Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-09-01, n. 201704169

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-09-01, n. 201704169
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704169
Data del deposito : 1 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/09/2017

N. 04169/2017REG.PROV.COLL.

N. 05779/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5779 del 2015, proposto da:
INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, SCIP - Società di Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici - srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’avvocato G F, domiciliati in Roma, via Cesare Beccaria, 29;

contro

C V, P C, E A, M V S, V F, L D M, M M, M D G, A M, T M, M C, E T S, M T, P A e P A M non costituiti in giudizio;
Giancarlo Felicolo, Pierpaolo Felicolo, Anna Maria Petti, Claudia Lombardi, Francesca De Angelis, Lucecchini Gianluca erede Saporito Emma Teresa, Crescentini Lelio Adriano Claudio, Petti Enrico Erde Petti Anna Maria, Petti Chiara erede Petti Anna Maria, rappresentati e difesi dall’avvocato Andrea Barletta, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gradisca 7;
Rinaldo Sallusti, Lelio Barone, Marta Picciurro, Emanuele Barone, Nicola Li Donni, Maurizio Ingemi, rappresentati e difesi dall’avvocato Paola Conticiani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Messico 7;

nei confronti di

M T C, rappresentato e difeso dagli avvocati Gennaro Maria Amoruso, Francesco Marascio, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Marascio in Roma, via Giovan Battista Martini, 2;
Neweuroart srl, rappresentato e difeso dall’avvocato S S D, con domicilio eletto presso lo studio Ernesto Sticchi Damiani in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina, 26;
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Agenzia del Demanio, Fabrica Immobiliare Sgr spa non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - sez. VI n. 01417/2015, resa tra le parti, concernente applicazione della nuova procedura di vendita del patrimonio immobiliare dell’ente ricorrente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Giancarlo Felicolo e di Pierpaolo Felicolo e di Anna Maria Petti e di Rinaldo Sallusti e di Lelio Barone e di Claudia Lombardi e di Marta Picciurro e di Francesca De Angelis e di Emanuele Barone e di Nicola Li Donni e di Maurizio Ingemi e di M T C e di Neweuroart Srl e di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Lucecchini Gianluca erede Saporito Emma Teresa e di Crescentini Lelio Adriano Claudio e di Petti Enrico Erde Petti Anna Maria e di Petti Chiara erede Petti Anna Maria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 13 ottobre 2016 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati G F, Andrea Barletta, Paola Conticiani, Fabio Tortora e Pio Marone dell’Avvocatura Generale dello Stato, e Ugo De Luca per delega dell’avv. S S D;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con il ricorso per revocazione, in trattazione deduce quanto segue.

A) I ricorrenti in primo grado, nella loro qualità di conduttori o aventi causa dell’immobile sito in Roma, via dei Laterani n. 28, di proprietà dell’INPDAP, ora INPS ai sensi dell’ars. 21, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in 1. 22 dicembre 2011, n. 214) hanno impugnato, in via principale in uno con gli atti ad esso collegati e/o connessi, il decreto dell’Agenzia del demanio, datato 30 novembre 2001 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 290 del 14 dicembre 2001, con il quale sono stati individuati ed elencati i beni immobili di proprietà dell’INPDAP ai quali va applicata la nuova procedura di vendita disciplinata dal decreto legge n. 331 del 2001, nella parte in cui ha inserito nel predetto elenco il fabbricato con gli immobili di Via dei Laterani n. 28 in Roma.

Hanno sostenuto il dott. V e gli altri ricorrenti che detta ricomprensione dell’immobile tra quelli oggetto dell’operazione di cartolarizzazione da parte dell’ente secondo la nuova disciplina normativa sia stato frutto di errore e quindi illegittima.

