Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-04-16, n. 201002160

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-04-16, n. 201002160
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201002160
Data del deposito : 16 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00659/2001 REG.RIC.

N. 02160/2010 REG.DEC.

N. 00659/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso in appello nr. 659 del 2001, proposto dalla REGIONE BASILICATA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti M C S e M V, con domicilio eletto presso il proprio Ufficio Legale in Roma, via Nizza, 56,

contro

i signori M L e A L, rappresentati e difesi dall’avv. P L F, con domicilio eletto presso l’avv. Carlo Martuccelli in Roma, viale B. Buozzi, 32,

per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. della Basilicata nr. 625/00, depositata il 10 novembre 1999, con la quale è stato accolto il ricorso proposto dai sigg.ri M e A L avverso la determinazione dirigenziale del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata – Servizio Tutela del Paesaggio nr. 04G2/1998/D/132 del 29 dicembre 1998, e per l’effetto annullato lo stesso provvedimento.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione degli appellati sigg.ri M e A L;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2010, il Consigliere R G;

Preso atto che nessuno è comparso per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Regione Basilicata ha impugnato, chiedendone l’annullamento o la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. della Basilicata, accogliendo il ricorso proposto dai signori M e A L, ha annullato il provvedimento con il quale era stata loro irrogata la sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge 29 giugno 1939, nr. 1497, in relazione a opere abusive realizzate dagli stessi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, successivamente condonate.

A sostegno dell’appello, l’Amministrazione regionale ha dedotto:

1) violazione dei principi che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative;
illegittima ed erronea applicazione della legge 24 novembre 1981, nr. 689;
insussistenza dei presupposti (in relazione all’affermazione secondo cui il potere sanzionatorio per l’illecito paesaggistico sarebbe soggetto a prescrizione, a nulla rilevando il procedimento di sanatoria dell’illecito edilizio);

2) difetto di motivazione (in relazione all’omessa esplicazione delle ragioni alla base di quanto ritenuto dal T.A.R. in ordine al dies a quo della prescrizione).

Si sono costituiti gli appellati, signori M e A L, opponendosi all’accoglimento dell’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 23 marzo 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato, per le ragioni meglio appresso esposte.

2. La presente controversia attiene a opere abusive realizzate dai signori M e A L in territorio del Comune di Maratea, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, per le quali gli stessi hanno ottenuto in data 5 gennaio 1995 la concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge 28 febbraio 1985, nr. 47.

Con il successivo provvedimento del 29 dicembre 1998, impugnato in primo grado, la Regione Basilicata ha irrogato nei confronti dei sigg.ri Licasale la sanzione pecuniaria di £ 30.959.600 per la violazione del vincolo paesaggistico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 15 della legge 29 giugno 1939, nr. 689.

Il T.A.R. della Basilicata ha accolto il ricorso ritenendo prescritto il diritto dell’Amministrazione di esigere la predetta sanzione ai sensi dell’art. 28 della legge 24 novembre 1981, nr. 689, essendo stato il provvedimento impugnato emesso dopo il decorso di cinque anni dalla data (27 marzo 1993) nella quale era stato reso il parere paesaggistico favorevole, prodromico al rilascio della concessione in sanatoria.

3. Tanto premesso, appare fondato e assorbente il secondo motivo di impugnazione, con il quale l’Amministrazione deduce la carenza di motivazione del primo giudice in ordine al momento iniziale del termine di prescrizione ex art. 28 della legge nr. 689 del 1981.

Al riguardo, giova richiamare sinteticamente i pregressi orientamenti di questo Consesso in materia.

3.1. In primo luogo, non è contestato che l’art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 (divenuto poi l’art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999, ed oggi l’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2006, nr. 4690;
Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, nr. 7405;
id. 3 novembre 2003, nr. 7047;
Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2003, nr. 1729;
Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2002, nr. 6279;
Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2000, nr. 6007;
id. 6 giugno 2000, nr. 3185).

