Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-04-26, n. 201701924

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-04-26, n. 201701924
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701924
Data del deposito : 26 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2017

N. 01924/2017REG.PROV.COLL.

N. 01660/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1660 del 2012, proposto dal dott. F D B, rappresentato e difeso dagli avvocati R V ed A R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R V in Roma, Via Lucullo, n. 3;

contro

La Prefettura di Varese, la Questura di Varese ed il Ministero dell'Interno, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE III, n. 2027/2011, resa tra le parti, concernente il divieto di detenere armi e munizioni, di cui al decreto del Prefetto di Varese 17 ottobre 2009, n. 35501.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura di Varese, della Questura di Varese e del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e uditi per le parti l’avvocato A R e l'Avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Prefetto di Varese, essendo stato informato dalla Questura di Varese che il dottor F D B, funzionario di Dogana, in servizio a Malpensa, nel ricevere la comunicazione del suo licenziamento, aveva scritto sulla ricevuta una frase minacciosa nei confronti degli altri dipendenti della dogana, con decreto 17 ottobre 2019, n.35521, ha vietato al medesimo (titolare anche di licenza di collezione di armi) di detenere armi e munizioni, in applicazione dell’art. 39 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in quanto ha ravvisato “l’opportunità di sottrarre all’interessato le armi e/o munizioni ancora in suo possesso anche ai fini della tutela del pubblico interesse”.

Contestualmente il Prefetto ordinava, altresì, al medesimo di consegnare eventuali armi e munizioni in suo possesso in custodia al Commissariato di P.S. di Gallarate ed alla Questura di Massa (MS) e di provvedere a cederle entro 30 giorni dalla notifica del decreto ad un’armeria oppure a persona non convivente munita del necessario titolo, con l’avviso che, scaduto il termine, le armi e le munizioni sarebbero stati consegnati alla competente Divisione di Artiglieria.

1.1. Avverso il decreto del Prefetto l’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. per la Lombardia (R.G. 2532/2009), chiedendone l’annullamento, previa sospensione, sia per la mancata formulazione dell’avviso di procedimento (art.

7. n. 241/1990) sia per l’arbitrarietà del provvedimento e l’insufficienza della sua motivazione.

Con successivi motivi aggiunti, proposti a seguito della produzione integrale in giudizio degli atti del procedimento amministrativo, l’interessato ha insistito nella domanda di annullamento del divieto comminato nei suoi confronti.

Con sentenza n. 2017/2011 (pubblicata il 29 luglio 2011), il T.A.R. Lombardia ha respinto il ricorso, ritenendo infondate sia le censure procedurali sia quelle sostanziali.

In primo luogo, il TAR ha ritenuto insussistente il vizio procedurale dedotto (mancata comunicazione dell’avvio del procedimento) in ragione della natura preventiva del provvedimento e dell’urgenza della misura inibitoria, rilevando, tra l’altro, che la Questura di Varese aveva informato la Prefettura del luogo, per le eventuali iniziative di competenza, del fatto che la Direzione regionale delle Dogane di Malpensa in data 9 ottobre 2009 aveva sporto querela nei confronti dell’ex funzionario per minacce.

In secondo luogo, poi, sotto il profilo sostanziale, il TAR ha affermato che il rischio di azioni delittuose nei confronti dei dipendenti in servizio alla dogana di Malpensa (riconducibile all’uso di espressioni minacciose) costituiva una sufficiente giustificazione e motivazione della misura adottata.

1.2. Avverso la sentenza del TAR Lombardia il ricorrente ha proposto l’appello in epigrafe, chiedendone la riforma, previa sospensione, con due articolati motivi e riproponendo, comunque, le argomentazioni esposte in primo grado.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, chiedendo il rigetto dell’appello..

Con l’ordinanza cautelare 23 marzo 2012, n. 1191, questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensione della sentenza appellata, disponendo, comunque, nelle more del giudizio di appello, che la Questura di Varese affidasse ad un’autorità militare, scelta a propria discrezione, la collezione di armi di proprietà dell’appellante.

1.3. In prossimità della trattazione della causa nel merito, l’appellante ha prodotto una memoria difensiva nella quale ha insistito nella dedotta insussistenza del pericolo di abuso delle armi, posto dalla Prefettura a fondamento del decreto impugnato, mettendo in evidenza, fra l’altro, che, nelle more del giudizio, l’esposto presentato a suo carico per le addebitate minacce era stato archiviato dal Giudice di pace di Busto Arsizio (su conforme richiesta del Pubblico Ministero) con decreto 3 febbraio 2015, “per difetto di querela”.

Alla pubblica udienza meglio indicata in epigrafe, uditi i difensori presenti per le parti, l’appello è passato in decisione.

