Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-04-26, n. 201802514

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-04-26, n. 201802514
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802514
Data del deposito : 26 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2018

N. 02514/2018REG.PROV.COLL.

N. 02469/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2469 del 2013, proposto dal Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

L C, rappresentato e difeso dagli avvocati C P F, C M, U G, con domicilio eletto presso lo studio C M in Roma, via Sabotino, 45;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sezione I bis , 15 novembre 2012, n. 9416.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di L C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi per le parti l’avvocato C M e l'avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor L C, maggiore degli Alpini, è stato collocato in congedo assoluto per inidoneità al servizio militare incondizionato in data 28 giugno 2007 e quindi - con provvedimento del 19 dicembre 2008 - è transitato nelle corrispondenti aree amministrative del personale civile del Ministero della difesa con la qualifica di direttore di amministrazione.

2. Il signor Camilleri ha chiesto la riammissione in servizio nell’Esercito con istanza del 28 gennaio 2011, respinta in base all’art. 2, comma 9, del decreto del Ministro della difesa 18 aprile 2002, n. 22680.

3. Avverso il diniego il signor Camilleri ha proposto ricorso gerarchico, dichiarato inammissibile in data 19 luglio 2011.

4. Egli ha impugnato il provvedimento di diniego, quello di reiezione del ricorso gerarchico e in parte qua il presupposto decreto ministeriale n. 22680/2002 formulando un ricorso che il T.A.R. per il Lazio, sez. I bis , ha accolto con sentenza 15 novembre 2012, n. 9416, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio.

5. Il Tribunale regionale ha ritenuto che il citato decreto ministeriale - là dove prevede che “il militare trasferito nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa non può essere riammesso nel ruolo di provenienza” - sarebbe illegittimo per contrasto con i principi enunciati in tema di riassunzione in servizio dalla Corte costituzionale (sentenze 26 gennaio 1994, n. 3, e 13 novembre 2009, n. 294), che avrebbero dovuto orientare l’esercizio della potestà regolamentare attribuita dall’art. 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, n. 266. Ferma restando l’inesistenza di un diritto soggettivo alla riammissione, sarebbe irragionevole una disciplina che privi l’Amministrazione di qualsiasi valutazione circa la sussistenza in concreto dell’interesse pubblico ad avvalersi nuovamente della prestazione di lavoro del richiedente, mentre non vi sarebbero motivi per non applicare la norma dell’art. 132 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico del pubblico impiego).

6. Il Ministero della difesa ha interposto appello avverso la sentenza n. 9416/2012, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.

7. L’Amministrazione appellante sostiene che:

- la decisione di primo grado non avrebbe tenuto conto delle peculiarità del rapporto di impiego del personale militare che - come risulterebbe dal sistema delineato dalla complessiva normativa vigente - sarebbe tale da integrare uno specifico e particolare status , acquisito unicamente all’atto dell’arruolamento;

- la disposizione primaria che prevede il transito nei ruoli civili dei soggetti divenuti inidonei (art. 14, comma 5, della legge n. 266/1999) sarebbe norma speciale attributiva di un vantaggio e non suscettibile di applicazioni estensive, non avendo ragion d’essere per il passaggio inverso anche in considerazione degli effetti potenzialmente dirompenti che potrebbe comportare un tale rientro nei ranghi;

- l’art. 132 t.u. riguarderebbe i soli impiegati civili dello Stato e non sarebbe estensibile per analogia a un rapporto di lavoro (quello militare) oggetto di una normativa speciale e organica, così come espressamente sancito dall’art. 19 della legge 4 novembre 2010, n. 19;

- diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, tale restrizione della riammissione in servizio sarebbe costituzionalmente legittima alla luce dei pertinenti precedenti della Corte costituzionale, orientati a valorizzare la peculiarità di determinati status (ord. 30 gennaio 2002, n. 10, in tema di magistrati cessati a domanda dal servizio;
ord. 25 novembre 2005, n. 430, in tema di ufficiali cessati a domanda dal servizio permanente).

8. Con ordinanza 2 maggio 2013, n. 1588, la Sezione ha accolto la domanda cautelare, sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata.

