Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-08, n. 202005969

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-08, n. 202005969
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005969
Data del deposito : 8 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/10/2020

N. 05969/2020REG.PROV.COLL.

N. 08773/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8773 del 2010, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato R M ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla via Paolo Emilio, n. 34,

contro

- il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore;
- il Comando Generale Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante Generale pro tempore;
- la Commissione di disciplina dell’Arma dei Carabinieri, in persona del Presidente pro tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima- bis ) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 settembre 2020, il Cons. Roberto Politi e udito per la parte appellante l’avvocato Marcella De Ninno, su delega dell’avvocato R M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Espone l’appellante – già collocato, a decorrere dal 27 novembre 2007, in congedo assoluto per inidoneità al servizio di istituto – di essere stato successivamente sanzionato con la perdita del grado per rimozione, all’esito di un procedimento disciplinare avviato con riferimento a sentenza di condanna (esecutiva il 15 luglio 2008) alla pena, sospesa, di anni 3 e mesi 1 di reclusione, emessa nei suoi confronti dalla Corte d’Appello di Genova per i reati di -OMISSIS--OMISSIS-OMISSIS-personali -OMISSIS-.), tentata -OMISSIS-aggravata (artt. -OMISSIS-c.p.).

2. Con ricorso N.R.G. -OMISSIS-, proposto innanzi al T.A.R. del Lazio, il signor -OMISSIS- chiedeva l’annullamento:

- della determinazione prot. n. -OMISSIS-del 20 aprile 2009, a firma del Direttore Generale della Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con la quale era stata disposta la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, e la conseguente cessazione dal servizio, in via retroattiva, ai sensi dell’art. 26, lett. g ), della legge n. 599/1954;

- del verbale della Commissione di disciplina, con il quale veniva giudicata incompatibile l’ulteriore permanenza del militare nell’Arma dei Carabinieri, anche nella posizione di mero congedato;

- delle note prot. n. -OMISSIS- sospendeva il pagamento dei ratei di pensione e della buonuscita (a titolo provvisorio) dovuti;
e veniva all’interessato richiesto il rimborso di quanto nel frattempo percepito a tale titolo.

3. Costituitasi l’Amministrazione intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che:

- il militare è stato condannato penalmente ad oltre tre anni di reclusione per fattispecie di -OMISSIS-, mai smentite dallo stesso neppure nel corso del presente giudizio ”;

- il contegno tenuto dal militare è oltremodo riprovevole, denota una totale -OMISSIS-ed è quindi obiettivamente inconciliabile con le funzioni proprie di un membro della “Benemerita”: non può, pertanto, che renderne incompatibile l'ulteriore permanenza in tale prestigiosa Istituzione ”;

- le gravate determinazioni amministrative, motivate per relationem, sono state adottate a conclusione di un’approfondita istruttoria, nel corso della quale sono state sempre rispettate le garanzie difensive dell’inquisito, nell’assoluto rispetto delle previsioni di cui al combinato disposto degli artt. 37, 61 e 74 della legge n. 599/1954 ”;

- per consolidata giurisprudenza, la p.a. dispone di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente i fatti disciplinarmente rilevanti: le valutazioni da essa compiute sul punto, quindi, sono insindacabili se non per macroscopici vizi logici che, nel caso di specie, non sono obiettivamente riscontrabili ”.

4. Avverso tale pronuncia, il signor -OMISSIS- ha interposto appello, notificato il 15 ottobre 2010 e depositato il successivo 22 ottobre, lamentando quanto di seguito sintetizzato:

- non avrebbe il Tribunale preso in esame le modalità di esecuzione della condotta contestata ed i fatti che l’hanno originata;
omettendo, ulteriormente, di chiarire i motivi per i quali il comportamento accertato e sanzionato in sede penale abbia mantenuto autonoma rilevanza sotto il profilo disciplinare, pur dopo la cessazione dal servizio dell’interessato;

- avrebbe errato il Tribunale nel non valutare la sproporzione della sanzione inflitta in relazione alla non manifesta rilevanza (esterna ed interna al sodalizio militare) dei fatti contestati.

