Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-01-08, n. 202000150

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-01-08, n. 202000150
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000150
Data del deposito : 8 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/01/2020

N. 00150/2020REG.PROV.COLL.

N. 03036/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3036 del 2009, proposto dal Comune di Roccaforzata, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati F C, M L, con domicilio eletto presso lo studio Srl Placidi in Roma, Via Barnaba Tortolini, n. 30;

contro

C L, D M C, D M C, P A, M M, D P, C A, P F, D M V, D M G, D A M, C M I, S L, G A M, D M A, P I M, R M, I G, P A, G P, M O, G C, N Gto, Scialpi Antonio, Mero Giovanni, Mero Giuseppa, Fiorino Biagio, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Regione Puglia, Provincia di Taranto, non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 1766/2008, resa tra le parti, in tema di approvazione definitiva del piano urbanistico generale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2019 il Cons. Italo Volpe;

Nessuno comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe il Comune di Roccaforzata (di seguito “Comune”) ha impugnato la sentenza del Tar per la Puglia, Lecce, n. 1766/2008, pubblicata il 16.6.2008, che – con l’onere delle spese a carico dell’ente locale – ha accolto l’originario ricorso delle persone fisiche pure in epigrafe indicate volto all’annullamento:

- della deliberazione di C.C. n. 37 del 23.10.2006 avente ad oggetto “ Approvazione definitiva P.U.G. (Piano Urbanistico Generale) ” e di ogni altro suo atto connesso, presupposto e/o consequenziale;

- della deliberazione di C.C. n. 7 del 17.3.2007 avente ad oggetto “ annullamento deliberazione C.C. n. 37 del 23/10/2006 (approvazione definitiva P.U.G. Piano Urbanistico Generale) ”;

- della deliberazione di C.C. n. 8 del 17.3.2007 avente ad oggetto “ approvazione definitiva Zona C 6 del P.U.G. (Piano Urbanistico Generale) ”;

- della deliberazione di C.C. n. 9 del 17.3.2007 avente ad oggetto “ approvazione definitiva Zona C 7 del P.U.G. (Piano Urbanistico Generale) ”;

- della deliberazione di C.C. n. 10 del 17.3.2007 avente ad oggetto “ approvazione definitiva Zona C 9 del P.U.G. (Piano Urbanistico Generale) ”;

- della deliberazione di C.C. n. 11 del 17.3.2007 avente ad oggetto “ approvazione definitiva P.U.G. (Piano Urbanistico Generale) ”;

- di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale e, ove occorra, di quelli concernenti la fase di adozione del P.U.G., i verbali della Conferenza di Servizi in uno con gli allegati, tra cui la “ relazione tecnica aggiuntiva ” e la delibera di G.R. n. 1440/2006;

- delle deliberazioni di C.C. n. 27 e n. 28 del 20.8.2007 con le quali il Comune ha adottato i Piani Urbanistici Esecutivi delle Zone C9 e C7 del P.U.G. impugnato;

- di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale.

1.1. La sentenza di primo grado, in fatto, espone che:

- parte ricorrente era proprietaria di lotti di terreno interni alla zona C9 del territorio comunale;

- il Comune con deliberazione n. 31/2004 aveva adottato il suo PUG e, con quella n. 37/2006, lo aveva definitivamente approvato (ai sensi della l.r. n. 20/2001);

- parte ricorrente aveva impugnato questa pianificazione perché:

-- in particolare, essa aveva previsto un’edificabilità per la sua zona (0,4 mc per mq) sensibilmente inferiore a quella della zona C7, cui invece s’era conferita un’edificabilità doppia (0,8 mc per mq);

-- lesiva inoltre dell’art. 78 del d.lgs. n. 267/2000, in quanto approvata in violazione dell’obbligo di alcuni consiglieri di astenersi per ragioni personali;

- nel corso del giudizio il Comune, con la deliberazione n. 7/2007, aveva annullato in autotutela il PUG ed in pari data, con le deliberazioni nn. 8, 9 e 10 del 2007, aveva riapprovato per zone il medesimo piano, con l’astensione però dei consiglieri in ipotizzato conflitto d’interessi;

- queste ulteriori deliberazioni erano state oggetto di motivi aggiunti, prospettandosi che il Comune non potesse annullare d’ufficio la locale pianificazione territoriale per sottrarla al sindacato giurisdizionale;

- con le deliberazioni nn. 27 e 28 del 2007 il Comune aveva poi adottato i PUE proprio per le zone C9 e C7, onde anche per tali atti, adottati in pendenza del giudizio, dalla parte ricorrente ne era stato esteso il gravame.

