Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-10-25, n. 202408543
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Testo completo
Pubblicato il 25/10/2024
N. 08543/2024REG.PROV.COLL.
N. 01502/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1502 del 2024, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero della difesa – Direzione generale per il personale militare, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, Sez. Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2024 il consigliere G C P e uditi per le parti l’avvocato M S e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il signor -OMISSIS-, già appuntato dell’Arma dei Carabinieri, impugna la pronuncia in epigrafe, con la quale il T.a.r. per la Liguria ha respinto il ricorso avverso il provvedimento disciplinare di stato della perdita del grado inflitto nei suoi confronti dall’Amministrazione di appartenenza all’esito di un procedimento instaurato a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n.-OMISSIS- della Corte d’appello di Genova, che ne aveva confermato la responsabilità penale sancita con la precedente sentenza di condanna n. -OMISSIS- del locale Tribunale per il reato di cui all’art. 615- ter c.p. (accesso abusivo a sistema informatico), rideterminando la pena in virtù della concessione delle attenuanti generiche.
2. L’interessato all’epoca dei fatti prestava servizio presso la Stazione CC di Genova-OMISSIS- e in tale contesto, nonostante le reiterate richieste, non gli erano state rinnovate le credenziali – medio tempore sospese in ragione degli incarichi precedentemente svolti – per accedere al sistema di indagine (SDI), per cui, asseritamente per svolgere il suo lavoro ed in “ buona fede ”, utilizzava a tal fine le credenziali di un collega.
Secondo quanto emerso in sede penale, dette credenziali erano state tuttavia carpite al legittimo titolare ed utilizzate dall’odierno appellante per effettuare senza autorizzazione “ plurimi accessi per acquisire, a fini del tutto estranei da quelli di servizio, informazioni strettamente riservate relative ad eventuali indagini a suo carico, ad una pregressa indagine svolta a Palermo, archiviata, che aveva visto coinvolti vari soggetti, a precedenti di polizia o controlli sul territorio riguardanti persone conosciute dall’imputato con le quali era in contatto … in un arco temporale significativo ”.
3. Affidandosi ad un unico ed articolato motivo l’interessato impugna la citata sentenza premettendo comportamenti asseritamente vessatori subiti nel corso della sua carriera e sostenendo, in estrema sintesi, che il T.a.r. non avrebbe considerato che al momento della rimozione erano passati circa otto anni dall’epoca dei fatti, il che sarebbe “ in contraddizione con la necessità attuale ” di rescindere il rapporto di lavoro anche in considerazione del fatto che, nelle more, il militare non era stato sospeso dal servizio; la misura sarebbe, in definitiva, sproporzionata ed iniqua, considerato anche che i fatti non avrebbero avuto alcuna risonanza mediatica; il provvedimento sarebbe inoltre viziato da carenza di istruttoria e di motivazione, dal momento che l’Amministrazione non avrebbe operato un’autonoma valutazione dei fatti oggetto del procedimento penale; vi sarebbe, inoltre, disparità di trattamento rispetto alle determinazioni assunte in sede disciplinare dall’Arma dei Carabinieri nei confronti di altri militari risultati in sede penale responsabili di condotte ritenute anche più gravi di quella a lui addebitata; il giudice di prime cure, ancora, avrebbe errato nel ritenere infondata la censura sulla composizione della Commissione di disciplina e non avrebbe tenuto conto delle “ ragioni umanitarie ” di cui all’art. 1389 c.o.m. alla luce della situazione di particolare difficoltà in cui versa la famiglia dell’appellante per gravi ragioni economiche e sanitarie.
4. L’Amministrazione intimata si è