Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-12, n. 202300412

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-12, n. 202300412
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300412
Data del deposito : 12 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/01/2023

N. 00412/2023REG.PROV.COLL.

N. 06400/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6400 del 2016, proposto dalla signora M C, rappresentata e difesa dall'avvocato V C, con domicilio eletto presso lo studio legale Lessona in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Comune di Vaglia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio Claudia Molino in Roma, via Panama 58;

nei confronti

Consorzio Cavet - Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio Adriano Giuffrè in Roma, via De Gracchi, 39;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) 8 settembre 2015, n. 1211 e della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) 22 aprile 2016, n. 692, rese tra le parti, concernenti una richiesta di risarcimento del danno per ablazione di terreni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vaglia e del Consorzio Cavet - Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana;

Visti gli appelli incidentali proposti dal Comune di Vaglia e dal Consorzio Cavet - Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il Cons. L L e viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia attiene alla richiesta di risarcimento danni avanzata dall’odierna appellante per l’ablazione di terreni di sua proprietà, ove è stata realizzata una strada regionale, ossia la circonvallazione dell’abitato di Vaglia, quale opera di mitigazione ambientale in relazione alla tratta del

TAV

Firenze-Bologna.

1.1. I terreni erano stati occupati in data 14.12.1999 a seguito di provvedimento del 21.10.1999 (che stabiliva un periodo di occupazione legittima di 5 anni con decorrenza dall’immissione in possesso, perfezionata appunto in data 14.12.1999), a sua volta fondato sulla previa dichiarazione di pubblica utilità del 10.12.1996, ma il decreto di esproprio (rimasto inoppugnato) è stato emanato solo in data 29.12.2006, ossia dopo la scadenza tanto del periodo di occupazione legittima, quanto dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

1.2. L’odierna appellante inizialmente, con atto di citazione del luglio 2006, evocava avanti il Giudice ordinario il Comune per i danni da accessione invertita (quantificati in € 105.000);
il Comune, a sua volta, chiamava in causa il Consorzio CAVET, responsabile della progettazione ed esecuzione dell’opera, a tenore di convenzione con il Comune conclusa in data 28.07.2005.

1.3. Il Giudice ordinario (Tribunale di Firenze), tuttavia, declinava la propria giurisdizione con sentenza 5.11.2008, n. 3835.

1.4. L’odierna appellante riassumeva allora il giudizio di fronte al T.a.r. con atto notificato in data 23.05.2009;
nel ricorso precisava che, “ non intendendo la ricorrente richiedere il risarcimento del danno in forma specifica (cioè la restituzione dei propri beni, liberati dell'opera realizzata) detto risarcimento danni dovrà essere riconosciuto per equivalente, ovverosia con condanna degli Enti evocati in giudizio al pagamento - a titolo di risarcimento per equivalente di importo pari ai danni tutti arrecati alla ricorrente alla quale è residuata una proprietà gravemente depauperata e di ridotto valore, come già accertato dall'Ing. L con la relazione tecnica depositata nel ricordato giudizio civile (vds. doc. n. 20 oggi prodotto). L'opera pubblica realizzata ha infatti letteralmente stravolto il preesistente stato dei luoghi, spezzando in due la parte migliore della proprietà della Sig.ra Ciolli resa in parte sostanzialmente inutilizzabile ed in parte di difficile utilizzazione, peggiorando altresì gravemente l'accesso ai fabbricati della ricorrente. Occorre altresì rilevare come la ricorrente a far luogo dal 14 dicembre 1999 e fino al 14 dicembre 2004 (con lo scadere del periodo di occupazione) sia stata totalmente privata del possesso dei beni occupati e di quelli contigui interessati dall'esecuzione dei lavori, di talchè alla stessa dovrà essere risarcito anche il pregiudizio subito per la perdita della disponibilità di tali beni. Facendo pertanto rinvio alla ricordata (e depositata) relazione tecnica dell'Ing. L, il danno subito dalla ricorrente si può quantificare almeno in complessivi Euro 105.000,00 (ovverosia in quella maggiore o minore somma che risulterà di giustizia) oltre interessi e rivalutazione monetaria ”.