Hanno affermato infatti i ricorrenti che, nel marzo del 1998, l’INPDAP procedeva alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare in attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo 16 febbraio 1996 n. 104 ed in particolare dell’art. 6 del decreto, disciplinante la procedura di vendita degli appartamenti di proprietà dell’ente ai conduttori degli immobili ad uso abitativo;
che, tra il mese di aprile ed il mese di maggio 1998, i conduttori degli immobili siti nel fabbricato di via dei Laterani n. 28 esprimevano la loro disponibilità all’acquisto e quindi l’ente proprietario procedeva ad acquisire la perizia stima di ciascun immobile affidandone il compito al Dipartimento del territorio (ex UTE) che provvedeva in data 12 luglio 1999. L’ente inviava ai conduttori, nei mesi di aprile e maggio 2001, le proposte di vendita formulate sulla base delle stime operate dal predetto Dipartimento, rispetto alle quali veniva applicata, per ciascun immobile, la decurtazione del 30% del valore, in ragione di quanto previsto dalla normativa di settore, invitando i conduttori ad esprimere entro il termine perentorio di sessanta giorni la definitiva conferma dell’acquisto ovvero la rinuncia, utilizzando i modelli allegati alle lettere di comunicazione. I conduttori procedevano ad accettare la proposta, trasmettendo il relativo modulo all’ente proprietario t rendendosi disponibili anche all’acquisto in forma collettiva. Sopraggiungeva la pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale n. 224 del 26 settembre 2009, del decreto legge 25 settembre 2001 n. 351 recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare, che veniva poi convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 novembre 2001 n. 410 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 24 novembre 2001 n. 274).

La novella, com’è noto, ha disposto, all’art. 3, comma 11, che beni immobili degli enti presidenziali pubblici, diversi da quelli di cui al comma 10 e che non sono stati venduti alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le modalità di cui al presente decreto. (...)” e, al comma 20 del medesimo articolo, che 1.2 unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001 sono vendute, anche successivamente al 31 ottobre 2001, al prezzo e alle altre condizioni indicati nell’offerta (...), di talché la nuova normativa non avrebbe dovuto avere riflessi nei confronti dei conduttori del fabbricato di via dei Laterani, n. 28.

I ricorrenti comunque hanno adito l’Autorità giudiziaria ordinaria al fine di pretendere l’accertamento giudiziale del diritto a definire l’operazione di compravendita. Avviata l’azione in sede giudiziale ordinaria intervenivano i decreti impugnati in prime cure, comprendenti anche il suddetto fabbricate di via dei Laterani, n. 28.

Con il ricorso al Tar Lazio, i ricorrenti nel chiedere l’annullamento degli atti impugnati, hanno sostenuto la illegittimità di detti decreti per violazione di legge, sviamento di potere, difetto di istruttoria e illogicità manifesta.

In particolare, gli appellati hanno sostenuto che l’impugnato decreto dell’Agenzia del demanio è illegittimo perché ha inteso imprimere un effetto dichiarato della proprietà in capo all’INPDAP del fabbricato di via dei Laterani n. 28, del resto come per tutti gli altri immobili inseriti nell’elenco allegato, accompagnato dalle altre conseguenze giuridiche “ai fini della trascrizione (per) gli effetti previsti dall’art. 2644 del codice civile” (cioè l’effetto della opponibilità della trascrizione a terzi) e ai fini “dell’iscrizione dei beni in catasto” (i virgolettati si traggono dall’atto dell’Agenzia del demanio qui impugnato), non tenendo conto: A) per un verso l’art. 1, comma 3, del decreto legge n. 351 del 2001 precluderebbe il suindicato effetto dichiarativo nel caso in cui siano intervenute precedenti trascrizioni, evento che nella specie si è verificato dal momento che gli odierni appellati ebbero a trascrivere il 17 novembre 2001 e quindi in epoca antecedente rispetto alla adozione del decreto dell’Agenzia del demanio gravato (adottato in data 30 novembre 2001), la citazione in giudizio ex art. 2932 c.c., proposta dai ricorrenti medesimi nei confronti delle amministrazioni resistenti dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria (nella specie il Tribunale civile di Roma) “al fine di far accertare d’intervenuto contratto definitivo di compravendita o quantomeno l’esistenza di un preliminare di vendita in ordine all’acquisto da parte dei ricorrenti medesimi delle unità immobiliari di via dei Laterani n. 28”;
B) sotto altro profilo e comunque le sopra trascritte disposizioni transitorie inserite nel decreto legge n. 351 del 2001 dalla legge di conversione n. 410 del 2001, in particolare quelle contenute nell’art. 3, comma 11 e nell’art. 3, comma 20, escluderebbero l’estensione della nuova disciplina alle procedure che si erano già concluse con un accordo tra le parti costituito dalla proposta accertata con intervenuta stima del singolo immobile, restando la sola fase di rogito.

