Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-06-25, n. 201904357
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Pubblicato il 25/06/2019
N. 04357/2019REG.PROV.COLL.
N. 07149/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7149 del 2016, proposto dalla:
Società Cattolica di Assicurazione S.c. a r.l. in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati A L, P F, E G, A P P e C P, con domicilio eletto presso lo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli &partners in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;
contro
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
della Cribis Teleservice S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliano Berruti e Luca Toffoletti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Berruti in Roma, via delle Quattro Fontane, 161;
della Credit Network &Finance S.p.a., non costituita in giudizio;
per l’annullamento ovvero la riforma
previa sospensione
della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I, 17 maggio 2016 n.5809, resa fra le parti, che ha respinto il ricorso n. 14548/201,5 proposto per l’annullamento dei seguenti atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM:
a) del provvedimento 7 ottobre 2015 n.25642, di irrogazione alla Società Cattolica Assicurazioni S.c. a r.l. di una sanzione pecuniaria per pratica commerciale scorretta;
b) del provvedimento 29 maggio 2015 prot. n.37647, di non accoglimento degli impegni proposti dalla medesima Cattolica Assicurazioni;
di ogni atto presupposto, connesso o consequenziale e in particolare:
c) della comunicazione di avvio del procedimento 20 febbraio 2015 prot. n.18540;
d) della comunicazione di termine della fase istruttoria del procedimento 5 agosto 2015 prot. n.50402;
e) della comunicazione di proroga del termine del procedimento 25 maggio 2015 prot. n.36632;
f) del regolamento sulle procedure istruttorie adottato con deliberazione 5 aprile 2014 e successiva modifica 1 maggio 2015;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità e della Cribis Teleservice S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato A L, l’avvocato dello Stato Andrea Giordano e l’avvocato Giuliano Berruti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente appellante è un’impresa operante nel settore delle assicurazioni in ogni ramo, e quindi un professionista ai sensi dell’art. 18 lettera b) del Codice del consumo, d. lgs. 6 settembre 2005 n.206.
2. Le intimate sono a loro volta imprese, e quindi professionisti ai sensi della norma citata, attive nel settore del recupero crediti su mandato di terzi, cosiddette società di service .
3. L’Autorità ha proceduto a loro carico, sulla base della segnalazione di un cittadino pervenutale il giorno 25 ottobre 2013 (doc. 17 in I grado ricorrente appellante, copia di essa), per una pratica commerciale nei confronti dei consumatori, ai sensi dell’art. 18 lettera d) del Codice del consumo, ritenuta scorretta, pratica consistente nell’avere inoltrato, direttamente o a mezzo delle società di service predette, atti di citazione avanti il Giudice di pace - per il recupero di propri crediti, relativi a premi o franchigie non pagate- con l’indicazione di una data di udienza fittizia, senza il rispetto del foro competente per territorio e senza poi iscrivere a ruolo la causa (doc. A in I grado ricorrente appellante, provvedimento di sanzione impugnato).
4. In dettaglio, l’Autorità ha proceduto così come segue.
4.1 Con la nota 20 febbraio 2015 prot. n.18540, ha comunicato l’avvio del procedimento (doc. erroneamente indicato come C in I grado nella narrativa del ricorso, ma non presente nel foliario;il documento è comunque in atti come doc. 2 in I grado dell’Autorità).
4.2 Con la nota 26 maggio 2015 prot. n.36632 (doc. D in I grado ricorrente appellante) ha prorogato il termine di conclusione del procedimento stesso al 9 agosto 2015.
4.3 Con atto 29 maggio 2015 prot. n.37647 (doc. B in I grado ricorrente appellante), ha comunicato di non accogliere gli impegni presentati dalla ricorrente appellante ai sensi dell’art. 27 comma 7 del Codice. Come si ricorda per chiarezza, la norma citata prevede che “ Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l'Autorità può ottenere dal professionista responsabile l'assunzione dell'impegno di porre fine all'infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L'Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione dell'impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all'accertamento dell'infrazione.”. Nel caso di specie, l’Autorità ha ritenuto che le condotte contestate, ove accertate, potessero appunto integrare un caso di “ manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale ”, per il quale la dichiarazione di impegno non è efficace, e ciò in quanto si trattava di condotte con un “elevato grado di offensività in quanto suscettibili di falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori interessati e sono state realizzate con ampia diffusione su scala nazionale” (doc. B in I grado ricorrente appellante, atto citato).
4.4 Con la nota 25 giugno 2015 prot. n.42489 (doc. E in I grado ricorrente appellante), l’Autorità ha ancora prorogato il termine di conclusione del procedimento al giorno 8 ottobre 2015.
4.5 Con la nota 5 agosto 2015 prot. n.50402, ha comunicato il termine di conclusione della fase istruttoria al giorno 11 settembre 2015 (doc. C in I grado ricorrente appellante, nota in questione).
4.6 Da ultimo, con il provvedimento 7 ottobre 2015 n.25642, l’Autorità ha riconosciuto la sussistenza della pratica commerciale scorretta contestata, ne ha ritenuto responsabile la sola ricorrente appellante, ad esclusione delle due società di service , e le ha applicato una sanzione pecuniaria di 2 milioni di euro, ai sensi dell’art. 27 comma 9 del Codice del consumo (doc. A in I grado ricorrente appellante, provvedimento di sanzione).
5. In sintesi, nel provvedimento di sanzione citato, l’Autorità per il periodo dal 2010 al 2014 ha accertato quanto segue.
5.1 Anzitutto, ha accertato che la ricorrente appellante aveva affidato alla prima società di service il recupero di un primo gruppo di crediti;per gli stessi, erano stati notificati ad altrettanti consumatori circa 2.000 atti di citazione in cui la sola ricorrente appellante, senza menzione della società di service, risultava attrice. Tali atti convenivano il consumatore avanti il foro di Verona, indipendentemente dalla sua residenza, recavano indicata una data di prima comparizione fittizia;circa 1.700 di essi risultavano poi non iscritti a ruolo.
5.2 L’Autorità ha poi accertato che la prima società di service, su incarico della ricorrente appellante, nello stesso periodo aveva notificato agendo come attrice mandataria della creditrice, un secondo gruppo di circa 360 atti, pressoché tutti con citazione a comparire nel luogo di residenza e regolarmente iscritti a ruolo.
5.3 L’Autorità ha infine accertato una situazione simile per la seconda società di service, che, sempre nel periodo di riferimento, aveva notificato, sempre come attrice mandataria della creditrice, un terzo gruppo di circa 1.000 atti, tutti con citazione nel luogo di residenza e iscritti a ruolo nella maggior parte dei casi.
5.4 Ciò posto, l’Autorità ha ritenuto la responsabilità della ricorrente appellante per gli atti del primo gruppo “in considerazione del fatto che figura, come unica parte attrice, negli atti di citazione, redatti da un avvocato che agisce con procura generale diretta rilasciata … ben prima che l’attività del recupero dei crediti venisse esternalizzata a soggetti specializzati, notificati presso il foro di Verona indipendentemente dalla residenza del consumatore e il consumatore non può che cogliere che l'atto di citazione notificato pervenga direttamente da tale società”.
5.5 L’Autorità stessa, lo si aggiunge per completezza, ha invece escluso la responsabilità delle società di service, in base alla sostanziale regolarità della condotta da esse tenuta.
5.6 Tanto premesso, l’Autorità stessa ha ritenuto che la condotta accertata costituisca effettivamente “pratica commerciale scorretta e aggressiva” ai sensi degli artt. 24 e 25 del Codice. Ha infatti osservato che “essa è volta … non a esercitare un legittimo diritto di recupero in sede giudiziale del credito, ma a determinare nel consumatore medio un indebito condizionamento, ingenerando il convincimento che sia preferibile provvedere al pagamento dell'importo richiesto, piuttosto che esporsi ad un contenzioso giudiziario presso una sede lontana e non agevole. La citazione in giudizio presso una sede diversa da quella territorialmente competente è infatti una pratica idonea a esercitare, nei confronti dei destinatari, un notevole grado di pressione psicologica suscettibile, nella sostanza, di determinare un significativo condizionamento delle scelte e dei comportamenti”.
5.7 Di conseguenza, l’Autorità ha irrogato la sanzione di cui s’è detto, determinata tenendo conto “della dimensione economica del professionista” nonché “della natura dell’infrazione”, del pregiudizio arrecato ai consumatori e dell’arco di tempo protratto in cui la condotta è stata commessa (per tutto ciò, doc. A in I grado ricorrente appellante, cit.).
6. L’impresa sanzionata ha proposto ricorso avanti il TAR contro tale provvedimento.
7. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto tale ricorso: in motivazione, ha in primo luogo ritenuto non contestata, e comunque corretta la qualificazione della prassi commerciale in questione come scorretta ed aggressiva;ha poi respinto tutti i motivi dedotti, ritenendone in particolare il carattere solo procedurale.
8. Contro tale sentenza, la ricorrente in primo grado propone impugnazione, in cui premette di non considerare comunque come scorretta la prassi contestatale;deduce poi i sei motivi che seguono:
- con il primo di essi, deduce violazione degli artt. 19 e 27 del Codice del consumo, e sostiene che competente a sanzionare la condotta contestatale sarebbe stato l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni – IVASS, e che comunque, anche a ritenere la competenza dell’Autorità, essa avrebbe dovuto comunque acquisire il previo parere dell’Istituto stesso;
- con il secondo motivo, deduce violazione degli artt. 20, 22, 24, 25 e 26 del Codice del consumo e 3 della l. 7 agosto 1990 n.241, e sostiene che non sarebbe dimostrato che la condotta contestatale sia a lei imputabile, avendo ella affidato il recupero dei propri crediti a professionisti, ovvero all’impresa di service e all’avvocato che ha predisposto gli atti, che agivano in piena autonomia;
- con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 7 commi 1 e 3 del regolamento di procedura citato in epigrafe, nonché dell’art. 14 della l. 24 novembre 1981 n.689, e sostiene l’illegittimità delle proroghe di durata del procedimento disposte dall’Autorità;
- con il quarto motivo, deduce violazione dell’art. 27 comma 11 del Codice, per violazione del principio del contraddittorio, nel senso che non le sarebbero stati compiutamente contestati gli addebiti;
- con il quinto motivo, deduce violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, e sostiene che il provvedimento di rigetto degli impegni non sarebbe motivato in modo congruo;
- con il sesto motivo, deduce infine eccesso di potere in ordine alla determinazione della sanzione, che considera in ogni caso eccessiva.
9. Hanno resistito l’amministrazione intimata, con memorie 30 settembre e 14 ottobre 2016, e l’intimata, con memorie 24 ottobre 2016, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto.
