posto a conoscenza della competente autorità comunale. Quest’ultima è infatti titolata in ogni caso ad intervenire, in base al proprio potere di vigilanza in materia urbanistico-edilizia ex art. 27 del testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, a prescindere da segnalazioni di cittadini. Pertanto non è configurabile alcun difetto di integrità del contraddittorio in relazione al quale si debba ricorrere all’ordine ex art. 95, comma 3, cod. proc. amm. e l’appello può essere deciso nel merito.

2. A questo riguardo, con il primo motivo di appello viene censurata la statuizione della sentenza di rigetto della doglianza sulla pretesa inapplicabilità della distanza minima di 3 metri dal confine prevista dall’art. 16 delle norme tecniche operative dello strumento urbanistico generale, introdotta con la variante definitivamente approva con delibera consiliare in data 20 febbraio 2017, n. 3, in tesi derivante dal precedente consolidamento degli effetti della s.c.i.a. anteriormente all’entrata in vigore della norma urbanistica in regime di salvaguardia, con la menzionata delibera del 27 luglio 2016, n. 26. Sul punto si contesta la pretesa acquiescenza alla sopra menzionata nota comunale dell’8 settembre 2016 con cui questa è stata sospesa, come ricavabile dallo stesso contraddittorio operato dell’amministrazione, che con comunicazione del 5 ottobre 2016, prot. n. 9757, e con altre successive di analogo tenore, aveva sollecitato l’ultimazione dei lavori di mitigazione acustica. L’operato del Comune di Codogné si paleserebbe quindi contraddittorio, per avere dapprima richiesto l’esecuzione delle opere previste nella s.c.i.a. « a suon di note ed ordinanze », per poi ingiungerne la demolizione una volta che queste erano state realizzate. Sotto un diverso profilo, l’appello ribadisce che l’ordine di demolizione impugnato è intervenuto quando era già decorso il termine di legge per l’esercizio del potere di autotutela, ai sensi del sopra citato art. 21- nonies , comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. Con il secondo mezzo la sentenza è censurata nella parte in cui ha statuito l’applicabilità del citato art. 16 delle norme tecniche operative, in regime di salvaguardia, in seguito alla variante adottata con la più volte citata deliberazione consiliare n. 26 del 27 luglio 2016. In contrario si deduce che la delibera ha escluso dall’ambito di applicazione della distanza minima di 3 metri dal confine delle costruzioni gli interventi da realizzare nelle zone agricole, in base alle norme transitorie contenute nell’art. 48 della legge regionale per il Veneto 23 aprile 2004, n. 11 ( Norme per il governo del territorio ). A questo riguardo viene sottolineato che secondo il regime transitorio sarebbero rimasti consentiti gli interventi di recupero dei fabbricati esistenti in zona agricola - impropria ZTO E, « attività produttiva da confermare », purché eseguiti nel rispetto integrale degli « interventi di cui alle lettere a), b), c) e d) dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 ». Nell’ipotesi in questione rientrerebbero quindi gli interventi di manutenzione straordinaria, tra cui le opere e le modifiche per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso (lett b). Nella descritta prospettiva si sostiene ulteriormente che la barriera fonoassorbente sarebbe conforme all’art. 27 delle norme tecniche operative dello strumento urbanistico generale (programma di interventi), che ammette interventi di straordinaria manutenzione volti all’adeguamento delle condizioni di igiene ambientale (nel caso di specie, si osserva di interesse generale per l’ambiente), non determinati aumento di superficie e volume e conseguentemente non rilevanti ai fini delle distanze.

4. Con il terzo motivo d’appello viene ribadito che l’intervento oggetto di contestazione avrebbe natura di « manufatto tecnologico », installabile anche a distanza inferiore da quella prevista per la zona urbanistica interessata in base all’art. 34 del regolamento edilizio comunale, come prospettato nella s.c.i.a. presentata per la realizzazione dell’opera, mentre sarebbe errata la sua qualificazione come nuova costruzione, posta a fondamento dell’ordine di demolizione impugnato. La sentenza avrebbe violato la citata disposizione regolamentare nella parte in cui ha escluso che la barriera fonoassorbente non sarebbe un manufatto di « modeste dimensioni ».