Hanno quindi affermato i ricorrenti in prime cure la illegittimità del provvedimento assunto dall’Agenzia del demanio, anche sotto il profilo della incompletezza dell’istruttoria, non avendo l’Agenzia tenuto conto delle procedure di compravendita in via di definizione;
conseguentemente la riflessa illegittimità del provvedimento adottato dal Ministero dell’economia e delle finanza, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ha disposto il trasferimento degli immobili inseriti nell’elenco allegato al decreto dell’Agenzia del demanio alla società di cartolarizzazione SCIP per la definizione delle procedure di vendita degli immobili in questione.

Si sono costituite in giudizio 1’INPDAP e l’Agenzia del demanio, contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione del gravame.

È intervenuta in giudizio, ad opponendurn, la Società Fabrica Immobiliare SGR s.p.a. nella qualità di gestore del “Fondo Pitagora” e di proprietaria dell’immobile sito in via dei Laterani n. 28 scala A, essendo l’immobile in questione pervenuto al predetto Fondo per acquisto dal “Fondo Beta Immobiliare” gestito dalla “Fimit SGR p.g.” nel 2008 che, a sua volta, l’aveva ricevuto mediante conferimento dall’INPDAP.

Con ordinanza presidenziale 29 maggio 2002, n. 192 è stata disposta l’acquisizione di documenti a cura delle amministrazioni intimate e con l’ordinanza istruttoria 11 ottobre 2011 n. 8326 è stato chiesto all’INPDAP di effettuare una ricognizione, con allegazione della relativa documentazione, in ordine alla vendita degli appartamenti del fabbricato di via dei Laterani n. 28 al 2011.

All’esito dell’esecuzione di quanto disposto con l’ordinanza istruttoria, l’INPDAP (ora INPS), constatato che i ricorrenti avevano acquistato gli appartamenti alle condizioni di cui al citato decreto legge n. 351 del 2001, ha chiesto che fosse dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, avendo i proprietari prestato acquiescenza a quanto disposto nei provvedimenti impugnati.

Le parti, compresa la società intervenuta, hanno depositato memorie con documenti confermando le già rassegnate conclusioni.

In particolare, con memoria del 6 settembre 2011, questa difesa ha depositato memoria difensiva (cui è stata allegata copia integrale dei rogiti di cessione di vendita in blocco del 22 marzo 2002 e del 15 aprile 2002, quindi dei contratti di compravendita riguardanti tutti i ricorrenti) in cui ha affermato: “ribadisce la circostanza della cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza d’interesse dei ricorrerti. Va infatti osservato che, a seguito dei rogiti del 22 marzo 2002 e del 15 aprile 2002 (che si producono in copia), i ricorrenti hanno acquistato le unità immobiliari in loro conduzione alle più favorevoli condizioni introdotte con il D.L. 351/2001;
che gli stessi, per addivenire al rogito, hanno provveduto a formale rinunzia dell’azione intrapresa innanzi al Tribunale Civile di Roma e alla conseguente cancellazione della trascrizione pregiudizievole dell’azione civile innanzi alla Conservatoria dei RR.II;
che i ricorrenti stessi, in sede di rogito, all’art. 4, hanno dichiarato di accettare espressamente il prezzo di cessione “senza alcuna riserva delle rispettive parti competenti interessate”.

“Stupisce allora che, a circa un decennio dall’acquisto degli appartamenti, sia stata coltivata ex adverso un’istanza di fissazione di cui non si comprende il fine, stante la palese cessazione della materia del contendere sin dal 2002”.

Trattenuta riservata la decisione nell’udienza di merito del 5 dicembre 2012, la riserva è stata sciolta nella Camera di consiglio del 19 dicembre 2012.

Il Tar Lazio, Sezione Seconda, con la sentenza gravata, ha così disposto: “pronunciando in via definitiva sul ricorso in spirale, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua e secondo quanto indicato in motivazione, i provvedimenti impugnati. Dispone l’estromissione della Società Fabrica SGR s.p.a.. Spese compensate”.