2.. Premesso quanto sopra in fatto, in diritto la controversia concerne la contestata legittimità del decreto del Prefetto di Varese 17 ottobre 2009, che ha vietato all’appellante di detenere armi e munizioni con il conseguente ordine di consegnarle entro 30 giorni al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Gallarate ed alla Questura di Massa.

La sentenza impugnata va confermata.

Sotto il profilo procedurale, dalle premesse del decreto impugnato emerge che la Prefettura di Varese ha ritenuto che nella fattispecie vi fossero “particolari esigenze di celerità” le quali impedivano di dare l’avviso di avvio del procedimento, che avrebbe comportato il differimento dell’adozione del provvedimento inibitorio la cui finalità era quella di “sottrarre alla disponibilità dell’interessato le armi e/o munizioni ancora in suo possesso, anche ai fini della tutela del pubblico interesse”.

2.1. Il giudice di primo grado ha ritenuto sussistenti le esigenze di celerità ed urgenza per le quali il Prefetto non ha dato comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento che ha portato all’adozione del decreto impugnato .

L’appellante, invece, censura sotto questo profilo la sentenza, deducendo che, da un lato, il decreto non aveva motivato sulla sussistenza di una urgenza qualificata, e che, dall’altro, tale esigenza era ancora più marcata in quanto la Questura di Varese si era limitata a segnalare alla Prefettura che con nota del 9 ottobre 2009 la Direzione Regionale delle Dogane di Malpensa (dopo avere in pari data presentato una querela per minacce nei confronti del dott. D B alla Procura della Repubblica di Busto Arsizio) aveva chiesto “di svolgere qualsiasi ulteriore attività utile a prevenire eventuali atti intimidatori da parte dello stesso nei confronti dei dipendenti di questa Direzione “ responsabili ” delle asserite “ criminalità ”.

2.2. Il motivo non è condivisibile.

In via di principio va premesso che l’invocato art. 7 della legge n. 241/1990 espressamente dispone che l’obbligo dell’avviso del procedimento recede qualora sussistano “particolari esigenze di celerità”, rimettendo all’autorità emanante la valutazione della sussistenza di tali esigenze nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, salvo il limite della non manifesta illogicità ed irragionevolezza.

2.3. Nel caso all’esame, ad avviso del Collegio, correttamente il Prefetto ha ritenuto sussistenti le ragioni di celerità che consentivano di derogare all’obbligo di comunicazione ex art 7 legge n.241/1990, in quanto ha considerato che, da un lato, l’interessato era titolare della licenza per collezione di armi e che, dall’altro, la frase minacciosa scritta sulla comunicazione del provvedimento di licenziamento faceva “ragionevolmente ritenere che lo stesso possa fare un uso illegittimo delle armi”.

Al riguardo è opportuno precisare che dal verbale di presa in consegna della collezione di cui l’appellante era proprietario (redatto il 22 ottobre 2009 a Gallarate) risulta che si trattava di alcune decine di carabine, fucili e pistole, in quanto l’appellante è un esperto di armi da fuoco.

2.3.1. Pertanto, nel caso all’esame, l’apprezzamento delle prevalenti ragioni di urgenza (fatto dalla Prefettura di Varese) non risulta né manifestamente illogico né destituito di fondamento, ove la frase minacciosa (rivolta dall’appellante ai dipendenti della Direzione di Malpensa) sia valutata nel contesto dello stato di turbamento emotivo che (secondo il comune modo di sentire) comporta per chiunque la comunicazione del proprio licenziamento, che segue ad una condanna penale divenuta definitiva in quello stesso periodo,.

2.4. Sotto il profilo sostanziale, poi, l’appellante censura la sentenza del TAR nella misura in cui ha ritenuto sussistenti nel caso di specie i presupposti dell’esercizio del potere inibitorio, di cui all’art. 39, t.u.l.p.s..

Il motivo è infondato.

Infatti, premesso in via di principio che si tratta di un potere ampiamente discrezionale ed orientato alla tutela della pubblica sicurezza in una situazione contingente di pericolo dell’abuso delle armi da parte del detentore, nel caso specifico va rilevato che nel preambolo del decreto impugnato il Prefetto richiama la circostanza che in data 9 ottobre 2009 il Direttore Regionale della Dogana di Malpensa aveva sporto una “querela” nei confronti dell’interessato, che, ricevendo in data 1° ottobre 2009 la notifica a mano del proprio licenziamento senza preavviso (disposto dal Direttore Regionale con determinazione 30 settembre 2009, n.137), apponeva una frase minacciosa verso i dipendenti di quella dogana in calce alla nota firmata per avvenuta ricezione del provvedimento.