1.2. La sentenza, in diritto, ha ritenuto in sintesi che:

- parte ricorrente godeva di una posizione qualificata e differenziata, giacchè proprietaria di terreni in sottozona C9, in relazione ai quali veniva lamenta una disparità di trattamento rispetto ad altri terreni in sottozona C7. Ove fondate, le censure avrebbero almeno indotto un miglioramento dell’indice di edificabilità pari a 0,2. Parte ricorrente quindi, “ facendo valere la violazione dell’obbligo di astensione anche come sintomo di disparità di trattamento, mira ad ottenere, a parità di standards, una più equa distribuzione della cubatura (…) anche a suo favore ”;

- la violazione dell’obbligo di astensione (art. 78 del d.lgs. n. 267/2000) “ oltre a costituire autonomo vizio di carattere procedimentale, sotto il profilo sostanziale assume il connotato di sintomo dello sviamento della funzione dal fine istituzionale ”. “ Del resto, un caso tipico di abuso d’ufficio, ai sensi dell’articolo 323 del codice penale, è proprio quello della violazione dell’obbligo di astensione, segno che il legislatore ha valutato, già in astratto, l’idoneità di tale violazione a determinare un vizio sintomatico della funzione amministrativa ”;

- diversamente da quanto sostenuto dal Comune, non ricorreva perciò un sopravvenuto difetto d’interesse di parte ricorrente alla decisione in conseguenza dell’autotutela operata dal Comune, specie perché la violazione dell’obbligo di astensione non può considerarsi vizio solo formale;

- a fronte di una “ difformità negli indici di edificabilità di due ambiti (9 e 7) della stessa zona C ” ed a cospetto altresì di una violazione dell’obbligo di astensione da parte di amministratori, i cui terreni hanno ottenuto un’edificabilità maggiore “ (ritenendosi, a tal fine, e in difetto di adeguata prova contraria, sufficiente l’indice di edificabilità territoriale), ne esce rafforzato il convincimento secondo cui si è verificata una irragionevole disparità di trattamento ”;

- l’onere della motivazione, per il Comune, si delineava conseguentemente come eccezione alla deroga di cui all’art. 3, co. 2, della l.n. 241/1990 e si aggravava, “ dovendo superare una presunzione particolarmente pregnante ”;

- “ la riapprovazione impugnata (…) - benché formalmente avvenuta mediante votazioni disaggregate - nulla ha modificato nella sostanza rispetto al PUG impugnato con il ricorso introduttivo, e ne recepisce, pertanto, in via derivata, i vizi sintomatici di carattere sostanziale ”;

- peraltro “ a mente dell’articolo 78 cit., durante l’accertamento giurisdizionale, le disposizioni del piano approvato in violazione dell’obbligo di astensione sono sospese ex lege ”;

- sarebbe semmai occorsa una variante urbanistica parziale, con adeguata motivazione anche in relazione alle ragioni che inducevano a confermare le cennate differenze degli indici di edificabilità;

- non era perciò sufficiente una mera riapprovazione dei contenuti dell’atto soggetto ad autotutela ed era piuttosto comprovata la violazione nella specie dell’art. 78, co. 2, del d.lgs. n. 267/2000.

2. L’appello è affidato ai seguenti temi censori:

a) inammissibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza d’interesse;

b) inammissibilità del ricorso di primo grado per ulteriori profili;

c) erroneità e perplessità della sentenza gravata.