10. Alla camera di consiglio del 27 ottobre 2016, la domanda cautelare è stata riunita al merito.
11. Con memoria 23 giugno 2017, l’amministrazione ha ribadito le proprie difese.
12. La Sezione, con ordinanza 20 luglio 2017 n.3950, ha preso in considerazione il primo motivo di appello, che come si è detto, deduce l’incompetenza dell’autorità la quale ha applicato la sanzione per cui è processo, ovvero dell’AGCM, in favore dell’autorità di settore, ovvero dell’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni – IVASS, ai sensi del Codice delle assicurazioni private, osservando come, per costante giurisprudenza, per tutte C.d.S. sez. IV 1 marzo 2017 n.941 e 12 marzo 1996 n.310, esso dovesse essere esaminato per primo, in quanto, ove fondato avrebbe precluso di decidere il merito della controversia in base ad ogni altra censura dedotta, che si sarebbe quindi dovuto dichiarare assorbita. Ha poi osservato che, tanto premesso, la questione di competenza in esame si doveva ritenere collegata alla corretta interpretazione delle norme dettate in materia dalla normativa europea e nazionale in tema di protezione del consumatore in generale, nei termini di cui si dirà più avanti. Ciò posto, ha preso atto che nella citata memoria 27 giugno 2017, la ricorrente appellante aveva in sintesi chiesto di rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione ai sensi dell’art. 267 comma 3 TFUE la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con le norme europee sopra citate della una normativa nazionale qui applicata, la quale, secondo l’interpretazione fatta propria dall’Autorità, riconduce comunque alla competenza dell’Autorità stessa le pratiche commerciali scorrette collegate alla vendita di servizi assicurativi;ha quindi osservato che due questioni identiche erano già state sottoposte al giudizio della Corte in sede di rinvio pregiudiziale, nei termini di cui si dirà, e quindi ha sospeso il presente giudizio in attesa delle relative pronunce in sede europea.
13. Intervenute le decisioni stesse, con la sentenza Corte di giustizia dell’Unione europea sez. II 13 settembre 2018 C-54/17 e 55/17 e con l’ordinanza della stessa Corte sez. X 14 maggio 2019 da C-406/17 a 408/17 e C.417/17, le parti, con memoria 14 maggio 2019 per la ricorrente appellante e 17 maggio 2019 per l’Autorità, hanno ribadito le rispettive asserite ragioni.
14. All’udienza del giorno 30 maggio 2019, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.
15. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.
16. Il primo motivo, incentrato quanto al primo profilo, sulla presunta incompetenza dell’Autorità in favore di quella dell’IVASS, è infondato, E’ necessario riepilogare i termini esatti della questione, già trattati nell’ordinanza 3590/2017 di cui si è detto.
16.1 Il punto di partenza è rappresentato dalla direttiva 2005/29/CE del giorno 11 maggio 2005, la quale, per quanto qui interessa, al “ considerando ” 10 dispone che “ È necessario garantire un rapporto coerente tra la presente direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici… Di conseguenza, la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore… ” La stessa direttiva all’art. 3 comma 4 prevede che “ In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici ”
16.2 Attuative di tale normativa europea sono le norme del Codice del consumo, ovvero per quanto interessa gli articoli 19 e 27 comma 1 bis. Il Codice all’art. 19 dispone: “ Il presente titolo si applica alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto… (comma 1) … In caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici (comma 3) …”. Il Codice all’art. 27 comma 1 bis prevede poi che “ Anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze ”.
16.3 Ciò posto, l’Autorità, per implicito nel provvedimento impugnato ed esplicitamente nelle proprie difese in questo processo, ha interpretato le norme suddette nel senso indicato anche dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 9 febbraio 2016 n.3, e quindi nel senso che le spettasse comunque la competenza ad irrogare le sanzioni per ogni ipotesi di pratica commerciale aggressiva, anche se posta in essere da imprese attive in settori per i quali esiste un’autorità di vigilanza specifica, come è in questo caso l’IVASS. In tale ordine di idee, infatti, ha affermato che una pratica commerciale aggressiva sarebbe comunque un fatto anticoncorrenziale ai sensi della disciplina di tutela del consumatore, e quindi essa stessa dovrebbe sempre provvedere in materia.
