Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-20, n. 202306059

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-20, n. 202306059
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306059
Data del deposito : 20 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/06/2023

N. 06059/2023REG.PROV.COLL.

N. 02177/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2177 del 2021, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato G B, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, n. -OMISSIS- resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2023 il Cons. S F;

Udito per l’appellante l’avvocato Isabella Maria Stoppani per G B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con tre distinti ricorsi al TAR del Lazio (nn. -OMISSIS-) il sig. -OMISSIS-ufficiale di marina con il grado di capitano di fregata, impugnava gli atti relativi al giudizio di avanzamento a capitano di vascello per gli anni 1981, 1984 e 1986 (nei quali era stato collocato rispettivamente al ventunesimo, al diciannovesimo e al ventottesimo posto, sempre con punti 27,33), lamentando la scorretta e inadeguata valutazione dei titoli professionali e di merito.

1.1. L’adito TAR, riuniti i ricorsi, nella resistenza dell’intimata amministrazione, li respingeva, giusta sentenza n. -OMISSIS-

1.2. Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. -OMISSIS- accoglieva l’appello dell’interessato, riformava la sentenza di primo grado ed annullava i provvedimenti impugnati.

1.3. In esecuzione di tale sentenza l’Amministrazione, giusta provvedimento prot. not. 2/15-1/034073 del 10 febbraio 1998, comunicava all’interessato che la Commissione Superiore di Avanzamento nell’adunanza del 12 dicembre 1997 lo aveva giudicato idoneo all’avanzamento al grado superiore, collocando per l’anno 1981 al ventesimo posto, per l’anno 194 al decimo posto e per l’anno 1986 al sesto posto. Sempre con punti 27,61.

1.4. Anche tali nuovi giudizi venivano impugnati innanzi al TAR del Lazio che respingeva il ricorso con la sentenza n. -OMISSIS- confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 4191 del 5 agosto 2005.

2. Divenuto definitivo così il giudizio espresso dalla Commissione Superiore di Avanzamento nell’adunanza del 12 dicembre 1997 e ritenendo che la collocazione – ora per allora – per l’anno 1986 gli avrebbe consentito di conseguire il grado di capitano di vascello fin dal 31 dicembre 1988 e di essere collocato in congedo al raggiungimento dell’ordinario limite di età con la promozione alla vigilia al grado di contrammiraglio (ex art. 32, comma 6, l. n. 224/1986), l’ufficiale sig. -OMISSIS- conveniva in giudizio il Ministero della Difesa innanzi al Tribunale Civile -OMISSIS-, chiedendo l’accertamento della lesione delle sue chances di carriera e la condanna del Ministero al risarcimento dei danni subiti.

L’adito Tribunale -OMISSIS-, sez. II civ., con la sentenza n. 20927/2004 dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo;
la statuizione veniva confermata dalla Corte d'Appello -OMISSIS-, sez. I, con la sentenza n. 4273/2006, e dalla Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n.-OMISSIS-.

3. A questo punto il sig. -OMISSIS- riassumeva il giudizio risarcitorio innanzi al TAR per il Lazio con ricorso notificato il 26 ottobre 2009.

4. Il TAR per il Lazio, nella resistenza dell’amministrazione intimata che eccepiva l’estinzione della pretesa creditoria per intervenuta prescrizione, ex art. 2947 c.c. e comunque la sua infondatezza, con la sentenza in epigrafe indicata dichiarava irricevibile la riassunzione per tardività in quanto il giudizio civile si era concluso con la sentenza della Corte di Cassazione n. -OMISSIS- (ricevuta, come da timbro apposto nella copia prodotta in atti, dal difensore del ricorrente, in data 10 settembre 2008), mentre l’atto di riassunzione era stato notificato solo in data 26 ottobre 2009.

Esaminata poi la domanda risarcitoria come ricorso autonomo, per la prima volta proposto innanzi al giudice munito di giurisdizione, senza salvezza alcuna degli effetti processuali e sostanziali della domanda già proposta innanzi al giudice ordinario, dichiarava prescritta la pretesa azionata per decorso della prescrizione quinquennale ex art. 2947, comma 1, c.c..