Ripropone, poi, parte appellante le censure già articolate in prime cure, riguardanti:

5.1) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Eccesso di potere per palese ed irrazionale disparità di trattamento tra dipendenti civili e militari dello Stato.

Nell’osservare come il combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e 61, comma 3, della legge n. 599/1954 stabilisca che i sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica (e, quindi, dell’Arma dei Carabinieri), già congedati ma sottoposti a procedimento disciplinare, cessano dal servizio permanente per perdita del grado per rimozione, dal giorno dell’avvenuto congedo (per altra causa), quando tale procedimento si concluda con l’irrogazione della predetta (massima) sanzione di stato, lamenta l’appellante l’irrazionalità del diversificato trattamento riservato al militare collocato, come nel caso di specie, in congedo assoluto, rispetto a quella del dipendente civile collocato in quiescenza.

Quanto al pregiudizio lamentato, la parte:

- nel rammentare l’intervenuto collocamento in congedo assoluto, con diritto a pensione, in data 27 novembre 2007, per accertata inidoneità all’espletamento dei servizi di istituto;

- e nel dare atto del successivo avvio del procedimento disciplinare sostanziatosi con l’irrogazione della censurata determinazione espulsiva;

evidenzia come sia stata, conseguentemente, disposta in via retroattiva (dalla data del 27 novembre 2007), la cessazione dal servizio permanente, senza diritto al relativo trattamento pensionistico, in quanto, al momento del congedo, l’anzianità contributiva era pari a soli anni 36, non potendosi più conteggiare a tal fine, i sei scatti stipendiali concedibili, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 232/1990, al solo personale che cessa dal servizio per limiti di età, decesso e riforma, e non per perdita del grado per rimozione.

5.2) Violazione degli artt. 31 e 38 della Costituzione. Violazione, falsa applicazione e malgoverno del combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e dell’art. 61, comma 3, della legge n. 599/1954, se interpretati nel senso di attribuire un arbitrario potere all’Amministrazione di mutare retroattivamente il titolo della cessazione dal servizio dell’appellante, con gravi conseguenze sul trattamento di quiescenza destinato a sopperire alle esigenze di vita del suo nucleo familiare. Ingiustizia grave e manifesta.

Le disposizioni in epigrafe, lungi dal prevedere un’indifferenziata e generale potestà gravemente sanzionatoria (perdita del grado) con efficacia retroattiva, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dovrebbero limitarsi a stabilire che tale causa di cessazione dal servizio decorre dal momento in cui questa è stata assunta, nel caso in cui la retroattività della stessa farebbe venir meno i necessari presupposti per la percezione, da parte del militare, del trattamento di quiescenza già in godimento.

La rideterminazione del trattamento di quiescenza, effettuata in un momento successivo al collocamento a riposo per accertata infermità, è suscettibile di incidere negativamente su una situazione giuridica già consolidata, ledendo legittime aspettative del nucleo familiare dell’interessato, oggetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 31 e 38 della Costituzione, di specifica tutela di rilievo costituzionale.

Conclude, pertanto, la parte per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

5. In data 19 novembre 2010, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio a mezzo di articolata memoria di controdeduzione, con la quale sono state confutate le argomentazioni esposte con l’atto introduttivo del presente giudizio.

6. L’istanza cautelare, dall’appellante incidentalmente proposta, è stata respinta con ordinanza della Sezione IV, 24 novembre 2010, n. 5332.

7. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 15 settembre 2020.

DIRITTO

1. Con i primi due motivi d’appello, il sig. -OMISSIS- ha denunciato che l’avversata sentenza del T.A.R. Lazio avrebbe erroneamente apprezzato il fondamento fattuale della disposta rimozione per perdita del grado;
in particolare:

- sotto il profilo della gravità della sanzione inflitta in ragione dell’intervenuta cessazione dal servizio (e, conseguentemente, della mancata attualità, al momento dell’irrogazione, del rapporto con l’Amministrazione di appartenenza);

- e, ulteriormente, con riferimento alla sproporzione asseritamente rivelata dalla misura sanzionatoria rispetto ai fatti accertati in sede penale.