2.1. Ad avviso del Comune, in sintesi, la sentenza impugnata è da riformare perché:

a.1) ignorando eccezioni pur articolate, i primi Giudici non avevano considerato che “ con l’annullamento in autotutela dell’approvazione del PUG asseritamene illegittima e la sostituzione della stessa con un’approvazione "frazionata" delle diverse parti del PUG, si era superata in radice qualsiasi possibile contestazione sulla mancata astensione (seppur non invalidante) degli Amministratori in potenziale (e non concreto) conflitto di interessi ”. Inoltre, il vizio d’invalidità derivata – ritenuto in primo grado – vuole almeno che tra atto presupposto viziante ed atto derivatamente viziato corra un rapporto di stretta consequenzialità, cosa che nella specie non s’inverava (il secondo atto essendosi totalmente sostituito al primo). Da ciò la segnalata sopravvenuta carenza d’interesse dell’originaria parte ricorrente alla decisione per intervenuta cessazione della materia del contendere. Peraltro, l’attività del Comune seguente l’annullamento in autotutela (ossia la riapprovazione frazionata dell’intero PUG) era avvenuta nel segno della piena legittimità, giacchè conforme a giurisprudenza costante;

b.1) l’originario ricorso era peraltro inammissibile anche perché:

b.1.1) erroneo nei suoi presupposti in fatto. Parte ricorrente, nella sostanza, si doleva di una scorretta attribuzione di indici di fabbricabilità ‘fondiaria’ (i.f.f.) tra le diverse sottozone C (con vantaggio, in tesi, per i proprietari terrieri della sottozona C7). In realtà trattavasi di indici di fabbricabilità ‘territoriale’ che, a differenza degli altri, non incidono sulla capacità di un singolo fondo di sostenere più o meno volumetria edificabile quanto piuttosto regolano (mediamente) la capacità di una più vasta area di sostenere una maggiore o minore ‘densità territoriale’ (fattore, questo, da non confondere con la possibilità di edificare una minore o maggiore volumetria su un determinato lotto). Ebbene, gli indici ‘fondiari’ non erano di fatto rientrati nel thema decidendum e tanto si rifletteva sullo stesso interesse ad agire di parte ricorrente, la cui unica vera molla era quella che la spingeva a poter ottenere, all’esito del giudizio, una maggiore volumetria edificabile sui propri fondi;

b.1.2) “ l’impugnativa spiegata non coinvolgeva né la determinazione di adeguamento del PUG alle modifiche indicate dalla Giunta regionale assunta dalla Conferenza di servizi, né, ancora più a monte, la deliberazione di C.C. con cui si era adottato il PUG medesimo, atti questi i cui effetti si erano, al momento della proposizione del ricorso originario, già pienamente consolidati in conseguenza dell’infruttuoso decorso del loro termine decadenziale di impugnazione ”;

c.1) sono ulteriormente erronei gli assunti dei primi Giudici in quanto:

c.1.1) l’originaria parte ricorrente non era dotata di “ alcun interesse concreto, qualificato e differenziato in grado di fondare l'azione giurisdizionale esperita in primo grado. L’insussistenza della legittimazione attiva in capo all’allora ricorrente, infatti, è rinvenibile nella circostanza, di lapalissiana evidenza, per cui questi, dall’accoglimento del gravame in oggetto, non avrebbe potuto (né potrebbe allo stato attuale) trarre alcuna modificazione vantaggiosa della propria situazione giuridica ”. In origine, la zona in questione era a ‘vocazione agricola’. Il PUG aveva reso la sottozona C9 a ‘vocazione residenziale’. Già questo solo, perciò, aveva prodotto un’espansione del diritto di proprietà di parte ricorrente, il cui interesse processuale pertanto si rivelava de facto né oppositivo né pretensivo (a quest’ultimo riguardo giocando invero negativamente l’equivoco della parte ricorrente sul fatto che gli indici di fabbricabilità determinati col PUG erano ‘territoriali’ e non ‘fondiari’);

c.1.2) la violazione dell’art. 78 del TUEL era, nella specie, formale e non sostanziale, non valendo a questo riguardo un preteso parallelismo, affermato dai primi Giudici, con la fattispecie d’abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p.. Se ne sarebbe ricavato che “ il conflitto di interessi cui accede la violazione dell’art. 78 (citato, n.d.r.) , che nel caso di provvedimenti comuni può essere meramente potenziale, in ipotesi di atti generali deve essere effettivo e concreto ”, cosa che nella fattispecie non è, anche perché v’è da ritenere che “ per le deliberazioni afferenti gli atti generali sussista una vera e propria "presunzione" di inesistenza del conflitto di interessi ” e nel caso in questione il ricorrente non ha dato una specifica prova contraria;

