Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-20, n. 201703575

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-20, n. 201703575
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703575
Data del deposito : 20 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/07/2017

N. 03575/2017REG.PROV.COLL.

N. 00439/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 439 del 2014, proposto da:
B S B, rappresentato e difeso dall'avv. R M, con domicilio eletto presso R M in Roma, Via Monte delle Gioie, 24;

contro

Ministero della Difesa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 05882/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per ritardata promozione a generale di divisione in spe.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2016 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati R M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. B S B, all’epoca militare dell’Arma dei Carabinieri con grado di Generale di Brigata, partecipava nel 1996 alla procedura per promozione al grado di Generale di Divisione in servizio permanente effettivo (spe), all’esito della quale, sebbene giudicato “idoneo”, non veniva iscritto al quadro di avanzamento, per mancato raggiungimento del limite di età per la copertura dell’incarico, al tempo previsto al compimento del 62° anno di età (13 dicembre 1997), vedendosi tuttavia anteporre parigrado più anziani di Annuario, ma con minore anzianità di servizio e vantanti titoli di livello deteriore rispetto a quelli in possesso dello stesso Bto.

All’esito del ricorso da questi proposto avverso l’esito del proprio giudizio di avanzamento, il sig. Bto otteneva successivamente una pronuncia a sé favorevole del T.A.R. Lazio (sentenza n. 786 del 6 aprile 1999), la quale, impugnata dall’Amministrazione, veniva successivamente confermata da questa Sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 3535 del 22 giugno 2000.

Raggiunto, nelle more del giudizio di appello, il limite massimo di età per la prestazione del servizio, il sig. Bto veniva collocato in congedo (in tal modo non prestando mai concretamente servizio nel grado di Generale di Divisione) e nominato, d’altra parte, Generale di Corpo di Armata nella posizione di “Ausiliaria”, con decorrenza dal 13 dicembre 1999.

In ottemperanza alle sopra citate pronunce, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri procedeva, con d.d. 6 marzo 2002, alla “ricostruzione di carriera” dell’allora ricorrente, promuovendo lo stesso “ora per allora” al grado di Generale di Divisione spe, con decorrenza dall’1 gennaio 1997.

Non avendo questi mai concretamente ricoperto alcun incarico di comando in qualità di Generale di Divisione, tuttavia - causa il detto raggiungimento del limite massimo di età, nelle more del ricorso in appello avverso la sentenza n. 786/99 del T.A.R. del Lazio - non venivano riconosciuti al sig. Bto gli emolumenti percepiti dai propri parigrado, anteposti allo stesso nella procedura avviata nel 1996.

Con istanza d.d. 30 giugno 2004, poi seguita da successiva diffida d.d. 27 ottobre 2004 (indirizzate entrambe al Ministero della Difesa), il Bto domandava il risarcimento di tutti i danni dallo stesso patiti, in conseguenza del ritardato/incorretto inquadramento nel grado di Generale di Divisione, che venivano così qualificati e calcolati:

1) € 10.000, per costi sostenuti per la propria difesa dinanzi il Giudice Amministrativo, nel giudizio poi definitivamente conclusosi con la già richiamata sentenza n. 3535/2000 di questo Consiglio di Stato;

2) € 155.000, pari alla differenza annuale tra le “indennità di posizione intera” percepita dai propri parigrado, che avevano tuttavia prestato concretamente servizio quali Generali di Divisione (€ 15.493 lordi l’anno), e la “indennità ridotta” assegnata all’istante (€ 9.296 lordi l’anno), pari a € 6.200 per anno, da liquidare in pensione a partire dall’anno 2000 ovvero, a titolo forfettario, per 25 anni;

3) € 300.000, quale ristoro per il mancato avvio, per assenza dei presupposti, della pratica per la corresponsione della Speciale Indennità Pensionabile, ex art. 11 bis, L. n. 472 del 20 dicembre 1987, a partire dall’1 gennaio 2000, già percepita da altri parigrado, calcolata forfettariamente;

4) € 50.000, calcolati a titolo di risarcimento per perdita di chance di inserimento, durante il periodo dell’Ausiliaria, in incarichi “pro tempore” retribuiti, diversamente svolti da altri parigrado;

5) € 50.000, quale risarcimento forfettario per danno morale e biologico, conseguenti allo stato di stress, frustrazione e ansia subiti nel tempo a causa dei provvedimenti assunti dall’Amministrazione e successivamente annullati.

