Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-19, n. 202208084

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-19, n. 202208084
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208084
Data del deposito : 19 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/09/2022

N. 08084/2022REG.PROV.COLL.

N. 00782/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 782 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell’Interno e la Prefettura – UTG di Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del Ministero dell’Interno che ha rigettato la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria difensiva di parte appellante, depositata in data -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2022 il Cons. G F e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con provvedimento del Ministero dell’Interno -OMISSIS- è stata respinta la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, presentata dal cittadino -OMISSIS- -OMISSIS-.

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che, a carico del -OMISSIS-, è emersa la contiguità a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica e che tale motivo risulta ostativo alla concessione della cittadinanza.

2. Con ricorso proposto dinanzi al Tar Lazio, sede di Roma, il cittadino -OMISSIS- ha impugnato tale provvedimento contestandone l’illegittimità per eccesso di potere, nelle figure sintomatiche della carenza di motivazione e di istruttoria e per violazione di legge (art. 10-bis, l. n. 241 del 1990;
art. 3, d.P.R. n. 362 del 1994 e d.m. 24 marzo 1995, n. 228). In particolare, il ricorrente ha dedotto di essere estraneo ai presunti fatti contestati, di condurre una vita nel rispetto delle regole della civile convivenza e di essere integrato nel territorio nazionale insieme al proprio nucleo familiare, composto -OMISSIS-.

3. Con ordinanza cautelare -OMISSIS-, il Tar Lazio ha ordinato all’amministrazione di produrre la documentazione istruttoria sulla base della quale è stato adottato il provvedimento impugnato, con le cautele ritenute necessarie dalla stessa in ragione della sua natura riservata degli atti. L’ordine istruttorio è stato reiterato con ordinanza -OMISSIS-. L’amministrazione, in data -OMISSIS-, ha adempiuto all’ordinanza istruttoria.

4. Con sentenza -OMISSIS-, il Tar Lazio ha respinto il ricorso ritenendo il provvedimento scevro dalle dedotte censure, tenuto conto dei rischi derivanti dall’inserimento stabile nel territorio con il conferimento dello status civitatis a soggetto con legami -OMISSIS- con straniero contiguo a movimenti passibili di mettere in pericolo la sicurezza pubblica.

5. La citata sentenza -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato -OMISSIS- e depositato -OMISSIS-, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.

6. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura – UTG di Roma non si sono costituiti in giudizio.

7. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, oggetto della presente controversia è il provvedimento del Ministero dell’Interno con il quale è stata respinta la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, presentata dal cittadino -OMISSIS- -OMISSIS- in considerazione della circostanza che a carico del -OMISSIS- è emersa la contiguità a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.

2. Preliminarmente, va respinta l’eccezione con la quale parte appellante ha sostenuto la tardività del deposito della documentazione classificata prodotta dall’Amministrazione in ottemperanza all’incombente istruttorio disposto dal primo giudice.

Sul punto è sufficiente ricordare che nel processo amministrativo, il quale a differenza del processo civile non è distinto in varie fasi (per quanto qui rileva, in una fase preparatoria ed in una successiva fase istruttoria), il termine fissato dal giudice per l’adempimento istruttorio deve ritenersi meramente ordinatorio, non essendo la sua inosservanza sanzionata da decadenze o preclusioni dalle norme del codice regolatrici del potere istruttorio (artt. 65 e 68 c.p.a.), né dall’analoga norma prima vigente (art. 23 comma 4, l. n. 1034 del 1971) (Cons. St., sez. III, 31 marzo 2014, n. 1515). La relazione depositata dal Ministero dell’Interno, anche se depositata oltre il termine assegnato dall’ordinanza collegiale per gli incombenti istruttori, è poi del tutto ammissibile e utilizzabile, ai fini processuali, non potendo trovare applicazione in subiecta materia la generale previsione dell’art. 52, comma 1, c.p.a., bensì la sola disposizione speciale dell’art. 68 c.p.a. per i termini dell’istruttoria, che rinvia alle disposizioni del codice di procedura civile e, tra queste, all’art. 152, comma primo, c.p.c., secondo cui i termini possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, “soltanto se la legge lo permette espressamente” (Cons. St., sez. III, 11 luglio 2016, n. 3020).

