Consiglio di Stato, sez. V, sentenza breve 2023-02-27, n. 202301974
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Pubblicato il 27/02/2023
N. 01974/2023REG.PROV.COLL.
N. 09221/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex
artt. 38 e 60 Cod. proc. amm.
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9221 del 2022, proposto da
A D, rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G M B in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 326;
contro
Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, è elettivamente domiciliato;
nei confronti
Mastroianni Olimpia Maria Pia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 14447/2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2022 il Cons. V P e uditi per le parti gli avvocati Santagata – in dichiarata delega dell'avvocato Falzone – e Berruti, nonché l'avvocato dello Stato De Vergori;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 Cod. proc. amm.;
Risulta dagli atti che il dottor A D, dipendente in ruolo del Ministero delle
infrastrutture e della mobilità sostenibili ed in possesso del Diploma di laurea in Filosofia, aveva partecipato alla procedura selettiva per titoli ed esami, riservata ai dipendenti nei ruoli del MIT, per la progressione dalla seconda alla terza area funzionale, fascia retributiva 1, nel profilo di funzionario della comunicazione, di cui al bando dell’8 settembre 2020.
Con circolare del 4 novembre 2021, cui si allegavano gli elenchi degli ammessi, unitamente al decreto di esclusione dei “ candidati che hanno dichiarato il possesso di un titolo di studio non in linea con le disposizioni di cui al presente articolo ” (tra i quali era ricompreso anche l’odierno appellante), veniva fissata la data delle prove.
In data 8 novembre 2021 il dott. Abbriano diffidava l’amministrazione affinché annullasse la sua esclusione dalla procedura – con conseguente riammissione dello stesso – ma alla diffida seguiva la nota del 9 novembre 2021, con la quale l’amministrazione confermava la disposta esclusione.
A tal punto il dottor Abbriano ricorreva al Tribunale amministrativo del Lazio, sostenendo che la sua mancata ammissione discendesse da un’illegittima attività interpretativa della lex specialis ad opera della Commissione deputata al vaglio delle domande, atteso che il ricorrente possedeva un titolo di studio (la laurea in Filosofia) non testualmente escluso dal bando, il quale richiedeva il possesso di “ Diploma di laurea ovvero laurea, laurea specialistica, laurea magistrale in scienze della comunicazione o in relazioni pubbliche e materie assimilate nonché, per i laureati in discipline diverse, titolo di specializzazione o di perfezionamento post laurea o altri titoli post universitari in comunicazione, relazioni pubbliche o materie assimilate, rilasciati da università ed istituti universitari italiani e stranieri ovvero dalla Scuola della Pubblica Amministrazione (Legge 150/2000 e successivo Regolamento attuativo);Diploma di laurea in lettere o titoli universitari equipollenti ovvero laurea, laurea specialistica, laurea magistrale equiparate;Diploma di laurea in lingue e letterature straniere o titoli universitari equipollenti ovvero laurea, laurea specialistica, laurea magistrale equiparate ”.
Secondo il ricorrente, il titolo in suo possesso doveva ritenersi “assimilabile” a quelli espressamente contemplati nel bando, laddove l’interpretazione della Commissione avrebbe contraddetto i principi di par condicio e di massima partecipazione, in ragione dei quali, a fronte di requisiti di partecipazione non sufficientemente chiari, si sarebbe dovuta privilegiare un’interpretazione estensiva della lex specialis , tanto più trattandosi di una selezione interna.
L’amministrazione, del resto, pur avendo formalmente individuato due ulteriori titoli di studio abilitanti alla selezione (laurea in Lettere e laurea in Letterature straniere), avrebbe comunque lasciato invariata la possibilità di farne valere altri, purché ad essi “assimilati”.
Deduceva infine che l’esclusione fosse del tutto immotivata e priva di un adeguato supporto istruttorio.
Costituitosi in giudizio, il Ministero resistente eccepiva preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per tardività, dovendosi individuare nel bando di concorso il vero ed unico provvedimento immediatamente lesivo della situazione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente, essendo ivi indicati i requisiti di ammissione alla procedura.