5. Con atto notificato in data 15.2.2021 il sig. -OMISSIS- ha proposto il presente appello avverso quest’ultima decisione, affermando sia la tempesta proposizione di questo gravame, sia l’erroneità della declaratoria del TAR di tardività della riassunzione del giudizio civile davanti al giudice amministrativo;
in merito al primo aspetto deduceva essere mancata la rituale comunicazione, da parte della Segreteria del TAR, al difensore di quel grado, avv. -OMISSIS-, sia della data dell’udienza di discussione che del deposito della relativa sentenza;
in relazione al secondo profilo ha sostenuto che anche il ricorso in riassunzione doveva essere considerato tempestivo perchè costituiva atto di prosecuzione del giudizio proposto innanzi al giudice ordinario, sicchè il momento di instaurazione dello stesso doveva farsi retroagire alla data di proposizione della domanda originaria avanti al giudice ordinario (il Tribunale -OMISSIS-), con conseguente applicazione alle impugnazioni e alla riassunzione del regime del termine lungo all'epoca vigente - precedente l'entrata in vigore dell'art. 48 della legge n. 69 del 2009 - cioè un anno dalla pubblicazione della sentenza. Quindi, considerando che la sentenza del TAR era stata depositata l’11.11.2019, aggiungendo al termine annuale il periodo di sospensione feriale di 31 giorni e la sospensione per emergenza epidemiologica di 64 giorni, il termine per proporre il presente appello sarebbe scaduto il 15 febbraio 2021(data in cui è stato effettivamente notificato il gravame in esame).

Ha poi spiegato i seguenti motivi di gravame:

- violazione di legge per erronea applicazione dell’art.50 CPC in relazione all’ articolo 392 CPC e tempestività dell'appello;

- in caso di ritenuta intempestività della riassunzione e dell’appello, rimessione in termini per "grave impedimento di fatto";
erronea applicazione art.37 CPA, art.153 CPC in relazione ad art.111 Costituzione e art.6 CEDU;

- nullità della sentenza per omesso avviso di udienza al difensore;

- violazione di legge per erronea applicazione art.50 CPC in relazione all'art. 392 CPC;

- violazione art.37 CPA;
rimessione in termini per la riassunzione del giudizio per errore scusabile originato dall'incertezza del quadro normativo e giurisprudenziale;

- prescrizione decennale;
esistenza atti interruttivi;
erronea applicazione art.30 del nuovo codice processo amministrativo (decreto legislativo 104 del 2010);
irretroattività del nuovo regime sulla pregiudiziale amministrativa;

- fondatezza nel merito della pretesa risarcitoria azionata.

6. L’Amministrazione appellata non si è costituita in appello nonostante la rituale notificazione.

7. L’appellante ha successivamente depositato documentazione e memoria ex art. 73 CPA.

8. Sulle difese e conclusioni in atti, previa discussione da parte della difesa appellante, avvisata ex art. 73, comma 3, cpa, della possibile ricorrenza di profili attinenti alla ricevibilità dell’appella, sui quali pure si è svolta la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 16.5.2023.

DIRITTO

9. L’appello, notificato in data 15.2.2021, è irricevibile perché tardivo.

9.1. La sentenza impugnata è stata pubblicata in data 11.11.2019 e il relativo termine di impugnazione, secondo quanto stabilito dall’art. 92, c. 3, CPA, di 6 mesi “dalla pubblicazione della sentenza”, scadeva l’11 maggio 2020. Applicando la sospensione per l’emergenza pandemica (di 64 giorni ex art. 83, comma 4, d.l. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020, detto termine sarebbe comunque scaduto il 14 luglio 2020.

Non vi è pertanto alcun dubbio sulla tardività della presente impugnazione.

9.2. Non può condividersi la tesi dell’appellante circa la durata annuale del termine in parola, che si desumerebbe dalla dedotta tempestività della riassunzione dinanzi al TAR del giudizio ordinario di cui si è detto e dalla conseguente applicabilità del previgente termine lungo di impugnazione, precedente all'entrata in vigore dell'art. 46 della legge L. n. 69 del 2009, cioè un anno dalla pubblicazione della sentenza.

Invero l’art. 2 delle norme transitorie, di cui all'Allegato 3 del CPA, esplicitamente limita l’ultrattività della disciplina previgente ai soli termini in corso alla data di entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo (16 settembre 2010), sicché il nuovo termine lungo d’impugnazione, di sei mesi, si applica a tutte le sentenze pubblicate successivamente a tale data, a prescindere dalla data d’instaurazione del rapporto processuale di primo grado ( ex multis, Cons. St., sez. III, 16 gennaio 2015, n.113;
id., sez. V, 16 aprile 2014, n. 1968, sez. III, 24 ottobre 2019, n. 7433;
sez. III, n. 7188/2022).