16.4 La ricorrente appellante, viceversa, nei propri atti e in particolare nella memoria 27 giugno 2017, ha sostenuto la tesi opposta. Posto che al settore assicurativo è preposto l’IVASS come autorità di settore, essa ha richiamato la norma dell’art. 7 comma 3 della direttiva 2002/92/CE del giorno 9 dicembre 2002, riprodotta dall’art. 12 comma 3 della direttiva 2016/97 UE del giorno 20 gennaio 2016, che è andata a sostituire la prima con decorrenza dal 23 febbraio 2018. L’autorità in questione, secondo le norme indicate, deve “ disporre dei poteri necessari per l'esercizio delle … funzioni ”, fermo che “ qualora nel suo territorio esistano più autorità competenti, lo Stato membro provvede a far sì che queste operino in stretta collaborazione per garantire l'effettivo espletamento delle rispettive funzioni ”. Sempre a dire della ricorrente appellante, nel nostro ordinamento l’Autorità di settore in questione sarebbe appunto l’IVASS, che ai sensi del Codice delle assicurazioni, e in particolare degli articoli 3 e 5 di esso, sarebbe titolare dei poteri sanzionatori per gli illeciti nel settore, e quindi anche per reprimere le pratiche commerciali aggressive poste in essere nell’esecuzione di un contratto assicurativo. Si tratterebbe infatti di una normativa che disciplina “ aspetti specifici ” delle pratiche commerciali in questione, la quale prevarrebbe in base al citato art. 3 comma 4 della direttiva 2005/29/CE. In tal senso, l’art. 27 comma 1 bis del Codice del consumo non sarebbe comunque applicabile, perché dettato per i soli casi, diversi da quello per cui è causa, in cui la disciplina di settore non fosse completa ed esauriente, e fermo che nella specie dell’autorità di settore, ovvero dell’IVASS, nemmeno è stato chiesto il parere che questa norma comunque prevede. Di conseguenza, nella citata memoria 27 giugno 2017, la ricorrente appellante ha chiesto a questo Giudice di rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione ai sensi dell’art. 267 comma 3 TFUE la questione pregiudiziale nei termini visti, dando origine alla sospensione del processo.
16.5 Il punto è stato chiarito dalle decisioni della Corte sopra citate, come ora si dirà. Secondo la Corte, la formula dell’art. 3 comma 4, che si ripete e secondo la quale “ In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici ”, si applica anzitutto al solo caso di contrasto fra norme europee, e non al caso di contrasto fra norme europee e norme nazionali (sentenza 13 settembre 2018 §59 e ordinanza 14 maggio 2019 § 48), ed ha poi nella sostanza un campo di applicazione molto limitato, ristretto al caso in cui “ disposizioni estranee ” alla direttiva disciplinino “ aspetti specifici ” delle pratiche commerciali sleali, in modo da imporre “ ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili ” con quelli stabiliti dalla direttiva stessa (sentenza 13 settembre 2018 §61 e ordinanza 14 maggio 2019 § 47). Al di fuori da questo caso, che nella specie pacificamente non si configura, la normativa europea non osta ad una normativa nazionale, come quella in esame, per cui la competenza a sanzionare le pratiche commerciali aggressive spetta all’Autorità generalmente competente in materia di concorrenza e mercati, e non all’Autorità specifica di settore, e quindi nella fattispecie all’AGCM e non all’IVASS.
16.6 Anche il secondo profilo del primo motivo, per cui l’AGCM prima di provvedere avrebbe dovuto comunque acquisire il parere dell’IVASS, è infondato. La norma di riferimento, come si è detto, è l’art. 27 comma 1 bis del Codice per cui nei settori, come è appunto il settore assicurativo, sottoposti anche ad una regolamentazione specifica, l’Autorità provvede dopo “ acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente ”. Come correttamente rilevato dal Giudice di I grado (sentenza, pp. 20-21) però un intervento dell’Autorità di settore specifico si giustifica appunto in quanto la sua “ competenza ” sia configurabile, e non nel caso di specie, in cui la pratica commerciale sanzionata consiste in una particolare modalità del recupero dei crediti vantati dal professionista, che come tale prescinde dalla causa dei crediti stessi.
17. Il secondo motivo di appello, centrato sulla presunta non imputabilità alla ricorrente appellante della condotta posta in essere dalle società di service di cui essa si è servita, a sua volta è infondato.