Nel merito rilevava come la normativa vigente non ponesse alcun obbligo per le amministrazioni di individuare ulteriori titoli assimilabili a quelli già specificamente individuati nel d.P.R. n. 442 del 2001 per l’accesso alle categorie di personale di cui all’art. 2 comma secondo del medesimo decreto: per l’effetto la mancata previsione nel bando di criteri di assimilabilità non poteva che essere intesa come volontà del Ministero di precludere l’accesso a titoli diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dal Bando ovvero ad essi espressamente ritenuti equiparati o equipollenti per legge.
In tale contesto, la Commissione di valutazione si era semplicemente limitata ad
accertare in capo ai candidati il possesso o meno dei titoli previsti dal bando e le equipollenze ed equiparazioni di cui alla tabella MIUR del 9 luglio 2009.
Con ordinanza cautelare n. 7320 del 15 dicembre 2021 il ricorrente veniva ammesso, seppur con riserva, a partecipare alla procedura, all’esito della quale si collocava al 41° posto in graduatoria.
Con sentenza 7 novembre 2022, n. 14447, il giudice adito respingeva il ricorso, sul presupposto che fosse una mera facoltà – e non già un obbligo – dell’amministrazione eventualmente ampliare il
novero delle lauree abilitanti al ruolo.
Avverso tale decisione il dott. Abbriano interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.;dell’art. 2, commi 2, 3 e 4 dpr 442/2001 e per essi della l. 150/2000;nonché degli artt. 2, 3, 11 e 12 dpr 487/1994, nonché art. 1 l. 7 agosto 1990 n. 241;illogicità manifesta, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Omessa pronuncia su un punto decisivo .
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.;dell’art. 2, commi 2, 3 e 4, dpr 442/2001 e per essi della l. 150/2000;artt. 1 e 3 l. 241/1990;difetto di istruttoria, carenza di motivazione, omessa pronuncia .
3) Violazione e/o falsa applicazione del dpr 442/2001;eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicità manifesta, disparità di trattamento, sviamento, contraddittorietà e perplessità manifesta nel merito delle posizioni delle ricorrenti. Omessa pronuncia su un punto fondamentale;violazione e falsa applicazione decreto interministeriale 9 luglio 2009 e decreto interministeriale del 21 dicembre 1998 .
4) Precisazione sulla risoluzione delle eccezioni preliminari .
Si costituiva in giudizio il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, concludendo per l’infondatezza dell’appello del quale chiedeva la reiezione.
All’udienza del 20 dicembre 2022 la causa veniva quindi trattenuta in decisione.
Rileva il Collegio, ad un complessivo esame delle risultanze di causa, come l’appello non sia fondato.
Risulta dagli atti che il bando di concorso sul quale si controverte indicava, quale requisito di ammissione, il “ Diploma di laurea ovvero laurea, laurea specialistica, laurea magistrale in scienze della comunicazione o in relazioni pubbliche e materie assimilate nonché, per i laureati in discipline diverse, titolo di specializzazione o di perfezionamento post laurea o altri titoli post universitari in comunicazione, relazioni pubbliche o materie assimilate, rilasciati da università ed istituti universitari italiani e stranieri ovvero dalla Scuola della Pubblica Amministrazione (Legge 150/2000 e successivo Regolamento attuativo);Diploma di laurea in lettere o titoli universitari equipollenti ovvero laurea, laurea specialistica, laurea magistrale equiparate;Diploma di laurea in lingue e letterature straniere o titoli universitari equipollenti ovvero laurea, laurea specialistica, laurea magistrale equiparate ”.
Deduce l’appellante che, non avendo il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili specificamente indicato i titoli di studio “assimilabili” quali requisiti di ammissione al concorso, né in alternativa dei precisi criteri di assimilabilità da utilizzare a tal fine, il generico richiamo a tale categoria di titoli contenuto nel bando avrebbe a tal punto dovuto essere interpretato in modo elastico, così da ricomprendervi, ad esempio, i “ vari titoli accademici che nei concorsi banditi per detta area nei vari ministeri sono contemplati (testualmente) come indirizzi accademici assimilati ”.