Il tutto, dunque, per un totale complessivo di € 565.000.

Con Determinazione prot. n. M-D/GMIL-03-II/4/SC/2005/14194 del 14 febbraio 2005, il Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare, riscontrava le citate diffide, negando la debenza delle somme richieste dal Bto, “tenuto conto, tra l’altro, che l’art. 1, 132° comma, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria anno 2005) pone a tutte le amministrazioni pubbliche il divieto di adottare – per il triennio 2005/2007 – provvedimenti per l’estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato”.

Con ricorso depositato in data 11 maggio 2005 (R.G. n. 4315/2005), il sig. Bto impugnava dinanzi al T.AR. del Lazio la citata Determinazione ministeriale, lamentando la violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione e artt. 2, 3 e 5 L. n. 241/90, nonché la falsa interpretazione dell’art. 1, comma 132 L. n. 311/2005. Si doleva, inoltre, dell’illegittimità del provvedimento per manifesta ingiustizia dello stesso, per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà, insufficienza e apoditticità della motivazione, nonché per incompetenza dell’organo emittente.

Con sentenza n. 5882 del 12 giugno 2013, il T.A.R. del Lazio, investito della questione, rigettava in toto il ricorso, non ravvisando alcun “fatto illecito”, giustificante l’accoglimento dell’istanza risarcitoria ex art. 2043 c.c., proposta dal ricorrente.

A detta del giudice di primo grado, più nello specifico, nonostante i tentativi effettuati dal Bto, attraverso gli scritti difensivi depositati successivamente al ricorso introduttivo, di ricondurre l’evento dannoso, posto a base della domanda, al mancato avanzamento di carriera avvenuto nel 1997, appariva del tutto chiaro che l’istanza di risarcimento danni proposta dal ricorrente fosse invero fondata sulla “decisione dell’Amministrazione intimata di impugnare la sentenza del TAR con la quale era stato annullato il suo mancato avanzamento al grado di generale di divisione, con ciò protraendo il contenzioso oltre il limite di età del servizio”.

La scelta di procedere all’impugnazione della sentenza n. 786/99 del T.A.R. del Lazio, sottoposta, per legge, al vaglio esclusivo dell’Avvocatura erariale - e, più in generale, garantita costituzionalmente quale diritto imprescindibile del singolo - non avrebbe potuto di certo essere valutata quale fatto produttivo di un danno “ingiusto”, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Quanto poi alla richiesta applicazione della “speciale indennità pensionabile” (SIP) prevista dall’art. 11 bis della L. n. 472/87, il ricorrente, come rappresentato dalla difesa erariale in corso di causa, aveva già proposto identica domanda dinanzi alla Sezione Giurisdizionale per l’Emilia Romagna della Corte dei Conti (tra l’altro, giurisdizionalmente competente sulla questione) con gravame, respinto in primo grado con sentenza n. 342/2008, successivamente impugnata, ma non ancora definitivamente deciso.

Con atto di appello depositato il 20 gennaio 2014, il sig. Bto chiede l’integrale riforma della citata sentenza n. 5882/2013 del T.A.R. per il Lazio, lamentando l’erroneità e l’illegittimità della stessa, e riproponendo le medesime domande e doglianze già sollevate in primo grado.

Il Ministero della Difesa, nonostante il corretto adempimento agli oneri di notifica da parte dell’appellante, non si è costituito nel presente grado di appello.