3. Passando al merito, l’appello è infondato.

Giova premettere che lo straniero non ha un diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza, ai sensi della l. 5 febbraio 1992, n. 91 (Cons. St., sez. III, 23 novembre 2018, n. 5638).

Come chiarito dalla Sezione (16 novembre 2020, n. 7036) e ribadito anche dalla sezione consultiva del Consiglio di Stato in sede di esame di ricorso straordinario al Capo dello Stato (1 dicembre 2020, n. 1959), il provvedimento di concessione della cittadinanza, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, è atto squisitamente discrezionale di “alta amministrazione”, condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno “status illesae dignitatis” (morale e civile) di colui che lo richiede (Cons. St., sez. I, 20 gennaio 1993, n. 1878/94;
12 aprile 1995, n. 1834/91;
26 agosto 1998, n. 1108/96;
3 marzo 1999, n. 29/99;
sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657;
25 agosto 2016, n. 3696).

Si tratta di provvedimento fondato su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. St., sez. III, 13 novembre 2018, n. 6374;
27 febbraio 2019, n. 1390).

Il Collegio condivide, dunque, il tradizionale orientamento giurisprudenziale per cui l’Amministrazione, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, effettua una valutazione ampiamente discrezionale, che non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e riguardo alle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale.

Nella valutazione articolata che spetta all’Amministrazione per concedere o meno la cittadinanza assumono rilievo tutti gli aspetti da cui è possibile desumere l’integrazione del richiedente nella comunità nazionale, sotto il profilo della conoscenza e osservanza delle regole giuridiche, civili e culturali che la connotano.

Vengono, perciò, in rilievo tutti quegli aspetti che farebbero dello straniero un buon cittadino, quali la perfetta integrazione nel tessuto sociale italiano, l’assenza di precedenti penali, considerazioni di carattere economico e patrimoniale per cui si possa presumere che egli sia in grado di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale richiesti a tutti i cittadini, pur senza stretti limiti reddituali imposti per legge, le condizioni familiari e di irreprensibilità della condotta.

Tale valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;
il sindacato del giudice non può dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Cons. St., sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913).

4. Ciò chiarito, contrariamente a quanto asserisce l’appellante, non può ritenersi irragionevole o incompleta la valutazione compiuta dall’Amministrazione.

Ritiene il Collegio che i motivi dedotti dall’appellante non tengono conto dell’amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102;
6 settembre 2018, n. 5262), che – come si è detto sub 3 – caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto che attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevantissime conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all’interno dello Stato;
tale concessione può però comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l’interesse nazionale in caso di infelice concessione. Proprio per la rilevanza di tale riconoscimento, l’art. 9, l. n. 91 del 1992 demanda al Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno, la concessione della cittadinanza.

A fronte degli importanti interessi della comunità nazionale coinvolti nel procedimento l’interesse del cittadino di altro Stato a conseguire la cittadinanza italiana è inevitabilmente recessivo e sottoposto a severa verifica istruttoria, affidata non solo alle autorità locali di pubblica sicurezza (il Prefetto e il Questore, i quali nella fattispecie, come prospettato dall’appellante, non hanno evidenziato criticità), ma anche agli organismi specificamente preposti ai servizi di sicurezza dello Stato, che invece nella presente fattispecie hanno evidenziato - con modalità compatibili con la riservatezza (pure consentita perché dovuta a esigenze di sicurezza nazionale: si pensi alla tutela delle fonti di informazione) e dunque non soggette ai pieni canoni di trasparenza che debbono caratterizzare l’attività amministrativa ordinaria - possibili criticità (Cons. St., sez. II, 31 agosto 2020, n. 5326).

Sicché lo stesso obbligo di motivazione del diniego si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi coinvolti, che potrebbero ricevere pregiudizio già per effetto di un indiscriminato ed incontrollato palesamento dei fatti accertati dall’Amministrazione e degli strumenti istruttori utilizzati: sì da legittimare un assolvimento “attenuato” dell’obbligo esplicativo delle ragioni del provvedimento, da parte dell’Amministrazione, quando una più ampia disclosure, già nel contesto del provvedimento medesimo, dei dati e delle informazioni in possesso dell’Amministrazione potrebbe costituire, come nella specie, un attentato alla segretezza connaturata allo svolgimento di investigazioni particolarmente penetranti ed in ambiti estremamente rischiosi (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102). Aggiungasi che la Sezione (29 maggio 2918, n. 3296) ha rilevato che se, in base ad accertamenti esperiti, l’aspirante cittadino italiano risulta appartenere a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica, è legittimo il diniego alla concessione della cittadinanza italiana, senza che, peraltro, il Ministero sia tenuto a concedere l’accesso agli atti presupposti, in quanto la fattispecie è espressamente individuata nell’elenco degli atti sottratti al diritto di accesso. Il provvedimento di diniego della richiesta cittadinanza italiana non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie che potrebbero in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti, essendo sufficiente l’indicazione delle ragioni del diniego senza dover indicare tutte le valutazioni interne che hanno condotto al giudizio di pericolosità sociale del richiedente.