5. Così sintetizzate le censure di cui si compone l’appello, sono fondate, con carattere assorbente, quelle del primo motivo con cui si deduce la contraddittorietà dell’operato dell’amministrazione comunale.

6. Sul punto deve innanzitutto escludersi che la s.c.i.a. presentata in data 27 luglio 2016, ed assunta al protocollo comunale al n. 7539, si sia consolidata, come invece deduce la società ricorrente nel medesimo motivo d’appello. L’assunto postula che la barriera fonoassorbente abbia rilievo esclusivamente edilizio, in contrasto con il fatto, invece pacifico per la stessa ricorrente e coerente con il suo operato nella presente vicenda contenziosa, che essa si colloca nell’ambito dell’intervento di bonifica acustica per il quale l’opera oggetto della medesima s.c.i.a. è stata fatta confluire ed integrata nella s.c.i.a. presentata all’amministrazione comunale in data 1° agosto 2016, ed assunta al protocollo n. 7661. Quest’ultima pratica è quella citata nella corrispondenza tra le parti, e nello specifico non solo dal Comune di Codogné, ma dalla stessa società, in particolare nell’istanza in data 19 ottobre 2016, di convocazione della conferenza di servizi per l’approvazione del piano di bonifica acustica. Pertanto, come dedotto dall’amministrazione comunale resistente sin dalle proprie difese nel giudizio di primo grado, non è applicabile il termine di consolidamento dell’efficacia della s.c.i.a. di 30 giorni in materia edilizia, previsto dagli artt. 23, commi 1 e 6, DPR 6 giugno 2001, n. 380, sopra citati, e 19, comma 6- bis , della legge 7 agosto 1990, n. 241, ma quello di 60 giorni previsto in generale dal parimenti richiamato art. 19, comma 3, della medesima legge generale sul procedimento amministrativo, nel caso di specie non spirato all’8 settembre 2016. In via di ulteriore conseguenza, deve pertanto escludersi che l’amministrazione dovesse intervenire nelle forme dell’autotutela, come invece sostiene la società ricorrente.

7. Nondimeno, l’operato del Comune di Codogné non resiste alle censure di contraddittorietà dedotte da quest’ultima, ed insite nel fatto che dopo la sospensione della s.c.i.a., di cui alla più volte richiamata nota di prot. n. 8754 dell’8 settembre 2016, motivata dall’esigenza di acquisire l’« atto di assenso del confinante per costruzioni a distanza minore dal confine e/o rispetto delle distanze a sensi del codice civile », e il parere dell’ARPAV « in merito al piano di bonifica », a meno di un mese di distanza, con la parimenti menzionata nota di prot. n. 9757 del 5 ottobre successivo, la stessa amministrazione comunale, constatato che « a tutt’oggi non risulta pervenuta nessuna comunicazione di fine lavori, né tanto meno alcun riscontro alla richiesta di integrazione (…) al piano di bonifica » presentato dalla società ricorrente, ha sollecitato la stessa a realizzarli e portarli a conclusione nel termine di 60 giorni. Come dedotto da quest’ultima, all’atto ora menzionato ha fatto seguito un’ulteriore diffida a realizzare i lavori previsti nell’ambito del piano di bonifica, di cui alla nota comunale del 21 febbraio 2018, n. prot. 2016.