Con successiva memoria l’appellante ha illustrato ulteriormente le proprie domande.

All’udienza pubblica del 5 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è parzialmente fondato e va pertanto accolto, nei limiti e per le motivazioni di seguito esposte.

Va preliminarmente chiarito che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il “fatto illecito” lamentato dall’odierno appellante e su cui poggia la domanda risarcitoria dallo stesso proposta consiste effettivamente nella mancata/tardiva nomina al grado di Generale di Divisione spe, nel 1997, a causa dell’illegittimo provvedimento poi annullato con la sentenza n. 3535/2000 di questa Sezione di Consiglio di Stato;
non certo, invece, nella proposizione, da parte della difesa erariale, dell’atto di appello avverso la sentenza n. 786/99 del T.A.R. del Lazio. Quest’ultima circostanza, invero, veniva evidenziata dal sig. Bto, fin dall’atto introduttivo di primo grado, in quanto causa oggettiva (a prescindere, quindi, da qualsiasi valutazione circa la legittimità o meno - peraltro indubitabile - di siffatta scelta defensionale) del consolidamento dei danni dallo stesso subiti, la cui fonte veniva pur sempre ricondotta esclusivamente alla richiamata mancata promozione a Generale di Divisione per l’anno 1997.

In secondo luogo, risulta altresì necessario evidenziare che, diversamente da quanto sostenuto dalla Amministrazione resistente in primo grado, non costituitasi nella presente fase di gravame, il disposto dell’art. 1, c. 132 L. n. 311/2004 (citato anche nella nota prot. n. M-D/GMIL-03-II/4/SC/2005/14194 del 14 febbraio 2005 oggetto di impugnazione) non osta affatto alla proposizione dell’istanza di risarcimento danni avanzata dall’appellante.

Mentre, infatti, la citata norma pone un esplicito divieto, nei confronti di tutte le Amministrazioni Pubbliche elencate dagli artt. 1, comma 2, e 70, comma 4, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, “di adottare provvedimenti per l'estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche”, nel caso di specie la domanda del sig. Bto si fonda sul proprio, autonomo, diritto all’ottenimento del risarcimento dei danni subiti dall’illegittima condotta posta in essere dall’Amministrazione e dunque su di un titolo del tutto autonomo e distinto, dal punto di vista giuridico, dalla richiesta di estensione del giudicato.

Non appare di conseguenza affatto configurabile, nel caso di specie, alcuna “estensione di giudicati”, come invece sostenuto in primo grado dalla difesa erariale e fatto proprio dal giudice di prime cure nella pronuncia oggetto di impugnazione, poiché le somme richieste dall’odierno appellante trovano fondamento, per i motivi già esposti, in una posizione sostanziale di (asserito) debito-credito tra Amministrazione e privato a seguito di un fatto (provvedimento illegittimo) generatore di danno ingiusto.

Il Collegio, poi, oltre a quanto detto, per avvalorare la sostanziale ingiustizia della posizione assunta dall’Amministrazione ed avallata dai primi giudici, lamentata dall’odierno appellante, intende richiamare il principio cardine dell’ordinamento secondo cui “la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione”;
diversamente opinando, infatti, alla parte convenuta/resistente che ha torto basterebbe allungare i tempi del giudizio per far sì che la domanda sia rigettata (come, è, appunto, avvenuto nella fattispecie in esame).

Chiariti tali (fondamentali) passaggi logici, si può ora procedere al merito della causa, vale a dire alla valutazione delle singole voci di danno lamentate dall’appellante.

In via preliminare, per quanto attiene al mancato conseguimento della Speciale Indennità Pensionabile (d’ora in poi, SIP) da parte del sig. Bto, valore quantificato forfettariamente dall’appellante in € 300.000, va considerato che la materia, attenendo per l’appunto a somme richieste dal sig. Bto a titolo di pensione, esula dalla competenza del Giudice Amministrativo, come correttamente precisato anche dal T.A.R. del Lazio, che ha evidenziato inoltre come lo stesso ricorrente, odierno appellante, avesse già all’epoca proposto identica domanda dinanzi alla Sezione Giurisdizionale per l’Emilia Romagna della Corte dei Conti (come detto, giurisdizionalmente competente sulla questione), con gravame, respinto in primo grado con sentenza n. 342/2008, successivamente impugnata.