Con il presente ricorso Inps, quale successore ex lege dell’INPDAP, ai sensi dell’art. 21, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in 1. 22 dicembre 2011, n. 214, in proprio e quale procuratore speciale di SCIP s.r.l., ha proposto gravame avverso la predetta sentenza di primo grado. Il giudizio è stato rubricato al n. 81185/2013. Ha proposto appello incidentale l’Agenzia del Demanio. È intervenuta ad opponendum, con atto depositato il 25 febbraio 2015, la società New Euroart srl avente causa della sig.ra Livia V). Con atto depositato il 3 marzo 2015 è altresì intervenuta ad opponendum la sig.ra M T C, acquirente in data 1° aprile 2009 di un appartamento dai sig.ri S T e V.

Inps ha proposto gravame per due motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.. Carenza d’interesse a ricorrere e sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

Si è osservato che il Tar Lazio ha respinto l’eccezione sollevata dalla difesa dell’INPDAP secondo la quale l’avvenuto acquisto degli appartamenti ad opera dei ricorrenti, alle condizioni indicate negli atti impugnati, avrebbe prodotto il sopravvenuto venir: meno dell’interesse alla decisione per aver prestato i ricorrenti medesimi acquiescenza alle manifestazioni di volontà espresse dalle amministrazioni intimate nei provvedimenti qui impugnati.

Il Giudice di prime cure ha infatti ritenuto che “L’acquiescenza, quale comportamento idoneo a ritenere che una palle ricorrente, una volta proposta l’adone giudiziale, non sia più interessata ad ottenere la decisione in merito alla controversia agitata, non può derivare da semplici presunzioni ma deve essere manifestata espressamente con un atto ai rinuncia all’azione ovvero per facta concludentia ... “l’acquiescenza tacita nei confronti di un provvedimento è configurabile solo in presenza di un comportamento che appaia inequivocabilmente incompatibile con la volontà del soggetto di impugnare il provvedimento medesimo ovvero di proseguire nel giudizio avviato mirando a conoscerne l’esito consistente nella sentenza. Non è dunque sufficiente, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi, come nel caso che occupa, necessari od opportuni, nell’immediato, dall’esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, che non per questo escludono l’eventuale coesistente intenzione dell’interessato di reagire poi per l’eliminazione degli affetti dell’atto. Può quindi confermarsi il principio per il quale l’acquiescenza a fronte dell’esercizio del potere amministrativo è configurabile soltanto in presenza di atti o comportamenti che inequivocamente esprimano la volontà di accettazione con stretto riferimento alle determinazioni autoritative dell’amministrazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 7 giugno 2004 n. 3617), in questo caso costituite dagli atti con i quali si sono individuati gli immobili da sottoporre alla procedura disciplinata dal decreto legge n. 351 dei 2001, convertito nella legge n. 401 del 2001;
per contro l’accettazione di voler acquistare gli immobili comunque da parte dei ricorrenti produce effetti oggettivamente limitati al profilo dell’acquisto della titolarità di proprietario e pertanto assolutamente non può considerarsi indicativa di una volontà di accettare anche le condizioni della compravendita intervenuta, posto che espressamente i ricorrenti hanno avviato il presente ricorso al fine di divenire ugualmente proprietari degli immobili di via dei Laterani n. 28, ma alle condizioni che erano state fissate in epoca precedente rispetto all’entrata in vigore della nuova disciplina normativa. Sicché può pienamente confermarsi la sussistenza dell’interesse dei ricorrenti alla decisione del presente contenzioso”.

Ma è stato osservato che i ricorrenti per addivenire al rogito hanno:

1) rinunciato al giudizio civile e proceduto alla cancellazione presso la Conservatoria dei RR.II. della trascrizione pregiudizievole (che infatti non appare nei rogiti prodotti in primo grado);

2) dichiarato in sede di rogito, all’art. 4, di accettare espressamente il prezzo di cessione “senza alcuna drena delle rispettive parti competenti interessate”.