9.2.1. Né la scelta operata a tal proposito dal legislatore del CPA, che non ha recepito sul punto la previsione dettata per il CPC dall’art. 58 della legge n. 69 del 2009 (secondo cui la modifica dei termini per l’impugnazione si applica ai soli giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore), si pone in contrasto con il criterio direttivo della legge delega, che prescrive di coordinare le norme sul processo amministrativo con le norme del codice di procedura civile «in quanto espressione di principi generali» e di assicurare la concentrazione delle tutele (art. 44 della legge n. 69/2009). Infatti, come già affermato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 8071/2019), il coordinamento tra le due discipline è stato assicurato uniformando, a regime, la disciplina del termine lungo di impugnazione, fissato in un semestre, in luogo del previgente termine annuale;
poiché quando il CPA è entrato in vigore, la modifica dell’art. 327 CPC era già a regime, la direttiva legislativa di coordinamento con il CPC ha evidentemente indotto il legislatore delegato a recepire solo la norma sul termine lungo semestrale, senza richiamare la disciplina transitoria prevista per i giudizi ordinari, non essendo necessaria una disciplina transitoria per estendere al processo amministrativo una norma del CPC già divenuta, a quella data, di portata generale. La disciplina transitoria del CPA ha in realtà solo precisato la regola generale del tempus regit actum, nel senso che il nuovo termine si applica a tutte le sentenze pubblicate dopo il 16 settembre 2010, escluse pertanto quelle per le quali il termine per appellare fosse in corso alla medesima data, per le quali si applicano le disposizioni previgenti sul termine annuale di impugnazione.

9.2.2. Invero, il legislatore delegato del CPA non si è discostato dalla previsione dell’art. 58 della legge n. 69 del 2009, bensì ha ritenuto di non doverla applicare, non avendo il legislatore delegante prescritto il coordinamento anche delle norme transitorie dei due riti. E, dovendosi operare nel CPA solo un coordinamento con le norme del codice di procedura civile «espressione di principi generali», ha richiamato direttamente la regola del termine semestrale, rendendola immediatamente applicabile e chiarendo solo la portata del principio generale del tempus regit actum nel senso che la nuova normativa si applica solo alle sentenze depositate dopo il 16 settembre 2010 (come nel caso di specie) e non anche a quelle già depositate, per le quali il termine di impugnazione era ancora in corso a quella data, che sono rimaste conseguentemente attratte sotto il regime previgente.

9.2.3. Inoltre, sotto un diverso profilo, può anche osservarsi che la disciplina transitoria prevista per il rito civile, a differenza di quella prevista dall’art. 2, All. 3 CPA, non può come tale ritenersi espressione di principi generali, in quanto costituisce a sua volta deroga e disapplicazione del principio generale di diritto processuale secondo cui tempus regit actum .

9.2.4. Né può apprezzarsi favorevolmente la ulteriore tesi dell’appellante circa la necessità di lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in esame, tale da indurre a ravvisare anche nella presente fattispecie l’ultrattività della previsione del termine annuale per l’impugnazione delle sentenze relative a giudizi iniziati (in primo grado) anteriormente alla novella medesima;
invero, come detto, nella specie è di ostacolo la chiara e inequivoca previsione di cui al richiamato art. 2, All. 3 CPA (della cui conformità a Costituzione non si ravvisano, per le ragioni dette, motivi per dubitare), che prescrive l’immediata applicabilità del termine semestrale di impugnazione nel caso di specie, trattandosi di sentenza depositata in data 11.11.2019, data ben posteriore all’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo.

Per giunta, deve anche ritenersi che applicare una previsione analoga a quella di cui all’art. 58 della legge n. 69 del 2009 anche al codice del processo amministrativo, comporterebbe l’ultrattività del termine annuale di impugnazione per tutti i giudizi pendenti in primo grado alla data del 15 settembre 2010, con possibile violazione del criterio direttivo posto dalla legge delega [art. 44, comma 2, lett. a) della legge n. 69 del 2009] che prescrive la finalità “di garantire la ragionevole durata del processo” di certo maggiormente assicurata da una più ampia ed immediata applicabilità del più breve termine di impugnazione semestrale, in luogo del previgente termine annuale che dilata il termine di durata complessiva del giudizio.

10. Il rilievo della irricevibilità dell’appello ai sensi dell’art. 92, comma 3, CPA, non è minimamente scalfito dalla pretesa violazione, da parte della Segreteria del TAR, delle previsioni relative all’invio dell’avviso di fissazione dell’udienza da parte del giudice di primo grado e dell’avviso di deposito della relativa sentenza.