8. La contraddittorietà dell’operato del Comune di Codogné è nello specifico ravvisabile nel fatto di avere sollecitato la ricorrente ad eseguire i lavori di cui alla s.c.i.a. edilizia in origine presentata dalla società ricorrente, in data 27 giugno 2016, poi confluita in quella per gli interventi di mitigazione acustica ingiunti a quest’ultima con la sopra menzionata ordinanza in data 30 maggio 2016, n. 20, e nella quale le caratteristiche della barriera fonoassorbente e la sua collocazione erano stato esposte all’amministrazione. Pertanto, diversamente da quanto statuito dalla sentenza di primo grado, nessun onere di impugnazione della sospensione della s.c.i.a., di cui alla nota comunale di prot. n. 8754 dell’8 settembre 2016, è nel caso di specie ravvisabile, posto che lo stesso Comune di Codogné ha tenuto un comportamento da cui poteva ragionevolmente desumersi che le esigenze istruttorie prospettate in quest’ultimo atto fossero state considerate non ostative all’immediata realizzazione dell’opera. Tanto meno può prospettarsi alcun consolidamento dell’atto di sospensione. Nella medesima direzione va inoltre sottolineato che l’amministrazione comunale non ha mai sollevato alcun profilo di contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente nell’area interessata prima dell’ingiunzione di demolizione impugnata nel presente giudizio, emessa in seguito agli accertamenti svolti in seguito all’esposto del confinante Graziano M in data 11 maggio 2018, in precedenza richiamato.

9. Con riguardo alla questione del consenso dei confinanti indicato nell’inibitoria, va poi dato atto che la società ricorrente ha acquisito il consenso del proprietario di un fondo adiacente a quello su cui è situato lo stabilimento produttivo, attraverso l’atto di costituzione di servitù in data 19 ottobre 2016 da parte del signor Denis Mora, proprietario del confinante mappale n. 177, subalterno 23. Quindi, per dirimere le questioni concernenti la capacità di assorbimento acustico della barriera fonoassorbente la medesima ricorrente aveva chiesto al Comune di Codogné di convocare, con la menzionata nota in pari data, la conferenza di servizi per l’approvazione del progetto a suo tempo presentato.

10. A quest’ultimo riguardo l’amministrazione comunale sottolinea che l’ARPAV si sarebbe espressa in senso negativo, a causa dell’assenza di calcoli sull’« attenuazione sonora attesa » (così nella nota di prot. n. 10729 del 29 ottobre 2016). Tuttavia, dal tenore complessivo dell’atto, non espresso nella sede propria della conferenza, che non risulta mai convocata, non è ricavabile alcun diniego definitivo, ma solo l’esigenza di ottenere « integrazioni sugli aspetti ora evidenziati ». Come inoltre aggiunge sul punto la stessa amministrazione, a quest’ultimo atto ha poi fatto seguito l’ulteriore diffida alla società ricorrente in data 21 febbraio 2018, menzionata in precedenza, affinché questa provvedesse ad eseguirne i lavori previsti nell’ambito del piano di bonifica acustica a suo tempo presentato. La circostanza da ultimo menzionata si inserisce quindi nel contesto finora descritto e conferma dell’atteggiamento contraddittorio complessivamente tenuto nella vicenda contenziosa.

11. Per quanto riguarda la carenza segnalata dall’ARPAV, va poi sottolineato che a mezzo di apposita relazione tecnica, depositata dalla società ricorrente in vista dell’udienza di discussione del presente appello, sarebbe stata dimostrata l’efficienza dell’opera sotto il profilo della mitigazione acustica. Si tratta di un atto che contrariamente a quanto eccepito sul punto dall’amministrazione comunale resistente appare indispensabile ai sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm. per la decisione del presente appello, anche alla luce dei più recenti sviluppi della vicenda, riferiti dalle parti nei loro scritti conclusionali, e contraddistinti dal fatto che nei confronti dell’opera è stata nuovamente ingiunta la demolizione, contro la quale pende in primo grado un separato giudizio.

12. In accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza di primo grado il ricorso della M Arredamenti va accolto, per cui va annullato l’ordinanza di demolizione con esso impugnata. La complessità della vicenda controversa giustifica nondimeno la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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