9. La parte privata si è costituita in giudizio con un nuovo difensore e ha depositato una memoria.

10. All’udienza pubblica del 12 aprile 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

11. L’art. 1, comma 1, del decreto ministeriale n. 22680/2002 stabilisce che:

“Il personale delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o non da causa di servizio transita, a domanda, nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della difesa, secondo la corrispondenza definita nell'annessa tabella A, sempreché l'infermità accertata ne consenta l'ulteriore impiego”.

12. L’art. 2 disciplina le modalità di transito e, al comma 9, dispone che “il militare trasferito nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa non può essere riammesso nel ruolo di provenienza”.

13. Il decreto ministeriale è stato adottato sulla base dell’art. 19, comma 5, della legge n. 266/1999 ed è sopravvissuto alla parziale abrogazione della norma primaria (con unica salvezza del personale della Guardia di finanza) disposta dal codice dell’ordinamento militare (artt. 2268 e 2269) a partire dalla sua entrata in vigore (art. 2272: cinque mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, avvenuta sul n. 106 dell’8 maggio 2010).

14. Sulla base della disposizione del d.m., l’Amministrazione ha rigettato l’istanza dell’originario ricorrente, volta a ottenere la riammissione nei ruoli militari.

15. L’appello è fondato e merita di essere accolto.

16. Come è messo in luce nei precedenti specifici in materia, dai quali non vi è ragione per discostarsi [C.G.A.R.S. 16 febbraio 2011, n. 135, Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2225;
Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2017, n. 3330;
alle quali decisioni si rinvia anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.], l'ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso.

17. A tale riguardo:

a) non valgono in termini generali gli articoli 961 e 935 bis c.o.m., recanti norme palesemente eccezionali, come tali insuscettibili di interpretazione analogica;

b) neppure potrebbe essere valorizzato l'art. 795 c.o.m., in quanto disposizione che si limita a dettare le modalità operative e concrete della "riammissione in ruolo" di militari in precedenza cessati e che, pertanto, non ha autonoma portata innovativa sulla ipotetica ammissibilità di tale "riammissione in ruolo" (fattispecie, oltretutto, non solo lessicalmente diversa dall'anelata "riammissione in servizio");

c) visto il carattere tendenzialmente compiuto e autosufficiente dell’ordinamento militare - diverso da quello proprio del Corpo di Polizia penitenziaria (su cui Corte cost. n. 249/2009) che, pur nelle sua specificità, si muove tendenzialmente sul piano della disciplina comune del pubblico impiego - non può trovare spazio di applicazione l’art. 132 del t.u. n. 3/1957, che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato, poiché le norme dell'ordinamento militare "non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune" (C.G.A.R.S. n. 135/2011);

d) tale disciplina è costituzionalmente legittima, dal momento:

“che la normativa sul rapporto di impiego degli ufficiali delle Forze armate in servizio permanente, nel regolare la cessazione dal servizio permanente a domanda dell'interessato, ignora del tutto l'istituto della riammissione in servizio, nel senso che non detta un'autonoma disciplina né contiene, in proposito, norme di rinvio a quella vigente per il personale civile dello Stato, e questo silenzio del legislatore viene non implausibilmente inteso dal giudice remittente come disconoscimento dei presupposti essenziali perché possa disporsi la ricostituzione del rapporto d'impiego con l'ufficiale che sia cessato dal servizio a domanda;

che la mancata previsione di questa possibilità rinviene la propria ratio nel particolare status dell'ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate …;

che - premesso che non è consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel merito delle opzioni legislative (sentenza n. 5 del 2000) - deve escludersi che la norma denunciata [art. 43, secondo comma, della legge 10 aprile 1954, n. 113 (Stato degli ufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), nella parte in cui non prevede che l'Amministrazione della difesa possa riassumere in servizio l'ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo] sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a sua domanda, di un'amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante” (Corte cost., n. 430/2005);

e) alla luce di tali considerazioni, la disposizione regolamentare, posta a base dei provvedimenti amministrativi impugnati e censurata dal T.A.R., non appare in contrasto con i principi enunciati dal giudice delle leggi né rappresenta “lo sbocco di un irragionevole esercizio della discrezionalità amministrativa”.

18. In conclusione, come anticipato, l’appello dell’Amministrazione è fondato e va pertanto accolto, con riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

19. Considerata la natura della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

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