c.1.3) “ in relazione agli indici di fabbricabilità, la cui determinazione nella prospettazione del ricorrente sarebbe afflitta dalla violazione dell’obbligo di astensione in questione, si ritiene che gli stessi debbano essere sussunti nella prescrizioni astratte della strumentazione urbanistica generale (…) , con conseguente insussistenza dello stesso obbligo di astensione ” – in sede di deliberazione di tale pianificazione – da parte di persone in teoria in posizione di conflitto d’interessi;

c.1.4) l’inserimento di una o più aree territoriali in una sottozona è scelta di merito amministrativo, già di per sé tendenzialmente sottratta ad uno scrutinio giurisdizionale. In più, nel caso di specie, v’erano ragioni storico-giuridiche a sostengo di una plausibile differenziazione tra le sottozone C7 e C9 quanto ai relativi indici di fabbricabilità ‘territoriale’. Ragioni di fatto pretermesse dai primi Giudici.

3. Parte appellata non si costituiva.

4. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 19.11.2019, è stata ivi trattenuta in decisione.

5. La sentenza impugnata merita di essere riformata perché:

- l’originario ricorso introduttivo presenta profili di inammissibilità in considerazione del fatto che quelli approvati dal Comune sono stati indici di fabbricabilità ‘territoriale’ e non, piuttosto, indici di fabbricabilità ‘fondiaria’. Alla luce del fatto che l’interesse ad agire della originaria parte ricorrente era quello volto a conseguire (quale suo bene della vita) una maggiore volumetria edificabile per sedime disponibile ed in considerazione dell’ulteriore fatto che la maggiore o minore volumetria edificabile non poteva costituire funzione derivata diretta di un maggiore o minore indice di fabbricabilità ‘territoriale’ (che sull’altro non incide), ne consegue allora che detto interesse in verità faceva difetto fin dal momento dell’originaria introduzione della lite;

- inoltre l’originario ricorso introduttivo presenta anche profili di improcedibilità alla luce del fatto che l’iniziale approvazione del PUG era stata annullata in autotutela e che, poi, tale strumento pianificatorio era stato completamente approvato ex novo , sebbene per tratti territoriali diversi. Non era pertanto consentito inferire un’ultrattività dell’atto annullato in autotutela idonea, come tale, a fornire logica e giuridica base alla tesi – fatta invece propria dai primi Giudici – della ricorrenza di vizi di illegittimità derivata tra il primo atto (autoannullato dal Comune, come detto) e quelli successivi (di approvazione segmentata del PUG);

- l’originario ricorso ed i correlati motivi aggiunti sono, per di più, basicamente infondati nel merito, e come tali da respingere. Invero, in disparte la corretta deduzione del Comune, secondo la quale quelle assunte sono state determinazioni di merito amministrativo (come tali non giudicabili in sede contenziosa se non per profili qui, invero, non fatti valere), avuto riguardo all’interesse sostanziale che ha spinto parte ricorrente (ossia quello di conseguire l’edificabilità del sedime di proprietà), è mancata una prova tangibile del fatto che tale interesse fosse effettivamente leso. In primo luogo, infatti, v’è da considerare che la zona nella quale insisteva detto sedime già era stata ‘trasformata’ da agricola a residenziale (acquistando perciò una vocazione edificatoria specifica e certamente maggiore di quella che, altrimenti, avrebbe conservato). In secondo luogo, è mancata ad opera della parte originariamente ricorrente una prova tangibile di quale specifica volumetria edificabile essa avrebbe (anche solo in funzione delle proprie tesi) potuto materialmente conseguire, specie alla luce del fatto differenziale (sopra ricordato) esistente tra indici di fabbricabilità ‘territoriale’ e ‘fondiaria’.

6. Non possono inoltre ignorarsi gli elementi valutativi favorevoli alla posizione e tesi del Comune comunque desumibili dalla condotta processuale della parte appellata, che non si è neppure costituita in questo grado di giudizio.

7. In conclusione, l’appello merita di essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, l’originario ricorso introduttivo ed i correlati motivi aggiunti devono essere respinti.

8. Nulla è dovuto per le spese in quanto la parte intimata in questo grado di giudizio non si è costituita.

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