17.1 Per mera chiarezza, è necessario premettere che la pratica per cui è causa va effettivamente qualificata come pratica commerciale scorretta ovvero aggressiva: va condiviso quanto afferma la sentenza impugnata alle pp. 12-13 e qui si riassume, nel senso che ai sensi della direttiva 2005/29/CE e delle linee guida di applicazione di essa della Commissione europea 3 dicembre 2009 SEC 2009/1666, le attività di recupero dei crediti commerciali fanno parte delle pratiche commerciali post vendita;in tale ambito è poi scorretta, ovvero aggressiva, la pratica di cui qui si tratta, consistente, come si ricorda, nel citare in giudizio i consumatori per le modeste somme che da loro si assumono dovute davanti ad un Giudice non determinato in base al foro del consumatore, ma vantaggioso per l’azienda. In questo modo, infatti, il consumatore, anche se convinto di aver ragione, si determinerà più facilmente a pagare, piuttosto che ad affrontare un contenzioso di costo quasi sicuramente maggiore. Si realizzano quindi i due elementi richiesti per configurare una pratica scorretta, ovvero quello strutturale dell’indebito condizionamento del consumatore e quello funzionale dell’effetto distorsivo della pratica sulla sua libertà di scelta.
17.2 Ciò posto, quanto afferma il Giudice di I grado, sulla imputabilità alla ricorrente appellante delle condotte materialmente poste in essere dai suoi ausiliari di cui si è detto, è pienamente condivisibile, in base al principio affermato in particolare dalla sentenza C.d. S. sez. VI 7 settembre 2012 n.4753: l'interposizione di uno o più soggetti nel rapporto fra l'operatore commerciale e la clientela non esclude la responsabilità dell'operatore stesso. In linea di diritto, infatti, si tratta di un semplice corollario della responsabilità per fatto degli ausiliari, sancita in via generale dall’art. 2049 c.c., e in linea logica corrisponde anche alla realtà dei mercati, ove pochissimi operatori, se non nessuno di essi, agiscono senza collaboratori esterni. Nel caso di specie, il recupero crediti aggressivo posto in essere era chiaramente riconducibile alla ricorrente appellante, né si può dire adottato con modalità del tutto esorbitanti ed imprevedibili, tali da interrompere, in ipotesi, il nesso causale fra l’incarico e il risultato.
18. E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso, centrato sulla presunta violazione di termini di procedimento a carattere perentorio.
18.1 La giurisprudenza di questo Giudice ha anzitutto chiarito che ai procedimenti di competenza dell’Autorità non si applicano, in via generale, i termini perentori di cui all’art. 14 della l. 689/1981. Come affermato dalle sentenze della Sezione 20 giugno 2019 n.4215 e 21 gennaio 2012 n.306, infatti, la norma dell’art. 14 citato ha carattere suppletivo, come affermato dall’art. 12 della stessa legge, e quindi vale ove non esistano norme speciali, rappresentate nel caso di specie da quelle relative ai procedimenti di competenza dell’Autorità,
18.2 Secondo la citata sentenza 4215/2019, inoltre, l’inapplicabilità dell’art. 14 della l. 689/1981 non comporta comunque esiti incostituzionali, nel senso che l’interessato non è esposto senza limiti di tempo ad un potere di sanzione. E’ in generale vero – in tali termini per tutte C.d.S. sez. VI 27 febbraio 2012 n.1084 e 8 luglio 2015 n.3401- che anche il mancato rispetto dei termini previsti per i procedimenti dell’Autorità non è causa di decadenza dai poteri di essa, e quindi a maggior ragione non lo comportano le proroghe che nella specie sono state disposte;è però altrettanto vero che se l’Autorità non rispetta il termine entro il quale dovrebbe emettere la sanzione o il non luogo a provvedere, l’incolpato può agire davanti al Giudice amministrativo e costringere l’Autorità stessa a pronunciarsi in termini certi. Inoltre, anche alle sanzioni di competenza dell’Autorità si applica la previsione generale dell’art. 28 comma 1 della l. 689/1981, per cui “ Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione ”, e quindi il privato è garantito anche se rimanga inerte.