2. Tali doglianze non meritano condivisione.

Il primo dei suindicati rilievi non può trovare favorevole apprezzamento, stante la oggettiva gravità dei fatti descritti nella sentenza penale di condanna che, per la sua portata accertativa, non lasciava margini istruttori in grado di potenzialmente sovvertire la consistenza materiale dei fatti addebitati all’appellante ed emersi all’esito del giudizio penale.

Occorre verificare quale sia il perimetro valutativo della Commissione di disciplina in relazione ai fatti, dotati di rilievo disciplinare ed accertati in sede penale.

Va osservato, in termini generali, che, come evidenziato da questo Consiglio, “ la sentenza penale, che accerta la sussistenza di determinati fatti, ha efficacia nel giudizio disciplinare che si fondi sui fatti medesimi. Conseguentemente l’Amministrazione, nel procedere disciplinarmente, non può operare una ricostruzione dei fatti che si ponga in termini diversi da quella accertata dal giudicato penale ” (Sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6382, e 6 novembre 2009, n. 6938).

Il provvedimento censurato in primo grado, come è dato inferire dal suo tenore motivazionale, si fonda proprio sulle risultanze dell’accertamento del giudice penale in ordine alla perpetrazione, da parte dell’appellante, dei titoli di reato descritti in narrativa.

L’oggettiva gravità dei fatti addebiti al sig. -OMISSIS- è tale da giustificare la sanzione irrogata avuto riguardo alla connotazione dell’Arma dei Carabinieri quale “ forza militare di polizia a competenza generale e in servizio permanente di pubblica sicurezza con rango di Forza Armata ” (art. 155 D.Lgs. n. 66 del 2010), che rende vieppiù biasimevole, ai fini disciplinari, una condotta quale quella tenuta dall’odierno appellante, stimata, con valutazione prima facie tutt’altro che illogica o irragionevole, contraria ai doveri assunti con il giuramento, nonché lesiva dell’immagine e del prestigio dell’Arma presso i consociati, cui l’attività istituzionale del Corpo, a differenza delle altre Forze Armate preposte alla difesa militare dello Stato, è in primis diretta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302).

Come è noto, costituisce jus receptum il principio secondo cui “ la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento ” ( ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302, e 31 maggio 2007, n. 2830).

Spetta, pertanto, all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (disponendo, essa, di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6034;
Sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1350).

Né, ulteriormente, ha pregio la censura di violazione del principio di proporzionalità: come già precisato da questo Consiglio, infatti, “ il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario sulle suggestioni del diritto tedesco (art. 5, ultimo comma, del trattato Ce ora art. 5 trattato UE), non consente di controllare il merito dell’azione amministrativa … il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure ritenute idonee (cfr. Corte giust. 18 gennaio 2001, causa C-361/98);
il giudice amministrativo, pertanto, non può sostituirsi agli organi dell’amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui tali organi sono pervenuti;
ne discende che il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall’autorità disciplinare, che possono essere sindacate esclusivamente ab externo, qualora trasmodino nell’abnormità;
altrimenti opinando, si introdurrebbe surrettiziamente una smisurata ed innominata ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo in contrasto con le caratteristiche ontologiche di siffatta giurisdizione, che sono, all’opposto, la tipicità e l’eccezionalità in quanto deroga al principio di separazione dei poteri, cui si ispira la legislazione
” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 ottobre 2010, n. 7383;
in termini Cons. Stato, Sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1968;
23 febbraio 2012, n. 1022;
Sez. II, 5 maggio 2011, n. 2055/10;
Sez. IV, 12 novembre 2008, n. 5670;
Sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 758).