2.4.1. Il Prefetto si riferiva al fatto che il Direttore Regionale delle Dogane di Malpensa aveva disposto il licenziamento del funzionario in questione, in quanto nell’aprile 2009 era divenuta definitiva sentenza n. 1979/2006, con cui la Corte di Appello di Milano aveva condannato il suddetto funzionario ad anni 1 e mesi 6 di reclusione per aver ricavato profitti illeciti da irregolari operazioni di rimborso IVA relativa all’esportazione di merci da parte di passeggeri in partenza per paesi extra UE.

2.5. Peraltro, ai fini della valutazione delle censure dedotte avverso il decreto prefettizio impugnato, risulta non rilevante la questione se l’esposto presentato dal Direttore alla Procura della Repubblica configurasse o meno una vera e propria querela, profilo su cui si sofferma molto la difesa dell’appellante.

Infatti il provvedimento impugnato in primo grado non recava alcun riferimento alla vera e propria pendenza di un procedimento penale per il reato di minaccia, bensì si limitava a richiamare il comportamento dell’interessato nel quale si erano evidenziati espliciti profili di aggressività, valutati come elementi sintomatici di inaffidabilità del medesimo riguardo all’uso delle armi, tenuto conto, altresì, della circostanza che la collezione di armi di cui disponeva l’interessato oggettivamente incrementava il rischio che ne abusasse.

2.5.1. In particolare il Prefetto di Busto Arsizio aveva ricondotto il pericolo di abuso delle armi da parte dell’interessato, alla specifica circostanza che, nel firmare (il 1° ottobre 2009) l’attestazione di ricezione della determinazione del Direttore che ne disponeva il licenziamento immediato, aveva anteposto alla sua firma le seguenti parole: “posso garantire che TUTTI i responsabili delle criminalità, quest’ultima compresa, impartitemi finora, saranno debitamente RETRIBUITI” (sottolineando di suo pugno le parole “tutti” e “retribuiti”).

La portata allarmante di questa frase, sotto il profilo della pubblica sicurezza, risulta ampiamente percepibile, anche al di là del significato letterale delle parole, ove si tenga conto del fatto che l’episodio deve essere valutato nel contesto di forte turbamento psicologico in cui si trovava l’ex funzionario a seguito del repentino licenziamento conseguente alla condanna inflittagli dalla Corte di Appello di Milano.

2.6. Pertanto (anche in sede di una irrituale valutazione ex post) risulta non determinante la circostanza che, nelle more dl giudizio di appello, il Giudice di Pace di Busto Arsizio con decreto 3 febbraio 2015 ha archiviato il relativo procedimento penale «per mancanza di querela» su conforme richiesta del P.M. (formulata fin dal 27 novembre 2011).

2.7. Né appare condivisibile la tesi dell’appellante, che si dilunga nel prospettare che la frase apposta in calce alla nota di comunicazione del licenziamento, cioè che “tutti” sarebbero stati “debitamente retribuiti”, si riferirebbe ad innocue e legittime iniziative difensive sul piano giudiziario, ove solo si consideri che all’epoca l’interessato era stato condannato con sentenza definitiva della Corte di Appello di Milano, che, tra l’altro, gli aveva inflitto non solo una pena detentiva, ma altresì l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni due.

2.8. Infine le conclusioni della sentenza impugnata non sono messe in discussione neanche da due vicende richiamate nell’appello a sostegno del censurato carattere autoreferenziale sia del provvedimento prefettizio sia della sentenza del TAR .

L’appellante, infatti, riferisce, da un lato, che la Questura di Massa nell’agosto 2009, chiusa la vicenda penale, lo aveva invitato a rinnovare la licenza di porto di fucile (sessennale) per tiro a volo e, dall’altro, che la Questura di Varese, a seguito dei chiarimenti forniti dall’interessato, aveva interrotto il procedimento di revoca della licenza di collezione di armi comuni da sparo avviato con avviso del novembre 2011.

2.9.Infatti risulta chiaro che, in primo luogo, la Questura di Massa aveva rinnovato la licenza del porto di fucile per tiro a volo a nome dell’appellante prima del 1° ottobre 2009 (data in cui l’appellante aveva apposto la frase minacciosa sulla notifica del licenziamento) e che, in secondo luogo, le diverse (ma non documentate) valutazioni della Questura di Varese sulla licenza di collezione di armi comuni da sparo (dopo la memoria di chiarimenti dell’appellante), non solo, sono intervenute a distanza di circa due anni dall’adozione del decreto prefettizio impugnato, ma sono anche il portato di altri elementi non sussistenti all’epoca dell’adozione del decreto prefettizio impugnato, come, tra l’altro, lo stesso tempo trascorso dall’ottobre 2009.

3. In conclusione l’appello va respinto.

Considerate, comunque, i peculiari aspetti della vicenda, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio tra le parti.

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