10.1. L’art. 92, comma 4, CPA prevede alcune tassative ipotesi nelle quali la regola dettata dal precedente comma 3 non si applica, e cioè i casi in cui “la parte che non si è costituita in giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullità del ricorso o della sua notificazione”.

Nella fattispecie l’appellante in realtà lamenta evenienze del tutto diverse;
invero, la pretesa inapplicabilità della previsione di cui all’art. 92, comma 3, CPA viene fatta derivare dall’invalidità dei richiamati avvisi in favore dell’originario ricorrente (quello di fissazione udienza di discussione e quello di deposito sentenza), perché fatti dal TAR tramite PEC con mails inviate al solo indirizzo di posta elettronica del primo difensore in primo grado (l’avv. -OMISSIS-) e non anche a quello del successivo difensore domiciliatario (avv. -OMISSIS-).

Sennonché la puntuale previsione derogatoria di cui all’art. 92, comma 4, di natura evidentemente eccezionale, è di stretta interpretazione ed insuscettibile di applicazione analogica ed impedisce di accogliere la richiesta dell’appellante. Di conseguenza, risultano non dirimenti le questioni connesse, quale quella del se i difensori che ebbero a proporre il ricorso del -OMISSIS- dinanzi al TAR (gli avv.ti -OMISSIS- e -OMISSIS-) siano poi stati entrambi revocati e sostituiti dall’avv. -OMISSIS- oppure solo affiancati (cfr. il tenore della nota di quest’ultimo datata 14.7.2015 che menziona genericamente una pregressa revoca dell’incarico al ”precedente difensore”), nonché quella della possibile idoneità allo scopo degli avvisi congiuntamente fatti dalla Segreteria TAR ai tre difensori predetti, ma inviati alla sola PEC dell’avv. -OMISSIS- e non anche a quella dell’ultimo domiciliatario (cfr., al proposito, la previsione di cui all’art. 136, comma 1, ultima parte, CPA).

10.2. Non vi è pertanto ragione di discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. IV, n 8071/2019;
sez. III, n. 7188/2022 e 7433/2019) secondo cui, allo spirare del termine “lungo” di sei mesi, decorrenti dalla data del deposito della sentenza, l’appello deve comunque essere dichiarato irricevibile per tardività. Invero, la tardiva od omessa comunicazione del deposito della sentenza da parte della cancelleria del TAR non è idonea a differire il decorso del termine lungo;
ai sensi dell’art. 92, comma 3, CPA, secondo cui «[i]n difetto della notificazione della sentenza», l’appello e le altre impugnazioni «devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza» (analogamente dispone l’art. 327, comma 1, CPC).

Non può sottacersi del resto che, in base all’art. 89, comma 2, CPA, la sentenza, dopo la sua sottoscrizione, «è immediatamente resa pubblica mediante deposito nella segreteria del giudice che l’ha pronunciata» (così anche l’art. 133, comma 1, c.p.c.) ed è così resa conoscibile alle parti.

La previsione di un termine decadenziale di impugnazione indipendente dalla notificazione della sentenza (e da ogni altra comunicazione) trova fondamento nella necessità di sottrarre la pronuncia del giudice ad ogni discussione sulla sua incontrovertibilità. L’ampiezza del termine semestrale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta “ in rebus suis ”, a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna conoscenza del processo, circostanza chiaramente insussistente nella specie, laddove il sig. -OMISSIS- era ricorrente dinanzi al TAR e ha depositato memorie e varie istanze di prelievo (anche a firma dell’avv. B).

Del resto, quando ha voluto, il legislatore ha espressamente attribuito rilievo processuale alla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria, quale adempimento da cui far decorrere il termine di decadenza per il gravame (cfr. l’art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 2012;
l’art. 348- ter , comma 3, CPC;
l’art. 18, comma 13, l. fall.). Il carattere derogatorio e speciale di tali disposizioni risulta anche dal nuovo testo dell’art. 133, comma 2, CPC, secondo cui «la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 CPC» (quindi, a maggior ragione, dalla stessa non può dipendere la decorrenza del termine “lungo”).

10.3. Anche secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione il termine annuale di impugnazione previsto dall’art. 327 CPC è stabilito a pena di decadenza e decorre in ogni caso dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, senza che rilevi l’omessa comunicazione da parte del cancelliere, a carico del quale può dar luogo solo ad una sanzione disciplinare (sentenze n. 17704 del 2010;
n. 16004 del 2009;
n. 11910 del 2003, n. 15778 del 2007, le quali hanno anche ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 327 CPC in riferimento all’art. 24 Cost.).