Tale capo di domanda, così come posta, deve pertanto essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione. Sennonché, il Collegio deve altresì farsi carico di valutare la fondatezza della tesi sostenuta sul punto dal sig. Bto, secondo cui la propria domanda dovrebbe essere valutata non come istanza di attribuzione delle somme dovute a titolo di SIP – concordando sul fatto che tale questione non potrebbe certamente formare oggetto di giudizio dinanzi al Giudice Amministrativo – bensì come domanda risarcitoria, sospensivamente condizionata, negli effetti, all’(eventuale) mancato riconoscimento dell’indennità speciale da parte del giudice delle pensioni.

Anche tale domanda è inammissibile, sia pure sotto un diverso profilo.

Al riguardo, va considerato che il rapporto che si instaura tra le parti in ambito processuale ha quale requisito la determinabilità dell’oggetto, laddove esistono una pretesa ed una contestazione definite, che vanno, a loro volta, accertate attraverso l’impiego delle categorie che presiedono all’individuazione della domanda giudiziale, ossia le personae , la causa petendi ed il petitum. Si impone, dunque, anche alla luce della regola processuale dell’interesse ad agire, l’attualità del conflitto tra le parti. L’applicazione di tale regola impedisce, dunque, di ritenere rilevanti situazioni di contrasto meramente future ed ipotetiche. Tale si presenta, ad avviso del Collegio, la domanda del ricorrente, per come proposta e ove riguardata in relazione all’ipotetico mancato riconoscimento della SIP.

Ne deriva che la domanda inerente alla richiesta delle somme (asseritamente) dovute a titolo di SIP, respinta dal giudice di primo grado e non riproposta in questa sede, risulta inammissibile, e ciò è a dirsi anche con riferimento alla diversa istanza risarcitoria dell’eventuale e futuro danno subito dell’appellante, in caso di mancato riconoscimento della speciale indennità di pensione, da parte del giudice giurisdizionalmente competente.

Procedendo alla valutazione delle ulteriori voci risarcitorie sollevate dall’appellante, del tutto infondata si appalesa la domanda di risarcimento dei costi sostenuti, dal sig. Bto, ai fini della proposizione del giudizio dinanzi al Giudice Amministrativo, volto all’annullamento del provvedimento emesso in esito alla procedura di promozione al grado di Generale di Divisione spe per l’anno 1997, poiché tali somme, attinenti alla fase processuale della vicenda definita con la più volte richiamata sentenza n. 3535/2000 di questo Consiglio di Stato, pronuncia che ha già statuito in via definitiva, con forza di giudicato, anche sulle spese di lite sostenute dalle parti in corso di causa, non possono formare oggi oggetto di nuova e distinta domanda risarcitoria.

Parimenti infondata, poi, va ritenuta la quarta voce di danno, inerente alla perdita, da parte dell’appellante, di chance di inserimento, durante il periodo svolto nella cd. “Ausiliaria”, in incarichi “pro tempore” retribuiti.

Come da tempo chiarito da questo Giudice, la perdita di chance costituisce un danno attuale, che non si identifica con la perdita di un risultato utile – in ciò differenziandosi, ad esempio, dal “danno futuro” - bensì con il venir meno della possibilità di conseguire il risultato stesso.

Una tale possibilità, però, per configurare una fattispecie di pregiudizio giudizialmente risarcibile, deve risultare statisticamente rilevante, ovverosia manifestarsi quale rilevante probabilità di raggiungimento del risultato sperato, con la conseguente necessità di distinguere fra la effettiva “probabilità di riuscita” (che dà vita a una fattispecie di chance risarcibile) e la mera “possibilità di conseguire l’utile cui si ambisce” (contrariamente, costituente ipotesi non risarcibile in via giudiziale) (Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 2015 n. 3147 e 20 gennaio 2015 n. 131).