2. Il T.a.r. dapprima, con la sentenza n. 68 del 14.01.2015, rigettava le eccezioni formulate da CAVET di tardività della riassunzione e di prescrizione del diritto azionato: la sentenza non veniva impugnata.

2.1. Quindi, con la successiva sentenza n. 1211 dell’8.09.2015, il T.a.r.:

a) rigettava le eccezioni di carenza di legittimazione passiva avanzate da entrambe le parti resistenti (ciascuna ritenendo l’altra l’esclusiva responsabile del danno), sostenendo che “ il riparto reciproco delle incombenze da svolgere nell’ambito della procedura di cui si tratta, pattuito nella suddetta convenzione, ha valore unicamente nei rapporti tra i firmatari della stessa e non vale ad esimere né l’uno, né l’altro, dalla responsabilità civile per eventuali danni cagionati alla ricorrente con l’espropriazione dei suoi fondi … La convenzione soprarichiamata vale a definire la misura della responsabilità del Consorzio e del Comune nei loro rapporti reciproci, ma non può avere efficacia, esterna e pertanto non può essere assunta a fondamento di un difetto di legittimazione processuale nella presente causa ”;

b) dichiarava inammissibile il ricorso incidentale del Comune, con cui l’Ente chiedeva che l’oggetto del contendere venisse esteso all’accertamento dell’esclusiva responsabilità di CAVET per i danni cagionati alla ricorrente: secondo il Tar, “ trattasi di domanda riconvenzionale (correttamente veicolata in giudizio con ricorso incidentale) dispiegata da un convenuto nei confronti di altro convenuto ed appare pertanto estranea al titolo dedotto in giudizio dall’attore (art. 34 c.p.c.) … La ricorrente infatti ha azionato una pretesa risarcitoria nei confronti del Consorzio e del Comune nascente dalla procedura espropriativa a suo dire malamente condotta mentre il secondo, con la domanda riconvenzionale proposta in via incidentale, pretende di azionare altra pretesa nascente dalla convenzione intercorsa con il primo … La convenzione è però estranea al titolo dedotto in giudizio poiché regolamenta i reciproci obblighi tra Comune e Consorzio e non incide nei confronti della ricorrente. E’ stato evidenziato sopra che essa vale a definire le reciproca responsabilità degli enti che hanno condotto la procedura de qua ma non a limitare la loro responsabilità nei confronti della ricorrente, la quale ha azionato un titolo diverso che appare del tutto estraneo alla convenzione in questione che, si ripete, espleta i propri effetti unicamente nei confronti dei firmatari ”;

c) nel merito, rigettava il ricorso principale nella parte in cui era volto a chiedere i danni da perdita del fondo, perché il decreto di esproprio sarebbe comunque intervenuto e la sua tardività non ridonderebbe in nullità (secondo la vecchia teorica della carenza di potere in concreto), ma in mera illegittimità, sì che la mancata impugnazione ne determinerebbe la consolidazione;

d) accoglieva la domanda della ricorrente con esclusivo riferimento al danno da spossessamento (nel periodo intercorrente fra la scadenza dell’occupazione legittima e l’emanazione del decreto di esproprio, ossia dal 15.12.2004 al 28.12.2006), indicandone l’ammontare nell’interesse legale sul valore venale del bene e disponendo, quanto a quest’ultimo punto, verificazione.

Tutte le parti formulavano riserva di appello.

2.2. Il T.a.r., infine, con la sentenza n. 692 del 22.04.2016:

a) liquidava il danno di cui supra , sub d), sulla base dell’interesse legale computato sul valore venale del bene anno dopo anno, come frattanto individuato dal verificatore (il danno ammonta alla somma complessiva di € 1.522,43);

b) dichiarava il difetto di giurisdizione sulla voce di danno correlata all’assunto minor valore della proprietà residua, rimasta parzialmente interclusa, sostenendo, in proposito, che ricorrano gli estremi dell’istituto indennitario di cui all’art. 44 d.lgs. 327/2001, la cui giurisdizione compete al Giudice ordinario;

c) a definizione del giudizio, condannava parti resistenti alle spese di lite ed al pagamento dell’onere economico della verificazione, contestualmente liquidato.