3.2. Ne discende, ed è altrettanto incontestata, l’applicabilità a tale sanzione del principio di cui all’art. 28 della citata legge n. 689 del 1981, a norma del quale “ il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione ”: disposizione quest’ultima applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.

3.3. Nell’applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all’individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.

Inoltre, per la decorrenza della prescrizione dell’illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma I, cod. pen.);
pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica, urbanistica ed edilizia la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell’esercizio del potere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, nr. 4420;
Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, nr. 3184).

Più in particolare, per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla sua ultimazione), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l’Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto “a distanza di tempo” dall’abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente.

3.4. Se ne ricava, dunque, che nel campo dell’illecito amministrativo – che, come quello in esame, integra un’ipotesi di illecito formale consistente nell’omessa richiesta della preventiva autorizzazione – la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11 aprile 2002, nr. 4;
Cons. Stato, sez. VI, 12 maggio 2003, nr. 2653;
id. 30 ottobre 2000, nr. 5851).

3.5. Nell’applicare i principi testé richiamati alla particolare ipotesi in cui per le opere abusive sia intervenuto un regolare condono, questa Sezione ha preso le mosse dal dato positivo di cui all’art. 32 della legge nr. 47 del 1985, secondo cui gli abusi edilizi realizzati in aree vincolate, al di fuori dei casi in cui il successivo art. 33 prevede espressamente l’insanabilità, sono suscettibili di sanatoria subordinatamente al rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta al vincolo;
la stessa disposizione aggiunge che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria estingue anche il reato derivante dalla violazione del vincolo.

Per questo, si è concluso che il meccanismo elaborato dal legislatore in questo caso si concreta nell’assimilazione in un unico procedimento amministrativo delle due procedure, ordinariamente distinte, intese all’eliminazione dell’illecito edilizio e di quello paesaggistico, in vista di un risultato unitario (il rilascio della concessione in sanatoria) cui è espressamente riconosciuta l’idoneità a far cessare entrambe le violazioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, nr. 1476;
Cons. Stato, sez. II, 9 aprile 2008, nr. 708/05;
Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, nr. 1585;
Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, nr. 4420;
C.g.a.r.s., 2 marzo 2006, nr. 79).

4. Alla luce di principi sopra richiamati, risulta evidente come non possa condividersi l’avviso del primo giudice il quale, facendo coincidere la cessazione dell’illecito paesaggistico con la data di rilascio del parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, ha obliterato che questo è ex se inidoneo a determinare la cessazione della permanenza dell’illecito, trattandosi di mero atto endoprocedimentale nell’ambito del più articolato e complesso procedimento di sanatoria edilizia, alla cui conclusione solo consegue l’estinzione di entrambe le violazioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, nr. 7405;
id. 4 febbraio 2004, nr. 395).

Al contrario, il momento cui fare riferimento quale dies a quo era quello del rilascio della concessione in sanatoria con cui si è definito il procedimento di condono: rispetto a tale data (5 gennaio 1995) il provvedimento sanzionatorio impugnato risulta ampiamente adottato prima del decorso del termine quinquennale.

5. La riconosciuta fondatezza dell’appello dell’Amministrazione, per le ragioni innanzi esposte, comporta la riforma della sentenza impugnata e la reiezione del ricorso di primo grado.

Infatti, non possono essere esaminati i motivi di censura articolati in primo grado rimasti assorbiti e riproposti con formula sintetica (“ …ci riportiamo all’uopo a tale atto, che qui abbiansi per integralmente trascritto ”) nella memoria di costituzione delle parti appellate: infatti, è jus receptum che detti motivi non sono introducibili nel giudizio di appello mediante una mera formula di stile, insufficiente a soddisfare l’onere di espressa e integrale riproposizione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, nr. 4662;
id., 3 marzo 2009, nr. 1219;
Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2008, nr. 5433;
Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 2007, nr. 147;
Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2003, nr. 5322).

6. Tenuto conto del fatto che il presente contenzioso risale a epoca in cui i principi giurisprudenziali qui richiamati, oggi pacifici, non erano stati ancora compiutamente elaborati, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi