Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-10-25, n. 202309234

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-10-25, n. 202309234
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309234
Data del deposito : 25 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/10/2023

N. 09234/2023REG.PROV.COLL.

N. 08547/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8547 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato P F U, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Questura Bologna, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questura Bologna e di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con decreto del 22 luglio 2019, notificato il 20 settembre 2019, la Questura della Provincia di Bologna ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato dell’appellante, cittadino del Bangladesh.

La Questura ha motivato il provvedimento di rigetto sulla scorta dell’esistenza di una condanna al pagamento di una multa di euro 4.700,00 emessa, nei confronti dell’interessato, dal Tribunale di Bologna, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.

L’amministrazione ha rilevato anche che l’appellante, “ nonostante abbia svolto attività lavorativa e percepito congrui redditi, negli ultimi anni, non si sia astenuto da una condotta delittuosa giudicata con sentenza di condanna, per una fattispecie considerata ostativa dal rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno ”, e, pertanto, in presenza della predetta condanna, automaticamente, sono state ritenute non sussistenti le condizioni di legge tali da giustificare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, in regione della propria pericolosità sociale.

2. Con il ricorso n. -OMISSIS-, proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna, l’odierno appellante ha impugnato detto provvedimento di diniego, chiedendone l’annullamento per difetto di istruttoria e motivazione, non avendo il Questore adeguatamente valutato il percorso di integrazione del richiedente e la circostanza che la condanna riguardi un’ipotesi di reato di lieve entità.

3. Il TAR competente, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso.

Il Giudice di primo grado ha ritenuto che la condanna per un reato in materia di stupefacenti, ancorché per l’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 90, fosse dirimente, considerato che la stessa “è stata analizzata nella sua concreta portata, come risulta damma motivazione del provvedimento impugnato, secondo cui tra l’altro l’episodio di spaccio si è verificato in area cittadina e determina concreto pericolo per la cittadinanza dalla diffusione di sostanze stupefacenti ”.

4. Avverso tale pronuncia è insorto l’odierno appellante con atto di appello notificato in data 6 ottobre 2020 e depositato il 5 novembre 2020.

Il cittadino straniero, riproponendo i medesimi motivi di ricorso in primo grado, ha chiesto la riforma della sentenza impugnata. Nella sua prospettazione, la sentenza sarebbe errata perché non avrebbe tenuto conto adeguatamente della permanenza in Italia, della stabile attività lavorativa subordinata nonché della lieve entità dei fatti addebitati.

5. L’Amministrazione si è costituita in giudizio in data 30 novembre 2020.

6. Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, è stata respinta l’istanza sospensiva, per carenza di fumus proprio della fase, considerato che: “ l’interessato, che non ha famigliari in Italia e che aveva fatto ingresso come minore non accompagnato ed ottenuto il permesso per motivi umanitari, usufruendo di una formazione professionale che gli aveva poi procurato il lavoro necessario alla richiesta conversione del titolo, è stato condannato per fatti di droga avvenuti in un’area cittadina nota per tali traffici, nonostante la disponibilità economica conseguente alla titolarità di un rapporto di lavoro e la recente domanda di conversione (antecedente di tre mesi ai fatti), rendendo non irragionevole l’impugnata prognosi sfavorevole circa la pericolosità sociale dell’interessato ”.

7. Con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, in via istruttoria è stato chiesto alla Questura di Modena di depositare il decreto di condanna emesso dal Tribunale di Modena nei confronti dell’interessato, in quanto ritenuto necessario ai fini della decisione.

8. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022, il giudizio è stato sospeso in maniera “impropria” in quanto, con l’ordinanza n. -OMISSIS-, il Collegio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per contrasto con agli artt. 3, 117, primo comma, Cost. in riferimento all’art. 8 Cedu nella parte in cui, richiamando tutti “ i reati inerenti gli stupefacenti ” prevedeva che la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 fosse automaticamente ostativa al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno.

9. All’esito del giudizio di legittimità, con sentenza 8 maggio 2023, n. 88, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

10. Con istanza depositata in data 11 maggio 2023, l’appellante ha chiesto la fissazione dell’udienza di discussione.

11. Alla pubblica udienza del 21 settembre 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato.

Come emerge dai documenti depositati, l’appellante è stato condannato con decreto penale di condanna del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna al pagamento di euro 4.700,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.

Questa Sezione, con ordinanza 16 giugno 2023, n. 5492, pubblicata in data 1 luglio 2022, ha sollevato la questione di rilevanza costituzionale dell’art. 4, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per contrasto con agli artt. 3, 117, primo comma, Cost. in riferimento all’art. 8 Cedu nella parte in cui, richiamando tutti “ i reati inerenti gli stupefacenti ” prevedeva che la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 fosse automaticamente ostativa al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno.

Con la richiamata ordinanza, esclusa la percorribilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, la Terza Sezione ha dubitato della tenuta costituzionale sotto molteplici profili tutti attinenti alla violazione del principio di proporzionalità e del principio di ragionevolezza.

Per il Collegio: “ anche nel caso della condotta di spaccio di sostanza stupefacente di lieve entità, privare l’amministrazione del potere di valutare la situazione concreta - il percorso di reinserimento nella società, l’integrazione socio-lavorativa, l’assenza di legami familiari anche nel Paese di origine, la personalità dell’autore - sia contrario al principio di proporzionalità perché non necessario.

La scelta legislativa di parificare fattispecie di reato che si connotano per violenza, efferatezza, condotte contrarie alla vita, all’incolumità fisica e psichica, alla libertà sessuale (quali, tra gli altri, reati di omicidio, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni) con un reato che, ancorché suscettibile di essere un potenziale pericolo per beni di interesse rilevantissimo – la salute, la sicurezza pubblica, il benessere delle future generazioni – lo stesso legislatore, per le modalità di realizzazione della condotta criminosa nonché per il minor grado di aggressione al bene giuridico, ha ritenuto meno grave, prevedendo una collocazione topografica autonoma, un trattamento sanzionatorio più mite e un conseguente regime processuale differenziato nei termini che seguono” .

La Corte Costituzionale, con sentenza 8 maggio 2023, n. 88, sopra richiamata, dopo aver ricordato i propri precedenti e quelli della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di principio di proporzionalità, ha dichiarato incostituzionale il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 , chiarendo che: “ in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del test di proporzionalità, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018).

Così, nel vagliare la complessiva ragionevolezza e proporzionalità delle previsioni che, come nel caso oggi in esame, implicano l’allontanamento dal territorio nazionale di uno straniero, questa Corte ha affermato la necessità di «un conveniente bilanciamento» tra le ragioni che giustificano la misura di volta in volta prescelta dal legislatore, tra le quali, segnatamente, la commissione di reati da parte dello straniero, «e le confliggenti ragioni di tutela del diritto dell’interessato, fondato appunto sull’art. 8 CEDU, a non essere sradicato dal luogo in cui intrattenga la parte più significativa dei propri rapporti sociali, lavorativi, familiari, affettivi» (ordinanza n. 217 del 2021, di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE).

Se, dunque, per un verso, al legislatore va riconosciuta un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno di uno straniero nel territorio nazionale, in considerazione della pluralità degli interessi che tale regolazione riguarda (ex plurimis, sentenze n. 277 del 2014, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994), per altro verso occorre chiarire che tale discrezionalità «non è assoluta, dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione sia suscettibile di incidere sui diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino» (sentenza n. 202 del 2013;
in precedenza, anche sentenze n. 172 del 2012, n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010, n. 78 del 2005).

Del resto, come ripetutamente affermato da questa Corte, «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit» (ex plurimis, sentenze n. 253 del 2019, n. 268 del 2016, n. 213 e n. 57 del 2013), sussistendo l’irragionevolezza della presunzione assoluta tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (ex plurimis, sentenza n. 213 del 2013, nello stesso senso, sentenze n. 202 e n. 57 del 2013”).

In particolar modo, la Corte Costituzionale ha precisato che: “ nel caso oggi in esame, esiste, infatti, la possibilità concreta di accadimenti contrari alla presunzione introdotta dalla norma censurata. Ben può verificarsi, invero, che uno straniero commetta il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, il quale, per la sua lieve entità, per le circostanze del fatto, per il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, per il percorso rieducativo eventualmente seguito alla condanna, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo.

Risulta allora contrario al principio di proporzionalità, letto anche alla luce dell’art. 8 CEDU, escludere, in dette ipotesi, la possibilità che l’amministrazione valuti la situazione concreta, in relazione al percorso di inserimento nella società. Tanto più ove si consideri che si fa qui riferimento, come chiarito, alla sola ipotesi di rinnovo, e non di rilascio, del permesso di soggiorno: ciò che lascia intravvedere − particolarmente in considerazione della circostanza che si tratta di permesso per lavoro − un possibile processo di integrazione dello straniero, processo che sarebbe irreversibilmente compromesso ove non si consentisse la prosecuzione del percorso lavorativo intrapreso. Di tanto è necessario che l’amministrazione procedente dia conto nella valutazione che deve essere alla stessa rimessa, in sede di disamina della domanda di rinnovo del permesso, al fine di evitare che tale valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’art. 8 CEDU ”.

In conclusione, per effetto della pronuncia del giudice delle leggi, l’appello deve quindi essere accolto, con il conseguente obbligo per la Questura di riesaminare la situazione del cittadino straniero, provvedendo a valutare in concreto la sua pericolosità sociale tenendo conto, da un lato, del tipo di reato commesso e, dall’altro, della sua condizione familiare e lavorativa in base agli elementi di fatto forniti dall’interessato ed operando, quindi, il necessario bilanciamento tra gli opposti interessi, fornendo un’adeguata motivazione sulla scelta operata che, allo stato, risulta affetta da irragionevolezza e sproporzione.

Le spese del giudizio possono invece compensarsi tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

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