3. L’odierna appellante impugna le ultime due sentenze e sostiene che:

I - il decreto di esproprio tardivo sarebbe, in quanto tale, nullo;

II - il dies a quo del periodo di occupazione illegittima sarebbe il 10.12.2001, ossia 5 anni dalla dichiarazione di pubblica utilità;

III – le spetterebbero anche i danni da dapauperamento del valore della residua proprietà, sia perché l’occupazione avrebbe avuto carattere illecito (nell’assunto coltivato in ricorso per cui il decreto di esproprio sarebbe nullo), sia, comunque, perché la disposizione dell’art. 44 d.lgs. n. 327 del 2001 non sarebbe stata in vigore all’epoca dell’emanazione della dichiarazione di pubblica utilità, con conseguente inconferenza a tenore dell’art. 57 d.lgs. n. 327 del 2001 e applicazione, in sua vece, degli artt. 40 o 46 l. n. 2359 del 1865;

IV – sarebbe errato il metodo di quantificazione del danno da spossessamento (interessi legali sul valore venale del bene poi espropriato), perché trascurerebbe l’interclusione della parte residua della proprietà da esso determinata;
per la relativa determinazione l’appellante chiede verificazione.

4. Si sono costituiti in resistenza il Comune ed il Consorzio CAVET, che hanno altresì svolto appello incidentale.

4.1. Il Comune sostiene che:

- l’unico responsabile dei danni sarebbe il Consorzio CAVET, che avrebbe svolto in ritardo le procedure delegate, ciò che avrebbe determinato il ritardo nell’emanazione del decreto di esproprio;

- comunque, la domanda di rivalsa verso CAVET sarebbe ammissibile (stante il contesto di giurisdizione esclusiva);

- la domanda circa i danni da depauperamento non sarebbe stata svolta in primo grado.

4.2. CAVET, a sua volta, sostiene che unico responsabile dei danni sarebbe invece il Comune, per il cui esclusivo beneficio tutta la procedura ablatoria sarebbe stata svolta.

5. In vista dell’udienza di trattazione le parti hanno versato in atti memorie.

5.1. Il Comune:

- cita la sentenza di questa Sezione n. 778 del 26 gennaio 2021 a supporto della tesi per cui il decreto di esproprio tardivo non sia, per ciò solo, nullo;

- sostiene che il dies ad quem del periodo di occupazione legittima sia il 10.12.2004 [ recte : 14.12.2004], non essendo, tra l’altro, stato a suo tempo impugnato il provvedimento che, nel disporre l’occupazione, fissava la decorrenza del relativo termine quinquennale al momento dell’effettiva immissione in possesso, avvenuta in data 14.12.1999;
comunque, “ in via subordinata, occorre ricordare che anche il Presidente delle Ferrovie dello Stato, dopo l’approvazione del progetto in Conferenza dei Servizi, con proprio decreto n. 4 del 29.12.1995 aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera fissandone in sette anni il termine finale, con scadenza quindi al 29.12.2002 (cfr. docc. 3, 4 e 5 depositati da CAVET in data 30.4.2015 in ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 472/2015 del TAR della Toscana) ”;

- aggiunge che, una volta accertata la legittimità dell’esproprio, le domande relative al danno da depauperamento dei terreni attigui sarebbero devolute al Giudice ordinario, avendo sostanza indennitaria e non risarcitoria;
oltretutto, tali domande non sarebbero state formulate in prime cure;

- i danni da depauperamento dei terreni attigui in costanza di occupazione illegittima non sarebbero stati provati.

5.2. CAVET sostiene che la propria riserva di appello formulata con riferimento alla sentenza n. 1211 del 2015 sia tempestiva, perché il presente giudizio non sarebbe soggetto al rito ex art. 119 c.p.a., essendo esclusivamente di natura risarcitoria.

6. Il giudizio è stato trattato alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022.

7. L’appello principale non è fondato, per le seguenti ragioni, che si enucleano con la sintesi imposta dall’art. 3, comma 2, c.p.a.:

I – per consolidata giurisprudenza, la tardiva emanazione del decreto di esproprio non determina nullità, ma mera illegittimità.