Come più volte chiarito (Cons. St., sez. II, 31 agosto 2020, n. 5326), non sono negati diritti fondamentali della persona garantiti a livello costituzionale, comunitario o internazionale;
è stato invece negato un beneficio la cui concessione è subordinata ad una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale e informata a principi di cautela, nell’interesse nazionale, senza che sia peraltro preclusa al richiedente la riproposizione dell’istanza, alla luce di eventuali successivi ed ulteriori elementi (in tesi) “favorevoli” alla sua posizione.

Rispetto a queste valutazioni la posizione soggettiva del richiedente ha consistenza di affievolito interesse legittimo, atteso che l’attribuzione del nuovo status di cittadino italiano comporta l’inserimento dello straniero, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale e l’acquisizione a pieno titolo, da parte del richiedente, dei diritti e dei doveri che competono ai cittadini.

Né altresì – considerate le indicate caratteristiche di delicatezza e riservatezza dell’istruttoria in tema di concessione della cittadinanza e della suddetta cautela alla base delle relative statuizioni – è dato di ravvisare nell’atto classificato depositato il -OMISSIS- alcuna laconicità dei dati posti a base dell’impugnato diniego. Dalla nota ministeriale emerge piuttosto l’apporto di elementi di valutazione dai quali risulta un’applicazione dei criteri, anche di cautela, sopra esposti che – tenuto conto della particolare materia – appare priva di palesi vizi logico-valutativi e motivazionali.

È, infatti, del tutto idonea, per la giustificazione del diniego di cittadinanza, la valutazione del rapporto di parentela con un soggetto contiguo, simpatizzante o comunque idealmente vicino o in contatto con un movimento responsabile di attività gravemente lesive per la sicurezza della Repubblica.

Come correttamente ritenuto dal primo giudice, -OMISSIS-, per la sua natura e intensità, induce a ritenere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’interessato possa agevolare comportamenti scorretti di alcuni componenti del proprio nucleo familiare. Allorquando il diniego opposto dall’Amministrazione trovi fondamento in comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, si giustifica l’anticipazione della soglia di prevenzione e di tutela del preminente interesse alla sicurezza dello Stato, onde assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto di attività che attentino all’integrità della Repubblica. Si comprende in quest’ottica un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di agevolazione di tali organizzazioni criminali.

L’interesse nazionale è, infatti, interesse di rango certamente superiore rispetto all’interesse di uno straniero ad ottenere la cittadinanza italiana ed il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. St., sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

Né può ritenersi dirimente la circostanza che ad -OMISSIS- sia stata concessa la cittadinanza italiana, come anche -OMISSIS-. Invero, l’Amministrazione ben può ritenere che non l’intero nucleo familiare condivida valori devianti rispetto ai modelli sociali di compiuta integrazione.

Aggiungasi ad adiuvandum - sebbene quanto sinora chiarito assuma carattere assorbente di ogni altro rilievo - che, a quanto risulta dagli atti, -OMISSIS- hanno ottenuto la cittadinanza negli anni -OMISSIS- e, dunque, prima che l’amministrazione terminasse l’istruttoria dalla quale sono emersi gli elementi ostativi alla concessione dello status civitatis, che poi hanno determinato l’invio del preavviso di rigetto in data -OMISSIS- e la successiva notifica del decreto ministeriale adottato -OMISSIS-

5. In conclusione, per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto, non essendo sindacabile da parte di questo giudice, perché non affetta da manifesta illogicità o irragionevolezza, la decisione impugnata di non riconoscere all’appellante lo status di cittadino italiano.

Nulla per le spese, in assenza di costituzione in giudizio delle Amministrazioni appellate.

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