3. Ripropone, poi, parte appellante le censure già articolate in prime cure;
e disattese dall’adito T.A.R. Lazio.

La pronunzia gravata, a fronte di siffatte doglianze, merita conferma.

3.1. La perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari è stata comminata al sig. -OMISSIS- ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60 n. 6 della legge n. 599 del 1954, a seguito della sentenza di condanna resa dalla Corte d’Appello di Genova per i reati di -OMISSIS--OMISSIS-(-OMISSIS-.), -OMISSIS-(art. -OMISSIS-, comma 1, n. 1, c.p.), tentata -OMISSIS-aggravata (artt. -OMISSIS-c.p.).

L’art. 61 della citata legge, al comma 2, prevede una decorrenza differenziata della perdita del grado:

- “ dalla data del decreto , nel caso in cui la perdita del grado sia disposta per rimozione disciplinare (caso contemplato dal comma 1, n. 6, dell’art. 60):

- “ dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza ”, nel caso di perdita del grado per condanna penale (ipotesi di cui al comma 1, n. 7, dello stesso articolo).

Il successivo comma 2 dell’art. 61 precisa altresì che “ qualora ricorra l’applicazione del secondo comma dell’art. 37 ”, la perdita del grado per le cause sopraindicate “ decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente ” (ora art. 866 del D.Lgs n. 66/2010, il cui comma 5 ha positivizzato l’orientamento giurisprudenziale in materia: cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 251/2005, n. 5025/2005 e n. 888/1999).

L’art. 37, a sua volta, stabilisce;

- al primo comma che “ il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare ”;

- ed al secondo comma che “ qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta ”.

La norma è riprodotta, ora, dall’art. 923 del D.Lgs n. 66/2010;
che, nel richiamare le diverse cause che determinano la cessazione del rapporto di impiego (tra cui, l’infermità, il transito nell’impiego civile e la perdita del grado), precisa, al comma 5, che: “ il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi riguardi si verifica una delle predette cause, anche se si trova sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa ”.

Ed è appunto in applicazione della normativa soprarichiamata che il provvedimento impugnato ha stabilito la decorrenza nei termini contestati dal ricorrente.

Nessun addebito può pertanto essere mosso all’operato dell’Amministrazione per aver fatto applicazione di una normativa che espressamente prevede la decorrenza “retroattiva” dell’atto impugnato: questa è sancita infatti proprio dall’art. 37, comma 2, della legge n. 599/1954 (oggi, riprodotto dall’art. 923, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2010), che costituisce la disciplina applicabile all’appellante e che impone alla Amministrazione di retrodatare gli effetti della perdita del grado, sin dal momento in cui il militare sia cessato dal servizio continuativo (nel caso in esame al momento del collocamento in congedo per inidoneità), in quanto comportante una riqualificazione retroattiva della causa di cessazione del servizio, i cui effetti si producono ex lege e senza l’intermediazione di alcun provvedimento amministrativo di recepimento;
per cui la causa di cessazione dal servizio dell’interessato deve essere giuridicamente ricondotta non all’infermità dichiarata dalla commissione medica a fondamento dell’accertata inidoneità, bensì all’effetto espulsivo tipico della pena accessoria subita.

In tale rigoroso quadro normativo di riferimento, che impone all’Amministrazione di retrodatare gli effetti della perdita del grado, sin dal momento in cui il militare sia cessato dal servizio continuativo, non trova ambiti di operatività il generale principio di affidamento;
lamentando parte appellante che l’applicazione, in tal modo, della disciplina soprarichiamata sia andata ad incidere su un diritto quesito, quale il trattamento di quiescenza.

La volontà del legislatore chiaramente espressa nella disposizione contestata, è stata ripetutamente sottolineata dalla giurisprudenza in materia che ha chiarito che la ratio dell’operatività retroattiva della perdita del grado per rimozione come pena accessoria, va ravvisata “ nella volontà di evitare che si possano eludere gli effetti sfavorevoli di un giudizio penale o disciplinare anticipando la cessazione dal servizio per altra causa ” (Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7734).

Pertanto, il principio di affidamento e di intangibilità dei diritti quesiti non trova applicazione stante l’espressa opposta previsione normativa dello stesso art. 61;
il quale, nel richiamo all’ipotesi al comma 2 dell’art. 37, sancisce che la perdita del grado, in quanto causa di rimozione superveniens , retroagisce alla data in cui (per diversa causa) il militare ebbe a cessare dal servizio permanente.

Tale norma, che prevede (e legittima) il mutamento retroattivo della “causale” della cessazione dal servizio permanente disposta per causa diversa dalla perdita del grado, ed espressamente stabilisce la retrodatazione degli effetti della rimozione del grado disposta dal Consiglio di disciplina o dalla sentenza di condanna, risulta incompatibile con il principio di “intangibilità” invocato dal ricorrente, di cui “ non v’è traccia nell’ordinamento ” e che “ non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza (Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4292).

3.2. Né, sotto altro profilo, la condotta tenuta dall’Amministrazione al fine di pervenire all’adozione dell’irrogata sanzione appare suscettibile di mende.

Infatti:

- se gli addebiti formulati nei confronti del sig. -OMISSIS- hanno formato oggetto di corretto svolgimento di preordinata attività istruttoria (inchiesta formale, deferimento alla Commissione di disciplina, decretazione ministeriale) ed essi, per come sotto il profilo fattuale ricavabili dalla pronunzia di condanna, non hanno incontrato smentita alcuna da parte dell’inquisito;

- l’attività di accertamento in sede disciplinare è stata svolta, sotto il profilo sia formale, che sostanziale, nel rispetto delle garanzie di difesa, atteso che l’incolpato ha avuto ampio modo di spiegare attività defensionale.

Quanto alla lamentata mancata conoscenza, da parte dell’inquisito, del verbale della seduta della Commissione di disciplina tenutasi il 24 luglio 2008, l’art. 74 della legge n. 599 del 1954, nello stabilire che gli atti sono rimessi direttamente al Ministero ”, non prevede che il verbale stesso debba essere posto a conoscenza del militare inquisito (al quale, peraltro, non è certo preclusa l’acquisizione cognitiva di tale atto a mezzo di accesso, nella fattispecie non esercitato).

Il provvedimento gravato in prime cure si dimostra, per l’effetto, indenne da censura, non dimostrandosi l’irrogazione della sanzione disciplinare di stato frutto di automatismo (sulla base della mera evocazione delle risultanze emerse in sede penale;
e, quindi, delle statuizioni contenute nella conclusiva pronunzia, assistita da giudicato), nonché esente da mende sotto il profilo della proporzionalità della misura espulsiva rispetto all’accertata gravità dei fatti.

3.3. Né rivela persuasività alcuna l’ulteriore censura dalla parte dedotta (già) in prime cure, con riferimento all’affermata disparità di trattamento intercorrente fra personale militare e civile.

È appena il caso di rammentare, sul punto, come questo Consiglio (Sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1724) abbia già avuto modo di osservare come la disparità di trattamento tra i dipendenti militari e i dipendenti civili trovi fondamento nel peculiare status dei militari, “ che esige il rispetto di severi codici di rettitudine e onestà (Corte Cost. n. 268 del 2016) e razionale giustificazione costituzionale proprio nella radicale diversità di posizioni soggettive tra personale militare e personale civile ” (Cons. Stato, Sez. IV, 21 maggio 2013, n. 2732).

Lo status di militare impone, infatti, l’osservanza di una condotta irreprensibile anche nella vita privata, oltre che in quella lavorativa, sì da rendere rilevanti, ai fini disciplinari, condotte anche pertinenti ad ambiti estranei allo svolgimento del rapporto di servizio stricto sensu inteso.

4. Conclusivamente dato atto dell’infondatezza delle doglianze articolate con il presente appello, ne dispone la Sezione il rigetto.

La particolarità della controversia integra la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese del grado.

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