La nullità, infatti, rappresenta un vizio radicale del provvedimento amministrativo che, per legge, concerne solo specifiche ipotesi (art. 21-septies l n. 241 del 1990), connotate dal fatto che il provvedimento è strutturalmente incapace di veicolare potere amministrativo e, dunque, di incidere sulla sfera giuridica degli amministrati (altrimenti detto, difetta di spessore autoritativo).

Tali ipotesi sono tassative, giacché il vizio tipico dell’esercizio della funzione pubblica in modo distonico rispetto alla legge è l’illegittimità, il cui rilievo da parte del Giudice preposto (il Giudice amministrativo) è subordinato alla tempestiva formulazione, da parte dell’interessato, di ricorso giurisdizionale, verificandosi altrimenti la consolidazione del provvedimento.

Tra le ipotesi in esame rientra quella, qui di interesse, del difetto assoluto di attribuzione, ossia della radicale assenza di potere: una tale situazione non ricorre nella specie, giacché nessuna disposizione speciale (né, per vero, nessun principio giuridico generale) connette al mero decorso del tempo la conseguenza radicale della definitiva perdita del potere ablatorio in capo all’Amministrazione che ne è ordinariamente titolare, verificandosi semplicemente, al contrario, un’ipotesi di esercizio viziato di potere amministrativo, sindacabile in giudizio nei tempi e con le forme indicate dalla legge;

II - il provvedimento di occupazione a suo tempo emesso non è stato impugnato, per cui il dies a quo del termine quinquennale dell’occupazione legittima è da individuarsi ad ogni effetto al 14.12.1999 (data di effettiva immissione in possesso), con scadenza al 14.12.2004;
peraltro, nel corso del giudizio la stessa appellante ha più volte indicato come dies a quo dell’occupazione illegittima la data del 15.12.2004;

III – l’espropriazione è stata perfezionata jure con l’emanazione del decreto di esproprio, la cui mancata impugnazione da parte dell’interessata ne ha determinato la consolidazione, con conseguente legittimità dell’intera procedura;
siffatto difetto, a monte, di una condotta non jure e contra jus dell’Amministrazione fa sì che gli eventuali depauperamenti della residua proprietà del soggetto ablato generino soltanto voci indennitarie, per le quali la giurisdizione è del Giudice ordinario;

IV - pur volendo ritenere tale domanda ricompresa nell’iniziale ricorso, difetta comunque ab ovo la puntuale e concreta prova della perdita, nel periodo di occupazione illegittima, del valore d’uso dei residuati.

8. Sono specularmente infondati gli appelli incidentali.

8.1. In proposito, il Collegio osserva che la responsabilità delle Amministrazioni resistenti nei confronti dell’odierna appellante è solidale, ai sensi dell’art. 2055 c.c.;
la relativa (e successiva) ripartizione del quantum fra le Amministrazioni è questione estranea, ratione materiae , al presente giudizio, volto alla tutela della posizione soggettiva azionata in giudizio, alla luce del carattere soggettivo del giudizio amministrativo, il cui oggetto è, appunto, rappresentato dalla (e limitato alla) posizione soggettiva azionata dal ricorrente.

8.2. Peraltro, il Collegio aggiunge, ad abundantiam ed incidentalmente, che:

- il giudizio amministrativo non conosce l’istituto della chiamata in garanzia;

- nella presente vicenda la CAVET è stata chiamata in garanzia, nel corso del giudizio avanti il Giudice ordinario, dal Comune, contro il quale soltanto l’odierna appellante aveva azionato la propria pretesa risarcitoria;

- se, dunque, il giudizio fosse stato correttamente radicato ab initio avanti il Giudice amministrativo, il Comune non avrebbe potuto chiamare in garanzia la CAVET;

- oltretutto, è revocabile in dubbio la sussistenza della stessa giurisdizione del Giudice amministrativo su una tale domanda.

9. Il complessivo esito del giudizio rende congrua la compensazione delle spese di lite.

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