Di recente (sentenza 11 marzo 2022, n. 7981) la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha ribadito che, ai fini della proposizione dell’impugnazione, il termine c.d. lungo fissato dall’art. 327 CPC, decorrente dalla pubblicazione della sentenza, prescinde dal rispetto o meno dell’obbligo di comunicazione alle parti ad opera della cancelleria.

Come ricordato già da Cass., sez. 6, sentenza n. 17704 del 29/07/2010, va escluso ogni profilo di contrasto fra gli articoli 3 e 24 Cost. e la norma di cui all'art. 327 CPC, secondo cui il termine annuale di impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, anzichè dall'avviso di comunicazione o dalla notifica della stessa;
deve infatti ritenersi che - anche alla luce delle indicazioni della sentenza n. 584 del 1980 della Corte costituzionale - una diversa disciplina del termini in argomento sconvolgerebbe il sistema delle impugnazioni nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicchè lo spostamento del " dies a quo " dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio alle quali soltanto la sentenza è comunicata " ex officio " a norma dell'art. 133 CPC (conforme, Cass., n. 6442 del 2003).

10.4. Né a diverse conclusioni può portare la considerazione della pretesa irritualità dell’avviso all’avv. B della fissazione dell’udienza di discussione dinanzi al TAR (tenutasi in data 20 settembre 2019). Invero, come ribadito dalla Cassazione (cfr., Sez. 3, Sentenza n. 16194 del 30/07/2015), l'omessa comunicazione al procuratore costituito di una delle parti dell'ordinanza di rimessione della causa ad un determinato giudice, nonché del successivo provvedimento di quest'ultimo di comparizione delle parti innanzi a sé, pur comportando, per violazione del principio del contraddittorio, la nullità di tutti i successivi atti del processo e della sentenza che lo conclude, non esime il difensore dalla necessità di dedurre il relativo vizio, in via di gravame, nei termini ex art. 327 CPC, che decorrono dalla pubblicazione della sentenza, dovendosi ritenere che, ove il difensore non abbia ricevuto comunicazioni di cancelleria in una fase processuale in cui ne era destinatario, rientri tra i suoi doveri professionali attivarsi per verificare se, a causa di un mancato adempimento della cancelleria medesima, siano state svolte attività processuali a sua insaputa.

Nello stesso senso la Cassazione (sez. 5, sentenza n. 6692 del 2/4/2015) ha ribadito (con specifico riferimento al processo tributario) che la nullità derivante dall'omessa od irregolare comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza può essere fatta valere solo impugnando tempestivamente la sentenza conclusiva del giudizio, ovvero proponendo l'impugnazione tardiva nei limiti ed alle condizioni di cui all'art. 327 cod. proc. civ.. In mancanza, la sentenza acquista efficacia di giudicato e la nullità di essa non può essere fatta valere nei giudizi di impugnazione degli ulteriori atti consequenziali emanati dall'erario sulla base della sentenza ormai passata in giudicato.

Anche laddove è espressamente previsto dalla legge che la decorrenza del termine lungo per l’impugnazione possa richiedere presupposti ulteriori rispetto a quanto previsto dall’art. 327, comma 1, CPC, l'ammissibilità dell'impugnazione tardiva, oltre il termine "lungo" dalla pubblicazione della sentenza, presuppone pur sempre che la parte dimostri l'"ignoranza del processo", ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza (cfr. Cass., Sez. trib., 9/12/2020, n.28045), situazione che non si ravvisa in capo all’odierno appellante, cui non può certo dirsi ignota la proposizione dell'azione dinanzi al TAR.

11. Non può trovare accoglimento neppure la richiesta dell’appellante di rimessione in termini per la proposizione del gravame.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare la rimessione in termini, ove sia avvenuta (come nella specie) per errore di diritto, errore che deve dirsi tale, in particolare, allorché la parte decaduta dall’impugnazione per l’avvenuto decorso del termine di cui all’art. 327 CPC si dolga della non tempestiva comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, posto che il termine di cui all’art. 327 CPC decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, e non dall’omessa comunicazione da parte del cancelliere, non ravvisandosi in tale regime delle impugnazioni alcun dubbio di costituzionalità (cfr., Cass. n. 17704 del 2010).

Nello stesso senso, Cass. n. 5946 del 2017, secondo cui è ravvisabile un errore di diritto, che non può ritenersi incolpevole e giustificare quindi la rimessione in termini rispetto alla decadenza dai termini per impugnare, allorchè la parte si dolga dell’omessa comunicazione della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all’art. 327 CPC decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, atteso che rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa.