Nel caso di specie, emerge chiaramente come il danno lamentato dall’appellante si inserisca nella seconda delle citate categorie, non avendo d’altro canto lo stesso fornito alcuna prova volta a dimostrare l'esistenza di una concreta probabilità, derivante dalla tempestiva assunzione del grado di Generale di Divisione spe, di procedere all’inserimento, durante il periodo di “Ausiliaria”, in incarichi pro tempore retribuiti , prova che, per consolidato orientamento, ricade esclusivamente sul ricorrente (Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 21016 n. 762;
Sez. V, 22 settembre 2015 n. 4431;
Sez. IV, 15 settembre 2014 n. 4674;
Sez. IV, 12 febbraio 2014 n. 674).

Va, infine, rigettata anche la domanda di risarcimento dell’asserito danno biologico e morale subito dall’appellante, poiché formulata in termini del tutto generici e in ogni caso sfornita di alcuna base probatoria circa l’effettiva sussistenza di un danno all’integrità psicofisica dell’appellante, così come di un nesso causale tra tale lesione e la mancata promozione, a far data dal 1997, a Generale di Divisione spe, a causa della condotta illegittima posta in essere dall’Amministrazione.

Rigettate quattro delle cinque voci di danno evidenziate, deve al contrario riconoscersi la sussistenza dei presupposti giuridici per l’accoglimento della domanda risarcitoria volta all’ottenimento della differenza monetaria annuale tra le “indennità di posizione intera” percepite dai parigrado dell’appellante – e che, a differenza di quest’ultimo, avevano prestato concretamente servizio quali Generali di Divisione – pari a € 15.493 lordi l’anno e la “indennità ridotta” assegnata all’istante di € 9.296 l’anno (differenza pari, pertanto, a € 6.200 lordi annui), da liquidare a partire dall’anno 2000 e sino alla data di congedo del sig. Bto.

Risulta del tutto evidente che il mancato riconoscimento di tali somme sia dipeso in via esclusiva e diretta dalla mancata/intempestiva promozione dell’appellante, a Generale di Divisione spe, fin dal 1997, ovvero in data utile per la materiale prestazione del servizio, fatto che gli avrebbe permesso di ottenere gli importi che vengono in tale sede domandati a titolo di risarcimento.

Unica ragione impeditiva, per il sig. Bto, all’accesso alle citate somme, difatti, è data proprio dalla sua illegittima mancata/tardiva promozione, da parte dell’Arma dei Carabinieri, al grado di Generale di Divisione spe. Tale circostanza esclude in radice qualsiasi dubbio sul nesso causale sussistente tra il fatto illecito dell’Amministrazione e il danno di cui è chiesto il risarcimento, così come sulla colpa della prima nella causazione del citato danno.

Da quanto sopra specificato, in definitiva, deriva il parziale accoglimento del proposto appello e, per l’effetto, la riforma della sentenza di primo grado, con condanna dell’appellata Amministrazione, non costituitasi in appello, a risarcire all’appellante le somme pari alla differenza tra le “indennità di posizione intera” che il sig. Bto avrebbe avuto diritto a ottenere, qualora correttamente nominato Generale di Divisione spe fin dal 1997, con la “indennità parziale” effettivamente percepita, con decorrenza dall’1 gennaio 2000 (in cui i parigrado dell’appellante avevano maturato i requisiti per l’ottenimento della citata indennità, in misura piena) e fino alla data di posizione in congedo dello stesso.

Le spese del doppio grado di giudizio vengono compensate per la metà in ragione della parziale soccombenza, mentre per la restante metà vengono poste a carico dell’Amministrazione appellata e sono liquidate come da dispositivo.

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