Questa difesa ha ritenuto difficile negare che tali atti non configurino un’acquiescenza nel senso indicato dalla giurisprudenza pure richiamata dal Tar Lazio. E ciò vieppiù considerando due elementi evidentemente non valutati dal Tar. Innanzi tutto, contrariamente a quanto ritenuto (non si capisce su quale presupposto), con l’acquisto degli appartamenti i ricorrenti in primo grado non hanno evitato nessuna situazione di pregiudizio immediato: ciò perché, appunto, avevano chiesto al GA di voler dichiarare la legittimità del loro acquisto ai sensi della normativa precedente al D. L. 351/2001. Quindi, da un lato, nessuna decadenza era possibile, avendo gli odierni appellati con il ricorso “congelato” la procedura;
dall’altro, al contrario, per poter acquistare, i ricorrenti dovevano rinunciare sia al giudizio civile e alla relativa trascrizione in conservatoria (non potendo ovviamente addivenire a rogito altrimenti), esercitare l’opzione ai sensi dell’art. 3 del D.L. 351, costituire un mandato collettivo con rappresentanza (per poter usufruire dell’ulteriore “sconto” di blocco ex comma 8 del citato art. 3) e infine rogitare. Così hanno fatto. Ciò risulta in maniera inequivocabile dalla produzione Inpdap del 2 dicembre 2011 e dal rogito di compravendita del 15 aprile 2002, dove l’intera parte dell’atto in premessa è inequivocabilmente in tal senso. Si sono quindi allegati in copia i due mandati collettivi con rappresentanza (del 1° marzo 2002 e del 25 marzo 2002), espressamente richiamati in rogito, con cui gli appellati hanno conferito delega per l’acquisto, atti tutti nel senso dell’espresso richiamo alla normativa di cui al D.L. 351/2001. Si è altresì eccepita l’evidentissima carenza d’interesse a ricorrere da parte degli originari ricorrenti.

Si è osservato che gli appellati hanno acquistato i loro appartamenti ad un prezzo definito dalla stima di Agenzia del Territorio del 12 luglio 1999, ridotto del 30 % ai sensi del comma 8 del D. L. 351/2001 e di un’ulteriore percentuale (del 15 %) dovuta al cd. “sconto di blocco” (“Il prezzo di rendita delle unità immobiliari ad uso residenziale, escluse quelle di pregio ai sensi del comma 13, offerte in opzione ai conduttori che acquistano in forza individuale è pari al prezzo di mercato delle stesse unità immobiliari libere diminuito del 30 per cento. Per i medesimi immobili è altresì confermato l’ulteriore abbattimento di prezzo, secondo i coefficienti in vigore, in favore esclusivamente dei conduttori che acquistano a mezzo di mandato collettivo unità immobiliari ad uso residenziale che rappresentano almeno l’80 per cento delle unità residenziali complessive dell’immobile, al netto di quelle libere”). Quindi hanno acquistato ad un prezzo inferiore a quello cui sarebbero state tenuti applicando la norma ritenuta applicabile dal Tar Lazio.

Si è osservato infatti che il richiamate D.lgs. 104/1996 (normativa ritenuta erroneamente applicabile alla fattispecie dal Tar Lazio) prevedeva (secondo l’interpretazione ministeriale della Circolare Lavoro 6/4/PS/31573 del 26 agosto 1999 e della successiva Circolare IV/PS/30800/bis del 10 aprile 2000), la possibilità di riduzione del prezzo di acquisto del cespite su cui si esercitava la prelazione di cui all’art. 6, commi 5 e ss., solo in ipotesi di acquisto collettivo in blocco delle unità componenti lo stabile. Quindi gli inquilini, per usufruire dei vantaggi previsti dalla norma, dovevano accollarsi l’invenduto. In più, il comma 10 del medesimo art. 6 prevedeva un divieto di rivendita decennale dell’acquistato.

Con il D.L. 351/2001, è stato invece previsto, al comma 8 dell’art. 3 (sopra riportato), un diritto alla riduzione di prezzo senza alcun onere di acquisto per il soggetto collettivo di unità immobiliari ultronee rispetto a quelle utili ai conduttori acquirenti.

Se l’interesse era infatti evidente al momento della proposizione del ricorso, atteso che gli stessi lamentavano un vero e proprio “esproprio” da parte del legislatore con l’operazione di cartolarizzazione, tale interesse, dopo l’acquisto (allo stesso prezzo di stima del 1999, si badi bene) e sotto la tutela del comma 20 dell’art. 3 dello stesso D.L. 351/2001 (“20. Gli enti previdenziali alienano gli immobili definitivamente offerti in opzione alla data di entrata in vigore del presente decreto al pretto ed alle altre conditimi indicate nell’offerta”) è evidentemente sfumato con l’acquisto.

