Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-01-13, n. 201000100
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N. 00100/2010 REG.DEC.
N. 08448/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 8448 del 2005, proposto dal Comune di Foggia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M M, con domicilio eletto presso la signora E O in Roma, via delle Tre Madonne N. 8;
contro
Il signor V C, rappresentato e difeso dall'avvocato E F, con domicilio eletto presso lo studio Lupis in Roma, viale Mazzini 6;
per la riforma della sentenza del TAR PUGLIA- BARI, sezione terza, n. 03035/2005, resa tra le parti, concernente REALIZZAZIONE DI CAPANNONE IN ASSENZA DI AUTORIZZAZIONE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Vista la memoria difensiva del Comune di Foggia, depositata in data 14 ottobre 2009;
Vista l’ordinanza n. 5773 del 2005, con cui la Sezione ha accolto l’istanza incidentale formulata dal Comune di Foggia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 27 ottobre 2009 il Cons. Luigi Maruotti e udito per l’appellato l’avvocato Lo Foco, per delega dell’avvocato Follieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. In data 11 novembre 2003, il Comune di Foggia ha ordinato all’appellato la demolizione di alcune opere, realizzate senza titolo in prossimità della via Ascoli.
L’interessato in data 14 maggio 2004 ha chiesto, ai sensi dell’art. 36 del testo unico sull’edilizia (approvato col d.P.R. n. 380 del 2001), l’accertamento di conformità e il rilascio del permesso in sanatoria.
In assenza di ulteriori provvedimenti comunali, col ricorso di primo grado n. 740 del 2005 (proposto al TAR per la Puglia, Sede di Bari) l’interessato ha chiesto che il Comune fosse condannato a provvedere sul silenzio, serbato sulla domanda (e sulla diffida a provvedere, notificata il 31 marzo 2005).
Con la sentenza n. 3035 del 2005, il TAR ha accolto il ricorso ed ha dichiarato l’obbligo del Comune di provvedere sulla istanza, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio.
2. Col gravame in esame, il Comune di Foggia ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.
In particolare, a pp. 10 ss. del gravame, il Comune ha dedotto l’insussistenza dell’obbligo di provvedere sulla originaria istanza, poiché questa va considerata respinta, ai sensi dell’art. 36 del testo unico sull’edilizia.
3. Così sintetizzate le deduzioni dell’appellante, esse risultano fondate e vanno accolte.
L’art. 36 del testo unico sull’edilizia ha previsto che “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.
La giurisprudenza di questo Consiglio, condivisa e fatta propria dal collegio, ha chiarito che:
- il decorso del termine di sessanta giorni equivale alla emanazione di un provvedimento di rigetto dell’istanza, tenuto conto del tenore letterale dell’originario art. 13 della legge n. 47 del 1985 e dei lavori preparatori del testo unico sull’edilizia n. 380 del 2001 (dovendosi intendere l’espressione “la richiesta si intende rifiutata” non dissimilmente da quella originariamente prevista dal medesimo art. 13: Sez. IV, dec. n. 3373 del 2008;Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5373;Sez. IV, 3 aprile 2006, n. 1710;Sez. IV, 3 marzo 2006, n. 1037;Sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 401);
- ben può la legge regionale disporre misure sostitutive, ove il Comune non emani alcun provvedimento sull’istanza (cfr. Sez. IV, dec. n. 3373 del 2008, in relazione all’art. 43 della legge regionale della Campania n. 16 del 2004).
Nella specie, non essendo stata invocata una diversa normativa regionale sulla persistenza dell’obbligo di provvedere, risulta dunque applicabile l’art. 36 del testo unico sull’edilizia.
Ciò comporta che, come ha correttamente dedotto il Comune appellante, il ricorso di primo grado risulta inammissibile, poiché proposto avverso un silenzio che non è configurabile, non sussistendo l’obbligo di emanare un atto scritto, ripetitivo degli effetti di reiezione della istanza, disposti dal sopra richiamato art. 36.
4. Per le ragioni che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.