11.1. Né a diverse conclusioni può indurre il tenore letterale della specifica previsione di cui all’art. 37 CPA che, a proposito dell’errore scusabile, prevede che il giudice possa disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile, sia allorchè ricorrano oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto, sia quando sussistano gravi impedimenti di fatto.

L’art. 37 CPA è norma di stretta interpretazione dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti, disciplinato dall’art. 2, comma 1, CPA, sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (Cons. St., A.P., 2 dicembre 2010, n. 3;
sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2155;
sez. V, 8 ottobre 2011, n. 5496).

I presupposti per riconoscere l’errore scusabile sono rigidi, anche nell’ipotesi in cui tale riconoscimento avvenga ex officio . È in primo luogo necessario che sussista una situazione connotata da un’obiettiva incertezza, ascrivibile di volta in volta alla difficoltà di interpretare una norma o all’esistenza di contrasti giurisprudenziali, oppure alla particolare complessità della vicenda dedotta nel giudizio o, ancora, al comportamento non lineare dell’Amministrazione (Cons. St., A.P., 2 dicembre 2010, n. 3;
sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6939;
sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6531;
sez. V, 2 novembre 2011, n. 5896).

Nel caso di specie, per tutte le considerazioni sopra esposte, nessuna ragionevole incertezza può ravvisarsi in relazione alla decorrenza del termine lungo per appellare dal momento della pubblicazione della sentenza.

11.2. Del pari, gli elementi di fatto rappresentanti dall’appellante non permettono di ravvisare i presupposti per la concessione dell’errore scusabile neppure sotto il profilo dei “gravi impedimenti di fatto”, tali da rendere scusabile una violazione tanto ampia del termine di impugnazione (a fronte dei 6 mesi normativamente previsti, l’appello è stato notificato a più di 1 anno e 3 mesi dalla pubblicazione della sentenza). Invero, oltre alla considerazione predetta circa l’ascrivibilità alla parte della mancata attivazione delle opportune verifiche presso la Segreteria TAR, circa i gravi impedimenti di fatto le deduzioni dell’appellante risultano del tutto generiche, non illustrandosi neppure i motivi che avrebbero determinato tale mancata attivazione difensiva.

A tal riguardo deve rilevarsi che gli avvisi, da parte del TAR, all’avvocato -OMISSIS-, sia della fissazione dell’udienza di discussione, sia del deposito sentenza, sono stati comunque effettuati, tramite distinte PEC (indirizzate, per quanto emerge dal relativo testo, ai tre difensori del primo grado), che risultano entrambe consegnate. Ciò posto, devesi anche considerare che, secondo condivisa giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21589 del 12/10/2009), la nomina di un nuovo difensore in sostituzione di quello precedente presso il quale la parte aveva eletto domicilio non fa venir meno a carico di quest'ultimo gli obblighi connessi alla ricezione degli atti per i quali sia avvenuta la domiciliazione, ivi compreso l'obbligo di informare il nuovo difensore dell'avvenuta notifica di sentenze emesse nei confronti della parte successivamente alla cessazione dell'incarico. Tale obbligo rientra infatti nel più generale dovere di diligenza professionale cui l'avvocato è tenuto nei confronti del cliente, anche in caso di rinuncia o revoca del mandato o di risoluzione consensuale del rapporto.

11.3. Peraltro nella specie, come sopra accennato, neppure è stato definitivamente chiarito se i due difensori nominati per il ricorso al TAR (gli avv.ti -OMISSIS- e -OMISSIS-) siano poi stati entrambi (o uno solo, e quale?) effettivamente revocati, oppure soltanto affiancati dall’avv. -OMISSIS- (cfr., invero, il tenore della nota di quest’ultimo datata 14.7.2015, che fa riferimento ad una pregressa revoca dell’incarico al ”precedente difensore”).

D’altra parte, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34800 del 17/11/2021), la nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, da sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo, dovendosi, invece, ritenere che ne sia stato aggiunto a questi un altro e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato stabilito dall'art. 1716, comma 2, c.c. (conforme, Cass., n. 8525 del 2017).

12. In conclusione l’appello va dichiarato irricevibile per tardiva notifica, il che preclude l’esame degli ulteriori motivi di impugnazione.

A causa della mancata costituzione dell’Amministrazione non vi è luogo a provvedere sulle spese di giudizio.

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