I ricorrenti, con il ricorso in primo grado, chiedevano sostanzialmente di acquistare gli appartamenti da essi condotti al prezzo della stima del 1999, ridotto -come da legge allora applicabile- con uno sconto di blocco (quindi acquistando l’invenduto del palazzo). Si sono trovati ad acquistare il loro appartamento a condizioni di miglior favore, visto che il comma 20 dell’ari. 3 del D.1351/2001 ha riconosciuto i loro diritti di prezzo nel nuovo regime normativo, senza doversi accollare l’invenduto (in base ad una norma oggettivamente difficilmente compatibile con il fine sociale del cd. “diritto alla casa” insito nella dismissione del patrimonio pubblico) e con la possibilità di rivendere gli appartamenti dopo 5 anni (a fronte dei 10 di cui al d.lvo 104).

Quindi ciò che è accaduto nel corso del processo di primo grado, secondo l’appello Inps, è riconducibile ad un’evidentissima sopravvenuta carenza d’interesse dei ricorrenti e ad una solare cessazione della materia del contendere, visto il pieno soddisfacimento, in corso di causa, dell’interesse dei ricorrenti.

2) Violazione e falsa applicazione del comma 6 e del comma 20 dell’alt. 3 del d.l. 351/ 2001.

Con il secondo motivo, si è criticata la tesi del giudice di primo grado, fondata sulla diversa funzione dei commi 3 e 30 dell’art.3 del D.1. 351: se per un verso, al comma 3, la norma recita “I beni immobili degli enti previdenziali pubblici, diversi da quelli di cui al comma 10 e che non sono stati venduti alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le modalità di cui al presente decreto. (...)”, per altro verso, al comma 20, afferma che “Le unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001 sono vendute, anche successivamente al 31 ottobre 2001, al pizzo e alle altre condizioni indicati nell’offerta (...)”. Ha ritenuto il Tar che il comma 20 si riferisca all’ipotesi in cui al conduttore venga manifestata una vera opzione e non una richiesta di manifestazione d’interesse all’acquisto (“Va sul punto rimarcato come giuridicamente debbano intendersi in modo distinto, quanto agli effetti, i due momenti civilistici della proposta seguita dall’accettazione e la mera dichiarazione di voler esercitare genericamente un diritto. Una volta che il conduttore dell’immobile affido in vendita ha accettato, comunicandolo all’ente, non solo la proposta di vendita ma anche le specifiche condizioni, formulate dall’ente proprietario, alle quali il conduttore medesimo si obbligava ad acquistare in proprietà l’immobile condotto in locazione, la dichiarazione di volontà negoziala di esercizio del diritto di opzione (perfezionatasi con l’accettazione della proposta contrattuale dell’ente offerente) è divenuta immediatamente vincolante per entrambe le parti ed implicante la costituzione eli un obbligo di contrarie in relazione ad un contenuto negoziale interamente determinato nei suoi elementi essenziali (ivi compreso il prezzo). Diverso effetto avrebbe avuto una generica dichiarazione da parte del conduttore di voler acquistare l’immobile secondo le disposizioni di legge. Il legislatore, del resto, ha mostrato di avere chiara consapevolezza della diversità delle due possibili fattispecie, ricollegandovi effetti distinsi in seno alla sopra richiamata disposizione dell’alt 3, cominci 20, del decreto legge n. 351 del 2001, convertito nella legge n. 401 del 2001: mentre, infatti, l’accettazione di un’offerta di opzione comporta obbligo di contrarre al pezzo e alle condizioni indicate nell’offerta (primo inciso della norma), la semplice manifestazione di volontà di acquisto, in assenza di vincolante offerta in opzione, fa sì che, ove resa formalmente entro i1 31 ottobre 2001, la dismissione avvenga al prezzo e alle condizioni determinati in base alla normativa vigente alla data della dichiaratione.1).

In breve, il Tar ha ritenuto sostanzialmente il contratto concluso con la risposta del conduttore alla nota di opzione inviata dall’Ente.

Addirittura quindi esuleremmo dal riparto di giurisdizione tradizionale (di cui a Cass. SS. UU, 12 marzo 2007 n. 5593), visto che il GA andrebbe a definire dell’esistenza non di interessi legittimi ma di diritti soggettivi pieni, di competenza del GO (andandosi a sostituire a quel Tribunale Civile di Roma pure inutilmente adito dagli odierni appellati con una domanda ex art. 2932 cc, poi abbandonata).

Ora, a parte lo sconfinamento giurisdizionale (pure rilevante), la tesi non può ritenersi fondata, atteso che la c.d. “opzione” di cui all’art. 3 del D.1. 351/2001 configura una fattispecie a formazione progressiva che vede la verifica del terzo fondamentale elemento del negozio (dopo l’oggetto e il prezzo) e quindi della c.d. “regolarità locativa” di cui al Gomma 6 dell’art. 3 del D.L. 351/2001 (“6. I diritti dei conduttori sono riconosciuti se essi sono in regola con il pagamento dei canoni e degli oneri accessori e sempre che non sia stata accertata finigokritat della locatione” solo al momento del rogito.

Quindi, delle due l’una.

O si ritiene che, con la risposta alla nota di opzione, il negozio sia concluso (ma la tesi pare contra legem, atteso che il comma 20, in tal caso, non avrebbe nessuna funzione, stante l’avvenuto contratto sulla cui sorte l’unico Giudice possibile è quello ordinario) oppure si ritiene correttamente che, con l’accettazione dell’opzione, al conduttore vengano ricostituiti i diritti di prezzo all’ottobre 2001, nel regime però del sopravvenuto Dl. 351/2001 (con corretta applicazione del comma 20 e corretto riparto di giurisdizione, andando il GA a sindacare di interessi legittimi e non di diritti soggettivi.).

Questa è, a parere dell’Inps, la corretta applicazione del comma 20 suddetto, applicazione non recepita dal Giudice di prime cure con palese vizio di violazione di legge.

A seguito del deposito delle memorie difensive degli appellati e d’intervento della Difesa Erariale e di M T C e della New Euroart Srl, all’udienza del 10 marzo 2015 la causa è stata introitata in decisione.

Con la sentenza di cui ora si chiede la revocazione, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha così deciso: “Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge, confermando l’appellata sentenza. Dichiara l’inammissibilità degli interventi. Spese compensate”.

La sentenza è stata notificata in copia conforme al sottoscritto procuratore costituito Inps dalla Difesa della New Euroart srl il 22 maggio scorso.

B) L’INPS propone ricorso per la revocazione della sentenza impugnata per i seguenti motivi:

- Errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., sulla mancata valutazione delle risultanze istruttorie di cui all’ordinanza collegiale del TAR Lazio 8326/2011 del 26 ottobre 2011.

Appare evidente l’errore di fatto da parte della Sesta Sezione di codesta ecc.ma Corte, risultante dagli atti di causa, che si è concretato nel mancato rilievo della risultanze dell’ordinanza collegiale del Tar Lazio 8326/2011 del 26 ottobre 2011.

Afferma infatti la sentenza, fra l’altro: “La rinuncia alle azioni e la cancellazioni delle trascrizioni non significano anche rinuncia ad impugnare il decreto impugnato in prime cure, rispetto al quale i ricorrenti originari hanno continuato ad agire, avendone l’interesse, come dimostra il presente giudizio;
l’esercizio dell’opzione è stato necessario al fine di definire l’acquisto, ma ciò non significa accettare tutte le condizioni, che in realtà derivano dal regime effettivamente applicabile ratione temporis. Una cosa è acquistare (essere costretti ad acquistare, al fine di perseguire i propri fini);
altra cosa è accettare per Suo il contenuto imposto delle condizioni contrattuali.

L’acquiescenza, quale comportamento idonee a atelier° che una parte ricorrente, una volta proposta l’azione giudiziale, non sia più interessata ad ottenere una decisione in merito alla controversia agitata, non può derivare da semplici presunzioni ma deve essere manifestata espressamente con un atto di rinuncia all’azione ovvero dimostrarsi per fatta concludendo;
l’acquiescenza tacita nei confronti di un provvedimento è configurabile solo in presenza di un comportamento che appaia inequivocabilmente incompatibile con k volontà del soggetto di impugnare il provvedimento medesimo ovvero di proseguire nel giudizio avviato mirando a conoscente l’esito consistente nella sentenza;
non è sufficiente, quindi, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi, come nel caso che occupa, necessari od opportuni, nell’immediato, dalla esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, che non per questo escludono la eventuale coesistente intenzione dell’interessato di reagire poi per la eliminazione degli effetti dell’atto.

Se gli interessati si sono trovati dinanti alla possibilità di acquistare soltanto alle date conditimi, ciò non determina necessariamente il superamento della volontà di annullare l’atto che, predeterminando date condizioni contrattuali (in primi: il pretto e anche dati diritti importanti scaturenti dal complessivo regolamento contrattuale), incide sul suo contenuto.

L’appello sostiene che la parte acquirente avrebbe tratto un maggior vantaggio dalle condizioni successive, perché, ad invarianza di prezzo (con il trenta per cento di sconto sul prezzo di stima, come sostiene a pagina 12 dell’appello dell’DNPS, con il quindici per cento per il mandato collettivo di acquisto, per la possibilità di rivendita dopo cinque anni piuttosto che dieci, per la insussistenza dell’accollo dell’acquisto dell’invenduto) avrebbe ottenuto addirittura maggiori vantaggi dall’assoggettamento al nuovo regime.

In realtà, parte appellata contesta tale ricostruzione: nella memoria finale depositata in data 6 febbraio 2015 sostiene che in realtà sarebbe stato pagato un prezzo maggiore rispetto a quello che sarebbe stato dovuto nella vigenza della disciplina transitoria di favore ai sensi dei commi 11 e 20 dell’art. 3 del d.l. 351 del 2001, conv. in legge 410 del 2001.

Il Collegio osserva che, in effetti, se in punto di fatto il prezzo praticato fosse stato, per tutti gli appellati, coincidente in modo preciso con quello di maggiore favore di cui alla precedente disciplina, cumulato allo sconto di blocco, la presente controversia risulterebbe priva di interesse, limitatamente a tale profilo, ma dò varrebbe sia per l’INPS (all’appello) che per i ricorrenti originari (al ricorso).

Deve però, per completezza, osservarsi che — prescindendo dallo sconto effettivamente praticato - in ogni caso, per il resto, anche sulla base di ciò che sostengono e deducono gli appellati, mentre talune condizioni o clausole contrattuali sono certamente ed indiscutibilmente di maggior vantaggio per gli acquirenti (la possibilità di rivendita dopo soli cinque anni in luogo di dieci) configurandosi come un maggior o miglior diritto, altre condizioni contrattuali, come l’obbligo e diritto di acquistare l’invenduto (che l’ente previdenziale ritiene essere condizione peggiorativa, mentre gli appellati sostengono essere allo stesso tempo, com’è in effetti, una situazione soggettiva anche attiva), consentendo acquisti a condizioni estremamente vantaggiose, di locali pertinenziali e altro, inducono a ritenere persistente l’interesse ad agire.

Non può accettarsi il rilievo sollevato dall’INPS nelle memorie finali di una possibile “tardività” nella dimostrazione dell’interesse, essendo evidente che già in primo grado ciò che si pretendeva era il miglior trattamento complessivo derivante dalla condizioni di cui alla precedente disciplina. Pare inoltre in contraddizione la tesi dell’INPS, laddove sostiene da un lato che effettivamente vi è stato un ulteriore sconto (del quindici per cento) a causa dell’acquisto in blocco, mentre dall’altro lato nega che vi sia stato tale acquisto in blocco, al fine di riconoscerne l’ulteriore effetto dell’acquisto dell’invenduto.

Quanto poi alla osservazione che nei fatti l’acquisto in blocco dell’“invenduto” potrebbe risultare non eccessivamente conveniente, perché avverrebbe “in blocco” non essendo consentita la scelta di singoli immobili invenduti, ai tratta di valutazioni che non impingono sulla persistenza dell’interesse per come rappresentato.

Un diritto nel patrimonio di un soggetto costituisce una situazione soggettiva attiva;
altra cosa è che potrebbe essere non eccessivamente conveniente l’esercitarlo o mantenere un bene.

In definitiva, deve ritenersi che non si sia verificata alcuna acquiescenza, né che sia sopravvenuta una carenza di interesse a ricorrere per i ricorrenti originari, che mantengono l’interesse all’annullamento del decreto che ha incluso gli immobili in questione ira quelli assoggettati alla nuova disciplina”.

Ora, questa difesa non può non esimersi da alcune considerazioni su questa parte di motivazione.

In disparte considerazioni in diritto, che eventualmente potranno essere oggetto di ricorso per cassazione nei limiti ex art. 111 Cost. (come quella sulla confusione fra il concetto di sconto di blocco ex D.L. 351/2001 e l’acquisto in blocco dell’immobile ex D.

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