19. Ancora infondato è il quarto motivo di ricorso, centrato su un presunto difetto di contestazione dell’illecito. In questa sede è sufficiente ribadire che i caratteri essenziali del fatto contestato e la sua qualificazione giuridica come prassi commerciale scorretta ovvero aggressiva si trovano chiaramente esposti nell’avviso di inizio del procedimento (doc. 2 in I grado Autorità, cit.) nonché nell’atto di conclusione dell’istruttoria (doc. 6 in I grado Autorità), tant’è vero che la parte non ha ritenuto di precisare quale specifico pregiudizio alle sue possibilità di difesa avrebbe incontrato.
1.1 Il quinto motivo di ricorso, relativo al presunto difetto di motivazione del provvedimento con il quale l’Autorità ha rigettato gli impegni della ricorrente appellante, è a sua volta infondato, in base a quanto affermato da questo Giudice nella sentenza In termini generali, ai sensi del citato art. 14 ter della l. 287/1990 l’impresa sottoposta a procedimento può presentare all’Autorità una proposta di “ impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell'istruttoria ” e ottenerne l’archiviazione. Ciò detto, va intanto chiarito che l’atto con il quale l’Autorità respinge una proposta in tal senso non è immediatamente ed autonomamente impugnabile perché non lesivo, dato che nel momento in cui esso viene adottato non si sa ancora quale sarà l’esito dell’istruttoria, se una sanzione o una archiviazione per altre ragioni. Vale allora il principio generale in materia di vizio dell’atto endoprocedimentale, vizio che sussisterebbe appunto nel caso di rifiuto ingiustificato: esso si ripercuote però sulla legittimità del provvedimento finale, e ove sussista è in questo caso sufficiente a determinarne l’annullamento, dato che in sua mancanza l’esito doveva essere la decisione di non sanzionare, ovvero l’archiviazione: in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. VI 20 luglio 2011 n.4393. La giurisprudenza ha però chiarito che il rifiuto non è ingiustificato, ed anzi la proposta di impegni si può per ciò solo respingere, nei casi come il presente, in cui l’Autorità ritenga il comportamento posto in essere passibile di sanzione pecuniaria, trattandosi di una regola di principio contenuta nel tredicesimo considerando del regolamento CE 16 dicembre 2002 n 1/2003 del Consiglio, “ Le decisioni concernenti gli impegni non sono opportune nei casi in cui la Commissione intende comminare un'ammenda ”: così C.d.S. sez. VI 3 aprile 2009 n.2092.
20. Infine va respinto il sesto ed ultimo motivo, secondo il quale la sanzione applicata sarebbe eccessiva. In proposito, il Collegio condivide quanto affermato dal Giudice di I grado, nel senso che la sanzione sarebbe invece giustificata da una serie di elementi rilevanti ai sensi dell’art. 11 della l. 689/1981. In primo luogo, sotto il profilo della gravità della violazione va evidenziato che essa si è svolta in un arco di tempo considerevole, dal 2010 al 2014, ed ha coinvolto un numero di consumatori non ristretto. Va ricordato anche che la condotta vietata va identificata nell’attività aggressiva in quanto tale, ovvero nell’invio degli atti di citazione, e non, come vorrebbe la ricorrente appellante, nel solo fatto di avere affidato il relativo incarico. Si è infatti già visto che tutta la condotta in esame è imputabile al professionista. Sotto il profilo delle condizioni economiche del responsabile, inoltre, va osservato che il fatturato dell’impresa sanzionata è superiore al miliardo di euro, trattandosi di un’importante impresa del settore. Infine, non consta alcuna condotta qualificabile come ravvedimento operoso vero e proprio, perché esso, ancora come correttamente osservato dal Giudice di I grado, postula una condotta attiva di eliminazione delle conseguenze dell’illecito, e non la mera desistenza dal commetterlo.
21. La particolarità e complessità del caso deciso è giusto motivo per compensare le spese.