Per l’effetto, in assenza di formali delimitazioni di sorta, il titolo di studio posseduto dal ricorrente non avrebbe potuto essere considerato escluso a priori, essendo demandato alla Commissione di valutazione delle domande di partecipazione pervenute integrare la lex specialis onde valutare quali titoli di laurea potessero considerarsi assimilabili (quanto all’indirizzo o alla materia) o meno a quelli testualmente indicati nel bando.
Il ragionamento svolto dall’appellante non può trovare accoglimento.
In effetti, se va dato atto che la nozione di “ assimilabilità ” utilizzata nel bando di concorso è distinta da quella di “ equipollenza ” (parimenti utilizzata dalla lex specialis ), sì che a rigore non vale per essa il consolidato principio ( ex multis , Cons. Stato, V, 28 agosto 2019, n. 5924;III, 15 settembre 2020, n. 5460) per cui l’equipollenza tra titoli di studio sussiste solo se espressamente prevista da un atto normativo, non potendo essere desunta in modo implicito o facendo riferimento al criterio analogico (in breve, non potendo essere integrata da valutazioni di tipo sostanziale compiute ex post dall'amministrazione), la tesi propugnata dall’appellante ai fini dell’individuazione dei titoli “assimilabili” non è giuridicamente fondata.
L’art. 2, commi 2 e 3 del d.P.R. n. 442 del 2001, richiamato dall’appellante a fondamento delle proprie ragioni, testualmente dispone che “ Per il personale appartenente a qualifica dirigenziale e per il personale appartenente a qualifiche comprese nell'area di inquadramento C del contratto collettivo nazionale di lavoro per il comparto Ministeri o in aree equivalenti dei contratti collettivi nazionali di lavoro per i comparti di contrattazione riguardanti le altre amministrazioni pubbliche cui si applica il presente regolamento, è richiesto il possesso del diploma di laurea in scienze della comunicazione, del diploma di laurea in relazioni pubbliche e altre lauree con indirizzi assimilabili, ovvero, per i laureati in discipline diverse, del titolo di specializzazione o di perfezionamento post-laurea o di altri titoli post-universitari rilasciati in comunicazione o relazioni pubbliche e materie assimilate da università ed istituti universitari pubblici e privati, ovvero di master in comunicazione conseguito presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione e, se di durata almeno equivalente, presso il Formez, la Scuola superiore della pubblica amministrazione locale e altre scuole pubbliche nonché presso strutture private aventi i requisiti di cui all'allegato B al presente regolamento.
Ai fini della individuazione dei titoli di studio per le categorie di personale di cui al comma 2, è comunque fatta salva l'applicazione, secondo criteri di equivalenza, delle disposizioni di cui al regolamento in materia di autonomia didattica degli atenei, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, con D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica ”.
Detta norma non prevede alcun obbligo – ma solo una facoltà – per le amministrazioni di indicare eventuali (ulteriori) titoli di studio “assimilabili” a quelli previsti nel medesimo d.P.R. n. 442 del 2001, ai fini dell’accesso alle categorie di personale di cui all’art. 2, comma 2 cit.
Per l’effetto la mancata previsione, nella lex specialis , già solo di criteri di assimilabilità dei quali la commissione sia chiamata a fare applicazione ai fini della valutazione dei titoli preclude ogni rilevanza di titoli diversi e ulteriori rispetto a quelli esplicitamente previsti dalla lettera del bando, ovvero espressamente ritenuti equiparati o equipollenti per legge.
La riconosciuta non obbligatorietà dell’individuazione di materie ed indirizzi “assimilabili” comporta inoltre che nessuna attività di integrazione successiva della lex specialis può ritenersi demandata alla commissione di valutazione, vincolata dalle testuali indicazioni di quest’ultima e delle norme di legge.
Ne consegue la reiezione dell’appello.
Le spese di lite, considerata la particolarità e la sostanziale novità delle questioni esaminate, possono essere integralmente compensate tra le parti.